top of page

FOGLIO DI COLLEGAMENTO  INTERNO

DEL COMITATO PAUL ROUGEAU

Numero 185 -  Novembre 2010

30 novembre – Città per la Vita

SOMMARIO:

 

1) Doppia esecuzione: è una punizione crudele e inusuale?          

2) Una luce in fondo all’allucinante vicenda di Tommy Zeigler   

3) Pentotal omicida prodotto in Italia                    

4) Tra i nuovi governatori: quello della California lascia sperare

5) Pressioni interne ed estere per salvare la vita di Tareq Aziz   

6) Aasia condannata a morte per blasfemia in Pakistan   

7) Si articola nella massima confusione il caso di Sakineh            

8) Prima approvazione della risoluzione per la moratoria           

9) Il 30 novembre “Cities for Life” ha toccato 1300 città

10) “Devo proprio esercitare la mia pazienza”                 

11) Gli uomini ombra  recensione di Grazia Guaschino     

12) Notiziario: Georgia, Regno Unito, Sudan, Usa

 

 

1) DOPPIA ESECUZIONE: È UNA PUNIZIONE CRUDELE E INUSUALE?

 

Il 15 settembre del 2009 Romell Broom è stato torturato invano per due ore nel tentativo di ottenere un accesso venoso per l’iniezione letale. Ora la Corte Suprema dell’Ohio ha respinto il ricorso presentato dagli avvocati di Broom, tendente a scongiurare un secondo tentativo di ucciderlo con l’iniezione letale.

 

Il 1° dicembre la Corte Suprema dell’Ohio – stato che usa largamente la pena di morte, superato negli USA solo dal Texas - ha respinto senza commento un ricorso di Romell Broom, l’unico condannato sopravvissuto ad un’esecuzione negli Stati Uniti nel periodo attuale della pena di morte, cominciato nel 1976.

Romell Broom era stato torturato invano per due ore nella ‘casa delle morte’ di Lucasville il 15 settembre 2009 stante l’incapacità dei boia di ottenere un accesso venoso adatto all’iniezione letale (v. n. 172). I suoi avvocati avevano sostenuto che sottoporre un essere umano a doppia esecuzione capitale costituirebbe una punizione crudele e inusuale e pertanto proibita dalla Costituzione USA. Gli avvocati avevano scritto nel ricorso presentato a settembre di quest’anno: “La sua sentenza capitale non può essere più eseguita con nessun mezzo o metodo senza violare di fatto i diritti costituzionali ed egli deve essere rimosso dal braccio della morte e spostato nel sistema penitenziario ordinario dell’Ohio.”

Ora il caso di Romell Broom rimane aperto soltanto a livello federale. Ad agosto il giudice federale distrettuale Gregory Frost ha concesso al condannato la facoltà di contestare la liceità costituzionale di una doppia esecuzione.

Ci domandiamo se verrà mai data luce verde alla seconda esecuzione di Romell Broom (che il governatore Ted Strickland aveva addirittura programmato una settimana dopo il primo tentativo fallito).

E’ vero che ciò costituirebbe una mostruosità, ma forse un incremento di mostruosità non decisivo rispetto alla mostruosità intrinseca alla pena di morte.

Non è detto che sia cambiato qualcosa dopo il 1947, anno in cui il giovanissimo Willie Francis  fu ‘giustiziato’ – con il beneplacito della Corte Suprema - un anno dopo essere stato torturato invano sulla sedia elettrica dello stato della Louisiana.

 

 

2) UNA LUCE IN FONDO ALL’ALLUCINANTE VICENDA DI TOMMY ZEIGLER

 

A Tommy Ziegler, condannato a morte in Florida nel 1975, giunto al termine dell’iter giudiziario, è stato concessa inaspettatamente un’udienza sulle prove del DNA che potrebbero infine scagionarlo.

 

Nel 2001 insieme al Coordinamento “Non uccidere” ci siamo fortemente mobilitati in favore di Tommy Zeigler, giunto praticamente al termine del normale iter degli appelli e sul punto di essere ‘giustiziato’ in Florida. Abbiamo poi continuato a seguire la sua allucinante vicenda giudiziaria mentre le luci si attenuavano sul suo caso ed egli invecchiava nel braccio della morte.

Ricordiamo che William Thomas Zeigler Jr., detto “Tommy”– che ora ha 65 anni - è accusato di aver ucciso la moglie, i suoceri e un impiegato del suo negozio la vigilia di Natale del 1975 e… di essersi sparato una pallottola di grosso calibro nel ventre per simulare un’aggressione (v. nn. 83, 88, 98, 105, 109, 111, 124, 149, Notiziario, 176)

La bella notizia è che il 1° novembre è stata concessa a Tommy un’udienza sulle prove (evidentiary hearing): verranno esaminati in aula i risultati degli ulteriori test del DNA da lui richiesti. Infatti l’esito di una prima serie di prove biologiche era stato a lui favorevole ma non sufficiente ad assicurargli un nuovo processo. I risultati dei test, resi noti nel 2003,  avevano messo in crisi la ricostruzione dei fatti con cui l’accusa ottenne la sua condanna a morte, ma il giudice di contea Reginald Whitehead sentenziò nel 2005 che “anche se le asserite nuove prove risultanti dai test del DNA fossero state ammesse al processo,”  non vi era “una ragio­nevole probabilità che l’accusato sarebbe stato assolto.”

Dato l’atteggiamento ostile del giudice Whitehead, è stata una piacevole sorpresa l’attuale risposta positiva della corte della contea di Orange alla richiesta avanzata di Zeigler a fine agosto del 2009 di sottoporre a esami del DNA un gran numero di campioni prelevati dalla scena del crimine non ancora sottoposti a test. Si trattava praticamente dell’ultima carta valida da tentare dopo che nel 2007 anche la Corte Suprema della Florida aveva confermato il rifiuto del giudice Whitehead di ordinare un nuovo processo per Tommy Zeigler.

Contro la concessione dei test si era battuto l’accusatoreJeff Ashton. In un documento inviato al giudice Reginald Whitehead nel gennaio scorso egli scriveva rabbiosamente: “Per più di tre decenni, questo condannato ha mentito, ha corrotto, si è dimenato, si è contorto ed ha fatto di tutto per evitare di pagare il prezzo dei sui crimini, questa è solo l’ultima di una lunga serie di macchinazioni”.

“Se i risultati dei test confermeranno la tesi dello stato, dissiperanno il dubbio che un uomo sia stato ingiustamente imprigionato per così  tanto tempo,” si legge nella richiesta avanzata pacatamente l’anno scorso da Zeigler a Whitehead. “Ma se i risultati confermano la mia innocenza, come io prevedo, le prove potranno essere usate per mettermi finalmente in libertà.”

