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FOGLIO  DI COLLEGAMENTO  INTERNO

 

DEL COMITATO PAUL ROUGEAU

 

Numero 276  -  Ottobre 2020 

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Papa Francesco si oppone in maniera assoluta alla pena di morte

SOMMARIO:

 

1) Nell’enciclica ‘Fratelli tutti’ il Papa condanna la pena di morte

2) Bartolomeo si unisce a Francesco nel condannare la pena di morte

3) Fissate altre tre esecuzioni nella giurisdizione federale USA

4) Forte mobilitazione per salvare Pervis Payne in Tennessee

5) L’Egitto ha messo a morte 49 persone nell’arco di 10 giorni

6) Il lottatore iraniano Navid Afkari era innocente!

7) Impedito ad Amir Hossein Moradi di recarsi al funerale del padre

8) Celebrata la 18-esima Giornata Mondiale Contro la Pena di Morte

9) Notiziario: Alabama,Yemen

1) NELL’ENCICLICA ‘FRATELLI TUTTI’ IL PAPA CONDANNA LA PENA DI MORTE

 

Possiamo considerare Papa Francesco un attivo oppositore della pena capitale. Con l’enciclica Fratelli Tutti la condanna di tale pena da parte della chiesa cattolica è completa e definitiva.

 

Nella sua ultima enciclica pubblicata il 3 ottobre u. s. Papa Francesco ribadisce la sua contrarietà alla pena di morte (1) (e all’ergastolo che è “una pena di morte nascosta”).

L'enciclica di Papa Francesco, intitolata Fratelli Tutti (2), disapprova la pena di morte quale "falsa risposta… che ... in definitiva non fa altro che introdurre nuovi elementi di distruzione nel tessuto della società nazionale e mondiale". Citando l’opposizione alla pena di morte da parte di eminenti studiosi cattolici e del clero, e richiamando l'attenzione sulla possibilità dell’errore giudiziario e sull'uso improprio della pena capitale come strumento di persecuzione da parte di regimi autocratici, Francesco invita “tutti i cristiani e gli uomini di buona volontà” a lavorare per “l'abolizione della pena di morte, legale o illegale, in tutte le sue forme”.

Papa Francesco considera la sua enciclica una conseguenza diretta dell'enciclica Evangelium Vitae di Papa Giovanni Paolo II del 1995. La Evangelium Vitae condannava la pena capitale “tranne nei casi di assoluta necessità ... quando non sarebbe possibile altrimenti difendere la società”. Queste circostanze, disse all’epoca Giovanni Paolo II, “sono molto rare, se non praticamente inesistenti”.

“San Giovanni Paolo II ha dichiarato in maniera chiara e ferma che essa è inadeguata sul piano morale e non è più necessaria sul piano penale. Non è possibile pensare a fare passi indietro rispetto a questa posizione. Oggi affermiamo con chiarezza che «la pena di morte è inammissibile» e la Chiesa si impegna con determinazione a proporre che sia abolita in tutto il mondo”.

La parte dell’enciclica riguardante la pena di morte ha avuto una grande risonanza in tutto il mondo, in particolare negli Stati Uniti d’America.

Attivisti cattolici contro la pena di morte hanno salutato con gioia la dichiarazione del Papa. Krisanne Vaillancourt Murphy, direttrice esecutiva del Catholic Mobilizing Network, ha dichiarato: “Papa Francesco ha utilizzato tutto il peso dell'insegnamento della chiesa per argomentare l’opposizione alla pena capitale”. Suor Helen Prejean ha detto che l'enciclica “contribuirà a porre fine a questa indicibile sofferenza e stimolerà a vivere nella sua pienezza il Vangelo di Gesù: restaurazione della vita umana, non umiliazione, tortura ed esecuzione”.

L'enciclica, che ha la massima autorevolezza tra i documenti cattolici, ha ufficialmente posto l'abolizione della pena di morte in prima linea nell'insegnamento cattolico. La Chiesa solo di recente ha reso l'abolizione della pena capitale in tutto il mondo una sua missione ufficiale. Nel 1994, Papa Giovanni Paolo II ha chiesto un consenso della Chiesa per opporsi alla pena, e nel 2011 Papa Benedetto XVI ha chiesto personalmente la sua abolizione. Nel 2018, il Catechismo della Chiesa Cattolica è stato ufficialmente modificato per dire che “la pena di morte è inammissibile perché è un attacco all'inviolabilità e alla dignità della persona”. Fratelli Tutti fa un ulteriore passo avanti in questo insegnamento, dicendo che tutti i cattolici dovrebbero adoperarsi personalmente per l'abolizione della pena di morte.

