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FOGLIO  DI COLLEGAMENTO  INTERNO

 

DEL COMITATO PAUL ROUGEAU

 

Numero 266  -  Dicembre 2019

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Il Leader Supremo iraniano Ali Khamenei

SOMMARIO:

 

1) Comunicato stampa di Amnesty International sulla repressione in Iran

2) Il Tennessee uccide sulla sedia elettrica Lee Hall, ormai cieco

3) L’ultima esecuzione del 2019 negli USA

4) 22 Esecuzioni capitali negli Stati Uniti nel 2019

5) Passati 4 anni senza giustizia dal massacro di Regeni in Egitto

6) Gli ultimi 10 criminali impiccati a Nottingham

7) Notiziario: Arabia Saudita, Botswana, Giappone, Iran, Nigeria, USA

Comunicato stampa di Amnesty International sulla repressione in Iran:

 

1) IRAN, AMNESTY INTERNATIONAL DENUNCIA GIRO DI VITE DOPO LE PROTESTE: MIGLIAIA DI PERSONE A RISCHIO TORTURA

 

* Anche ragazzi di 15 anni tra le migliaia di persone arrestate

* Persone arrestate soggette a sparizioni forzate e torture

* Almeno 304 i manifestanti uccisi, secondo fonti attendibili

 

A seguito dello scoppio di proteste in tutto il paese il 15 novembre scorso, le autorità iraniane hanno avviato un terribile giro di vite con l’arresto di migliaia tra manifestanti, giornalisti, sostenitori dei diritti umani e studenti, per impedire loro di denunciare apertamente la spietata repressione in corso nel paese, ha dichiarato oggi Amnesty International.

L’organizzazione ha condotto interviste con decine di persone che si trovano nel paese, le quali hanno descritto come, nei giorni e nelle settimane delle proteste e in quelli successivi, le autorità iraniane hanno tenuto gli arrestati in incommunicado e li hanno sottoposti a sparizioni forzate, torture o altri maltrattamenti.

Almeno 304 persone sono state uccise e migliaia ferite tra il 15 e il 18 novembre, quando le autorità hanno cercato di mettere a tacere le proteste con l’uso della forza letale, secondo dati affidabili raccolti dall’organizzazione. Le autorità iraniane hanno rifiutato di fornire una cifra in merito al numero di persone uccise.

“Le testimonianze strazianti dei testimoni oculari lasciano intendere che, subito dopo aver massacrato centinaia di manifestanti che hanno preso parte alle proteste nel paese, le autorità iraniane hanno provveduto ad avviare un ampio giro di vite per seminare paura ed evitare a chiunque di poter denunciare quello che era successo”, ha dichiarato Philip Luther, direttore delle ricerche sul Medio Oriente e sull’Africa del Nord di Amnesty International.

Video verificati dai Corpi di verifica digitale di Amnesty International e supportati da testimonianze oculari, mostrano le forze di sicurezza iraniane aprire il fuoco su dimostranti non armati che non rappresentavano alcun rischio imminente. La maggior parte delle morti registrate dall’organizzazione sono dovute a colpi di arma da fuoco alla testa, al cuore, al collo e ad altri organi vitali che indicano che le forze di sicurezza hanno sparato per uccidere.

L’ONU ha dichiarato di avere informazioni secondo cui almeno 12 bambini risultano tra le persone uccise. Secondo le indagini di Amnesty International, risultano tra queste anche Mohammad Dastankhah, di 15 anni, che ha ricevuto un colpo al cuore a Shiraz, nella provincia di Fars, mentre attraversava la zona delle proteste per far rientro a casa da scuola e Alireza Nouri, 17 anni, ucciso a Shahriar, nella provincia di Teheran.

“Invece di continuare con questa brutale campagna di repressione, le autorità iraniane devono immediatamente e incondizionatamente liberare tutti coloro che sono stati arbitrariamente arrestati” ha aggiunto Philip Luther.

“La comunità internazionale deve agire urgentemente, anche attraverso la convocazione, da parte del Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite, di una seduta speciale sull’Iran per autorizzare un’indagine sugli omicidi indiscriminati dei manifestanti, la terribile ondata di arresti, sparizioni forzate e tortura dei detenuti, nell’ottica di definire i responsabili”.

 

Ondata di arresti di massa

Il 17 novembre, terzo giorno di proteste, gli organi di informazione statali hanno riportato l’arresto di oltre 1000 dimostranti. Il 26 novembre, Hossein Naghavi Hosseini, portavoce della commissione parlamentare iraniana per la sicurezza nazionale e la politica estera, ha detto che le persone arrestate erano 7000. Le autorità non hanno ancora fornito cifre ufficiali.

Molte fonti indipendenti fra loro hanno detto ad Amnesty International che le forze di sicurezza stanno ancora effettuando irruzioni in tutto il paese per arrestare persone nelle proprie abitazioni e nei loro luoghi di lavoro.

Ragazzi di 15 anni sono stati trattenuti insieme agli adulti, anche nella prigione di Fashafouyeh, nella provincia di Teheran, tristemente nota per torture e maltrattamenti. Le persone fermate sono anche tenute in posti come caserme militari e scuole.

Anche giornalisti, studenti e sostenitori dei diritti umani, insieme agli attivisti impegnati nei diritti delle minoranze e dei lavoratori, e persone appartenenti a minoranze etniche sono nel mirino di arresti e detenzioni arbitrarie.

Il giornalista Mohammad Massa’ed è stato arrestato il 23 novembre dopo aver postato un tweet sul quasi totale oscuramento di internet imposto dalle autorità approssimativamente tra il 16 e il 24 novembre. È stato rilasciato su cauzione molti giorni dopo.

L’attivista Soha Mortezaei era tra le decine di studenti arrestati durante le proteste all’Università di Teheran il 18 novembre. Da allora, è detenuta senza poter comunicare con il proprio legale o la propria famiglia. Gli addetti alla sicurezza che si trovavano all’università avevano precedentemente minacciato di torturarla con l’elettroshock e di rinchiuderla in un ospedale psichiatrico.

