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“AVERTI CONOSCIUTO MI HA APERTO LA MENTE”  di Elena Gaita

Una grande amicizia ha legato per cinque anni Elena, una giovanissima italiana, a Peter, condannato a morte in Texas. Dopo l’esecuzione di Peter, Elena ha scritto per noi – ma anche per se stessa -  questa profonda riflessione su un’esperienza dolorosa che ha lasciato in lei una ricchezza ‘non quantificabile’

 

Agosto 2010

 

L’ultima frase che ho detto a Peter prima della sua esecuzione è stata: “Ti ringrazio perché averti conosciuto mi ha aperto la mente”. Lui ha riattaccato il telefono prima che potessi salutarlo perché non amava gli addii strappalacrime, ha solo detto: “Ci rivedremo”. Poche ore dopo era morto. L’ennesima persona assassinata legalmente dallo Stato del Texas.

Cinque anni fa avevo vent’anni e non pensavo neanche lontanamente ai bracci della morte. Sfogliavo annoiata una rivista e casualmente ho letto di persone che corrispondevano con condannati a morte. E’ stato un attimo, come una folgorazione, ma immediatamente ho capito che io dovevo fare quella stessa cosa. Tuttora non so spiegarmi cosa mi abbia spinto. Ma non ho mai avuto un momento di esitazione. Dopo un pomeriggio di ricerche su Internet, trovai un indirizzo e-mail a cui scrissi dicendo che ero disponibile a corrispondere con un condannato a morte in qualsiasi parte del mondo. Qualche giorno dopo mi arrivò una risposta con un nome e un indirizzo, non una informazione di più.

PETER CANTU, lessi, e iniziai la lettera più difficile scritta in questi cinque anni. Che cosa avrei potuto dire a una persona che aspetta l’esecuzione? Avrei potuto raccontargli in modo così naif della mia vita, dei miei esami all’università, delle feste con i miei amici?

Scritta la lettera, la curiosità ebbe il sopravvento e cercai informazioni su di lui in Internet. Non so bene cosa mi aspettassi e ora mi viene da sorridere pensando alla mia ingenuità, ma ancora non ero entrata nell’ottica che un condannato a morte doveva pur essere accusato di qualcosa di terribile. Ovviamente il mio corrispondente non faceva eccezione. Lessi di stupro di gruppo, sodomia, strangolamenti e omicidio di due ragazzine, Jennifer Ertman di 14 anni e Elizabeth Peña di 16. Cosa mai avrei potuto avere in comune con un mostro del genere? Anche io pensai la parola mostro, con la quale Peter è sempre stato etichettato.

Nonostante questo la lettera già era stata scritta e doveva essere spedita. Pensai che gli avrei scritto semplicemente per compassione una volta ogni tanto.

Già la prima risposta che ricevetti, però, fu molto diversa da come me la aspettavo: una lettera scritta in un buon inglese, con senso logico, asciutta, senza autocommiserazioni e vittimismi, senza richieste se non quella di rispondergli presto. Era soprattutto una lettera che trasmetteva un senso di serenità.

Molto rapidamente è nata un’amicizia fortissima tra me e Peter. Quando vivevo alcune situazioni me le appuntavo su dei foglietti per ricordarmi di raccontarle a lui, mi capitava sempre più spesso di pensare a lui nei momenti più diversi della mia vita e ci scrivevamo in maniera sempre più assidua. La sua tranquillità spesso mi faceva quasi dimenticare da dove provenissero quelle lettere. Allo stesso tempo, però, rimaneva sempre in sospeso l’argomento del crimine, del perché lui era finito nel braccio della morte. Sempre meno riuscivo ad associare la persona che mi scriveva lettere intelligenti, gentili, profonde, sensibili e piene di humour al mostro descritto dai media.

Finalmente un giorno ebbi il coraggio di dirgli che dovevo sapere. Avevo paura che mi avrebbe risposto male o che non mi avrebbe risposto affatto e invece nella lettera successiva mi scrisse nel modo più diretto possibile tutto ciò di cui era accusato, esattamente quello che avevo già letto.

In realtà speravo che mi dicesse che quello che avevo letto era falso, che era stato accusato ingiustamente, che non c’entrava niente, che era lì per caso. Questo avrebbe messo a tacere la mia coscienza che ogni tanto ancora mi faceva pensare a Jennifer ed Elizabeth e mi faceva domandare se effettivamente stessi facendo la cosa giusta.