Sebbene il tema principale dell'enciclica sia la misericordia, Papa Francesco ha inserito le sue considerazioni in opposizione alla vendetta. “Le paure e i rancori facilmente portano a intendere le pene in modo vendicativo, quando non crudele, invece di considerarle come parte di un processo di guarigione e di reinserimento sociale”, ha scritto.

Il Papa ha preso di mira direttamente l'uso della pena di morte come strumento di demagogia politica e oppressione governativa, ed ha aggiunto: “Desidero sottolineare che «è impossibile immaginare che oggi gli Stati non possano disporre di un altro mezzo che non sia la pena capitale per difendere dall’aggressore ingiusto la vita di altre persone»”.

Particolare gravità rivestono le cosiddette esecuzioni extragiudiziarie o extralegali, che «sono omicidi deliberati commessi da alcuni Stati e dai loro agenti, spesso fatti passare come scontri con delinquenti o presentati come conseguenze indesiderate dell’uso ragionevole, necessario e proporzionato della forza per far applicare la legge»”.

In alcuni settori politici e in alcuni media”, dice Francesco, “si incita alla violenza e alla vendetta pubbliche e private, non solo contro i responsabili di reati, ma anche contro coloro che sono sospettati di infrangere la legge. … C'è a volte la tendenza a fabbricare deliberatamente nemici: figure stereotipate che rappresentano tutte le caratteristiche che la società percepisce o interpreta come minacciose. I meccanismi che formano queste immagini sono gli stessi che hanno permesso la diffusione di idee razziste”.

Neppure l’omicida perde la sua dignità personale”, dice Francesco. “Il fermo rifiuto della pena di morte mostra fino a che punto è possibile riconoscere l’inalienabile dignità di ogni essere umano e ammettere che abbia un suo posto in questo mondo”.

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(1) Vedi numeri: 217; 220; 221, Notiziario; 224; 226; 236; 242; 247; 251; 252; 260. (2) L’Enciclica, un documento di 97 pagine, si può leggere in italiano qui: 

http://www.vatican.va/content/francesco/it/encyclicals/documents/papa-francesco_20201003_enciclica-fratelli-tutti.html

L’Enciclica tratta della pena di morte dal paragrafo 255 in poi.

N. B. Questo nostro articolo è stato ricavato da un articolo pubblicato in inglese dal DPIC (Death Penalty In-formation Center) e diffuso in italiano da Nessuno Tocchi Caino

2) BARTOLOMEO SI UNISCE A FRANCESCO NEL CONDANNARE LA PENA DI MORTE

 

Il patriarca della Chiesa Ortodossa, Bartolomeo di Costantinopoli, in totale sintonia con il capo della Chiesa cattolica Francesco, condanna la pena di morte ed esorta i cristiani e gli uomini di buona volontà ad impegnarsi per ottenere l’abolizione della pena capitale in tutto il mondo.

 

In un’intervista rilasciata a Vatican News il 20 ottobre u. s. il patriarca Bartolomeo di Costantinopoli, leader della Chiesa Ortodossa d’Oriente – la più grande chiesa cristiana dopo quella cattolica - si è unito alla Chiesa Cattolica nel dichiarare che la pena di morte è fondamentalmente incompatibile con l’insegnamento cristiano. Bartolomeo ha definito l’opposizione alla pena di morte “la conseguenza logica e morale” dell’adesione ai principi cristiani riguardanti la dignità umana.

La presa di posizione del patriarca è stata resa nota durante la sua partecipazione alla preghiera per la pace insieme a Papa Francesco. Gli era stato chiesto un commento dell’enciclica Fratelli Tutti e lui aveva elogiato lo scritto del papa: “Aderisco del tutto alle richieste di cambiamento avanzate da Sua Santità di rimuovere l’indifferenza e il cinismo che permeano la nostra vita in campo ecologico, politico, economico e sociale”. Il patriarca ha chiesto a tutti i popoli di lavorare per ottenere un mondo abitato da “una famiglia umana unita in cui si sia tutti fratelli e sorelle senza eccezione.”