Tra gli attivisti impegnati nel campo dei diritti delle minoranze detenuti vi sono Akbar Mohajeri, Ayoub Shiri, Davoud Shiri, Babak Hosseini Moghadam, Mohammad Mahmoudi, Shahin Barzegar e Yashar Piri, tutti arrestati sul loro luogo di lavoro a Tabriz, nella provincia dell’Azerbaigian orientale.

Alcune prigioni e centri penitenziari sarebbero in condizioni di grande sovraffollamento. Il 25 novembre, il capo del consiglio comunale di Rey nella provincia di Teheran ha espresso la propria preoccupazione alla stampa per le condizioni della prigione di Fashafouyeh che è estremamente sovrappopolata e non possiede né la capacità né le strutture adatte per accogliere un numero così alto di detenuti.

Almeno due persone che hanno preso parte alle proteste hanno dichiarato ad Amnesty International che si stanno nascondendo nel timore di perdere la vita e hanno anche detto che molti altri si trovano nella stessa situazione.

Una persona ha dichiarato: “Mi sto nascondendo da quando sono stato visto e filmato dalle forze di sicurezza durante le proteste. Mi hanno colpito con un manganello prima che scappassi. Adesso sono in fuga con una grave ferita alla gamba. Non sono al sicuro perché sono andati a casa mia per arrestarmi. È come essere in prigione”.

Mentre alcune delle persone arrestate sono state rilasciate, molte restano detenute in incommunicado, senza poter comunicare con i propri familiari o legali. Alcune famiglie hanno espresso ad Amnesty International la loro profonda preoccupazione per i propri cari che necessitano di cure mediche, considerati gli spaventosi precedenti delle autorità nel negare trattamenti sanitari alle persone in prigione.

 

Torture e altri maltrattamenti

I racconti dei testimoni oculari e le prove video mostrano che alcuni detenuti sono stati sottoposti a torture e altri maltrattamenti, come pestaggi e fustigazioni. Una persona ha detto che un familiare rilasciato su cauzione è uscito con lividi e tagli al volto e alla testa ed è rimasto così traumatizzato dall’esperienza vissuta che rifiuta di uscire di casa.

Un video verificato e geolocalizzato dai Corpi di Verifica Digitale mostra detenuti portati in manette negli spazi esterni della stazione di polizia di Mali Abad a Shiraz, nella provincia di Fars, e poi picchiati, presi a pugni e a calci dalle forze di sicurezza.

Fonti attendibili hanno informato Amnesty International che nella prigione di Raja’i Shahr a Karaj, nella provincia di Alborz, centinaia di detenuti, anche bambini, sono stati portati in prigione con dei camion. Ogni giorno i detenuti ammanettati e bendati sono stati presi a calci e pugni, fustigati e colpiti con i manganelli dalle forze di sicurezza.

Inoltre, vittime e testimoni oculari hanno detto ad Amnesty International che le forze di sicurezza iraniane hanno fatto irruzione negli ospedali e nei centri sanitari in tutto il paese, per arrestare i manifestanti feriti e trasferirli nei centri penitenziari, dunque privandoli di accesso a cure mediche potenzialmente salvavita.

Una fonte ha dichiarato che funzionari dell’intelligence hanno costretto i direttori dell’ospedale nella provincia di Khuzestan a fornire loro la lista dei nomi dei pazienti appena ricoverati.

Un altro uomo ha riferito di essere stato arrestato da agenti in borghese mentre stava per essere dimesso dall’ospedale nella provincia di Alborz dove era stato curato per una ferita da arma da fuoco allo stomaco. Ha detto di aver visto “molte altre persone con ferite da arma da fuoco e altre lesioni” al centro di detenzione.

“Le autorità hanno il dovere di proteggere tutti i detenuti da torture e altri maltrattamenti. Considerato il ricorso sistematico alla tortura in Iran, è fondamentale che le autorità diano immediato accesso ai centri di detenzione e alle prigioni ai funzionari delle Nazioni Unite, titolari del mandato, e ad altri esperti del settore perché possano condurre indagini per l’accertamento dei fatti”, ha dichiarato Philip Luther.

“Senza una pressione internazionale immediata, in migliaia saranno ancora a rischio di torture e altri maltrattamenti, ha aggiunto”.

 

Sparizioni forzate e detenzione in incommunicado

In decine di casi segnalati ad Amnesty International, i detenuti hanno avuto pochi o nessun contatto con le loro famiglie dal momento del loro arresto e alcuni sono stati detenuti in condizioni equivalenti a una sparizione forzata, crimine riconosciuto dal diritto internazionale.

I parenti hanno detto all’organizzazione che si sono recati nei commissariati, nelle procure, nei tribunali rivoluzionari, nelle prigioni e in altri centri di detenzione alla ricerca dei loro cari spariti forzatamente ma le autorità si rifiutano di dar loro informazioni.

Le madri di un gruppo di attivisti per i diritti delle minoranze arrestati durante alcuni attacchi nella provincia dell’Azerbaigian orientale e occidentale hanno detto che le autorità hanno affermato di non avere “alcuna intenzione” di dar loro informazioni: “Possiamo fare tutto quello che vogliamo con i vostri figli. Possiamo tenerli in stato di fermo per quanto tempo desideriamo, anche per 10 anni… Li metteremo a morte e non potrete fare nulla”.

Tra le vittime di sparizione forzata figura l’attivista curdo per i diritti dei lavoratori Bakhtiar Rahimi, arrestato sul luogo di lavoro a Marivan, nella provincia del Kurdistan il 27 novembre. Non si hanno notizie sul suo destino o su dove si trovi da allora. La preoccupazione è molta, soprattutto perché soffre di problemi di cuore e ai reni e ha bisogno di cure giornaliere e specialistiche.

“Il mondo non deve stare ad aspettare in silenzio mentre le autorità iraniane continuano a violare ampiamente diritti umani nel loro tentativo spietato di mettere a tacere il dissenso”, ha concluso Philip Luther.