I nuovi test del DNA richiederanno tempo e la nuova udienza concessa a Tommy Zeigler non si potrà tenere tanto presto. Passeranno parecchi mesi o forse anni. Ma almeno una luce si intravede in fondo alla lunga strada buia di Tommy.

 

3) PENTOTAL OMICIDA PRODOTTO IN ITALIA

 

La reazione delle organizzazioni della società civile e del governo italiano probabilmente impedirà che il Pentotal prodotto in Italia venga esportato negli Stati Uniti per essere utilizzato nelle iniezioni letali.

 

Possiamo affermare con sicurezza che le esecuzioni portate a termine negli USA nel 2010 saranno meno di 50. Nei mesi scorsi si prevedeva per il corrente anno un numero di esecuzioni negli USA all’incirca uguale a 52, come nel 2009.

La causa delle esecuzioni mancate è la crescente penuria di Pentotal (o Pentothal o Sodium Thiopental), narcotico ultra rapido utilizzato nelle iniezioni letali. Venendo a mancare Pentotal di produzione nazionale, hanno avuto una certa efficacia i ricorsi dei condannati tendenti ad ostacolare l’impiego di Pentotal di importazione. Problemi connessi con la scarsa disponibilità del farmaco si sono avuti almeno in Arizona, California,  Kentucky, Ohio, Oklahoma e Tennessee.

A novembre si è saputo che, in mancanza di una serio intervento del nostro governo, potrebbe essere proprio l’Italia a riportare a pieno regime la macchina della morte negli Stati Uniti che sta perdendo colpi.  

Ricordiamo che la crisi è conseguita dal fatto che il Pentotal – ancora parte dei tradizionali rigidi protocolli di esecuzione ma oramai abbandonato in campo medico perché sostituito dal più sicuro e maneggevole Propofol – veniva ormai prodotto in piccole costosissime quantità dalla casa farmaceutica Hospira Inc. con sede a Lake Forest in Illinois. Difficoltà produttive e motivi di razionalizzazione industriale hanno indotto la Hospira Inc. ad interromperne la produzione nel secondo semestre del 2010, forse temporaneamente, forse definitivamente.  La Hospira, che è un’azienda multinazionale,  ne ha però organizzato la produzione in una consociata estera, in un paese inizialmente non specificato…   

Come abbiamo scritto nel n. 184, alcuni stati USA in procinto di fare esecuzioni con l’iniezione letale tra ottobre e dicembre si sono riforniti segretamente all’estero (non senza incontrare difficoltà).  E’ risultato ad esempio che l’Arizona si è rifornita presso l’industria inglese Archimedes Pharma UK ed ha ‘giustiziato’ con Pentotal inglese Jeffrey Landrigan il 26 ottobre (v. n.184). Ma a fine novembre la Corte Suprema dell’Arizona si è rifiutata di fissare la data di esecuzione per un altro condannato, Daniel Wayne Cook, fino a che lo stato non avesse chiarito esaurientemente come ha ottenuto il Pentotal che intende utilizzare. L’Oklahoma ha esplorato la possibilità  di sostituire il Pentotal con il Pentobarbital, un barbiturico utilizzato nell’eutanasia degli animali e, nel Nord Europa, per i ‘suicidi assistiti’…

L’organizzazione umanitaria inglese Reprieve, diretta dal famoso avvocato penalista Clive Stafford Smith che ha difeso brillantemente perfino alcuni prigionieri di Guantanamo, il 30 novembre ha ottenuto che il Ministro per il Commercio inglese Vince Cable  - inizialmente molto restio ad intervenire  – impedisse l’esportazione del Pentotal dall’Inghilterra negli USA.

Chiuso il rubinetto inglese, Reprieve e Nessuno tocchi Caino hanno denunciato che il farmaco per le esecuzioni veniva comunque prodotto dalla Hospira Spa con sede a Liascate in provincia di Milano già da metà novembre e sarebbe stato esportato negli USA a partire da gennaio.

Stupefacente la reazione di Giuseppe Riva, amministratore delegato della Hospira Spa: “ E’ un problema tutto americano: non riguarda i nostri stabilimenti. Il Sodium Thiopental viene prodotto per gli interventi chirurgici. L’uso per la pena capitale è improprio e avviene solo negli Stati Uniti. E comunque, non riguarda l’esecuzione ma la fase della preparazione del condannato. E’ usato come anestetico: se noi smettessimo di fornirlo, lo farebbero altri”  ha dichiarato Riva. “Chi produce coltelli da cucina è responsabile se poi qualcuno li utilizza per uccidere?”.

Insomma, per Riva, pecunia non olet. Secondo lui sarebbe cosa ottima fare buoni affari vendendo una sostanza che viene oramai usata solo per le esecuzioni ed ha raggiunto un prezzo proibitivo. Costa circa 5.000 dollari la quantità di Pentotal impiegata in ciascuna iniezione letale, in barba a quanto dichiarato nel sito dell’amministrazione carceraria del Texas: in tutto 86 dollari e 8 centesimi per i tre farmaci necessari per ammazzare una persona.

Il 2 dicembre, in conferenza stampa, il presidente dei Verdi, Angelo Bonelli,  e il segretario di Nessuno tocchi Caino, Sergio D’Elia, hanno reso noto di aver presentato un esposto alla Procura della Repubblica di Milano. “Se i vertici della Hospira Spa di Liscate - ha scritto D’Elia - avessero la consapevolezza che il farmaco inviato/da inviare negli Stati Uniti fosse utilizzato per uccidere delle persone [...] dovrebbero rispondere del reato di concorso in omicidio [...]”.

 

 

4) TRA I NUOVI GOVERNATORI: QUELLO DELLA CALIFORNIA LASCIA SPERARE

 

La riconferma del governatore Rick Perry in Texas, nelle elezioni di medio termine, è una brutta notizia per gli abolizionisti, i quali in compenso sperano nel  nuovo governatore della California, Jerry Brown.

 

Nelle elezioni di medio termine tenutesi all’inizio di novembre negli Stati Uniti, ha ricevuto la conferma Rick Perry, governatore forcaiolo del Texas, e sono cambiati i governatori in altri tre stati importanti per quanto riguarda la pena di morte : California,  Florida e Ohio.

Evidentemente ai Texani piace Rick Perry come era piaciuto il suo predecessore George W. Bush. Perry ha battuto ampiamente il record negativo di Bush, che aveva lasciato procedere in Texas 152 esecuzioni capitali senza intervenire. Egli ha lasciato uccidere finora più di 220 condannati – alcuni dei quali forse innocenti, come Cameron Todd Willingham (v. n. 184 e nn. ivi citati ) - ed ha concesso una sola grazia, commutando la sentenza capitale del nostro amico Kenneth Foster (*).