Riguardo alla pena di morte Bartolomeo ha detto: “L’atteggiamento di una società riguardo alla pena di morte è un indicatore del suo orientamento culturale e della considerazione che ha per la dignità umana.” Ed ha aggiunto: “Il nobile sistema della cultura costituzionale dell’Europa, un pilastro fondamentale del quale è l’idea dell’amore come espressione della sua fede cristiana, ci chiede di dire che ad ogni uomo deve essere data la possibilità di pentirsi e di migliorare, anche se è stato condannato per il peggiore dei crimini.”

È pertanto una conseguenza logica e morale che chi condanna la guerra rigetti anche la pena di morte” ha detto il patriarca.

Bartolomeo ha asserito che l’enciclica Fratelli Tutti scritta da Papa Francesco costituisce un punto di non ritorno nell’opposizione della Chiesa alla pena di morte, il felice coronamento di tutta la dottrina sociale, che unisce i valori cristiani dell’amore, dell’apertura al prossimo, e della solidarietà umana.

Il patriarca Bartolomeo ha aggiunto che l’enciclica di Francesco rigetta la pena di morte quale falsa risposta che, in ultima analisi, non fa che introdurre nuovi elementi distruttivi nel tessuto delle società nazionali e della società globale. Bartolomeo esorta i Cristiani e gli uomini di buona volontà a lavorare per l’abolizione della pena di morte, legale od illegale in tutte le sue forme.

3) FISSATE ALTRE TRE ESECUZIONI NELLA GIURISDIZIONE FEDERALE USA

 

Non si ferma la macchina della pena di morte messa in moto negli Stati Uniti da Donald Trump.

 

L’esecuzione di Orlando Cordia Hall programmata per il 16 novembre

 

Il 30 settembre u. s. si è saputo che l’Attorney General degli Stati Uniti William Pelham Barr ha chiesto l’esecuzione di Orlando Cordia Hall, un nero dell’Arkansas “che fu condannato a morte dopo aver rapito, violentato e ucciso una ragazza di 16 anni nel 1994”. L’esecuzione di Hall è stata fissata per il 19 novembre p. v.

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Orlando Cordia Hall

Dalla stampa apprendiamo che nel settembre del 1994 Hall, insieme ad alcuni complici, gestiva un traffico di marijuana nei pressi di Pine Bluff nell’ Arkansas. Dopo una fallita trattativa per la droga per un ammontare di 4.700 dollari, Orlando Hall e i suoi complici si recarono ad Arlington nel Texas al domicilio di Neil Rene, l’uomo che essi ritenevano responsabile del fallimento della trattativa.

Lisa Rene, la sorella 16-enne di Neil, andò ad aprire la porta. Anche se lei era solo una spettatrice innocente, Hall e i suoi complici la rapirono. Hall violentò una prima volta la ragazza nell’auto. Poi i complici di Hall portarono la sventurata in un motel in Arkansas e la violentarono altre volte.

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Lisa Rene

Hall e i suoi complici infine trascinarono Lisa Rene in un parco dove avevano scavato una fossa. Lì essi colpirono la loro vittima con una pala, la cosparsero di carburante e la seppellirono ancora viva.

Se Orlando Cordia Hall verrà messo a morte come programmato si tratterà dell’ottava esecuzione federale dopo il ripristino della pena di morte a livello federale da parte di Donald Trump.

Da notare che cinque uomini furono processati per l’atroce uccisione di Lisa Rene e che, oltre ad Hall, fu condannato a morte tale Bruce Webster. La sentenza capitale di Bruce Webster fu poi commutata in quanto costui è stato riconosciuto disabile mentale.

L’esecuzione di Lisa Montgomery programmata per l’8 dicembre

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William Barr, Attorney General degli Stati Uniti, il 16 ottobre ha reso noto che è stata fissata per l’8 dicembre p. v la data di esecuzione della 52-enne Lisa Montgomery (nella foto). Se portata a temine la sua sarà la prima esecuzione federale di una donna dopo 67 anni. L’ultima donna messa a morte dal governo statunitense fu Bonnie Heady uccisa nella camera a gas nel 1953.

Nel 2004 Lisa Montgomery a Melvern nel Kansas disse ai suoi parenti e ai suoi amici di essere incinta nonostante il fatto che fosse stata sottoposta ad un intervento di sterilizzazione anni prima.

