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FOGLIO DI COLLEGAMENTO INTERNO

 

DEL COMITATO PAUL ROUGEAU

 

Numero 210 – Novembre 2013

Croci di cemento per i ‘giustiziati’ in Texas, nel ‘

Capt. Joe Byrd Cemetery’ di Huntsville

SOMMARIO:

 

 

1) Cities For Life, Dale Recinella e…

2) Cities For Life 2013: Diario di un’esperienza indimenticabile

3) Phillips vuole donare gli organi: sospesa la sua esecuzione

4) Renisha bussa alla porta di una casa dopo un incidente e viene uccisa

5) Fucilati a decine in Corea per aver guardato la TV ‘capitalista’

6) Condannati ad una morte lenta per reati di lieve entità

7) Pakistan: nel paese più complesso si prolunga la moratoria

8) Gravi violazioni dell’etica medica nella “guerra al terrore”

9) Mare monstrum, guerra ai migranti nel Mediterraneo

10) Pena di morte per i marò italiani, anzi no

11) Fernando Eros Caro ci scrive da San Quentin

12) Notiziario: Afghanistan, Florida, Texas

1) CITIES FOR LIFE, DALE RECINELLA E…

Il 30 novembre di ogni anno si svolge in Italia e nel mondo la manifestazione abolizionista Città per la Vita promossa dalla Comunità di Sant’Egidio. Alla manifestazione di quest’anno, che ha avuto una particolare importanza, ha partecipato anche il nostro amico floridiano Dale Recinella.

 

Il 30 novembre, in occasione della Giornata Internazionale Cities For Life 2013, Città per la Vita 2013, promossa dalla Comunità di Sant’Egidio, 1700 città in tutto il mondo si sono mobilitate contro la pena di morte, attraverso conferenze, manifestazioni pubbliche, l’illuminazione dei monumenti più significativi delle città partecipanti e feste nelle piazze. (1)

Cities For Life quest’anno è particolarmente riuscita, per la poderosa e instancabile attività degli attivisti di Sant’Egidio e di tante altre persone che hanno collaborato con loro. Il nostro Comitato, soprattutto con l’impegno straordinario delle nostra Vice presidente Grazia Guaschino, ha cercato di fare la sua parte: Grazia è stata l’alter ego, l’assistente e l’impeccabile traduttrice di Dale Recinella, il nostro amico cappellano laico nelle carceri della Florida, volato da oltre Oceano per dare la sua testimonianza nell’ambito di Cities For Life.

Dale, che assistere i condannati a morte nel penitenziario di Starke, è un profondo conoscitore del fenomeno pena di morte e un efficacissimo oratore. Come pochi ha il dono della parola: sa parlare in pubblico e al pubblico con grande empatia, competenza, chiarezza e rigore.

Dale Recinella (insieme a Grazia Guaschino) dal 27 novembre al 3 dicembre ha: tenuto una lezione sulla pena di morte agli studenti dell’Università LUISS di Roma, è intervenuto nell’VIII Congresso Internazionale dei Ministri della Giustizia in Campidoglio, ha partecipato alla grande manifestazione con l’illuminazione del Colosseo del 30 novembre, ha rilasciato una lunga intervista alla Radio Vaticana e un’intervista alla Rai, ha partecipato alla Messa domenicale nel carcere romano di Regina Coeli parlando ai detenuti e alle guardie, ha partecipato a Firenze a un impegnativo evento abolizionista in Consiglio Provinciale…

Potrete conoscere ad apprezzare la performance di Dale Recinella, nonché avere un’idea di Cities for Life 2013 nelle sue varie articolazioni, attraverso il vivace diario scritto da Grazia Guaschino, che riportiamo qui di seguito.

___________________

(1) Ci sono, nel corso dell’anno, due ‘giornate mondiali’ contro la pena di morte, una si celebra il 10 ottobre, soprattutto per iniziativa della Coalizione Mondiale Contro la pena di Morte, l’altra, promossa dalla Comunità di Sant’Egidio, si celebra il 30 novembre (anniversario della prima abolizione al mondo avvenuta nel Granducato di Toscana nel 1786).

 

 

2) CITIES FOR LIFE 2013: DIARIO DI UN’ESPERIENZA INDIMENTICABILE

di Grazia Guaschino

 

26/11: Arrivo a Roma Termini alle 16, e trovo un tempo insolitamente freddo per la capitale. Vento gelido a raffiche! Mi sistemo nell’appartamentino di Trastevere che ospiterà me e Dale Recinella nei prossimi giorni.

27/11: Prendo un taxi per arrivare all’aeroporto di Fiumicino alle 7:30. So che Dale dovrebbe arrivare alle 8:10, dopo aver rischiato di perdere la coincidenza ad Atlanta a causa dell’enorme ritardo del suo primo volo da Tallahassee, che era stato rinviato per il maltempo. Anche il suo secondo volo è in ritardo e arriva verso le 9:20.

Dopo un pranzo frugale e un breve riposo, Dale inizia la serie di impegni che lo vedranno protagonista: alle 16 veniamo accompagnati da Carlo Santoro, il mio instancabile amico della Comunità di Sant’Egidio, all’università LUISS di Roma, dove Dale tiene una lezione agli studenti di giurisprudenza. Io traduco le sue parole. Al termine, dopo alcune interessanti domande, il docente che aveva organizzato la conferenza si congratula con Dale, insieme ad alcuni studenti, entusiasti e commossi. Dale riabbraccia un suo amico di vecchia data, John Abela, che ora vive a Roma e che è venuto all’università a rivederlo e ad ascoltarlo.

28/11: Al mattino, dopo un’occhiata a San Pietro e qualche acquisto nei negozi di souvenir di Via della Conciliazione, accompagno Dale alla sede di Radio Vaticana, dove rilascia un’impegnativa intervista che nei giorni successivi sarà diffusa nei paesi anglofoni.

Nel pomeriggio, presso la Camera dei Deputati, le attività previste nell’ambito dell’evento Cities for Life vengono aperte ufficialmente da Mario Marazziti uno dei principali esponenti della Comunità di Sant’Egidio. Marazziti diventato onorevole, è ora presidente del Comitato permanente per i diritti umani della Camera. Oltre a lui, parlano i ministri della giustizia della Tanzania e del Senegal, un giudice dell’Uruguay, nonché il sindaco di una città delle Filippine.

Dale Recinella ed io siamo poi invitati a cena da Christiane e Veronique, due signore venute appositamente dalla Francia per incontrare Dale. Nel loro paese queste due signore hanno appena terminato di curare la pubblicazione del libro di Dale “Now I walk on death row”, tradotto in lingua francese.