Tra i nuovi governatori, che entreranno in carica nel mese di gennaio, uno solo lascia ben sperare gli abolizionisti. Si tratta di Jerry Brown, che in California succede ad Arnold Schwarzenegger. I giornali dicono che Schwarzenegger sarà ricordato per aver lasciato uno spaventoso deficit statale. Noi ricordiamo il suo favore per la pena di morte e di essere stato incline, per fortuna senza successo, all’aumento del ritmo delle esecuzioni in uno stato che ha un enorme braccio della morte ma ha ‘giustiziato’ solo 13 persone dal 1976. Ricordiamo che il “terminator” hollywoodiano lasciò uccidere Stanley “Tookie” Williams, un detenuto modello completamente ravveduto, ignorando petizioni firmate da 60 mila concittadini, nonché il nativo americano Clarence Ray Allen, “Orso che corre”, anche lui ravveduto, anziano, ridotto dal diabete, quasi cieco, su una sedia a rotelle (v. nn. 134, 135).

Il nuovo governatore Jerry Brown, che è stato già governatore dal 1975 al 1983, si distinse per la sua opposizione alla pena di morte nel periodo in cui questa lugubre istituzione riprendeva fiato negli USA dopo la moratoria di 10 anni.  Sostenendo che il bando della pena capitale avrebbe portato la California “ad un più elevato livello di coscienza”, tentò di opporsi alla reintroduzione della pena di morte emettendo il suo veto nel 1977 e nominò un Giudice capo nella Corte Suprema che poi fu rimosso perché commutava sistematicamente ogni condanna capitale.

Recentemente comunque l’opposizione attiva di Jerry Brown alla pena di morte è cessata, in conseguenza di un suo nuovo incarico. Nel 2006 per diventare Attorney General (Ministro della Giustizia) della California, egli dovette promettere di applicare la legge dello stato e il suo ufficio recentemente ha agito per por fine alla moratoria delle esecuzioni generata dalla discussione sulla costituzionalità dell’iniezione letale.

Il nuovo governatore della Florida, Rick Scott, nel programma elettorale ha specificato di essere favorevole alla pena di morte “per i delinquenti più odiosi”, una formula standard usata dai politici che non hanno molto da dire in merito ma vogliono conformarsi il più possibile al sentire dell’uomo della strada. Speriamo che Scott si dimostri migliore del suo immediato predecessore, Charlie Crist, nonché del governatore ancora precedente, Jeb Bush. Due governatori forcaioli che, per fortuna, non sono riusciti a dare un contributo significativo allo sfoltimento del braccio della morte della Florida.

Colui che potrebbe contribuire ad aggravare la già grave situazione del proprio stato, l’Ohio, superato solo dal Texas per numero di esecuzioni capitali, è il nuovo governatore John Kasich, un repubblicano che succede al democratico Ted Strickland.

Ci domandiamo che cosa farà Kasich, se lo stesso Strickland, che pure si era detto personalmente contrario alla pena capitale, si è perfettamente adeguato al recente forte incremento del ritmo delle esecuzioni in Ohio.

Ted Strickland nel febbraio del 2009, quasi a scusarsi di concedere clemenza a tale Jeffrey Hill, chiarì che a pesare in favore di Hill era stata la richiesta unanime della famiglia della vittima, che coincide con la famiglia del condannato, di risparmiarlo. Ma ad agosto dello stesso anno egli rifiutò la grazia ad un altro condannato, Jason Getsy,  che pure gli era stata raccomandata dalla Commissione per le grazie (vedi, nel n. 171, “Legal Lynching”).

Ricordiamo inoltre che Strickland, costretto ad interrompere l’iniezione letale di Romell Broom il 15 settembre del 2009 - dopo che questi era stato torturato per due ore nel tentativo infruttuoso di ‘trovargli la vena’ – intendeva lasciar procedere  l’esecuzione una settimana dopo con il condannato ancora sotto shock (v. art. precedente “Doppia esecuzione…”)

Ma il nuovo governatore John Kasich ha tutte le credenziali per far peggio di Strickland. Kasich, forse inasprito dalla perdita dei genitori in un incidente stradale, abbandonò la religione e divenne man mano un politico repubblicano, uno scrittore, un commentatore televisivo, vieppiù conservatore su tutte le questioni sociali. Per quanto riguarda i problemi criminali, ricordiamo soltanto che egli – come deputato federale – votò: “no” al finanziamento di provvedimenti alternativi alla detenzione, “sì” ad un aggravamento della repressione penale dei crimini giovanili, “no” al mantenimento del diritto all’habeas corpus negli appelli dei condannati a morte, “sì” a rendere gli appelli federali più difficili per i condannati a morte, “no” alla sostituzione della pena di morte con l’ergastolo. Egli naturalmente votò perché ci siano più prigioni e una pena di morte più incisiva.

________________________

(*) V. n. 152. Oltre a quella di Foster, Perry ha commutato altre sentenze capitali ma in conseguenza di decisioni giudiziarie.

5) PRESSIONI INTERNE ED ESTERE PER SALVARE LA VITA DI TAREQ AZIZ

 

L’atteggiamento del presidente dell’Iraq, Jalal Talabani, e più ancora le pressioni internazionali potrebbero salvare la vita di Tareq Aziz, ex Vice Primo Ministro e Ministro degli Esteri nel regime di Saddam Hussein, che è stato condannato a morte dal Tribunale Speciale iracheno il 26 ottobre scorso.

 

Le rozze, orribili esecuzioni di Saddam Hussein e di tre suoi collaboratori  nell’Iraq ‘liberato’ (ultimo ad essere impiccato nel gennaio scorso, è stato Ali Hassan al-Majid, soprannominato “Ali il Chimico”, v. n. 176) hanno suscitato indignazione e irritazione crescente in ambito internazionale. 

La condanna a morte di Tareq Aziz, ex Vice Primo Ministro e Ministro degli Esteri iracheno, ‘volto presentabile’ del regime di Saddam Hussein, emessa dal Tribunale Speciale iracheno il 26 ottobre, ha fatto piovere sulle autorità di Baghdad richieste di grazia da tutto il mondo, con un’unica eccezione rilevante, quella degli Stati Uniti di Barack Obama (v. n.184).

Dopo tre settimane il presidente iracheno Jalal Talabani ha chiarito di non essere disposto a firmare il previsto ordine di esecuzione di Tareq Aziz.