Nel dicembre di quell’anno ella contattò la 23-enne Jo Stinnett, incinta di otto mesi, dicendo che voleva comprare un cucciolo che costei aveva messo in vendita.

Lisa Montgomery, che aveva allora 36 anni, andò a casa della Stinnett e la strangolò. Poi con un coltello tagliò la pancia della sua vittima, si impossessò della neonata e la portò a casa sua: voleva far passare la bimba per sua figlia.

Lisa Montgomery confessò il suo crimine e fu condannata morte. Tutti gli appelli presentati dai suoi legali sono stati respinti.

Subito dopo la fissazione della data dell’esecuzione l’avvocatessa Kelley Henry che difende la Montgomery ha dichiarato che la condannata ha accettato la responsabilità del suo crimine ma che “la sua grave malattia mentale e il devastante impatto dei traumi che ha subìto nell’infanzia rendono la sua esecuzione sommamente ingiusta.”

La Henry ha dichiarato che gli abusi di cui Lisa Montgomery ha sofferto - tra i quali l’essere venduta da sua madre quando era bambina per fare sesso e una violenza di gruppo che subì da adulta – “hanno esacerbato la sua predisposizione genetica alla malattia mentale ereditata da entrambi i genitori”.

Pochi esseri umani hanno vissuto la tortura e i traumi che furono inflitti a Lisa Montgomery da sua madre malata mentale e alcolizzata”.

 

L’esecuzione di Brandon Bernard programmata per il 10 dicembre

 

Il 16 ottobre l’Attorney General degli Stati Uniti William Barr, oltre ad annunciare l’esecuzione di Lisa Montgomery per l’8 dicembre, ha annunciato l’esecuzione di Brandon Bernard per il 10 dicembre.

Robert Owen, l’attuale avvocato difensore di Brandon Bernard, obietta che, nel processo in cui Bernard fu condannato a morte per l’omicidio di Todd e Stacie Bagley, gli avvocati difensori non fecero presente alla giuria il fatto che gli stessi esperti dell’accusa lo consideravano il membro più in basso nella gerarchia del gruppo criminale. Owen ha inoltre definito “scienza spazzatura” la testimonianza prodotta dall’accusa sul fatto che Brandon Bernard costituisse un futuro pericolo per la società anche se rinchiuso in prigione. Robert Owen ha fatto presente il comportamento esemplare mantenuto dal condannato in carcere: “Ora, all’età di 40 anni, Bernard ha passato più della metà della sua vita in prigione, mantenendo una condotta esemplare. Non ha commesso neanche una singola infrazione disciplinare”. In ragione delle prove che non sono state presentate al processo e in ragione del comportamento mantenuto in carcere, ora la maggioranza dei membri ancora in vita della giuria che lo condannò a morte si oppone alla sua esecuzione.

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(1) Christopher Vialva complice di Brandon Bernard nell’omicidio di Todd and Stacie Bagley è stato messo a morte il 24 settembre u. s., vedi n. 275

4) FORTE MOBILITAZIONE PER SALVARE PERVIS PAYNE IN TENNESSEE

 

L’esecuzione di Pervis Payne condannato a morte in Tennessee è stata fissata per il 3 dicembre p. v. Payne si dichiara innocente e riceve un forte sostegno in ambienti religiosi e laici.

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Pervis Tyrone Payne nel braccio della morte del Tennessee

La data di esecuzione di Pervis Payne è stata fissata per il 3 dicembre p. v. Egli fu condannato a morte in Tennessee nel lontano 1988 dopo essere stato accusato di aver ucciso a coltellate la 28-enne Charisse

Christopher e la sua figlioletta di 2 anni a giugno del 1987 nei pressi di Memphis. In quell’occasione fu colpito anche Nicholas, il figlio di 3 anni della donna uccisa ma questi riuscì a sopravvivere alle coltellate ricevute.

Pervis Payne si è sempre dichiarato innocente sostenendo di essere arrivato sulla scena del delitto dopo aver udito delle grida e di essere rimasto scioccato dalla vista delle tre persone accoltellate. Dice che stava aspettando che la sua ragazza tornasse a casa, quando sentì delle grida provenienti dall'androne. Accorse per prestare aiuto e gli si presentò una scena orrenda: una donna e sua figlia erano state pugnalate a morte. Anche il figlio era stato ferito, ma non mortalmente.

Il quoziente intellettuale di Pervis Payne è molto basso (72 punti), vicinissimo al limite che avrebbe impedito la sua condanna a morte.

