top of page

IL MIO VIAGGIO NEL BRACCIO DELLA MORTE DEL TEXAS di Christy Armell

Il 14 ottobre 2008 Christy ha viaggiato dal Nuovo Messico al Texas per andare a trovare Rudy Medrano nel braccio della morte

(Trad. di Serena Mangano Hill)

 

Come sempre, i miei viaggi in Texas sono dolci e amari allo stesso tempo. Sapevo che questo viaggio in particolare sarebbe stato duro, perché per la prima volta stavo per visitare il braccio della morte. Mi ero figurata nella mente tutto quello che mi aspettavo sarebbe successo, e tutto quello che avrei provato. Nonostante ciò, non ero pronta per la vera e propria marea di emozioni che mi ha inondato quando ho visto l’insegna della Polunski Unit. 


Sono entrata nel cortile della prigione e ho fermato la macchina, così che le guardie potessero perquisirla. Dissi loro che avevo una visita speciale con Rudy Medrano. La guardia disse: “Oh, nel braccio della morte?”. Annuii. Non so perché la cosa mi disturbasse tanto.


Non ho avuto problemi a entrare nella prigione. Ho incontrato un’altra donna che visitava un suo amico. Le spiegai che era la mia prima visita e lei mi disse di non preoccuparmi, che lei mi avrebbe fatto vedere che cosa si deve fare. Ero grata per il suo aiuto. Sapevo di non essere sola.


Non appena entrata nella sala delle visite guardai alla mia destra per vedere un detenuto in visita con la sua famiglia. La donna che avevo appena incontrato mi disse che era Alvin Kelly. Alvin doveva essere ucciso quella sera. Sono quasi svenuta. Lì era un uomo vivo, che respirava, e che tentava di consolare la sua famiglia perché sapeva che sarebbe stato ammazzato in meno di 12 ore. Tutto stava diventando molto reale.


Mi sedetti nella gabbia 27. Dico gabbia perché è esattamente quello di cui si tratta. La parte in cui si sarebbe seduto Rudy è più piccola di quelle toilet mobili che si vedono nei parchi. Non possono muoversi, non c’è assolutamente spazio.

 

Dissi a me stessa che non mi sarei dovuta mettere a piangere, tanto meno di fronte a lui. Aspettai che lo facessero entrare. Non appena guardai in alto lo vidi, era lì, e le lacrime cominciarono a scorrere. Tanti saluti al mio non piangere. Rudy appoggiò la sua mano sul vetro e prese la cornetta del telefono. Per i primi momenti della nostra visita siamo rimasti seduti in silenzio, mentre io cercavo con tutte le mie forze di afferrare le emozioni che provavo. Ero in contatto con Rudy da un anno. Scrivergli, come scrivere ad ognuno di loro, è completamente diverso dall’essere là e vederli, vedere la prigione e i muri che ci dividono.


Rudy ed io abbiamo parlato di molte cose e abbiamo anche riso. Per una frazione di secondo avevo dimenticato il vetro tra noi, le porte elettroniche che avevano rinchiuso entrambi e la divisa bianca che lui indossava. C’eravamo soltanto io e il mio amico. Poi dietro Rudy vedo camminare un uomo alto, anche lui vestito di bianco, con un sorriso così largo che gli riempiva tutto il viso. Scopro subito che si tratta di Kevin Watts, la cui uccisione è programmata per dopodomani. All’improvviso il vetro diventava più tangibile e riuscivo a sentire il rumore delle porte non lontano da me. Eravamo ripiombati nel braccio della morte.

 

Rudy mi disse che lì è così tutti i giorni. Ti senti bene, sei tranquillo, ti stai facendo una bella chiacchierata con qualcuno, e poi senti che a uno viene firmata la data di esecuzione, e la realtà ti prende a schiaffi. Questa è una realtà che non riesco assolutamente ad accettare.

 

Quando la guardia venne a dirmi che avevo ancora cinque minuti, mi sono voltata a guardare Rudy. Sapevo che sentiva il dolore e il disgusto che avevo nel cuore. Mentre lo guardavo sentivo le lacrime scendere di nuovo, e gli ho detto: “Non voglio lasciarti qui”. Lui mi ha risposto semplicemente: “Andrà tutto bene”. Mi sono alzata, gli ho detto che gli volevo bene, e ho riappeso il telefono.


Sono andata al bagno, e ho vomitato. Mi sono guardata allo specchio e ho ricordato a me stessa quanto sia preziosa la vita.

 

Durante la visita Rudy mi ha domandato se ero consapevole in che cosa stavo per entrare quando ho iniziato tutto questo. Gli ho risposto onestamente di no. Non avevo idea che emozionalmente sarei stata sulle montagne russe gran parte del tempo. Non avevo idea che avrei imparato ad amare Rudy come mio fratello. Non avevo idea che la rabbia che sento dentro quando penso alla pena di morte e a tutti i condannati mi avrebbe consumato. Non avevo idea.

 

Mentre uscivo dalla sala delle visite la guardia mi chiese se stavo bene. Dissi di sì. Poi mi chiese se era la mia prima visita. Immagino che le lacrime mi avessero tradito. Le dissi che lo era. Mi domandò anche se sarei tornata. Vedendo Rudy in piedi, nella gabbia, mentre mi salutava con la mano, mi girai verso di lei e le risposi: “Sì, tornerò”.

 

Tornando in macchina da Livingston a Huntsville ho attraversato il Trinity River. Ho guardato fuori e pensato a quanto era bello. E quanto ingannevole. Nel mezzo di tutta questa bellezza ci sono uomini che passano i loro ultimi istanti con le persone che amano. Uomini che pronunciano le loro ultime parole. Uomini che vengono uccisi.

 

Quella stessa sera ho protestato fuori la Walls Unit. Alvin Kelly, che avevo appena visto qualche ora prima, è stato ucciso dallo stato del Texas. Guardando i suoi familiari cadere per terra in profonda angoscia dopo che l’esecuzione era stata confermata, io stessa ho avvertito il senso di perdita. Perdita di umanità e compassione tra gli esseri umani miei compagni. Perdita dei principi di ciò su cui è stata fondata questa nazione.

 

Terminai quella notte visitando il cimitero della prigione, guardando le tombe di uomini morti nelle prigioni del Texas, o uccisi dallo stato. Ce n’erano tante, così tante. Ero completamente intontita. Ed ero assolutamente consapevole che ci saranno molte altre persone in quel cimitero.

 

A un certo punto, tutti noi dobbiamo fermarci e chiederci: “Possiamo davvero starcene fermi e permettere che tutto questo continui ad accadere?” Questi uomini e donne non hanno bisogno che noi ci sentiamo dispiaciuti per loro. Hanno bisogno che noi scendiamo nelle strade. Hanno bisogno che noi associamo una foto e una storia al loro nome e numero di matricola. Hanno bisogno che noi riportiamo quell’amore e quella compassione per gli altri che così tanti in questo mondo hanno smarrito. Hanno bisogno che noi lottiamo.

bottom of page