29/11: Veniamo accompagnati nella grande sala della Protomoteca in Campidoglio, gremita da duecento persone, dove si svolge l’imponente VIII Congresso Internazionale dei Ministri della Giustizia "Per un mondo senza pena di morte".

Sono presenti personalità da tutto il mondo, oltre al nostro Presidente del Senato Piero Grasso, al sindaco di Roma Ignazio Marino e all’on. Mario Marazziti. Apre il congresso Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant’Egidio. Seguono numerosissime testimonianze di ministri, di autorità e di esponenti del mondo abolizionista. (1)

Cito gli autori di tre interventi tra i più importanti:

Benjamin Abalos, sindaco di Mandaluyong, un grande comune vicino a Manila nelle Filippine, che si rivela una persona bellissima: anni fa morì una sua figlia e seppe trasformare il lacerante dolore di questa perdita in amore per il prossimo: ha adottato un bimbo abbandonato durante il terremoto, promuove ogni anno un evento abolizionista nella sua città per evitare che lo spettro della pena di morte possa riaffacciarsi nel suo Paese, già così duramente provato negli ultimi anni dalla guerra, dal tifone e dal terremoto.

Andrej Paluda, giovane abolizionista della Bielorussia, che descrive la pena di morte nel suo paese (l’unico ancora con la pena capitale in Europa) come una barbarie allucinante: i condannati vengono uccisi in segreto, i loro corpi spariscono e non vengono resi alle famiglie. Siccome invece, se muoiono in carcere, il corpo viene ridato ai parenti, alcuni condannati, quando sanno di avere ormai la data di esecuzione fissata, si suicidano in cella per consentire ai loro cari di venire in possesso della loro salma. Questo giovane coraggioso dice di essere pronto a morire pur di riuscire a porre un termine alla pena di morte in Bielorussia.

Dale Recinella, che parla con profondo coinvolgimento, spiegando l’assurdità della pena di morte in America, chiedendo: a chi giova? Non ai contribuenti (è molto dispendiosa), non ai familiari delle vittime del crimine (non porta alcun conforto), non ai familiari del condannato (qui descrive strazianti addii), non alle guardie (non siamo fatti per uccidere), non agli innocenti (molti ne sono stati uccisi con la pena di morte), non a chi subisce o a chi guarda da spettatore un’esecuzione mal riuscita (gente che muore bruciata viva, un tempo con la sedia elettrica, ora con le sostanze chimiche). Ma allora a chi giova? Solo alla politica, per l’immenso business che deriva da questa pratica barbara. E noi non siamo disposti ad accettare una simile atrocità che degrada e disumanizza coloro con i quali viene a contatto, solo a beneficio della politica. L’applauso che il pubblico concede a Dale è lunghissimo.

Alla sera Dale viene intervistato per telefono da Daniela Parisi, una giornalista di Rai 3. Io traduco per lui le domande e per lei le sue risposte. Riascoltandolo, posso dire che il servizio è venuto benissimo.

30/11: Alle 17 ci troviamo tutti davanti al Colosseo: dopo i saluti istituzionali del Vicesindaco di Roma Luigi Nieri e l’intervento dell’on. Marazziti, su un palco allestito per l’occasione si esibiscono i giovani di Sant’Egidio con entusiasmo e musica a tutto volume. Seguono le letture di alcune lettere di condannati a morte, molto toccanti, interpretate da bravi attori di prosa. Max Giusti e Luca Barbarossa animano lo spettacolo con battute divertenti e una canzone. Un coro Gospel canta e commuove il numerosissimo pubblico. Al termine, mentre un sassofonista, da una terrazza in alto sul Colosseo, suona un toccante assolo, i riflettori si accendono e tutta l’imponente facciata viene illuminata con colori vivaci e scritte contro la pena di morte. Tutti i ministri e i protagonisti dell’evento salgono sul palco per unirsi al coro Gospel in “Oh, a happy day!”. La gente batte le mani, c’è un clima di festa. Nessuno sente più il freddo, per fortuna non piove. (2)

Si viene a sapere che sono oltre 1700 le città del mondo che quest’anno hanno aderito all’iniziativa, illuminando il loro monumento simbolo. Speriamo che gli stati con la pena di morte provino un po’ di vergogna di fronte a tanta mobilitazione abolizionista…

1/12 Al mattino, sotto una pioggia sferzante, veniamo accompagnati al carcere romano di Regina Coeli, dove Dale interviene durante la Messa celebrata per i detenuti mentre io traduco passo passo. Con le sue parole commuove guardie e prigionieri. Il messaggio finale di Dale ai detenuti: “Il Papa ha detto ai cappellani delle carceri di cercare nel cuore di ogni detenuto tutto il bene che vi si trova a di aiutarlo a svilupparlo e ad accrescerlo. Ma i cappellani sono purtroppo pochi, mentre i detenuti sono purtroppo molti, perciò io invito voi a guardare ciascuno nel cuore dell’altro, per cercarvi tutto il bene che vi potete trovare, e ad aiutarvi vicendevolmente a far crescere questo bene.” Lacrime, abbracci, baci a Dale, da parte dei detenuti e delle guardie. Poi andiamo a visitare l’ospedale interno al carcere, con i detenuti malati. E’ uno spettacolo fin troppo triste e deprimente. Anche qui Dale parla, abbraccia, consola. Personalmente ho vissuto questa esperienza con grande commozione: avverto un gelo spersonalizzante all’interno di quelle mura, come se le pareti stesse trasudassero cattiveria e disperazione. Il tempo si ferma in carcere e tutto sembra morto e triste, persino i fiori finti messi ad abbellire l’altare per la Messa. Quanta pena per quelle povere persone lì rinchiuse, siano esse i miseri prigionieri o le guardie!

2/12 Prendiamo il treno per Firenze, dove veniamo accolti da alcuni esponenti della Comunità di Sant’Egidio, che, dopo un buon pranzetto e un breve riposo, ci accompagnano alla sede della Provincia di Firenze. Qui ascoltiamo un bellissimo concerto di alcune filarmoniche di comuni toscani, cui segue una riunione straordinaria del Consiglio provinciale, indetta per celebrare l’anniversario dell’abolizione della pena di morte nel Granducato di Toscana. Ospiti d’onore Dale e il presidente della Caritas di Firenze Alessandro Martini. Alla presenza dei Consiglieri provinciali, rappresentanti di tutti i partiti politici, e del Presidente del Consiglio Provinciale Piero Giunti, Dale tiene un discorso che io traduco e che viene ascoltato con grande attenzione da tutti. Al termine ogni esponente di partito commenta le parole di Dale, inserendo argomentazioni attinenti alla propria visione politica, ma, tutti indistintamente, sono grati a Dale e gli dimostrano affetto e stima al termine della riunione. Alla sera ceniamo con la meravigliosa amica Loredana Giannini, una delle fondatrici del Comitato, che è venuta a sentire la conferenza insieme alla socia di vecchia data Giuliana Bonosi.