Gli avvocati di Pervis Payne hanno presentato una domanda di grazia al Governatore del Tennesse Bill Lee il 5 ottobre, chiedendo la commutazione della pena di morte in ergastolo. Ciò anche se Bill Lee non ha accolto nessuna richiesta di clemenza da parte di condannati a morte da quando è entrato in carica nel 2019 lasciando portare a termine quattro esecuzioni.

Elder Carl Payne, il padre del condannato, si fa coraggio grazie alla fede mentre aspetta i risultati dei test del DNA concessi in extremis: “Non è finita finché Dio non dice che è finita, e Dio non lo ha ancora detto”.

Si è sviluppata una forte mobilitazione in Tennessee e molte personalità si sono espresse in favore di Pervis Payne.

La mattina di domenica 18 ottobre in una dozzina di chiese si è pregato affinché venga riconosciuta la sua innocenza.

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Amy Weirich

L’accusatrice Amy Weirich ha ricordato che molte corti statali e federali, inclusa la Corte Suprema degli Stati Uniti, si sono occupate del caso di Pervis Payne e niente è cambiato. L’accusatrice ha affermato che le prove contro il condannato sono schiaccianti.

In televisione la Weirich ha dichiarato: “Non si possono cambiare i fatti, la verità riguardo al caso, la verità su quello che l’accusato ha fatto e per la quale la sua famiglia ha sofferto e ancora soffre”.

5) L’EGITTO HA MESSO A MORTE 49 PERSONE NELL’ARCO DI 10 GIORNI

 

Nel paese governato in modo dittatoriale dal presidente Abdel Fattah Al-Sisi, si intensificano le condanne a morte e le esecuzioni dopo processi iniqui.

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Abdel Fattah Al-Sisi

Il 22 ottobre Human Rights Watch ha chiesto alle autorità egiziane, responsabili dell’esecuzione di 49 persone in 10 giorni, di fermare immediatamente le esecuzioni e di riprocessare i condannati a morte.

Le esecuzioni di massa di decine di persone in pochi giorni in Egitto sono scandalose”, ha dichiarato Joe Stork di Human Rights Watch. “La sistematica assenza di processi equi in Egitto, soprattutto nei casi politici, rende ogni condanna a morte una violazione del diritto alla vita”.

Tra il 3 e il 13 ottobre le autorità egiziane hanno messo a morte 2 donne e 32 uomini condannati per reati ordinari e 15 prigionieri politici.

Tredici di questi prigionieri politici erano detenuti nel braccio della morte del carcere di Scorpion, dove alla fine di settembre quattro agenti penitenziari e quattro detenuti sono stati uccisi nel corso di una sommossa che, secondo le autorità, era una tentata evasione.

I gruppi per i diritti umani hanno messo in dubbio la possibilità di un'evasione, dato che il carcere Scorpion è uno dei più sicuri, ed hanno chiesto alle autorità di rivelare la vera causa della morte dei detenuti.

Le esecuzioni sono ritenute un avvertimento per gli altri detenuti e una rappresaglia per l'uccisione degli agenti.

Secondo un avvocato che ha parlato con la famiglia di due detenuti, i quattro prigionieri hanno ucciso gli agenti con strumenti improvvisati, dopo di che le forze di sicurezza sono entrate nel blocco e altri detenuti hanno sentito gli spari.

L'Egitto è uno dei primi dieci Paesi al mondo per esecuzioni e condanne a morte insieme a Cina, Iran e Arabia Saudita.

Dal colpo di stato del 2013, con il quale Abdel Fattah Al-Sisi ha assunto il potere, le condanne a morte sono aumentate in Egitto. Le esecuzioni vengono spesso eseguite dopo processi iniqui e di massa e confessioni ottenute con la tortura.

Niente sembra mettere in discussione la leadership del dittatore al-Sisi che continua a restringere le libertà fondamentali dei cittadini egiziani.

Dove i diritti umani e la libertà di espressione sono stati annullati, dove oppositori politici, avvocati, attivisti e giornalisti sono costretti a subire persecuzioni e ad essere incarcerati, negli ultimi mesi anche le persone in grado di influire sull’opinione pubblica sono state prese di mira. Vengono accusate di condividere materiale pornografico, di incitare alla prostituzione e di essere colpevoli di crimini morali pregiudizievoli dell’integrità del Paese.