Comunicato stampa rilasciato a Roma il 16 dicembre 2019

2) IL TENNESSEE UCCIDE SULLA SEDIA ELETTRICA LEE HALL, ORMAI CIECO

 

Gli avvocati difensori hanno contestato inutilmente la presenza di una donna che subì violenza tra i giurati che lo condannarono a morte tanti anni fa: Lee Hall è stato messo a morte in 5 dicembre u. s.

 

Il 5 dicembre, dopo gli inutili tentativi della difesa di salvargli la vita, il 53-enne Lee Hall è stato messo a morte in Tennessee.

Per ucciderlo è stata utilizzata la sedia elettrica e si è trattato della prima elettrocuzione di un condannato cieco da quando la pena di morte fu reintrodotta negli USA nel 1976.

La cecità era sopravvenuta mentre Lee Hall si trovava già in carcere da anni, per un glaucoma che, a detta dei suoi avvocati, fu mal curato. Ma non è sulla cecità che la difesa si è basata per ottenere una sospensione della pena e la revisione del suo caso.

Lee Hall fu condannato a morte per aver ucciso , il 17 aprile 1991, a Chattanooga, la sua ex fidanzata, Traci Crozier. Traci aveva lasciato Lee poche settimane prima, e il 17 aprile egli, a sua detta sotto l’effetto di alcol e droga, gettò nell’auto della donna, mentre questa era seduta al volante, un contenitore pieno di benzina, appiccando il fuoco. Nonostante le terribili ustioni riportate, la Crozier rimase cosciente e sopravvisse fino al giorno successivo.

Al processo capitale, una tra i giurati (della quale non è stata pubblicizzata l’identità e che è stata chiamata Giurato A) non dichiarò, in fase di selezione della giuria, di aver subito violenza e abusi dal suo primo marito (una simile affermazione l’avrebbe fatta escludere dalla giuria). In una recente dichiarazione rilasciata agli avvocati difensori di Hall, la donna ha ammesso che, durante il processo, il crimine commesso da Lee Hall la portò a rivivere le violenze subite e a odiare fortemente l’imputato. Il suo voto, quando si trattò di condannarlo a morte, fu pertanto condizionato dal proprio vissuto.

Gli avvocati difensori basandosi su ciò hanno inoltrato alla Corte Suprema del Tennessee una richiesta di revisione del caso. Tale Corte ha però respinto la richiesta affermando che non c’erano i presupposti per annullare la condanna e fare un nuovo processo.

Il governatore del Tennessee, Bill Lee, che ha rifiutato di concedere clemenza, ha dichiarato: “Il sistema giudiziario ha rivisto abbondantemente il caso di Lee Hall per quasi 30 anni, fino alla decisione di ieri della Corte Suprema del Tennessee. Il giudizio e la condanna sono basati su tali decisioni e io non intendo intervenire in questo caso.”

Il team di avvocati di Hall ha definito la decisione della Corte Suprema “un voler correre freneticamente verso la sedia elettrica.”, ricordando che erano emersi problemi analoghi per altri imputati in passato, in conseguenza dei quali la Corte d’Appello aveva deciso la revisione del caso. Gli avvocati hanno anche dichiarato: “Il diritto a un processo condotto da una giuria giusta e imparziale è fondamentale ed è garantito sia dalla costituzione federale che da quella statale.”

Questa volta a nulla è valso l’impegno dei legali: la sera del 5 dicembre Lee Hall è stato legato alla sedia elettrica ed è stato dichiarato morto alle 19 e 19’. Le sue ultime parole sono state: “Le persone possono imparare a perdonare e ad amare per rendere questo mondo un posto migliore”.

In una conferenza stampa tenutasi poco dopo l’esecuzione, il testimone per i media A.J. Abell della televisione WZTV ha detto di aver visto del fumo uscire dal lato destro del viso di Hall mentre moriva. “Era un fumo sottile, come quando uno spegne un fiammifero e si sprigiona una traccia di fumo dall’estremità”.

Uno degli avvocati di Hall, durante la stessa conferenza stampa, ha letto una lettera del condannato rivolta ai familiari della Croizer: “Chiedo il vostro perdono e prego e spero che troviate nel cuore la forza di concedermelo”. Lee ha anche chiesto perdono ai suoi familiari: “Mi dispiace di aver causato tanto dolore a mio fratello David, a mia madre e agli altri miei familiari. Spero che adesso trovino pace e non voglio che si preoccupino più per me”.Hall è stato il terzo condannato messo a morte in Tennessee nel 2019.                                                                                                                        (Grazia)

3) L’ULTIMA ESECUZIONE DEL 2019 NEGLI USA

 

Travis Runnels è stato messo a morte nel carcere texano di Huntsville alle 19:04’ dell’11 dicembre.

 

Travis Runnels fu condannato a morte in Texas nel 2005 per aver ucciso nel 2003 Stanley Wiley, un supervisore della fabbrica di stivali situata nel carcere in cui Runnels lavorava mentre scontava una condanna di 70 anni per rapina aggravata.

L’omicidio commesso da Travis Runnels fu orribile: nel 2003, arrabbiato per non essere stato trasferito a lavorare presso il barbiere del carcere, egli aggredì Stanley Wiley con un coltello e gli tagliò la gola, uccidendolo.

Dopo l’uccisione di Wiley, Runnels, mentre era tenuto in custodia di massima sicurezza in attesa del processo, gettò in diverse occasioni urina, feci e anche una lampadina contro le guardie.

Avvicinandosi l’11 dicembre, giorno stabilito per l’esecuzione di Travis Runnels, la sua difesa si è sforzata di salvarlo argomentando che al processo testimoniò per l’accusa in qualità di esperto tale AP Merillat, un poliziotto che aveva già testimoniato in almeno 15 processi capitali, due dei quali a carico di imputati le cui sentenze capitali furono poi annullate. Merillat affermò al processo a carico di Runnels che costui sarebbe stato un pericolo per la società se condannato all’ergastolo invece che alla pena di morte.