3/12 Rientriamo a Roma, prepariamo le valigie e ci apprestiamo a dirci addio, anzi, no, arrivederci. Alla sera, ad una simpatica cena, abbracciamo gli amici di Sant’Egidio e tutti gli altri loro ospiti del mondo abolizionista: alcuni ex condannati a morte che a loro volta erano stati invitati e “dispersi” in giro per l’Italia a parlare contro la pena capitale.

4/12 Alle 6:30 Dale sale sul minivan che lo accompagna all’aeroporto insieme ad altri amici americani, mentre io prendo più tardi il treno per Firenze, dove resterò per due giorni di “decompressione”, ospite della carissima Loredana, prima di rientrare a mia volta a Torino.

Non ci sono parole per ringraziare tutti dell’enorme energia profusa per questo mega-evento, iniziando dagli amici di Sant’Egidio che con me hanno avuto a che fare: primo fra tutti Carlo Santoro, instancabile organizzatore, che non si è mai spazientito delle mie innumerevoli richieste nel corso dei mesi precedenti all’evento e durante l’evento stesso, poi le efficientissime Ada, Gina e Stefania, Michele di Firenze, il mio grande e caro amico di sempre Giuseppe, Loredana, e tanti altri che in vari modi hanno reso questo evento eccezionale e indimenticabile… Ma soprattutto ringrazio l’eroico (non faccio per dire) amico Dale, che nonostante varie difficoltà e i suoi problemi di salute, ha affrontato il lungo viaggio e le fatiche di tutte le presenze, le conferenze e le interviste, affidandosi completamente al mio aiuto. L’ho visto commuoversi ogni volta che, parlando, descriveva e riviveva in sé i tragici momenti delle esecuzioni a cui ha voluto assistere nel corso degli anni per amore dei suoi ‘fratelli’ condannati a morte. Dale è una persona speciale, e io sono contenta di poterlo aiutare in qualche modo quando viene in Italia.

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(1)Vedi http://www.youtube.com/watch?v=YQ84n_8bU9o (breve) oppure: https://www.youtube.com/watch?v=JaDjuwuRNOQ (lungo; verso la fine l’intervento di Dale Recinella)

(2) Vedi http://www.youtube.com/watch?v=mTcSw5VrexU )

 

 

3) PHILLIPS VUOLE DONARE GLI ORGANI: SOSPESA LA SUA ESECUZIONE

 

L’esecuzione di Ronald Phillips è stata sospesa in extremis dal governatore dell’Ohio, John Kasich, dopo vari ricorsi e discussioni, per permettere al condannato di donare i propri organi.

 

L’Ohio è uno degli stati nordamericani che nel momento attuale vogliono mostrare di fare sul serio con la pena di morte. Gli stati di solito fissano le esecuzioni con uno o due mesi di anticipo, una volta esauritosi il normale iter degli appelli, ma il Governatore dell’Ohio John Kasich ha già fissato una quindicina di date di esecuzione da ora fino al gennaio del 2016!

Tuttavia il cambio delle sostanze letali utilizzate per uccidere, in coincidenza con un’insolita richiesta di un condannato che vuol donare i propri organi, ha bloccato almeno per ora il lavoro dei boia.

All’incrocio di queste due problematiche si è trovato Ronald Phillips, condannato a morte per aver stuprato ed ucciso nel 1993 la sorellina della sua girlfriend. La vittima, Sheila Marie Evans, aveva solo 3 anni.

Phillips non è un mostro e sicuramente non lo è più ora che ha 40 anni: appare profondamente pentito dell’orrendo crimine da lui commesso all’età di 19 anni, a conclusione di un periodo della sua vita in cui la violenza e l’abuso erano la norma.

Egli sostiene, tra l’altro, di essere stato continuamente picchiato e violentato da suo padre.

In un’udienza concessa al condannato dal giudice federale Gregory Frost, e realizzatasi il 25 ottobre tramite teleconferenza, Phillips aveva dichiarato di aver paura degli aghi da quando nell’infanzia i suoi genitori, drogati e spacciatori, lasciavano che i ‘tossici’ ‘si facessero’ per via endovenosa nella cucina di casa, nella periferia degradata della città di Akron.

L’udienza del 25 ottobre era stata concessa a seguito di un ricorso presentato dai legali di Phillips che avevano chiesto tempo per contestare il nuovo metodo per l’iniezione letale introdotto in Ohio e reso noto in prossimità dell’esecuzione. Il nuovo metodo consiste nella somministrazione in alte dosi di due sostanze non tradizionali: il midazolam, un sedativo, e l’idromorfone, un antidolorifico (per il governo dell’Ohio è infatti divenuto difficile reperire il pentobarbitale, farmaco ben collaudato per uccidere).

Phillips accetta l’idea di essere messo morte ma, finché ha potuto, ha cercato in tutti i modi, aiutato da ottimi avvocati, di evitare l’esecuzione. Quando il 18 ottobre un medico (1) e un’infermiera del carcere avevano esaminato le sue braccia e le sue gambe trovando problematico l’accesso venoso per la somministrazione della sostanze letali, Phillips aveva commentato: “Penso che il Signore vi abbia nascosto le mie vene!”.

Nella ‘casa della morte’, arrivato a ridosso dell’esecuzione programmata per il 14 novembre, Ronald Phillips ha reso nota la sua volontà di donare un rene, il cuore ed altri tessuti.

L’11 novembre Ronald Phillips ha chiesto di poter donare i suoi organi a sua madre, che è in dialisi ed ha bisogno di un rene, e a sua sorella che ha bisogno di un trapianto di cuore. Phillips ha detto di non aver espresso prima la sua richiesta perche sperava di salvarsi. Lo faceva allora, dopo che il Governatore aveva respinto la sua domanda di grazia.

È sorto un contenzioso tra Phillips e le autorità carcerarie che hanno negato la realizzabilità della richiesta del condannato dicendo che semmai la sua famiglia avrebbe potuto prelevare gli organi quando il corpo di Phillips le sarebbe stato restituito. Nel caso ciò non fosse possibile, la risposta della prigione era comunque NO, dal momento che “il dipartimento non è attrezzato per facilitare donazioni di organi prima o dopo l’esecuzione”.