Da anni in Egitto si sta registrando una vera e propria crisi dei diritti dell’uomo. Complice di tutto questo è anche l’inerzia della comunità internazionale (dell’Italia in particolare), che continua a ritenere al-Sisi un valido partner commerciale.

Tra condanne a morte, incidenti e torture, in Egitto i luoghi di detenzione sono un inferno. (Pupa)

6) IL LOTTATORE IRANIANO NAVID AFKARI ERA INNOCENTE!

 

Ulteriori inconfutabili prove dimostrano che l’oppositore del regime iraniano Navid Afkari, messo a morte il 12 settembre u. s., era innocente.

 

Il 14 ottobre il giornalista investigativo anglo-iraniano Potkin Azarmehr ha riferito che un nuovo testimone ha fornito ulteriori prove del fatto che il campione di lotta Navid Afkari sia stato messo a morte dal regime iraniano nonostante fosse innocente (1).

Azarmehr, noto per i suoi eccezionali servizi, attinge da fonti attendibili in tutta la Repubblica Islamica dell'Iran.

Associazioni per i diritti umani e organizzazioni sportive avevano già accusato il regime iraniano di aver incastrato Afkari.

Azarmehr ha fornito, in un resoconto molto dettagliato sul caso Afkari, la testimonianza del musulmano Rahimi, proprietario di un supermercato. Il testimone, presente all'omicidio, ha dichiarato che Afkari non fu l’assassino.

La dichiarazione del proprietario del supermercato è un’altra prova a discarico che si aggiunge ad una lunga lista di prove che dimostrano l'innocenza di Afkari.

Afkari - ha scritto Azarmehr - durante il processo ha esplicitamente negato di aver ucciso Hassan Torkaman, un informatore della sicurezza del regime, e ha sfidato il giudice a produrre il filmato delle telecamere a circuito chiuso che avrebbe documentato la sua colpa". Il giudice, Mehrdad Tahemtan, ha semplicemente risposto: "Non ne ho bisogno".

I torturatori - prosegue il giornalista - volevano che Navid confessasse di aver ucciso Hassan Torkaman e che coinvolgesse i suoi fratelli. Uno dei due fratelli di Navid, condannati a pesanti pene detentive, ha tentato due volte di uccidersi per le torture inflitte”.

Il caso di Navid Afkari è celebre perché il regime iraniano ha giustiziato il lottatore il 12 settembre all’improvviso e senza averlo sottoposto ad un equo processo.

Azarmehr ha scritto che “la pena di morte inflitta ad Afkari, da tutti condannata, aveva scatenato una campagna internazionale per salvarlo, ma alla fine egli è stato brutalmente torturato e arbitrariamente messo a morte dal regime per mandare un messaggio ai milioni di dissidenti all'interno dell'Iran.” L'Iran ha negato che la condanna a morte di Afkari sia stata emessa perché aveva partecipato alle proteste. Ha invece affermato che il campione di lotta ha ucciso un agente di sicurezza del regime, tale Hassan Torkaman, che ha preso parte alla repressione dei manifestanti a Shiraz, nell'agosto 2018.

Quando un agente della sicurezza del regime viene ucciso, il caso non può rimanere irrisolto. Bisogna trovare un capro espiatorio e cosa c'è di meglio che incolpare un manifestante? Navid è stato scelto come capro espiatorio”.

Il rapporto di Azarmehr contiene informazioni biografiche inedite sul lottatore giustiziato all’età di 27 anni. “La famiglia di Afkari, come la stragrande maggioranza degli iraniani, non ha mai avuto ciò che la rivoluzione aveva promesso. Navid ha passato l’infanzia a vendere gomme da masticare e palloncini per le strade per aiutare la famiglia a sbarcare il lunario e ha dovuto lasciare la scuola nell'adolescenza”.

Secondo il rapporto, Afkari “ha sviluppato un amore per la lotta. Ha partecipato al suo primo torneo all’età di 14 anni, piazzandosi al secondo posto a livello nazionale. I suoi riconoscimenti per la lotta sono continuati quando è stato arruolato nelle forze armate, e ha vinto la medaglia di bronzo nel torneo di lotta greco-romana delle forze armate. Dopo la fine del suo servizio, ha lavorato come stuccatore mentre si esercitava nella lotta quando poteva”.