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AP Merillat, esperto scelto dall’accusa in Texas

Gli sforzi dei difensori sono stati inutili e il 46-enne Travis Runnels è stato ucciso nella camera della morte di Huntsville l’11 dicembre come programmato. Il condannato ha ricevuto l’iniezione di una dose letale di pentobarbital alle 19:04’, mentre giaceva su una barella, ed è stato dichiarato morto 22 minuti dopo. Hanno assistito all’esecuzione attraverso un vetro tre amici del condannato e, in una stanzetta separata, la sorella e il cognato della vittima di Runnels. Un portavoce della prigione ha riferito che Travis Runnels non ha rilasciato alcuna dichiarazione finale.

Quella di Travis Runnels è stata l’ultima esecuzione portata a termine negli Stati Uniti d’America nel 2019 (Pupa)

4) 22 ESECUZIONI CAPITALI NEGLI STATI UNITI NEL 2019

 

Non essendoci più esecuzioni programmate entro l’anno, il Death Penalty Information Centre (DPIC) a metà dicembre ha potuto fare un bilancio delle esecuzioni capitali portate a termine nel 2019: si tratta di 22 esecuzioni per lo più verificatesi in Texas. Eccole elencate nella seguente tabella che riporta: la data dell’esecuzione, il nome del condannato ucciso, lo stato in cui è avvenuta l’esecuzione, il metodo di esecuzione, il numero delle esecuzioni portate a termine dopo il ripristino della pena capitale negli USA nel 1976.

 

1            30/01/19 Robert Jennings Texas Iniezione letale              1491

2           07/02/19 Dominnique Ray Alabama Iniezione letale          1492

3             28/02/19 Billie Wayne Coble Texas Iniezione letale          1493

4                  24/04/19 John King Texas Iniezione letale                    1494

5              02/05/19 Scotty Morrow Georgia Iniezione letale             1495

6              16/05/19 Michael Samra Alabama Iniezione letale          1496

7          16/05/19 Donnie Johnson Tennessee Iniezione letale          1497

8         23/05/19 Bobby Joe Long Florida Iniezione letale                  1498

9          30/05/19 Christopher Price Alabama Iniezione letale           1499

10         20/06/19 Marion Wilson Jr. Georgia Iniezione letale            1500

11           15/08/19 Stephen West Tennessee Sedia Elettrica            1501

12          21/08/19 Larry Swearingen Texas Iniezione letale             1502

13       22/08/19 Gary Ray Bowles Florida Iniezione letale                1503

14       04/09/19 Billy Jack Crutsinger Texas Iniezione letale            1504

15          10/09/19 Mark Anthony Soliz Texas Iniezione letale           1505

16         25/09/19 Robert Sparks Texas Iniezione letale                     1506

17          01/10/19 Russell Bucklew Missouri Iniezione letale            1507

18         04/11/19 Charles Rhines South Dakota Iniezione letale       1508

19             06/11/19 Justen Hall Texas Iniezione letale                       1509

20         13/11/19 Ray Cromartie Georgia Iniezione letale                   1510

21         05/12/19 Lee Hall, Jr. Tennessee Sedia Elettrica                    1511

22          11/12/19 Travis Runnels Texas Iniezione letale                     1512

 

Nella seguente cartina degli Stati Uniti si vede che le esecuzioni si concentrano negli stati del sud. Fanno eccezione il South Dakota (in alto) con 1 esecuzione e il Missouri (al centro) con 1 esecuzione.

Il totale di 22 esecuzioni è molto vicino al minimo storico di 20, registratosi nel 2016, e lontanissimo dal massimo di 98 esecuzioni verificatosi nel 1999.

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5) PASSATI 4 ANNI SENZA GIUSTIZIA DAL MASSACRO DI REGENI IN EGITTO (1)

 

Il giovane ricercatore italiano Giulio Regeni scomparve al Cairo il 25 gennaio del 2016. Il suo corpo massacrato fu ritrovato nudo in un canalone il 3 febbraio successivo. Fino ad oggi nessuno è stato perseguito per il delitto compiuto, pressoché sicuramente, dagli apparati governativi egiziani. Per ricordare la terribile vicenda, non ancora conclusa, di Giulio, riportiamo qui di seguito un articolo di Laura Martellini pubblicato sul Corriere della Sera il 17 dicembre u. s.

 

Roma, «Giulio Regeni torturato in più fasi. E sulla sua morte continui depistaggi»

Il sostituto procuratore Colaiocco e il procuratore facente funzioni Prestipino alla commissione parlamentare d’inchiesta: «Gli egiziani hanno allontanato la verità»

                 Laura Martellini

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Giulio Regeni

Giulio Regeni è stato vittima di una tortura in più fasi, durata giorni, nel corso della quale gli sono state rotte diverse ossa: una verità dolorosa, quella rilanciata dal sostituto procuratore di Roma, Sergio Colaiocco, e dal procuratore facente funzioni, Michele Prestipino. Nel corso dell’audizione in commissione parlamentare di inchiesta sull’omicidio del ricercatore, Colaiocco ha spiegato: «L’autopsia eseguita in Italia ha dimostrato che le torture sono avvenute a più riprese, tra il 25 e il 31 gennaio 2016. L’esame della salma depone per una violenta azione su varie parti del corpo. I medici legali hanno riscontrato fratture e ferite compatibili con colpi sferrati con calci, pugni, bastoni e mazze. Giulio è morto, presumibilmente il primo febbraio, per la rottura dell’osso del collo».