Due giorni dopo è intervenuto lo stesso Governatore dell’Ohio, John Kasich, suscitando un notevole scalpore. Il forcaiolo Kasich ha sospeso l’esecuzione di Ronald Phillips riprogrammandola per il 2 luglio del prossimo anno in modo che si possano studiare le possibilità di espiantare correttamente un rene dal condannato prima dell’esecuzione ed il suo cuore ed altri tessuti dopo la morte. Sembra che Kasich apprezzi la richiesta del detenuto (ma può darsi che egli abbia sospeso l’esecuzione anche per evitare ulteriori contestazioni in extremis del nuovo metodo di esecuzione).

Il Dipartimento di Riabilitazione e di Correzione dell’Ohio ha fatto sapere che nel frattempo Ronald Phillips sarebbe stato riportato - dalla casa della morte - nel braccio della morte (2).

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(1) Per ragioni di etica medica, il dottore ha chiarito che non sarebbe stato comunque coinvolto nell’esecuzione.

(2) Si notino le parole riabilitazione e correzione che compaiono molto spesso nelle denominazioni delle amministrazioni carcerarie degli stati che utilizzano la pena di morte.

 

 

4) RENISHA BUSSA ALLA PORTA DI UNA CASA DOPO UN INCIDENTE E VIENE UCCISA

 

La 19-enne Renisha McBride è l’ennesima vittima della larghissima diffusione delle armi negli Stati Uniti.

 

L’auto di Renisha McBride, una ragazza nera di 19 anni, poco prima dell’una di notte del 2 novembre, ha cozzato contro un’auto ferma a Dearborn Heights, un sobborgo di Detroit nel Michigan. Renisha, scesa completamente frastornata dalla sua macchina, ha vagato per 4 ore nei dintorni del luogo dell’incidente. È stata vista rientrare a momenti in macchina dai rari passanti a cui diceva di voler tornare a casa. Alla fine ha bussato all’abitazione di Theodore Wafer, un impiegato aeroportuale bianco di 54 anni.

Renisha McBride

La riposta di Wafer è stato un colpo di fucile sparato attraverso la zanzariera tesa davanti alla porta di casa, che ha raggiunto la ragazza sotto l’occhio sinistro, uccidendola.

Il caso è stato affidato ad un procuratore donna, la nera Kym Worthy, la quale dopo due settimane di indagini ha deciso di perseguire Theodore Wafer per omicidio di secondo grado. Wafer è in libertà dietro il versamento di una cauzione di 250.000 dollari.

La legge sulla legittima difesa vigente nel Michigan consente l’uso della forza letale se “il soggetto ritiene onestamente e ragionevolmente che l’uso della forza letale è necessario per prevenire la morte imminente o un imminente grave danno fisico a sé o a un’altra persona”.

Ricordate il caso del bianco George Zimmerman che uccise Trayvon Martin, il 17-enne nero che gironzolava disarmato in un’area privata in Florida? Zimmerman uscì completamente assolto dal conseguente processo (v. n. 207, “Presidia il tuo suolo…”).

Negli Stati Uniti di omicidi “banali”, conseguenti al diffusissimo possesso delle armi, ne accadono a migliaia ogni anno.

 

 

5) FUCILATI A DECINE IN COREA PER AVER GUARDATO LA TV ‘CAPITALISTA’

 

Il dittatore della Corea del Nord, Kim Jong-Un, ha dato un’altra dimostrazione della sua follia.

 

Il giovane dittatore della Corea del Nord, Kim Jong-Un, è succeduto a suo padre Kim Jong-Il, morto alla fine del 2011 dopo 17 anni di ‘regno’. È terrorizzato dalle novità e dagli scandali. Nell’agosto scorso fece mettere a morte la sua ex amante Hyon Song-wol, cantante di musica leggera, insieme ad altri 11 componenti di due orchestrine. Tutti erano accusati di aver girato video pornografici.

Sembra che Kim Jong-Un abbia ora deciso di utilizzare la pena capitale in maniera massiccia come deterrente per comportamenti fuori norma. Per cominciare ha ordinato un’ottantina di esecuzioni capitali in un sol giorno, il 3 novembre u. s. Notizie in proposito sono state diffuse il giorno 11 da fonti non ufficiali e per lo più anonime, ma la loro concordanza e l’assenza di smentite le fanno ritenere attendibili. Tanto che una Commissione di inchiesta del Comitato ONU per i Diritti Umani si è recata a Seul, capitale della Corea del Sud, per ‘ascoltare alcuni testimoni’.

Tutti i ‘rei’ sono stati ‘giustiziati’ in pubblico. Otto persone sono state maciullate da mitragliatrici nello stadio della città costiera di Wonson, dopo essere state legate a pali e incappucciate, di fronte a 10 mila persone fatte affluire a forza (bambini compresi).

Le ottanta persone passate per le armi si trovavano in 7 diverse città, nessuna nella capitale Pyongyang. Tali città danno particolari preoccupazioni alle autorità perché a contatto con modi di pensare e persone straniere. Della città costiera di Wonson si vuol fare un posto di vacanza, nel tentativo di attirare ricchi stranieri e possibili investitori in soccorso alla disastrata economia del paese.

I meschini passati per le armi non erano accusati di veri e propri crimini, come l’omicidio. Le accuse andavano dalla pornografia, al possesso di una Bibbia… Risulta che la maggior parte dei ‘giustiziati’ fosse rea di aver guardato trasmissioni TV della Corea del Sud.

 

 

6) CONDANNATI AD UNA MORTE LENTA PER REATI DI LIEVE ENTITÀ

 

Negli Stati Uniti, son oltre 3000 i condannati all’ergastolo senza possibilità di liberazione per delitti come lo spaccio di piccole quantità di marijuana o il furto di carburante da un’auto in sosta.

 

Il New York Times (1) denuncia scandalizzato l’inflizione dell’ergastolo senza possibilità di liberazione per reati di lieve entità, soprattutto a causa delle le leggi mandatarie (2) vigenti in circa un quinto delle giurisdizioni degli Stati Uniti. Tali leggi impongono ai giudici di infliggere – spesso loro malgrado - l’ergastolo senza possibilità di liberazione per reati quali il tentativo di vendere 10 dollari di marijuana ad un agente sotto copertura o il furto del carburante ‘sifonato’ dal serbatoio di un’automobile in sosta.