Al momento della presa di posizione di Talabani, che risale al 17 novembre, anche l’arcivescovo cristiano caldeo di Kirkuk, Mons. Louis Sako, si è schierato nettamente per la salvezza di Aziz e degli altri condannati a morte. “La pena capitale è un’offesa alla persona umana. Chi ha il diritto di prendere la vita di una persona? Non lo dico perché l’ex vice presidente Tareq Aziz è un cattolico, ma perché la pena di morte è un’assurdità in sé. La comunità internazionale ha il dovere di chiedere a tutti i governi la sua abolizione.”  Mons. Sako ha sottolineato il sia pur lento cammino verso la democrazia dell’Iraq citando le elezioni, la libertà di espressione, i media, i viaggi all’estero… “E ora dobbiamo abolire la pena di morte. Questo ci farà progredire verso la democrazia e la riconciliazione, specialmente perché Aziz e gli altri non rappresentano un pericolo per la sicurezza nazionale. Essi possono semplicemente rimanere in prigione”. “Le sentenze di morte – ha concluso l’arcivescovo – sono atti di vendetta, un segno di debolezza dello stato, una iniziativa non consona al nuovo Iraq. Prego e spero che queste sentenze non vengano eseguite.”

Anche per merito dei Radicali di Marco Pannella, il nostro Ministro degli Esteri Franco Frattini il 26 novembre ha annunciato di essere in procinto di richiedere alle autorità irachene “un gesto di clemenza” nei riguardi di Tareq Aziz.     

All’inizio di dicembre la situazione di Aziz si presenta estremamente confusa ed è impossibile fare previsioni sulla sopravvivenza del condannato.

Il rifiuto di controfirmare l’ordine di esecuzione da parte del presidente Talabani, notoriamente contrario alla pena di morte, non sarebbe un grosso ostacolo all’eliminazione di Aziz. Infatti, al posto di Talabani, potrebbe firmare uno dei due vice presidenti (come avvenne ad esempio nel caso di Saddam Hussein), e perfino in mancanza di una firma presidenziale l’esecutivo potrebbe procedere comunque all’impiccagione di Aziz.

La questione cruciale, difficile da valutare, è la reale disponibilità dell’esecutivo guidato dal forcaiolo e vendicativo Nouri al-Maliki ad ascoltare le suppliche provenienti da ogni dove e a concedere, in qualche modo, clemenza.

Al momento attuale non è chiaro nulla neanche riguardo all’appello automatico contro la sentenza di morte di Aziz che dovrebbe essere presentato all’apposita Commissione di nove giudici deputata alla revisione delle sentenze emesse dal Tribunale Speciale iracheno (1).

Il 27 ottobre, giorno seguente a quello della sentenza capitale contro Tareq Aziz, Giovanni Di Stefano, un eclettico ed eccentrico avvocato anglo-italiano, asserendo di far parte del team difensivo del condannato, ha dichiarato ai media che la difesa non avrebbe presentato appello contro la condanna a morte. Si sarebbe piuttosto rivolta all’Alto Commissario per i Diritti Umani delle Nazioni Unite e alla Commissione Inter-americana per i Diritti Umani. Di Stefano ha anche affermato di voler contestare agli Stati Uniti il patto che l’amministrazione Bush avrebbe segretamente stipulato con Tareq Aziz al momento in cui questi si consegnò: immunità in cambio di informazioni riguardo a Saddam Hussein.

L’attendibilità delle dichiarazioni di Di Stefano va verificata perché non sembra che sia possibile per il condannato rinunciare all’appello automatico davanti alla Commissione di nove giudici, anche perché la pubblicazione della sentenza d’appello è un passo essenziale verso l’esecuzione: dà inizio al periodo di 30 giorni nel quale deve essere eseguita la sentenza.

Ad appesantire la situazione di Tareq Aziz, il  29 novembre è arrivata un’altra condanna, questa volta il Tribunale Speciale iracheno gli ha inflitto10 anni di carcere per aver perseguitato i Curdi sciiti durante la guerra Iraq-Iran degli anni Ottanta. Nello stesso processo sono stati condannati a morte tre coimputati, che ricoprirono elevati incarichi nel regime di Saddam: Sa’doun Shakir, Ministro degli Interni dell’Iraq negli anni Ottanta, Mizban Khuder Hadi e Aziz Salih al-Noaman. Sa’doun Shakir aveva già collezionato una precedente condanna a morte, insieme a Tareq Aziz, il 26 ottobre, e Mizban Khuder Hadi ne aveva ricevuta una il 1° agosto.

Se non vi saranno eccezioni, l’iter giudiziario di Aziz e degli altri condannati a morte eccellenti si dovrebbe concludere nel giro di mesi. Nel caso di Saddam Hussein la sentenza di morte pronunciata dal Tribunale Speciale il 5 novembre 2006, fu confermata dalla Commissione di nove giudici il 26 dicembre successivo ed eseguita il giorno 30.

Certamente gli altri condannati eccellenti, meno noti e meno sostenuti dall’estero, rischiano il collo a breve assai più di Aziz (2).

________________________

(1) Tale commissione è denominata “Camera d’Appello”.

(2) I condannati a morte dal Tribunale Speciale iracheno ancora in vita sono meno di una decina.

 

 

6) AASIA CONDANNATA A MORTE PER BLASFEMIA IN PAKISTAN

 

Aasia Bibi, una donna cristiana condannata a morte per blasfemia nel Pakistan musulmano, si salverà per intervento del presidente Zardari, a meno che non subisca aggressioni e il linciaggio in carcere.

 

Nei media di tutto il pianeta si è levato un grande clamore subito dopo l’8 novembre, giorno in cui è stata pronunciata la condanna a morte per blasfemia di Aasia Bibi in Pakistan.

Una descrizione accurata e del tutto plausibile del caso di Aasia è contenuta in un’azione urgente del 18 novembre di Amnesty International USA: L’8 novembre Aasia Bibi, 45-enne madre di cinque figli, è stata condannata a morte per aver insultato il Profeta Maometto. Fu arrestata nel giugno del 2009 nella provincia pakistana del Punjab. Allora lavorava in una fattoria e le fu chiesto dalla moglie di un anziano del villaggio di andare ad attingere acqua potabile. Alcune contadine musulmane avrebbero rifiutato di bere, dicendo che era sacrilego e ‘sporco’ accettare acqua da Aasia che non era musulmana. Al ché Aasia Bibi, offesa, domandò: “Non siamo tutti esseri umani?” La frase scatenò un alterco. Le donne andarono a dire a Qari Salim, il chierico locale, che Aasia aveva fatto apprezzamenti offensivi riguardo al Profeta Maometto. Il chierico informò la polizia locale che procedette all’arresto di Aasia, anche per evitare il rischio di un linciaggio.