 

Bugie e depistaggi

 

Rivelazioni inquietanti, anche sui numerosi depistaggi: «Molteplici sono stati i depistaggi. L’autopsia svolta al Cairo faceva ritenere che il decesso fosse legato a traumi compatibili con un incidente stradale. Un altro depistaggio - ha spiegato Colaiocco - è stato quello di collegare la morte di Giulio a un movente sessuale. Esistono poi altri due più rilevanti tentativi di sviare le indagini». Il primo si svolse alla vigilia della trasferta dei pm romani del 14 marzo del 2016: «Due giorni prima, un ingegnere raccontò alla tv egiziana di aver visto Regeni litigare con uno straniero dietro al consolato italiano. È tuttavia emerso - ha proseguito il pm - che il racconto era falso, come dimostra il traffico telefonico del professionista, a chilometri di distanza dal consolato. E Giulio a quell’ora stava guardando un film su Internet a casa». Ancora: «L’uomo ha ammesso di avere ricevuto le istruzioni da un ufficiale della Sicurezza nazionale che faceva parte del team investigativo congiunto italo-egiziano. Un disegno voluto per tutelare, come ha riferito poi l’ingegnere, l’immagine dell’Egitto, e incolpare gli stranieri per la morte di Regeni. Su questo episodio - ha affermato Colaiocco - non ci risulta che la procura del Cairo abbia mai incriminato nessuno. Il quarto tentativo è legato invece all’uccisione di cinque appartenenti a una banda criminale morti nel corso di uno scontro a fuoco. Per gli inquirenti egiziani erano legati all’omicidio».

 

Il ringraziamento di Paola e Claudio Regeni

 

Così, commossi, commentano gli aggiornamenti e la relazione i genitori di Giulio, Paola e Claudio: «Siamo grati ai nostri procuratori e alle squadre investigative per il lavoro instancabile svolto in questi quattro anni in sinergia con noi e con la nostra legale. Se oggi abbiamo i nomi di alcuni responsabili del sequestro, delle torture e dell’uccisione di Giulio […] lo dobbiamo a loro». «L’intangibilità dei corpi e della vita umana, la tutela dei diritti inviolabili e tra questi il diritto dei cittadini ad avere verità e ottenere giustizia, la dignità di persone e governi sono valori irrinunciabili che devono prevalere su qualsiasi opportunismo politico o personale. Pretendere, senza ulteriori dilazioni né distrazioni, verità per Giulio e per tutti noi è un dovere e un diritto inderogabile» concludono.

 

Prestipino: «Abbiamo sgomberato il campo da ipotesi fantasiose»

 

Per Prestipino «l’eccezionalità è che un cittadino italiano sia stato sequestrato, torturato e assassinato in un territorio estero. Alla difficoltà sul fronte delle indagini si aggiungono regole penali in Egitto molto diverse dalle nostre. Siamo riusciti a ricostruire il contesto dell’omicidio, i giorni precedenti al sequestro, l’attività degli apparati egiziani nei confronti di Giulio, culminata col sequestro. Abbiamo sgomberato il campo da ipotesi fantasiose, dall’attività spionistica alla rapina. E iscritto i presunti colpevoli nel registro degli indagati». Un passo dopo l’altro, alla ricerca della verità.”

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(1) Sul caso di Giulio Regeni vedi numeri: 226, 227, 234, 252 not.

6) GLI ULTIMI 10 CRIMINALI IMPICCATI A NOTTINGHAM

 

In un importante, ben documentato e preziosamente illustrato articolo messo a punto il 17 dicembre, il quotidiano inglese Nottingham Post narra delle ultime esecuzioni capitali portate a temine nel Regno Unito e in particolare delle ultime 10 impiccagioni eseguite nella contea di Nottingham. Riportiamo qui di seguito, in una nostra traduzione, tale articolo modicamente sintetizzato (1).

 

Sono passati 50 anni dall'abolizione ufficiale della pena capitale in Gran Bretagna - e più di 150 dall'ultima esecuzione pubblica.

L’ultima esecuzione in pubblico avvenne 1868, ma le esecuzioni all’interno delle carceri sono continuate per quasi un secolo: gli ultimi due uomini messi a morte in Gran Bretagna sono stati Peter Allen e Gwynne Evans impiccati nel 1964.

La pena capitale fu poi sospesa nel 1965, anche se non fu formalmente abolita fino al 1969 (ma per 2 reati - tradimento e pirateria con l’uso della violenza – rimase in vigore per quasi un altro trentennio, fino al 1998).

 

 

A Nottingham, le esecuzioni sono state portate a termine in diversi luoghi.

 

L'ultima esecuzione pubblica a Nottingham risale al 1864.

Tutte le persone di cui parliamo qui sotto - le ultime 10 persone giustiziate a Nottingham - furono messe a morte nel carcere di Bagthorpe a Sherwood.

N. B. Vicino ai nomi dei giustiziati è riportato l’anno in cui avvenne l’esecuzione.

 

George Hayward (1928)

 

L'ultima esecuzione a Nottingham è stata quella di George Frederick Hayward condannato per l'omicidio della 36-enne Amy Collinson nella contea del Derbyshire.

Amy era la moglie di Arthur Collinson, che gestiva un pub.

L'11 novembre 1927, Hayward uccise la 36-enne Amy tagliandole la gola nel pub. L'aveva aggredita da dietro mentre puliva la griglia nel focolare, ed era fuggito con circa 40 sterline.

Il 32-enne fu impiccato alle 8 del mattino del 10 aprile 1928 dal noto boia Thomas Pierrepoint (2) mentre una folla di circa 200 persone stazionava davanti ai cancelli della prigione.

 

William Knighton (1927)

 

William Knighton era un minatore di 22 anni che viveva a Bethel Street, ad Ilkeston, con i suoi genitori, la sorella e il nipote.

Nelle prime ore dell'8 febbraio 1927, uccise sua madre Ada nel letto. Più tardi quel giorno entrò in una stazione di polizia e disse: "Ho fatto fuori la vecchia. Le ho tagliato la gola con un rasoio".

La sua difesa sostenne che Knighton, un alcolizzato ed epilettico che soffriva di perdita di memoria, si era erroneamente assunto la colpa e si era costituito.

Ma la giuria lo giudicò colpevole, ed egli fu impiccato nell'aprile del 1927.