Secondo un rapporto dell’A.C.L.U. (3) del 13 novembre, alla fine del 2012 negli Usa vi erano 3.278 condannati all’ergastolo irrevocabile per crimini del genere (4). E il calcolo è prudenziale. Non comprende ad esempio i condannati a 350 anni di carcere per la vendita ripetuta di dosi di droga. Non include neanche coloro che sono finiti all’ergastolo per crimini classificati come ‘violenti’ ma che in realtà non comportano violenza contro le persone, come la mancata restituzione di un’auto noleggiata o il tentato furto di un’automobile non occupata.

Il rapporto origina dalla consultazione dei dati attinenti le prigioni federali e dei dati riguardanti nove stati in cui vigono le leggi mandatarie. Quattro su cinque dei condannati all’ergastolo irrevocabile hanno commesso reati di droga. Il quinto rimanente è stato riconosciuto colpevole ad esempio di aver tentato di incassare un assegno rubato o di taccheggio in un supermercato. In più dell’83% dei casi il giudice non ha avuto scelta dal momento che lo stato prevede una pena all’ergastolo mandataria per la prima volta che si commette un determinato reato, oppure per una recidiva.

Come avviene nel resto del sistema penale statunitense, la disparità razziale è fortissima: nelle corti federali per i Neri la probabilità di beccarsi la pena dell’ergastolo senza possibilità di liberazione per crimini non violenti è 20 volte maggiore che per i Bianchi.

È abbastanza probabile che le giurisdizioni federali e/o statali si incaricheranno presto della questione, non per ragioni umanitarie ma per la crescita a dismisura del sistema carcerario (5), con i relativi costi, diventati proibitivi con la crisi economica.

Il rapporto dell’A.C.L.U. raccomanda ai legislatori statali e federali di bandire l’ergastolo senza possibilità di uscita per i crimini non violenti, sia per i casi futuri sia per i detenuti già condannati ad una tale pena (6). Per questi ultimi i governatori degli stati e il presidente Obama sono invitati ad esercitare il potere della clemenza esecutiva (cioè ad emettere provvedimenti di grazia).

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(1) In un editoriale intitolato Sentenced to a Slow Death (Condannati ad una morte lenta), datato 16 novembre.

(2) Si dice ‘mandataria’ un pena che il giudice deve infliggere obbligatoriamente a chi è colpevole di un certo reato. Negli Usa la pena di morte non è stata mai mandataria dopo la sua reintroduzione (1976) mentre l’ergastolo senza possibilità di liberazione non è più mandatario per i minorenni all’epoca del reato dal 25 giugno 2012 (v. n. 198).

(3) Si tratta dell’American Civil Liberties Union, l’importante Unione Americana per le Libertà Civili.

(4) 3.278 rappresenta 1/15 dei circa 50 mila ergastoli irrevocabili. Il 20% di quali comminati per il primo reato a imputati non recidivi.

(5) V. il saggio di Claudio Giusti American Gulag nel nostro sito.

(6) Secondo l’A.C.L.U. il costo della detenzione a vita (invece che un periodo ragionevole) di queste persone comporta un costo aggiuntivo di quasi 200 milioni di dollari.

 

 

7) PAKISTAN: NEL PAESE PIÙ COMPLESSO SI PROLUNGA LA MORATORIA

 

Nel Pakistan, paese cerniera della ‘guerra al terrore’, in cui troviamo un’élite evoluta in un mare di fondamentalismo irragionevole, regge ancora la moratoria della pena di morte decretata nel 2008.

 

Il Pakistan ha un’èlite intellettuale che in alcune occasioni si è dimostrata moderna e avanzata, certamente assai più avanzata della media della popolazione. Ma è anche caratterizzato dal fondamentalismo dei capi religiosi musulmani e da continui esasperanti conflitti tra i vari poteri.

Il confronto strategico del Pakistan, potenza nucleare, con l’India, per il possesso del Kashmir, negli scorsi decenni ha preoccupato più volte il mondo. Ora più che per la conflittualità con l’India, il Pakistan viene citato dai media per la guerriglia interna con i Talebani, che si svolge specie nel nord-ovest del paese.

Il Pakistan ‘subisce’ a malincuore, e spesso con aperta ostilità, gli aiuti americani e lo strapotere degli Usa che si arrogano il diritto di combattere sul suo territorio la ‘guerra al terrore’.

Come non ricordare il blitz dei militari americani che il 2 maggio 2011massacrarono in Pakistan Osama bin-Laden (insieme ad altre 4 persone)?

Frontiera dello ‘scontro di civiltà’, il Pakistan - patria di Benazir Bhutto, di Salman Taseer e di Shahbaz Bhatti, di Aasia Bibi e di Malala Yousafzai (1) – è attualmente il paese che, nel mondo, vive la situazione più complessa.

Pur nelle sue immense complicazioni, il Pakistan – uno dei paesi che più usava la pena di morte – ha fatto un grande passo di civiltà istituendo cinque anni fa una moratoria delle esecuzioni che regge ancor oggi, nonostante vari annunci in senso contrario negli ultimi mesi (2). E nonostante abbia subito 413 atti di terrorismo, comprendenti attentati suicidi, a partire da giugno.

Scaduta il 30 giugno la moratoria ufficiale della pena di morte imposta nel 2008 dal governo del Partito Popolare guidato da Asif Ali Zardar, gli abolizionisti temevano molto una ripresa delle esecuzioni sotto la presidenza del successore di Zardari, il conservatore Nawaz Sharif, esponente della ‘Lega dei Musulmani del Pakistan’ (3).

Invece il 5 ottobre il nuovo presidente del Pakistan e il suo Primo ministro hanno deciso di mantenere la moratoria. Il portavoce del Ministero degli Interni ha dichiarato che il governo attuale è ben consapevole dei suoi doveri internazionali e che li rispetterà secondo la legge. Egli ha aggiunto che il Pakistan, firmando accordi di mutua collaborazione con paesi in cui la pena di morte è stata da tempo abolita, si è implicitamente impegnato ad adeguarsi alle regole del vivere civile e che si dovrà arrivare all’abolizione della pena capitale.

Come primo passo, verranno probabilmente ridotti i tipi di reato per i quali si può essere condannati a morte (al momento oltre due dozzine, di cui molti reati non di sangue).

L’ex presidente Asif Ali Zardari ha accolto con soddisfazione la notizia del prolungamento della moratoria delle esecuzioni, dichiarando che “proseguire l’atteggiamento razionale dei predecessori è un segno di saggezza e di maturità politica, che deve essere incoraggiato e accolto con gioia”.