Azarmehr ha notato che Afkari è diventato una figura di importanza nazionale in l'Iran, un eroe nazionale. “Per gli iraniani, il cappio della Repubblica Islamica al collo di Navid era una medaglia d'oro per il coraggio nella lotta contro il regime tirannico che ha soppresso i talenti e le aspirazioni del popolo iraniano negli ultimi quattro decenni.”

C'è stata una manifestazione di dolore e di condanna da parte di molti iraniani. La repressione del governo ha finora impedito proteste di massa per la persecuzione di Navid e dei suoi fratelli, ma la rabbia repressa si è manifestata in altri modi. Manifesti e graffiti che lo dichiarano eroe nazionale hanno adornato molti muri in tutto l'Iran, e migliaia di persone hanno usato l'immagine di Navid per i loro profili sui social media”.

Azarmehr ha concluso il suo articolo su Afkari così: "Ora resta da vedere se gli organismi internazionali e i governi lasceranno che la Repubblica Islamica la faccia franca dopo l'ingiusta esecuzione di Navid". (Pupa)

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(1) Vedi numero 275.

7) IMPEDITO AD AMIR HOSSEIN MORADI DI RECARSI AL FUNERALE DEL PADRE

 

Il padre del condannato a morte iraniano Amir Hossein Moradi si è suicidato per il dolore provocato dalla situazione del figlio. Poi le autorità hanno impedito al figlio di partecipaere alle sue esequie.

 

Le autorità iraniane hanno respinto la richiesta del condannato a morte Amir Hossein Moradi di partecipare al funerale di suo padre, Mohammad Moradi, che si è suicidato a causa del dolore per la situazione del figlio (1).

La sepoltura del padre era stata sospesa in modo che Amir Hossein potesse parteciparvi, ma le autorità dicono che la partecipazione del condannato non può essere organizzata per motivi di sicurezza", ha reso noto Babak Paknia, l'avvocato di Moradi, il 30 Settembre.

Temono che, se Amir Hossein fosse lì, le persone potrebbero raccogliersi intorno a lui. Hanno detto che dobbiamo procedere con il funerale e che poi il condannato avrà il permesso di visitare la tomba.”

In Iran è tradizionalmente concesso ai prigionieri di partecipare ad eventi familiari significativi. Tuttavia, questo privilegio viene spesso negato ai prigionieri politici.

Ricordiamo che Amir Hossein Moradi, Saeed Tamjidi e Mohammad Rajabi, sono stati condannati a morte per la loro partecipazione alle proteste del novembre 2019 che hanno sconvolto l'Iran (2).

La magistratura iraniana sta emettendo un numero crescente di condanne a morte per ragioni politiche poichè il malcontento è aumentato e le autorità cercano di mettere a tacere il dissenso. Il campione di wrestling Navid Afkari, che aveva partecipato alle manifestazioni antigovernative del 2018, è stato giustiziato il 12 settembre u. s.

Il Padre di Amir Hossein Moradi era sconvolto dalla prospettiva dell’ingiusta esecuzione del figlio.

Il corpo di Mohammad Moradi è stato trovato nella cantina della sua casa il 28 settembre u. s. (3).

"Fino all'ultimo momento parlava costantemente di nostro figlio. Sperava che un giorno potessero sedersi di nuovo insieme intorno al tavolo da pranzo", ha detto la madre di Amir Hossein.

"La famiglia di Amir Hossein è sotto pressione da mesi", ha ricordato l’avvocato Babak Paknia. "Naturalmente, quando tuo figlio viene condannato a morte, senti la pressione e vai fuori di testa. Per di più i tre ragazzi sono stati accusati ingiustamente di aver commesso l'omicidio".

Sapevamo che le pressioni avrebbero avuto un impatto distruttivo e negativo sulle famiglie e abbiamo conversato con loro per tranquillizzarle.

"Le condanne a morte sono state sottoposte a revisione giudiziaria, le cose stavano procedendo per il meglio perchè le autorità avevano consentito agli avvocati di essere coinvolti nel caso.

L'esecuzione di Navid Afkari ha convinto il padre di Moradi che anche suo figlio sarebbe stato giustiziato senza preavviso.