Aasia Bibi, che nega tutte le accuse, è detenuta in isolamento da giugno del 2009.

La condanna a morte di Aasia, cristiana in un paese al 95% islamico, ha mosso una valanga di appelli verso le autorità del Pakistan. Anche il papa Benedetto XVI si è espresso pubblicamente per la liberazione di Aasia.

Rispondendo agli appelli internazionali, il 19 novembre il presidente pakistano Asif Ali Zardari ha annunciato un suo provvedimento di grazia in favore di Aasia. Poi - anche in conseguenza delle dimostrazioni di piazza contro il governatore della provincia del Punjab, Salman Taseer, che si è schierato nettamente in favore della condannata - ha precisato che interverrà, se sarà necessario, solo dopo la conclusione dell’appello presentato dall’avvocato difensore di Aasia all’Alta Corte di Lahore.

Secondo Amnesty USA, la sventura di Aasia è singolare ma per i non musulmani in Pakistan il rischio di aggressione, di tortura e di esecuzione extragiudiziale è elevato: “Molti accusati o sospettati di blasfemia sono stati aggrediti o torturati. Alcuni detenuti con l’accusa di blasfemia sono stati uccisi dagli altri detenuti o dalla guardie carcerarie. Altri sospetti di blasfemia, ancorché non arrestati, sono stati uccisi illegalmente senza che la polizia facesse nulla per proteggerli.”

Insomma, Aasia rischia più il linciaggio che il cappio regolamentare.

 

 

 

7) SI ARTICOLA NELLA MASSIMA CONFUSIONE IL CASO DI SAKINEH

 

E’ difficile seguire lo svolgersi dell’intricatissimo iter giudiziario di Sakineh Mohammadi Ashtiani condannata a morte in Iraq, e i continui colpi di scena in un caso giudiziario altamente politicizzato.

 

Tutti, nel mondo, si vergognano, magari inconsapevolmente, della pena di morte.

Che la pena di morte sia vergognosa è dimostrato dal fatto che viene usata come arma di propaganda politica, anche dai paesi che la praticano, per screditare gli avversari.

Ciò si è visto in maniera chiarissima nei casi di Teresa Lewis, condannata a morte negli USA, e di Sakineh Mohammadi Ashtiani, condannata a morte in Iran (1). I casi delle due donne, entrambe accusate di uxoricidio e di relazioni extraconiugali multiple, sono stati usati dall’Occidente e dal regime iraniano per denigrarsi a vicenda (v. n. 182, 183).

Teresa Lewis è stata ‘giustiziata’ in Virginia il 23 settembre. Questo è stato un punto a favore dell’Iran e forse anche uno dei motivi per cui Sakineh Mohammadi Ashtiani è ancora viva.

Sakineh è ancora viva ma sul suo caso aumenta a dismisura la confusione, probabilmente perché le schermaglie internazionali si sommano a estenuanti divergenze interne al regime.

Se non fosse per la sofferenza delle molte persone coinvolte, il caso Ashtiani potrebbe essere definito grottesco. Come avviene dall’estate scorsa, su di esso negli ultimi due mesi si sono susseguite notizie contraddittorie, alcune sicuramente false, provenienti sia da fonti iraniane, sia da coloro che all’estero si sono autoproclamati difensori e paladini della condannata. E’ quasi impossibile e forse inutile tentare di farne un resoconto completo ma vogliamo ricordarne alcune delle più significative.

Il 10 ottobre sono stati arrestati l’avvocato difensore di Sakineh, Javid Houtan Kiyan (2), il figlio di Sakineh, Sajjad Qaderzadeh, e due giornalisti tedeschi che stavano preparando un servizio sul caso di Sakineh (la polizia ha operato gli arresti nello studio dell’avvocato). I quattro sono tuttora in stato di detenzione. Kiyan e Qaderzadeh rimangono per di più in incommunicado e privi di avvocati difensori.

All’inizio di novembre, dopo che si era sparsa la notizia, sicuramente falsa, dell’esecuzione avvenuta o imminente di Sakineh, le autorità iraniane hanno smentito e di nuovo accusato l’Occidente: “Gli Occidentali sono diventati così sfacciati da trasformare il caso di Sakineh Mohammadi Ashtiani, rea confessa, in una questione di diritti umani contro la nostra nazione.” Ha dichiarato il portavoce del ministro degli esteri Ramin Mehmanparast. “E’ diventato un simbolo della libertà delle donne occidentali ed essi vogliono spudoratamente liberarla. Così usano il suo normale caso criminale come una leva contro la nostra nazione.”

La sera del 15 novembre la TV di stato iraniana ha diffuso una nuova “confessione” di Sakineh (dopo quella videoregistrata dell’11 agosto, v. n. 182) nonché dichiarazioni auto-incriminanti di suo figlio Sajjad Qaderzadeh e dei due giornalisti tedeschi incarcerati. La voce di commentatore fuori campo ha aggiunto che l’avvocato Javid Houtan Kiyan ha ammesso di aver chiesto a Qaderzadeh di mentire. A questo proposito Malcolm Smart, esponente di Amnesty International, ha dichiarato: “Amnesty International ritiene che le dichiarazioni siano state fatte sotto coercizione e non possano essere accettate come prove. Le ‘confessioni’ televisive non devono contare nel sistema legale dell’Iran.”

_______________________

(1) I fatti per cui è stata perseguita Sakineh Mohammadi Ashtiani sono accaduti nella città di Tabriz e risalgono al 2003. Una prima condanna a morte tramite impiccagione per complicità nell’uccisione del marito era stata commutata in appello, nel 2007, in 10 anni di detenzione. La seconda condanna a morte, tramite lapidazione, per relazioni extraconiugali multiple, fu confermata in appello lo stesso anno e risulta ancora in essere anche se le autorità hanno più volte dichiarato che la donna non verrà lapidata.

(2) Il famoso avvocato Mohammad  Mostafaei, che collaborava alla difesa di Sakineh, si è dovuto nascondere ed è poi è dovuto fuggire avventurosamente in Turchia e quindi in Norvegia nel mese di agosto per evitare il carcere (v. n. 182). La moglie e il cognato di Mostafaei sono stati arrestati nel tentativo di indurre l’avvocato a consegnarsi. In seguito Mostafaei è stato condannato in contumacia a sei anni di carcere per aver “agito contro la sicurezza nazionale discutendo il caso di Sakineh Mohamadi Ashtiani con media stranieri” e per “propaganda contro il sistema.” (Amnesty denuncia che negli ultimi mesi in Iran sono aumentati gli arresti e le detenzioni di avvocati difensori).