Ad attenuare l’ottimismo il 30 ottobre ci ha pensato il Ministro degli Interni, Chaudhry Nisar Ali Khan, che ha dipinto una situazione allarmante ed ha riferito nel Senato federale sulla pena di morte. Smentendo che il governo avesse preso in considerazione le proposte di commutare tutte le sentenze capitali, ha fornito alcuni dati: sono state pronunciate 13.223 condanne a morte a partire dal 2002, delle quali 501 eseguite. Sempre dal 2002 sono stati arrestati 6.149 sospetti terroristi, 12.404 persone sono state uccise in episodi terroristici e 26.881 ferite.

Dopo queste dichiarazioni si temeva che due sentenze capitali di ‘militanti’, che erano già state programmate per il mese di agosto, potessero essere eseguite, Ma ciò non è avvenuto. Alcuni ritengono che le esecuzioni non siano state fatte per timore di sanguinose rappresaglie da parte dei Talebani (che pur usano largamente la pena di morte nelle zone da loro controllate e praticano i metodi tradizionali più raccapriccianti per uccidere).

I Talebani imperversano sia in Pakistan che in Afghanistan, facendo la spoletta tra i due stati adiacenti, ora per sfuggire gli attacchi tradizionali, ora per nascondersi dai droni americani.

I droni sono riusciti ad uccidere alcuni capi talebani, insieme a vittime innocenti, senza migliorare la situazione. L’uccisione telematica del leader dei Talebani, Hakimullah Mehsud, avvenuta il 30 ottobre u. s., ha dato spazio al nuovo capo ultraradicale Mullah Fazlullah andato al potere il 6 novembre. Fazlullah è noto per aver ordinato pubbliche fustigazioni e decapitazioni, per osteggiare la vaccinazione antipolio, per aver suggerito alle donne di rifiutarsi ai mariti che non partecipano alla ‘guerra santa’. A Mullah Fazlullah, tra l’altro, si attribuisce l’ordine di uccidere la giovanissima attivista Malala Yousafzai (4), la quale, dopo il grave attentato subito il 9 ottobre 2012, si è dovuta trasferire, famiglia al seguito, in Inghilterra.

Le autorità pakistane sono irritate, anche con gli Stati Uniti, perché da ora in poi dovranno competere con Mullah Fazlullah che, a differenza dell’ucciso Hakimullah Meshud, non ha alcuna intenzione di trattare con le autorità di governo.

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(1) V. nn. 185, 187, 188, 207, 208

(2) Per la verità il Pakistan ha violato la moratoria mettendo a morte un uomo, forse due uomini, nel 2012

(3) V. n. 207, “Dopo Zardari…”

(4) V. n. 207, “Malala…”

 

 

8) GRAVI VIOLAZIONI DELL’ETICA MEDICA NELLA “GUERRA AL TERRORE”

È uscito un importante rapporto scientifico che denuncia gravissime violazioni dei diritti umani compiute dal personale sanitario, dopo l’11 settembre 2001, nel corso della ‘guerra al terrore’.

 

Si intitola “Etica abbandonata: Professione medica e abusi sui detenuti nella Guerra al Terrore” un impegnativo rapporto di 267 pagine redatto in oltre due anni di lavoro da un gruppo formato da 19 specialisti dell’Istituto di Medicina della Columbia University e pubblicato il 4 novembre (1).

Il rapporto, che si basa soltanto su informazioni di pubblico dominio, accusa i militari americani e la C. I. A. di aver forzato il personale sanitario, in particolare i medici, gli psicologi e gli infermieri, a violare pesantemente la loro etica professionale, partecipando agli abusi sui detenuti praticati dagli Americani dopo l’11 settembre 2001 in Afghanistan, in Iraq, nella Base di Guantanamo Bay a Cuba e in luoghi segreti. Il rapporto ricorda tra l’altro che a settembre del 2002 Cofer Black, capo del Centro Antiterrorismo della C. I. A., testimoniò davanti al Congresso sul cambio di atteggiamento riguardo ai ‘detenuti’ nella ‘guerra al terrore’ (cui non veniva riconosciuto lo status di ‘prigionieri’ e il godimento delle Convenzioni di Ginevra) chiarendo che “dopo l’11 settembre ci siamo tolti i guanti”.

Nel rapporto si evidenziano i principali modi secondo cui i sanitari partecipavano (e in parte ancora partecipano) agli abusi: collaborazione negli interrogatori eseguiti con tecniche che equivalgono a tortura, monitoraggio dei parametri vitali dei detenuti abusati, utilizzo per gli scopi degli interrogatori delle informazioni mediche riguardanti i detenuti, alimentazione forzata dei detenuti in sciopero della fame. Nel Rapporto si evidenzia che le prestazioni per l’alimentazione forzata dei detenuti in sciopero della fame continuano ancor oggi.

Il rapporto, che raccomanda ulteriori investigazioni ed esorta al rispetto degli standard internazionali valevoli per le professioni mediche, sottolinea che i peggiori abusi sono avvenuti fino al 2006 e riconosce che in seguito, mano a mano, alcune delle più controverse pratiche, ma non tutte, sono cessate.

Il rapporto stigmatizza particolarmente il comportamento degli psicologi e la loro Associazione professionale (A. P. A.).

Nel 2008, quasi sette anni dopo l’11 settembre 2001, nei ricorsi di un detenuto di Guantanamo, si legge che era proprio uno psicologo a svolgere il ruolo centrale negli interrogatori. A quell’epoca gli standard dell’ A. P. A. affermavano ancora che era “compatibile con il codice etico che gli psicologi partecipassero con un ruolo consultivo agli interrogatori e ai processi di raccolta delle informazioni per fini connessi alla sicurezza nazionale” purché non si utilizzasse alcuna delle ‘tecniche di interrogazione’ allora designate ‘coercitive’, come l’uso di cappucci, il waterboarding (annegamento interrotto) e le violenze fisiche.

Quell’anno, in seguito ad un referendum al suo interno, l’A. P. A. decise di proibire agli psicologi di lavorare dove le persone sono detenute in violazione delle leggi internazionali o della Costituzione Usa (come ad es. a Guantanamo e nelle prigioni segrete). Ma il Rapporto obietta che l’Associazione non ha mai proibito tout court agli psicologi si assistere agli interrogatori.

Le prime reazioni dei militari e della CIA al Rapporto sono state ‘vuote’ (per non dire ridicole).