 

Arthur Simms (1924)

 

Un altro uomo che si è consegnato alle forze dell'ordine è stato Arthur Simms, minatore 25-enne.

Costui si costituì dicendo "E' la sorella di mia moglie. L'ho fatto questo pomeriggio".

Simms aveva infatti ucciso sua cognata Rosa Armstrong, di 9 anni.

Il 27 giugno 1924, Rosa era andata a casa da scuola per il pranzo, come al solito, alle 12:15’, ed era uscita di casa per tornare a scuola un'ora dopo. A scuola non arrivò mai.

Il suo corpo - con la mano che ancora stringeva i dolci che aveva comprato - fu lasciato in un campo.

La bambina non era stata aggredita sessualmente e Simms non poté dare alcuna spiegazione per il proprio comportamento. Fu impiccato il 17 dicembre 1924.

 

Albert Burrows (1923)

 

Nel 1920, Burrows uccise non solo sua moglie Hannah Calladine - che aveva sposato da bigamo - ma anche il loro figlio Albert Calladine e la figlia di 4 anni di Hannah.

Albert Burrows dopo aver ucciso Hannah e Albert gettò i loro corpi giù per un condotto di aerazione di una miniera abbandonata.

Il giorno dopo fece la stessa cosa con la piccola Elsie.

Trascorsero 3 anni prima che Burrows facesse la sua quarta e ultima vittima - e fosse finalmente catturato. Dopo essere tornato a vivere con la sua prima moglie, nel 1923 abusò sessualmente e uccise Thomas Wood, un bambino di 4 anni.

La polizia trovò il corpo del bimbo nello stesso pozzo dove Burrows aveva gettato i corpi delle altre sue vittime. Ma fu solo in seguito, dopo aver interrogato il pluriomicida su dove si trovasse il resto della sua famiglia, che i poliziotti tornarono al pozzo e trovarono gli scheletri di Hannah, Albert ed Elsie.

Burrows fu impiccato nell'agosto del 1923

 

Percy Atkin (1922)

 

Il ventinovenne Percy Atkin uccise sua moglie Maud Atkin. (Secondo quanto è scritto nel libro "Murderous Derbyshire” la seppellì viva).

Dopo aver ucciso Maud, scrisse alla famiglia di Maud dicendo che lei era morta dopo essere uscita e aver preso una brutta infreddatura.

Egli fu messo a morte nella prigione di Bagthorpe il 7 aprile 1922 – la sua fu la prima esecuzione a Nottingham dopo circa 13 anni dalla precedente.

 

Samuel Atherley (1909)

 

Atherley era un uomo geloso, convinto che la sua compagna Matilda Lambert avesse una relazione. Credeva che la figlia Annie fosse stata procreata da un altro uomo.

La gelosia di Samuel Atherley era così grave che Matilda lasciò 4 volte la casa di famiglia per andare a vivere con la sorella. Ma tornò sempre da lui.

All'inizio di luglio del 1909, i vicini sentirono la coppia litigare in diverse occasioni.

La mattina del 10 luglio, il vicino Thomas Marriott guardò dalla finestra e vide Atherley sanguinare da una grave ferita alla gola.

Salendo al piano di sopra, Marriott trovò i corpi di Matilda, di 27 anni, di Annie, 5 anni, e degli altri 2 figli della coppia, John, di 8 anni e Samuel, di 2 anni.

Atherley aveva tagliato la gola a Matilda e poi aveva colpito i figli. Avevano tutti ferite da coltello al collo, ma Annie e Samuel erano stati anche picchiati con un martello.

Mentre lo portavano all'ospedale Atherley, disse alla polizia di aver ucciso tutta la sua famiglia

Il trentenne Samuel Atherley guarì completamente dalle ferite. Fu impiccato il 14 dicembre 1909.

 

Edward Glynn (1906)

 

All'inizio si pensava che l'attacco di Edward Glynn alla sua ex fidanzata Jane Gamble nella zona di Narrow Marsh a Nottingham non fosse così grave.

Infatti, l'incidente del 3 marzo in un cortile poco illuminato è stato descritto nel Nottingham Post come un'aggressione “nei bassifondi della città in cui si verificano di solito episodi del genere".

Ma il giorno dopo Jane - conosciuta come Jenny - era morta, e Glynn, a 26 anni, si trovava di fronte a un'accusa di omicidio.

I due erano stati una volta amanti, ma Jane aveva troncato la relazione violenta con Edward Glynn e aveva iniziato a frequentare un altro uomo.

Glynn iniziò a perseguitare la ventiduenne e, in diverse occasioni, a minacciarla.

Infine Edward Glynn aggredì Jane Gamble a coltellate mentre lei usciva da un pub con il suo nuovo fidanzato. Jane riportò 2 ferite alla testa, una delle quali causata da un colpo inferto con tale forza da fratturarle il cranio.

Glynn fu arrestato e processato. La giuria impiegò solo 15 minuti per giudicarlo colpevole di omicidio.

Edward Glynn fu messo a morte a Bagthorpe il 7 agosto 1906.

 

John Hutchinson (1905)

 

Probabilmente l'omicidio più scioccante di questa lista è quello commesso dal 29-enne John Hutchinson che uccise Albert Matthews, di 5 anni.

Hutchinson, un ex soldato e lavoratore disoccupato, alloggiava con la famiglia di Albert a Nottingham.

A volte si prendeva cura di Albert, e faceva da babysitter al bimbo quando è avvenuto l'omicidio.

John Hutchinson sosteneva che Albert lo aveva colpito con un attizzatoio. Ma rispose con una tale ferocia che Albert fu decapitato.

La difesa sostenne che l’omicidio compiuto da Hutchinson fosse conseguito ad una temporanea infermità mentale.

La tesi difensiva non fu accettata e John Hutchinson fu impiccato il 29 marzo 1905.

 

Elias Torr (1899)

 

L'ultima esecuzione del XIX secolo a Nottingham fu quella di Elias Torr.