 

 

 

8) PRIMA APPROVAZIONE DELLA RISOLUZIONE PER LA MORATORIA

 

Il numero di paesi favorevoli alla moratoria della pena di morte in seno al Terzo Comitato dell’Assemblea Generale della Nazioni Unite è salito a 107. È attesa la votazione finale prima di Natale.

 

L’11 novembre il Terzo Comitato dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha approvato la risoluzione per la moratoria universale delle esecuzioni capitali “nella prospettiva dell’abolizione della pena di morte”. L’approvazione finale della risoluzione è prevista in sessione plenaria poco prima di Natale (v. n. 184). Si tratta della terza volta che il fronte abolizionista ottiene un tale risultato. Nella prima storica tornata, quella del 2007, in Comitato votarono a favore 99 paesi, i voti favorevoli sono saliti nel 2008 a 105, quest’anno a 107.

Il fronte dei paesi ritenzionisti, che, anche a causa delle assenze, è riuscito a mettere insieme solo 38 voti contrari, ha cercato di opporsi all’approvazione della risoluzione, o almeno di attenuarne il significato. Il solito tentativo di Singapore di introdurvi il concetto che le questioni penali rientrano nella sovranità nazionale, sostenuto dagli Stati Uniti, è stato agevolmente rintuzzato.

La stampa statunitense ha trascurato l’avvenimento per non dover ripetere mestamente che gli USA si sono trovati in compagnia di paesi quali il Myanmar, la Cina, l’Iran, il Sudan, l’Egitto, l’Arabia Saudita...

Hanno cosponsorizzato la risoluzione paesi di tutte le aree geografiche tra i quali diversi che fino a non molti anni fa utilizzavano la pena di morte: Argentina, Burundi, Nuova Zelanda, Panama, Paraguay, Filippine, Timor Est, Ruanda, Mozambico e Russia.

La Comunità di Sant’Egidio si è distinta, insieme ad Amnesty International e ad altre organizzazioni della Coalizione Mondiale Contro la Pena di Morte, nell’azione di lobbying all’ONU, coronando il lavoro compiuto, in particolare, per il cambiamento della posizione della Mongolia e delle Maldive, che sono passate dal fronte contrario al fronte abolizionista. Il suo portavoce, Mario Marazziti,  ha sottolineato l’importanza di incontri bilaterali con paesi che ancora hanno la pena di morte nel loro ordinamento, di un percorso di accompagnamento legislativo e di un rapporto con le opinioni pubbliche e con i ministri della giustizia dei paesi ritenzionisti.

La risoluzione in Terzo Comitato “è il frutto di una grande sinergia, istituzionale e a livello di organizzazioni della società civile. L’Europa ha giocato un grande ruolo, e al suo interno una prova generale di politica estera unitaria ha visto in misura uguale impegnati tutti i paesi membri, in prima fila la Missione Italiana all’ONU,” si legge in un comunicato di grande soddisfazione diffuso a caldo da Marazziti.

 

 

 

9) IL 30 NOVEMBRE “CITIES FOR LIFE” HA TOCCATO 1300 CITTÀ

 

La mobilitazione della Comunità di Sant’Egidio e di altre organizzazioni abolizioniste piccole e grandi in occasione del 30 novembre, anniversario della prima abolizione del pena capitale, riesce a coinvolgere nella battaglia contro la pena di morte decine di migliaia di persone di tutte le parti del mondo.

 

Dal 2002 tutti gli anni, nella settimana che comprende il  30 novembre, anniversario della prima abolizione della pena di morte avvenuta nel 1786 nel Granducato di Toscana,  la Comunità di Sant’Egidio con la partecipazione delle maggiori organizzazioni abolizioniste facenti parte della Coalizione Mondiale Contro la Pena di Morte e di numerosissime associazioni e piccoli gruppi locali, organizza la manifestazione Cities for Life (Città per la Vita) – No Justice Without Life (Non c’è giustizia senza vita).

La manifestazione fortemente voluta da Sant’Egidio costituisce l’altra sponda di una mobilitazione universale che comincia con la giornata del 10 ottobre, giornata mondiale abolizionista scelta dalla Coalizione Mondiale Contro la Pena di Morte (v. n. 184). Ed ha caratteristiche sue proprie. Ha soprattutto il grande pregio di sforzarsi di portare all’esterno del ristretto gruppo degli ‘addetti ai lavori’ il messaggio abolizionista.  Simbolo e strumento di questo sforzo sono l’illuminazione di monumenti significativi nelle città partecipanti e il coinvolgimento delle amministrazioni locali.

Durante la manifestazione si tengono convegni, manifestazioni o semplici presenze visibili contro la pena di morte in centinaia di città di tutto il mondo.

Nel 2009 la Comunità di Sant’Egidio comunicò che le città partecipanti erano circa 1200. Quest’anno sono state più di 1300, di cui 500 italiane,  in 85 paesi di 4 continenti. Le capitali sono state 65, tra cui Washington, capitale degli Stati Uniti d’America. Eventi di una certe rilevanza si sono svolti in 35 città africane (*).

Quest’anno ha dato il via a Cities for Life un convegno tenutosi a Roma nel pomeriggio del giorno 29, con testimonianze, musiche e letture, alla presenza di parecchie centinaia di persone, cui hanno partecipato tra gli altri Neri Marcoré, Mario Marazziti, Derrick Jamison, ex condannato a morte in Ohio. E’ seguita la ormai classica illuminazione del Colosseo alla presenza del sindaco Gianni Alemanno.

Noi del Comitato Paul Rougeau siamo stati presenti a quattro eventi di Cities for Life, diversissimi tra loro per dimensioni e modalità, ma ognuno a suo modo estremamente significativo.

Abbiamo calcolato che Cities For Life ha messo in moto perlomeno 10 mila persone, che ne hanno ‘contagiate’ altre 30 mila. Una quantità molto piccola rispetto alla popolazione mondiale ma enorme rispetto a quella di ogni altra manifestazione abolizionista.

________________________

(*) V. nel sito http://www.santegidio.it/  “No alla pena di morte”

 

 

 

 

10) “DEVO PROPRIO ESERCITARE LA MIA PAZIENZA”

 

Fernando, il nostro corrispondente dal braccio della morte della California, ci ha scritto il  6 novembre questa breve lettera. In essa esprime il suo disorientamento per il fatto di non sapere come e quando evolverà il suo caso e il suo scetticismo sul comportamento del nuovo avvocato difensore che presto gli verrà assegnato d’ufficio. Ma conclude: “Il Natale si avvicina e questo periodo mi rallegra sempre :o)”

 

Spero che tutti voi stiate bene. Grazie per la vostra lettera.