“Le accuse contenute nel rapporto non sono nuove. Esse sono state oggetto di diverse investigazioni negli anni, e tali investigazioni – fatte da chi aveva accesso a più informazioni di quelle a disposizione degli autori del Rapporto – non hanno mai sostanziato tali accuse,” ha dichiarato il Colonnello J. Todd Breasseale, portavoce del Dipartimento della Difesa.

Lo stesso Breasseale ha precisato in un e-mail che “la Task Force di Guantanamo fornisce costantemente complete e umane cure mediche ai detenuti di Guantanamo. I componenti la Task Force sono esperti professionisti che lavorano in incredibili condizioni di stress.” Secondo Todd Breasseale è policy del Pentagono proteggere la vita e la salute dei detenuti e non si può consentire che un detenuto commetta suicidio – sia per mezzo di un’arma, di un veleno, sia per mezzo di un digiuno personalmente scelto o imposto da altri.”

Dal canto suo Dean Boyd, portavoce della C. I. A., ha affermato che il rapporto contiene “gravi inesattezze e conclusioni erronee”.

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(1) Per leggere i nomi e le qualifiche degli specialisti partecipanti, la denominazione del gruppo di lavoro ecc. si può consultare in Internet il Rapporto stesso cliccando su:

http://www.imapny.org/File%20Library/Documents/IMAP-EthicsTextFinal2.pdf

In passato anche il Comitato Internazionale della Croce Rossa aveva denunciato abusi compiuti dal personale sanitario nell’ambito della ‘guerra al terrore’.

 

 

9) MARE MONSTRUM, GUERRA AI MIGRANTI NEL MEDITERRANEO (*)

 

Condividendo le perplessità espresse da Amnesty International per l’atteggiamento ambiguo del governo italiano nei riguardi dei migranti che tentano di arrivare in Italia attraverso il Mediterraneo (v. ad es. n. 209), riportiamo la prima parte di un articolo di Antonio Mazzeo che denuncia apertamente l’approccio ‘militare’ dell’Italia al problema dell’emigrazione via mare.

 

Nel Mediterraneo l’Italia fa la guerra ai migranti. Non dichiarata, certo, ma di guerra indubbiamente si tratta. Perché le strategie, gli attori, gli strumenti, le alleanze e le modalità d’intervento sono quelli di tutte le guerre. E causano morte. Morti, tanti morti.

Qualcuno ha storto il muso per il nome,Il nome, Operazione Mare Nostrum. Si è detto che c’era una caduta di stile, un voler scimmiottare i fasti dell’impero romano. In verità esso risponde perfettamente al senso e agli obiettivi della messinscena ipermuscolare delle forze armate italiane. Il Mediterraneo, per la Fortezza Europa, non è né deve essere un mare di mezzo. Non è il luogo dei contatti, delle contaminazioni, delle solidarietà, delle trasformazioni. Né un ponte di intercultura e pace. È invece il lago-frontiera, noi qua, loro là, un muro d’acqua invalicabile, dove vige la regola del più forte e del più armato. Un’area marittima di conflitti, stragi, naufragi causati, respingimenti, riconsegne e deportazioni manu militari. A chi scampa ai marosi e ai mitragliamenti delle unità navali nordafricane (pagate con i soldi italiani) spetta l’umiliazione delle schedature, delle foto segnalazioni e degli interrogatori a bordo di fregate lanciamissili e navi anfibie e da sbarco. Poi un trasbordo, un altro trasbordo ancora, le soste interminabili su una banchina di un porto siciliano, il tragitto su bus e pulmini […] sino alla detenzione illimitata in un centrodiprimaccoglienza-CIE-CARA, un non luogo per non persone, dove annientare identità, memoria, speranze.

L’Operazione Mare Nostrum fu annunciata dal ministro Mario Mauro dopo la strage del 3 ottobre, quando a poche miglia da Lampedusa annegarono 364 tra donne, uomini e bambini provenienti dal continente africano e dal Medio oriente. Anche stavolta però l’incidente fu un mero casus belli. La nuova crociata contro chi fugge dalle ingiustizie, lo sfruttamento, gli ecocidi, era stata preparata infatti da mesi in tutti i suoi dettagli. Governo e Stato maggiore hanno rispolverato ad hoc l’armamentario linguistico delle ultime decadi: operazione militare e umanitaria, l’hanno ipocritamente definita, perché le guerre non devono mai essere chiamate con il loro nome per non turbare l’opinione pubblica e la Costituzione. “Si prevede il rafforzamento del dispositivo italiano di sorveglianza e soccorso in alto mare già presente, finalizzato ad incrementare il livello di sicurezza della vita umana ed il controllo dei flussi migratori”, recita il comunicato ufficiale di Letta & ministri bipartisan. Un contorto giro di parole per mescolare intenti solidaristici a logiche sicuritarie e repressive. […]

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(*) Dal Blog di Antonio Mazzeo, 16 novembre 2013

 

 

10) PENA DI MORTE PER I MARÒ ITALIANI, ANZI NO

 

Una notizia riguardante i nostri marò proveniente dall’India ha creato un ingiustificato allarme in Italia.

 

Il 25 novembre l’Agenzia di Investigazione Nazionale dell’India (NIA) ha inviato un rapporto al Ministro dell’Interno federale, in cui si sostiene che i due marò italiani Massimiliano Latorre e Salvatore Girone meritano la pena di morte.

Ricordiamo che i due militari italiani furono accusati di aver ucciso due pescatori indiani disarmati il 15 febbraio 2012 da bordo della petroliera italiana Enrica Lexie, da loro scortata in funzione antipirateria. La NIA sostiene che i marò meritano la pena di morte secondo una legge… antipirateria vigente in India, denominata SUA (1). Secondo l’accusa il sanguinoso episodio avvenne a 20 miglia dalla coste dello stato indiano del Kerala. La Enrica Lexie fu fatta approdare ed i nostri militari furono arrestati a Kochi in Kerala.

C’è da dire che il Ministro degli Esteri indiano Salman Khurshid aveva assicurato il Governo italiano che i due marò (liberati su cauzione un anno fa e venuti “in vacanza” in Italia prima per le festività natalizie e poi per partecipare alle elezioni) non sarebbero stati oggetto di un processo capitale se essi fossero rientrati, come pattuito, in India. Dopo alcune schermaglie diplomatiche provocate dal nostro ministro Terzi, il 22 marzo i due marò tornarono in India e da allora sono agli “arresti domiciliari” nell’ambasciata italiana a Nuova Delhi.