Torr sparò a sua figlia Margaret dopo che lei e sua moglie erano fuggite dalla violenza domestica per andare a stare da un vicino.

Il 52- enne Elias Torr fu impiccato il 9 agosto 1899.

 

Joseph Alcock (1896)

 

Un altro marito che uccise sua moglie perché pensava che lei avesse una relazione extraconiugale fu Joseph Alcock.

Alcock e sua moglie Emma avevano due figli, ma gli otto anni trascorsi insieme erano stati infelici e lui credeva che Emma avesse relazioni con altri uomini nel quartiere periferico di Bulwell a Nottingham.

Una notte di settembre del 1896, lei si rifiutò di dormire nel suo stesso letto. Lui la uccise con un piccone prima di andare a costituirsi alla stazione di polizia di Basford.

Alcock, 26 anni, fu giustiziato il 23 dicembre 1896. (Pupa)

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(1) Vedi: https://www.nottinghampost.com/news/history/last-ten-criminals-hanged-nottingham-3592834

(2) Thomas Pierrepoint faceva parte di una famosa famiglia di boia britannici, v. n. 247

7) NOTIZIARIO

 

Arabia Saudita. Sentenza Khashoggi: per Amnesty "un insabbiamento”. In un Comunicato emes-so il 23 dicembre Amnesty International scrive quanto segue:

L’agenzia di stampa saudita ha reso noto il verdetto emesso dal Tribunale penale di Riad sull'omicidio di Jamal Khashoggi: degli 11 imputati, cinque sono stati condannati a morte e tre a pena detentiva.

"Questo verdetto costituisce un insabbiamento e non rappresenta alcuna forma di giustizia, né per Jamal Khashoggi né per i suoi cari. Il processo si è svolto a porte chiuse, senza osservatori indipendenti e senza che trapelasse alcuna informazione sullo svolgimento delle indagini e sulle procedure seguite", ha dichiarato Lynn Maalouf, direttrice delle ricerche sul Medio Oriente di Amnesty International.

"La sentenza non fa luce sul coinvolgimento delle autorità saudite in quel crimine devastante né chiarisce dove si trovino i resti di Jamal Khashoggi", ha aggiunto Maalouf.

"I tribunali sauditi sono soliti negare il diritto alla difesa ed emettere condanne a morte al termine di processi gravemente irregolari. Data la mancanza di trasparenza delle autorità saudite e l'assenza di un sistema giudiziario indipendente, solo un'indagine internazionale, indipendente e imparziale potrà dare giustizia per Jamal Khashoggi", ha concluso Maalouf.

Nel commentare la sentenza, Amnesty International ha ricordato che nel giugno 2019 Agnes Callamard, la relatrice speciale delle Nazioni Unite sulle esecuzioni extragiudiziali, sommarie e arbitrarie, aveva concluso che Khashoggi era stato vittima di "un'esecuzione extragiudiziale della quale, secondo il diritto internazionale, lo stato dell'Arabia Saudita porta la responsabilità". Durante le sue indagini, la relatrice speciale non aveva avuto la minima collaborazione da parte delle autorità saudite.”

Ricordiamo che il 17 novembre del 2018 la CIA arrivò ad una conclusione che smentisce il governo di Riad: ad ordinare l'uccisione di Jamal Khashoggi nel consolato saudita a Istanbul è stato proprio il principe ereditario Mohammed bin Salman (di fatto la massima autorità nel paese). Sul terribile caso di Jamal Khashoggi vedi nn.: 253, Notiziario; 254; 255, Notiziario.

 

Botswana. Un’esecuzione che sfida le proteste internazionali. Il 2 dicembre è stato impiccato nella prigione centrale della capitale Gaborone il 44-enne Mooketsi Kgosibodiba, condannto a morte nel 2017 per l’omicidio del suo datore di lavoro commesso nel 2012. Si tratta della prima esecuzione dopo l’entrata in carica del presidente Mokgweetsi Masisi in ottobre, esecuzione partata a termine nonostante le richieste di clemenza provenienti dall’Unione Europea e dalle organizzazioni per i diritti umani. Altri due uomini sono stati impiccati nel 2018 sfidando le pressioni internazionali. Il Botswana, come ricorda Amnesty, è l’unico paese dell’Africa meridionale che persevera con le esecuzioni.

 

Giappone. Tre le esecuzioni capitali nel 2019. Un cittadino cinese condannato a morte per il massacro di una famiglia nel 2003 è stato impiccato il 29 dicembre in Giappone. Si tratta della terza esecuzione capitale nel Paese - dopo altre due avvenute lo scorso agosto - e la prima autorizzata dalla ministra della Giustizia Masako Mori da quando ha assunto la guida del dicastero, nell'ottobre scorso. L'agenzia Kyodo, citando il ministero della Giustizia, ha identificato l'impiccato come Wei Wei, di 40 anni. L'uomo era stato condannato perché riconosciuto colpevole di avere massacrato con due connazionali una famiglia di quattro persone - madre, padre e due figli - a Fukuoka, nel sud-ovest del Giappone, dopo essere entrato nella loro casa per compiere una rapina. I tre avevano poi fatto scomparire i corpi delle loro vittime gettandoli nelle acque del porto. La condanna alla pena capitale per Wei Wei era stata finalizzata nel 2011. In Giappone i condannati alla pena capitale sono informati dell'imminente esecuzione solo nel giorno in cui avviene. "Ha massacrato un'intera famiglia felice per ragioni egoistiche, è stato un crimine estremamente deplorevole", ha detto la ministra Mori riferendosi a Wei Wei. In Giappone ci sono un centinaio di detenuti nei bracci della morte. Nel 2018 le esecuzioni furono 15, un numero elevato rispetto alla media annuale. Tra gli impiccati vi erano 13 ex membri della setta di Aum Shinrikyo, giudicati colpevoli per un attacco al gas Sarin nella metropolitana di Tokyo nel 1995 che provocò 13 morti e 5.800 intossicati. (Articolo ripreso da “Avvenire.it”)

 

Iran. Due ordinarie esecuzioni. Iran Human Rights ha reso noto che i detenuti Ali Mahmoudpour e Morteza Ashrafi sono stati impiccati nella prigione di Urmia il 4 dicembre 2019. Erano stati condannati a morte per omicidio. Iran Human Rights ha precisato che delle 110 persone messe a morte nella prima metà del 2019, 83 erano state condannate alla qisas (vendetta) e avrebbero potuto aver salva la vita risarcendo in denaro le famiglie delle loro vittime.