Ho letto la mail di risposta dell’avvocato Ellis. Non ho mai ricevuto una seconda lettera da lui […] Tutto ciò che gli chiedevo era di darmi qualche consiglio, o magari il nominativo di qualcun altro a cui rivolgermi. Mi rendo conto adesso che ha alcuni casi del Texas di cui occuparsi, e che questo gli richiede moltissimo impegno.

Apprezzo il tempo e gli sforzi che avete speso per aiutarmi.

Ho una nuova possibilità, e cioè di scrivere alla sede dell’ACLU di San Francisco. Lo farò prossimamente.

Capisco che il tempo è dalla mia parte. Ma quanto devo aspettare ancora? Devo proprio esercitare la mia pazienza.

Abbiamo un nuovo governatore che entrerà in carica da gennaio, e lui potrebbe cambiare qualcosa riguardo alla pena di morte. Egli è stato sempre contrario alla pena capitale.

Conosco il sistema legale in vigore qui, e so che cosa fanno gli avvocati dell’accusa per vincere le cause. Il mio problema è trovare un avvocato che non mi pianti in asso.

Il mio nuovo avvocato verrà a trovarmi presto. Probabilmente mi dirà le stesse cose che mi hanno detto gli altri difensori d’ufficio che ho avuto.

Il Natale si avvicina e questo periodo mi rallegra sempre. :o)

Concludo qui per adesso. Grazie ancora per l’aiuto e il sostegno.

Un abbraccio  Fernando

 

 

11) GLI UOMINI OMBRA  recensione di Grazia Guaschino

 

Per merito della Comunità Papa Giovanni XXIII fondata da don Oreste Benzi, siamo venuti in possesso de “Gli uomini ombra e altri racconti”, un libro notevole appena uscito, scritto da Carmelo Musumeci, ergastolano autodidatta, attivista per i diritti dei detenuti (*). Grazia, che si è incaricata di scrivere la seguente recensione del libro, ne è rimasta inaspettatamente angosciata. Vi invitiamo a leggere “Gli uomini ombra e altri racconti” che ci fa “sperimentare sulla nostra pelle” il buio della detenzione e soprattutto dell’ergastolo “ostativo”, una punizione inumana e lesiva dei diritti fondamentali. Al di là del primo livello di tristezza quasi assoluta, avvertirete la luce e la speranza di chi si batte, nonostante tutto, per un mondo nuovo, più rispettoso dei diritti umani.

 

Quando mi è stato chiesto di scrivere una recensione del libro “Gli uomini ombra e altri racconti”, di Carmelo Musumeci, ho accettato volentieri, perché da molti anni ormai mi occupo di diritti umani e di detenuti ed ho creduto di poter affrontare con lucidità e moderato coinvolgimento il testo da esaminare.

Le cose non sono andate proprio così. Già da prima sapevo che la vita nelle carceri è dura e squallida, che molto spesso i condannati all’ergastolo hanno alle spalle storie tristi di infanzie rubate e di maltrattamenti, che solitudine e tristezza regnano tra le pareti delle celle, ma una cosa è “sapere” e una cosa è “sperimentare sulla propria pelle”.

Leggendo i racconti di Carmelo sono entrata con lui nel carcere,  ho vissuto con uomini disperati, ho avvertito in me il gelo della solitudine, la tortura dei giorni tutti uguali, tutti ugualmente vuoti, segnati solo da attività lugubri. Ho udito le urla, gli insulti. Ho provato il morso della fame, quella vera, interrotta solo parzialmente da pasti pessimi e insufficienti. Ho intravisto, con ansia infinita, con il cuore in tumulto, lo spiraglio di una possibile salvezza, lo spiraglio della libertà, solo per precipitare nuovamente e ancor più dolorosamente nell’abisso di violenza fisica, ma soprattutto psicologica, del carcere. Ho anche però capito il significato di amicizie silenziose e solidali, che permettono sacrifici incommensurabili, di amori travolgenti e senza speranza, di sentimenti forti e profondi, nel bene e nel male.

Carmelo Musumeci scrive in modo così coinvolgente che è impossibile non farsi attanagliare dall’angoscia, non provare tutta la compassione di cui si è capaci per questi uomini ombra, per i loro cari, e alla fine anche per i carcerieri, inariditi e privati dell’anima proprio come i loro carcerati, tutti travolti e divorati dal famelico Assassino dei Sogni.

L’Assassino dei Sogni è il carcere stesso, trasformato dall’abile penna di Carmelo in un essere vivo, tentacolare, gelido e malvagio, che avvolge e divora tutto ciò che di vivo riesce a inghiottire tra le sue mura. Le frasi di Carmelo sono molto spesso brevi, sembrano imitare il ritmo del respiro che diviene quasi affannoso mentre leggi, mentre ti immedesimi nei sogni rubati e nelle speranze tradite dei protagonisti, gli uomini ombra appunto, creature nascoste al resto del mondo e quindi dimenticabili e troppe volte di fatto dimenticate.

Sette racconti in questo libro, tutti terribili, tutti con un finale drammatico. Tutti tranne l’ultimo, in cui si intravede un barlume di speranza e di gioia, derivanti dall’amore e dal legame di amicizia che indissolubilmente lega corpo e anima di due persone, una dentro e una fuori dal carcere. Carmelo vuole trasmetterci un messaggio: solo se sapremo tendere una mano amica a queste persone altrimenti invisibili, solo se cercheremo di combattere e di far abolire la crudele e incostituzionale legge dell’ergastolo ostativo (**), potremo ridare un volto a queste persone, che quasi sempre hanno il solo grave torto di essere venute al mondo nel posto sbagliato.

Carmelo Musumeci è un condannato all’ergastolo ostativo, la sua biografia parla di un uomo intelligente e sensibile, sfortunato fin dall’inizio della vita, costretto a scelte sbagliate, ognuna conseguenza della precedente, tutte unite tra loro fino a formare la catena che ora lo tiene per sempre avvinto tra le mura del carcere di Spoleto. La sua intelligenza e il suo amore per la giustizia lo hanno portato a intraprendere un lungo e silenzioso cammino di redenzione che lo ha indotto a studiare fino a laurearsi in Giurisprudenza e a lottare dall’interno del carcere per sensibilizzare il mondo esterno sul dramma dell’ergastolo, che lui definisce “la pena di morte a gocce”.

________________________

 

(*) Carmelo Musumeci, “Gli uomini ombra e altri racconti”, Gabrielli Editori, Pagine 175, Euro 14. Il libro si può ordinare nelle librerie ma vi consigliamo di acquistarlo direttamente tramite il sito http://www.gabriellieditori.it/  oppure tramite il sito http://www.ibs.it/

(**) Ergastolo senza benefici e senza revoca inflitto per determinati crimini associativi (v. n. 182 ).