Appena si è sparsa la voce della ventilata ‘condanna a morte dei nostri marò’, causando una certa preoccupazione in Italia, il Ministro degli Esteri Emma Bonino ha dichiarato che è escluso che i marò possano essere sottoposti a processo capitale, ed ha aggiunto di aver avuto assicurazioni in merito dal governo indiano.

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(1) SUA, sta per “Suppression of Unlawful Acts Against Safety of Maritime Navigation and Fixed Platforms on Continental Shelf Act” del 2002.

 

 

11) FERNANDO EROS CARO CI SCRIVE DA SAN QUENTIN

 

Cari amici, è sempre bello scrivere a qualcuno che è stato gentile, incoraggiante, d’aiuto, e soprattutto amico!

Non possiamo avere tutto ciò che vogliamo nella vita, ma possiamo avere amici! Che cosa può esserci di più prezioso? È sufficiente un sorriso, purché arrivi dal cuore, e la disponibilità ad accettare le persone così come sono.

Tutti nasciamo buoni, è la vita che poi ci rende imperfetti. Diventiamo cattivi, come dimostrano gli infiniti conflitti e la sofferenza del mondo! Quando una persona cattiva non ha paura di essere punita per ciò che fa, continuerà a comportarsi male!

La vita non è un’esperienza pilotata, bensì un cammino su un sentiero lungo il quale si impara a non ripetere gli errori. Tutti sappiamo quali sono le cose che rendono le persone calme, contente, sicure di sé. Lo sappiamo perché sono le stesse cose che rendono “noi” calmi, contenti, sicuri di noi quando ci troviamo in mezzo agli altri. Essere buoni verso gli altri illumina il cuore e lo spirito! Tutti desideriamo pace e stabilità.

Ciò che ci fa ridere e ciò che ci fa piangere dipende da come ci sentiamo e da quel che vediamo in quel momento. Avervi conosciuti è stato un piacere! Non posso vedervi, ma lo sento chiaramente nel mio cuore, che le vostre parole e i vostri pensieri nei miei confronti sono quelli di un “amico”!

Siamo quasi in dicembre, il mese a cui la maggior parte di noi tende durante l’anno. Quando ci scambiamo i migliori auguri, e i regali!

Godete queste feste e pregate che tutti troviamo sempre la forza di fare le cose giuste!

San Quentin, 24/11/2013

Con affetto Fernando

 

12) NOTIZIARIO

 

Afghanistan. Richiesta di reintrodurre la lapidazione, poi bloccata dal presidente Karzai. In Afghanistan da anni è in corso di elaborazione un nuovo codice penale onde uniformare le norme frammentarie attualmente vigenti e coprire tutti i tipi di crimini. Il Ministro della giustizia, Habibullah Ghalib, che deve supervisionare la riforma è un ultra conservatore che l’anno scorso definì “bordelli” le poche case di accoglienza per donne maltrattate. Un comitato che contribuisce alla riforma del codice penale ha proposto il ripristino delle classiche penalità musulmane previste dalla sharia, a cominciare dalla lapidazione pubblica degli adulteri e dalla fustigazione delle donne non maritate che compiono atti sessuali (penalità praticate sotto il regime talebano fino al 2001). La proposta ha fatto immediatamente il giro del mondo suscitando, nell’ultima decade di novembre, scalpore, proteste e appelli… compreso l’invito a cessare gli aiuti internazionali all’Afghanistan. Tanto che il Presidente Hamid Karzai ha ritenuto opportuno precisare in un’intervista a Radio Europa Libera che lui è contrario alla proposta come lo è lo stesso Ministro della giustizia. Quest’ultimo ha poi dichiarato che “la proposta non è necessaria per regolare il problema [dell’adulterio]”. Sembra comunque inevitabile la riconferma nel nuovo codice di ampie porzioni della sharia, cioè della legge penale religiosa.

 

Florida. Tibbs uscito dal braccio della morte, divenne un valoroso abolizionista. Condannato a morte nel 1974, Delbert Tibbs fu esonerato nel 1982 e liberato senza alcun indennizzo dopo che la Corte Suprema della Florida votò a stretta maggioranza la sua innocenza. Fra gli altri si erano impegnati per la sua liberazione i cantanti folk Joan Baetz e Pete Seeger. Dopo molti anni di instancabile ed efficacissima attività contro la pena di morte, Tibbs è deceduto il 23 novembre a Chicago. Poeta ed autore di musica leggera, Delbert Tibbs impiegò tutte le sue energie percorrendo gli Stati Uniti per convincere il pubblico del grave errore costituito dalla pena di morte. Era molto conosciuto e amato dagli abolizionisti americani per il suo carattere tenero e forte allo stesso tempo.

 

Texas. 10 giorni di prigione all’accusatore scorretto, 25 anni all’accusato innocente. Un caso pressoché senza precedenti si è verificato negli Stati Uniti l’8 novembre quando un pubblico accusatore del Texas, Ken Anderson, si è beccato una condanna per ‘condotta scorretta’ in un processo. C’è da essere soddisfatti anche se, come osserva il New York Times, la sentenza di 10 giorni di reclusione inflitta ad Anderson ‘è offensivamente breve’ in confronto a quella di Michael Morton che fu condannato all’ergastolo nel 1987 e passò 25 anni in prigione per colpa sua. Infatti Anderson nascose le prove che scagionavano Morton: quando il giudice gli ordinò di produrre tutte le prove in suo possesso che propendessero per l’innocenza dell’accusato, Anderson consegnò solo alcune carte di nessuna importanza. Anderson, che da allora ha fatto carriera diventando giudice, si è ora difeso obiettando che l’ordine impartitogli nel 1987 non era… scritto su carta. Morton fu giudicato colpevole di aver picchiato a morte sua moglie Christine. Da allora il poveretto ha sempre proclamato la propria innocenza finché, nel 2010, i test del DNA dimostrarono irrefutabilmente che egli non era stato l’assassino della consorte. Prima che una corte annullasse la condanna di Morton nel 2011, i suoi avvocati hanno affermato non solo la sua innocenza ma anche la colpevolezza dell’accusatore Ken Anderson. Oltre alla condanna a 10 giorni di prigione Anderson si è meritato la revoca della licenza e l’espulsione dall’ordine degli avvocati, nonché 500 ore di lavoro nei servizi sociali. I casi in cui gli avvocati accusatori, violando impunemente la Costituzione degli Stati Uniti, si comportano in maniera scorretta pur di ottenere una condanna, sono purtroppo frequenti.

 

Questo numero è aggiornato con le informazioni disponibili fino al 30 novembre 2013

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