 

Iran. Impiccata per essersi difesa dallo stupro. La mattina di mercoledì 4 dicembre, la 33-enne Somayyeh Shahbazi Jahrouii è stata impiccata nella prigione di Sepidar di Ahvaz, capitale della provincia iraniana del Khuzestan. La donna era stata imprigionata 6 anni fa. Secondo i suoi parenti, aveva commesso un omicidio per difendersi da uno stupro. Somayyeh Shahbazi Jahrouii è stata la 98-a donna ad essere messa a morte durante il mandato del presidente Hassan Rouhani. L’Iran è il paese che mette a morte più donne di qualsiasi altro. Ha giustiziato almeno 11 donne nel 2019, 9 donne nel 2016, 10 donne nel 2017 e 6 donne nel 2018. In Iran chiunque commetta un omicidio viene condannato a morte, indipendentemente dalle motivazioni dell’omicidio. Molte delle donne condannate hanno ucciso per legittima difesa. Mentre nel mondo aumenta la consapevolezza della violenza contro le donne, il regime iraniano giustizia le donne vittime di violenza. Allo stesso tempo, fucila i manifestanti o li uccide sotto tortura. Secondo l’NCRI (Consiglio di Resistenza Nazionale Iraniano), come minimo 4.000 persone sono state messe a morte durante la presidenza Rouhani iniziata nel 2013. Il numero effettivo di esecuzioni è certamente molto più elevato perché la maggior parte delle esecuzioni in Iran viene eseguita di nascosto, lontano dagli occhi del pubblico.

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Iran. Le autorità religiose chiedono la pena di morte per i manifestanti antigovernativi. Il 29 novembre, durante la preghiera del venerdì, l’imam Ali Akbari (nella foto), alta autorità religiosa e politica nominata dal Leader Supremo Ali Khamenei, ha invocato la pena di morte per coloro che contestano il governo iraniano: “Dobbiamo prendere in considerazione le questioni relative alla sicurezza più seriamente di quanto abbiamo fatto fino ad ora, con fermezza e sulla base della legge della sharia. Sapete che Dio è molto severo contro i sediziosi, contro coloro che minano la sicurezza pubblica, mettendo in pericolo le persone e i loro beni. La sentenza del mohareb (inimicizia nei riguardi di Dio) per questo tipo di persone è tra le più alte punizioni islamiche. Dopo le ultime minacce, ci aspettiamo che questa sentenza venga usata per purificare la società da tali feroci rivoltosi. Auspichiamo che la vendetta di Dio venga attuata attraverso le autorità di polizia e la magistratura. La condanna per chi fa la guerra a Dio [l’esecuzione] - apice delle punizioni islamiche – deve essere presa in considerazione per queste persone... La magistratura deve arrestare queste persone e agire rapidamente". Ricordiamo che le proteste sono dilagate in Iran a partire dal 15 novembre, data in cui il regime ha triplicato il prezzo della benzina (vedi n. 265, Notiziario, e qui sopra). Iran Human Rights riporta ora che almeno 600 persone sono state uccise dalle forze di sicurezza, mentre 4.000 sono state ferite durante le proteste. Oltre 10.000 manifestanti sono stati arrestati in tutto l'Iran.

 

Iran. Almeno 103 donne impiccate durante il mandato Rouhani. Nel sito women.ncr-iran.org si trovano i dati riguardanti le donne messe a morte sotto la presidenza di Hassan Rouhani cominciata nel 2013. Tali dati si riferiscono alle 103 esecuzioni note ma sono sicuramente approssimati per difetto. Particolare scalpore ha suscitato l’impiccagione della 21-enne Fatemeh R eseguita il 9 dicembre u. s. nel carcere di Gohardasht nei pressi di Karaj, impiccagione resa nota dai media ufficiali. Fatemeh R era stata condannata a morte per aver ucciso suo marito nel 2015 quando aveva solo 17 anni.

 

Nigeria. Le organizzazioni umanitarie premono per l’abolizione nel grande paese africano. Una coalizione di organizzazioni umanitarie, tra le quali la Comunità di Sant’Egidio, ha chiesto di porre termine alla pena di morte nel grande paese che conta 80.000 detenuti, il 90% dei quali in attesa di processo. “Un numero sempre maggiore di paesi africani sono per l’abolizione della pena di morte - ha dichiarto la coalizione - Il Rwanda l’ha abolita nel 2007, il Gabon nel 2010, il Benin nel 2010, il Congo e il Madagascar nel 2015, la Guinea nel 2017 e il Burkina Faso nel 2018. Ad oggi 21 dei 55 stati appartementi all’Unione Africana hanno abolito per legge la pena capitale per tutti i crimini. E la maggior parte degli stati africani è abolizionista di fatto.”

 

USA. L’amministrazione Trump insiste per il ripristino delle esecuzioni a livello federale. Come prevedibile, il ricorso dell’amministrazione Trump contro il blocco delle esecuzioni a livello federale presentato alla Corte d’Appello del Distretto di Columbia è stato respinto il 1° dicembre. E, come era prevedibile, la stessa amministrazione si è subito appellata alla Corte Suprema degli Stati Uniti. Anche se la Corte Suprema è più vicina all’attuale amministrazione, con tutta probabilità anche quest’ultimo appello andrà a vuoto. (Vedi articolo nel n. 265 e articoli ivi citati).

 

Questo numero è aggiornato con le informazioni disponibili fino al 31 dicembre 2019

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