12) NOTIZIARIO

 

Georgia. Confermato: Troy Davis può appellarsi solo alla Corte Suprema. E’ stata confermata una decisione del giudice federale distrettuale William T. Moore sfavorevole a Troy Davis, condannato a morte in Georgia. Moore – che, per incarico della Corte Suprema USA, aveva tenuto un’udienza sulle prove di innocenza di Davis emerse dopo il processo e respinto l’appello di Troy Davis ad agosto – ha successivamente negato al condannato la facoltà di appellarsi alla corte immediatamente superiore, la Corte federale d’Appello dell’Undicesimo Circuito, lasciandogli aperta solo la possibilità di ritornare alla Corte Suprema (v. n. 184). Un panel di tre giudici della medesima Corte dell’Undicesimo Circuito il 4 novembre ha confermato che Davis può soltanto appellarsi alla Corte Suprema “dato che egli ha esaurito tutte le altre possibilità”. Un cancelliere della Corte Suprema ha fatto sapere ai difensori di Troy Davis che hanno tempo fino al 21 gennaio p. v. per presentare l’ultimo appello.

 

Regno Unito. Il governo risarcirà 16 torturati nell’ambito della ‘guerra al terrore’. A luglio il primo ministro inglese David Cameron ha annunciato che ci sarebbe stata un’investigazione indipendente sul contributo britannico ai maltrattamenti e alle torture dei detenuti nell’ambito della ‘guerra al terrore.’  Il 16 novembre il Governo di Sua Maestà ha reso noto di aver accettato di pagare indennizzi per milioni di sterline a 15 ex detenuti di Guantanamo ed ad un uomo ancora lì detenuto, tutti cittadini britannici. Costoro hanno accusato le agenzie di intelligence inglesi di complicità con gli Americani nelle torture praticate all’interno del sistema detentivo statunitense. Fino ad ora sia l’amministrazione di Bush che quella di Obama sono sempre riuscite ad evitare di essere portate in giudizio, sia in sede penale che civile, per le detenzioni arbitrarie, per i maltrattamenti e le torture (v. n. 183). Un editoriale del New York Times del 16 novembre ricorda che tre anni fa anche il Canada ha indennizzato un prigioniero di Guantanamo e scrive: “Alcune delle maggiori vittorie legali dell’amministrazione Obama consistono nella tutela degli esponenti governativi dell’era Bush riuscendo a tener fuori dalle corti i ricorsi avanzati dalle vittime […] di rapimento e di tortura con speciose esigenze di sicurezza, senza che nessun testimone venisse ascoltato. […] Almeno qualcuno ha ammesso l’orrenda eredità delle politiche detentive illegali di Bush.”

 

Sudan. Condannati a morte quattro minorenni. A novembre si è appeso che, tra nove condannati a morte in Sudan per rapina a mano armata e delitti contro lo stato, ci sono quattro minorenni. Si tratta di Ibrahim Shrief Yousef di 17 anni, di Abdalla Abadalla Doud e Altyeb Mohamed Yagoup, che hanno 16 anni, e di Abdarazig Daoud Abdelseed che ne ha solo 15, tutti appartenenti al movimento ribelle Giustizia ed Uguaglianza . La sentenza capitale è stata pronunciata il 21 ottobre a Khour Baskawit  nel Sud Darfur. Il Sudan è firmatario della Convenzione Internazionale dei Diritti dell’Infanzia e, di conseguenza, ha riformato il codice penale a gennaio di quest’anno aumentando l’età per essere condannati a morte che era di 15 anni. Tuttavia rimane un’ambiguità per il fatto che la legge fissa a 18 anni la maggiore età dei giovani “a meno che essi non abbiano raggiunto la maturità secondo altre leggi applicabili”.

 

USA. Condannato a 40 anni Omar Khadr, nemico combattente 15-enne in Afghanistan. Una Commissione Militare di Guantanamo, formata da sette giudici in divisa, il 31 ottobre ha condannato il giovane Omar Khadr a 40 anni di carcere per crimini collegati al terrorismo commessi all’età di 15 anni. In pratica Khadr era imputato di aver combattuto contro gli Americani che invasero l’Afghanistan subito dopo gli attentati dell’11 settembre 2001. Se gli andrà bene – in conseguenza di un patteggiamento tra accusa e difesa e per il fatto che è un cittadino canadese – il giovane potrà godere di un rilascio sulla parola in Canada fra tre anni, dopo 12 anni di detenzione.

 

Usa. Ghailani assolto da tutte le accuse di terrorismo, salvo una. Ahmed Khalfan Ghailani, primo detenuto di Guantanamo ad essere processato in una corte civile, è stato giudicato colpevole di uno solo degli oltre 280 capi di imputazione che gli erano stati contestati riguardo alla partecipazione a due disastrosi attentati dinamitardi di al-Qaeda alle ambasciate americane in Kenya e in Tanzania che nel 1998 causarono in tutto 224 morti di cui 12 americani. La sentenza è stata emessa il 17 novembre da una giuria di 12 cittadini anonimi presso la Corte federale Distrettuale di New York. Dopo un’iniziale tentativo di processare Ghailani davanti ad una Commissione Militare di Guantanamo (v. n. 159, Notiziario), il Ministro della Giustizia Eric Holder ha optato per una corte civile (v. nn. 174, 175), ha evitato di chiedere la pena di morte e di presentare la maggior parte delle prove in suo possesso, in quanto potevano essere contestate perché estratte sotto tortura nel corso della detenzione cominciata nel 2004 e svoltasi prima nei “buchi neri” della CIA all’estero e poi a Guantanamo. Le scelte di Holder hanno portato ad un esito mite: il 25 gennaio, nella fase processuale di inflizione della pena, potranno essere comminati a Ghailani 20 anni di detenzione per complicità nella “distruzione di fabbricati e di proprietà governative” relativamente all’attentato in Tanzania. In compenso l’amministrazione ha evitato il rischio che venissero alla luce e poste in discussione le pratiche crudeli, inumane e degradanti - intrinsecamente illegali - caratteristiche della ‘guerra al terrore’ così come concepita dall’amministrazione Bush e sostanzialmente recepita dall’amministrazione Obama.  Ora rimane incriminato per crimini di guerra uno solo dei 174 prigionieri ancora detenuti a Guantanamo. Cinque detenuti soltanto sono stati giudicati dalla Commissioni Militari ivi impiantate.

 

 

Questo numero è aggiornato con le informazioni disponibili fino al 2 dicembre 2010

bottom of page