CARO RAYMOND, CARISSIMO AMICO MIO di Grazia Guaschino
Luglio 2004
Ti scrivo in italiano, per la prima volta, perché certo ormai tu riesci a leggere direttamente dal cuore i pensieri e i sentimenti, mentre io desidero che anche altri possano ricevere e capire questo messaggio. E' davvero duro dirti addio ed è difficile rendere in poche righe l'idea di ciò che hai rappresentato per la mia famiglia e per me.
La nostra amicizia è nata quattro anni fa, quando ti scelsi, quasi casualmente, come amico di penna a cui scrivere nel braccio della morte della Florida. Fin dalla tua prima risposta, mi dimostrasti gratitudine e simpatia. Non passò molto tempo e tu mi desti la tua prima vera prova di amicizia, quando, per la morte di mio padre, mi mandasti un biglietto ricco di comprensione e sostegno. Certo uno fra i più sentiti messaggi scritti di condoglianza che io abbia ricevuto in quell'occasione. Nel giro di pochi mesi abbiamo esteso la nostra amicizia al resto della mia famiglia, e tu hai dimostrato sempre per tutti noi una sensibilità particolare e diversa per ognuno, cercando di offrire i segni del tuo affetto adattandoli ai nostri vari caratteri. Molto spesso eri tu a mandarci dei doni, sempre scelti con attenzione e con il chiaro desiderio di appagare i nostri rispettivi gusti: a mio figlio mandavi francobolli da collezionare, poi gli insegnasti dei trucchi per i suoi giochi di prestigio e gli inviasti una volta un libro di prove di intelligenza matematiche. Per mia figlia Elena (che hai amato tanto, dicendomi un giorno che era per te la figlia che avresti voluto avere), mettevi da parte i francobolli raffiguranti animali o personaggi dei fumetti e le inviasti un libro sulle popolazioni indigene delle foreste pluviali. A mio marito Guido raccontavi i dettagli delle tue incredibili capacità di riparare e adattare le varie componenti delle radio o delle cuffie che dovevate usare in carcere per ascoltare la musica. Utilizzavi a questo scopo materiale disparato, inventando e progettando i pezzi da sostituire e gli utensili da utilizzare con una creatività e ingegnosità rare. Anche a Guido inviasti dei doni: un bellissimo disegno di una motocicletta e vari poster presi dai giornali che ricevevi.
Ai miei figli poi hai sempre dato consigli saggi, esortandoli a studiare e a impegnarsi nella vita, stando lontano dai guai, ma non lo facevi mai come un noioso e pedante adulto che "fa la predica" ai giovani, bensì come un affettuoso e simpatico "zio". Proprio per questo Marco ed Elena hanno iniziato a chiamarti "Uncle Wolf" e tu eri così fiero di essere il loro "Zio Lupo"! Posso assicurarti che i tuoi consigli e raccomandazioni avevano presa sui ragazzi e di certo tu hai aiutato Guido e me a crescerli educandoli a quei valori di rettitudine e impegno che per noi sono fondamentali nella vita.
Per tutti noi, un anno a Natale, hai preparato delle piccole croci e una catenina di cordoncino da portare al collo. Mi spiegasti che le avevi preparate usando i fili delle calze nuove che ti venivano date in dotazione (disfacevi le calze, ne ricavavi le fibre tessili, sottili come capelli, poi le intrecciavi tra loro con pazienza infinita, fino a farne dei fili più spessi e a loro volta intrecciavi questi per fare un cordoncino e la croce). Conserveremo quel dono come uno tra i ricordi più belli di te.
Prima di finire in carcere, hai commesso molti errori e di certo non eri un santo, anche se hai sempre sostenuto (e credo sia vero) di essere innocente del crimine per il quale eri stato condannato. Nel braccio della morte, dove hai trascorso sedici anni, sei cambiato totalmente, diventando una persona veramente buona e sensibile. Hai cercato di aiutare persino persone che ritenevi più infelici di te, come i bambini di un orfanotrofio in India, per i quali hai tentato di procurare aiuti scrivendo, tu dal braccio della morte, a personalità dello spettacolo e ai Vescovi della Florida, chiedendo aiuti e finanziamenti. Mi scrivevi che tu almeno avevi un pasto, anche se spesso scarso e sgradevole, tre volte al giorno, e un tetto sotto cui ripararti, mentre c'erano persone e tanti bambini ovunque che non potevano avere neppure queste cose.
Le tue lettere erano quasi sempre allegre e piene di interessi per le cose del mondo: leggendole, ben di rado si sarebbe potuto capire che provenivano da quell'inferno!
Mi hai insegnato in questi anni la pazienza, la sopportazione senza lamentarsi, e la capacità di essere ottimisti ad ogni costo. Di certo è maggiore il bene che tu hai fatto a noi di quanto noi possiamo averne fatto a te, anche se a te quel nostro poco pareva già così grande.
In tutte le tue lettere c'erano esortazioni ad essere sereni e a godere delle cose semplici della vita. Persino nell'ultima, quella in cui mi dicevi che ti era stato diagnosticato un cancro nei polmoni, chiudesti con il tuo usuale "Smile always!" (Sorridi sempre!). Mi raccontavi che la radiografia ti era stata fatta dopo che, a causa dei fortissimi dolori e del fatto che da tempo tossivi sangue, avevi richiesto da molte settimane una visita medica, alla quale eri stato condotto incatenato in una posizione molto dolorosa, con le mani rinchiuse in una sorta di scatola che univa le manette ad una catena alla vita, il tutto dietro la schiena.
Quella fu la tua ultima lettera. Ti abbiamo scritto ancora molte lettere e cartoline, ma non hai più potuto risponderci. Uno dei tuoi ultimi conforti so che è stato il ricevere gli scritti di molti allievi di un liceo di Torino presso il quale ero andata tempo prima a parlare contro la pena di morte. In queste occasioni porto sempre con me la lettera che tu avei preparato un anno fa indirizzandola agli allievi delle classi in cui mi reco. Leggo la traduzione del tuo scritto, mentre i ragazzi fanno girare tra loro l'originale in inglese. Evidentemente le tue parole hanno toccato l'animo di alcuni studenti, che hanno deciso di scriverti delle lettere. Le avevo lette tutte, prima di spedirtele, e molte erano davvero commoventi e ricche di sentimento.
Dale, il nostro comune amico, cappellano nel braccio della morte in cui ti trovavi, te le ha lette mentre tu, già semiparalizzato, sorridevi commosso.
Sei morto il 16 luglio, dopo aver penato per quasi due mesi colpito dalla paralisi, dovuta ad un tumore che dal polmone si era esteso anche al cervello. Non oso pensare a quanto devi avere sofferto. Un grande conforto è stato sapere che Dale ha potuto per un certo periodo venire a trovarti spesso e pregare con te e per te. Un'altra consolazione è che almeno hai evitato l'orrenda esperienza dell'esecuzione, alla quale con molta probabilità saresti stato prima o poi sottoposto. E' terribile pensare che ci sarebbero state persone esultanti della tua morte, a guardarti con occhi avidi di vendetta, mentre morivi.
Raymond, grazie con tutto il cuore del bene che ci hai fatto. Noi non ti dimenticheremo mai.
Con profondo affetto. Grazia, insieme a Guido, Marco ed Elena