Mi ci è voluto del tempo per capire che il più grande regalo che Peter mi abbia fatto è stato quello di non ingannarmi mai, di non farmi credere mai qualcosa di falso e di non spacciarsi per qualcuno che non era. Mi confessò che dopo avermi scritto quella lettera attese con maggiore impazienza la mia risposta. Temeva che dopo avermi confessato il motivo per cui si trovava nel braccio della morte avrei smesso di scrivergli.

Ho sempre sostenuto che lui è l’esempio del cambiamento, che una persona come lui dovrebbe essere il simbolo del perché la pena di morte è sbagliata anche in casi di massima colpevolezza.  Da quasi analfabeta ha imparato da solo a leggere e scrivere, ha intrapreso un lungo percorso interiore ed è diventato un uomo. Il ragazzino immaturo di 18 anni che è entrato nel braccio della morte nel 1994 non esiste più.

Nel corso di questi anni sono stata anche due volte a trovarlo in carcere e perfino in queste occasioni sono riuscita ad astrarmi dal luogo in cui mi trovavo grazie alla sua compagnia.

Alcuni mesi fa è stata fissata la sua data di esecuzione per il 17 agosto scorso. Per qualche assurdo motivo pensavo che questo momento non sarebbe mai arrivato, che in qualche modo ce la saremmo cavata ed invece anche lui ha dovuto affrontare l’intero cammino della morte annunciata. Sono andata nuovamente a trovarlo perché non potevo lasciarlo andare senza rivederlo un’ultima volta. Anche durante le nostre visite, a una settimana dalla sua esecuzione, Peter è riuscito a rimanere tranquillo e a dare la priorità agli altri, cercando di non far preoccupare nessuno.

Ha deciso di andare all’esecuzione da solo, senza testimoni scelti da lui. Non voleva che l’ultima immagine che i suoi genitori e amici avessero di lui fosse quella nella camera della morte. Mi ha detto che come le sue vittime erano morte da sole senza conforto, così anche lui avrebbe dovuto affrontare da solo questa situazione.

Il 17 agosto è arrivato troppo in fretta, ero completamente impreparata, ma credo che non esista il modo per prepararsi mentalmente a qualcosa di così innaturale. Sono arrivata alla fatidica ultima telefonata con la sensazione di dovergli dire mille cose e allo stesso tempo senza sapere cosa dire. Per un attimo ho pensato di non chiamarlo affatto. Poi anche la telefonata è volata e solo quando abbiamo chiuso il telefono ho capito che non lo avrei mai più sentito.

La mattina dell’esecuzione mi è arrivata la sua ultima lettera. Ancora non sono riuscita ad aprirla, nonostante siano passate due settimane da quando lui non c’è più. So che è l’ultimo pezzo di comunicazione con lui e che dopo questo non ci sarà veramente più nulla e quindi continuo a conservarla chiusa.

Ogni tanto mi capita di guardarmi intorno e di pensare che forse lui è qui vicino a me. Questo pensiero mi dà sollievo.

Peter non ha rilasciato ultime dichiarazioni. Il giorno dopo la stampa texana ha nuovamente scritto che lui non si è mai pentito di quello che ha fatto e che fino alla fine non si è voluto scusare con i familiari delle vittime. In realtà due mesi fa Peter aveva scritto una lettera ai genitori di Jennifer ed Elizabeth, i quali però l’hanno rifiutata. Prima di avvicinarmi a questo mondo, mai avevo visto persone provare così tanto odio.

Nonostante la tragica fine di questa vicenda, non mi sento sconfitta. Al contrario penso che quello che ho potuto guadagnare in questi anni non sia quantificabile. Nonostante si possa pensare che io sia stata di conforto a lui, sono convinta di aver ricevuto molto più di quanto ho dato. Il Texas lo ha ucciso, ma non potrà uccidere la memoria che conservo di lui e gli anni passati con lui nella mia vita. Se sei anni fa qualcuno mi avesse detto che avrei fatto tutto questo, non ci avrei mai creduto.   

Ho imparato che nulla è scontato, che il bene può essere trovato in chiunque. Lui mi ha fatto uscire fuori dal mio mondo ovattato, facendomi scoprire un’altra realtà. Grazie all’esistenza di una persona come lui sono ancora più convinta del fatto che sia giusto lottare contro la pena di morte.   

Questo e molto altro intendevo quando gli ho detto che averlo conosciuto mi ha aperto la mente, ma non sono riuscita a spiegarglielo nei nostri ultimi momenti di conversazione. Penso che lui però lo sappia.

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