La famiglia ha cominciato a ricevere telefonate, le sono state dette bugie sul caso e, quando Navid Afkari è stato giustiziato il 12 settembre scorso, essa ha temuto che anche il loro figlio sarebbe stato impiccato senza preavviso. Erano davvero preoccupati. Li abbiamo tranquillizzati ma ancora una volta hanno ricevuto telefonate dall'estero nelle quali si diceva che le esecuzioni sarebbero state portate a termine anche se la Corte Suprema ha sospeso l’esecuzione delle sentenze. La famiglia aveva ancora molta paura e le pressioni stavano aumentando. Il mio collega è andato a casa del signor Moradi e gli ha parlato per tre ore e lo ha calmato, ma alla fine le pressioni da sopportare erano troppe per la famiglia e allora è avvenuta la tragedia.

L’avvocato Paknia precisa che le condanne dei tre giovani sono attualmente in fase di revisione da parte del Settore 1 della Corte Suprema, presieduto dal Capo della Magistratura Ebrahim Raisi.

"La revisione è quasi completa e stiamo aspettando che il caso venga deferito al Tribunale Rivoluzionario, presieduto da due nuovi giudici", ha detto.

"Almeno il giudice Salavati e il giudice Amouzadeh, che hanno emesso le precedenti condanne a morte, non si occuperanno più di questo caso, e questo ci rende ottimisti". (Anna Maria)

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(1) Vedi numero 275.

(2) Vedi: numero 268, Notiziario; numero 272, Notiziario; numero 274.

(3) Vedi n. 275

8) CELEBRATA LA 18-ESIMA GIORNATA MONDIALE CONTRO LA PENA DI MORTE

 

Nonostante le restrizioni imposte dall’incremento della pandemia di Covid-19, nel mondo si è celebrata con notevole impegno la 18° Giornata Mondiale Contro la Pena di Morte. Il tema dell’evento di quest’anno - proposto dalla Coalizione Mondiale Contro la Pena di Morte (World Coalition Against the Death Penalty) - è il diritto per tutti a una valida difesa legale: “Accesso alla difesa legale: una questione di vita o di morte”.

La Coalizione Mondiale ha fatto presente che 106 Paesi hanno abolito la pena di morte per tutti i reati; 8 l’hanno abolita per i reati meno gravi e 56 Paesi la mantengono. Nel 2019 i 5 Paesi che hanno applicato maggiormente la pena di morte sono stati: Cina, Iran, Arabia Saudita, Iraq ed Egitto.

Riportiamo qui di seguito stralci degli interventi effettuati dalle numerose associazioni abolizioniste, dai rappresentanti di alcuni Governi e da autorità civili e religiose in vari Paesi, interventi per lo più riguardanti gli stati in cui la pena di morte è ancora applicata o è auspicata dai politici di turno.

 

ARABIA SAUDITA

 

L'Organizzazione Europeo-Saudita per i Diritti Umani ha rilasciato una dichiarazione in cui si afferma: "Le carceri nel Regno dell'Arabia Saudita sono piene di detenuti che corrono il rischio di essere uccisi in qualsiasi momento. Nonostante la difficoltà di ottenere il numero preciso delle persone minacciate di esecuzione, l'Organizzazione Europeo-Saudita ha contato 53 casi di detenuti a rischio di esecuzione. La maggior parte di questi casi rientra nella categoria dei casi politici e l'Organizzazione ritiene che vi siano centinaia di minacce di morte anche nelle carceri normali, soprattutto nei riguardi di accusati di reati di droga.”

 

L'Organizzazione ha affermato: "Non è possibile fidarsi di dichiarazioni o promesse ufficiali saudite che non siano accompagnate dal rilascio immediato di prigionieri detenuti arbitrariamente e dall’annullamento delle condanne a morte conseguite a processi ingiusti, così come quelle inflitte per reati non gravi. Sottolineiamo inoltre l'importanza di risarcire le famiglie che hanno perso i propri membri arbitrariamente, assicurando loro il diritto di seppellire i propri cari".

 

CANADA

 

L'onorevole François-Philippe Champagne, Ministro degli Affari Esteri, ha rilasciato la seguente dichiarazione: "Oggi, in occasione della Giornata Mondiale Contro la Pena di Morte, il Canada ribadisce la sua forte opposizione all'uso della pena di morte in tutti i casi, ovunque. La pena capitale è un affronto crudele, disumano e degradante ai diritti umani, nonché un deterrente inefficace del crimine. La tendenza mondiale ad abbandonare la pena di morte è incoraggiante. In particolare, il Canada accoglie con favore il recente passo del Kazakistan verso l'abolizione. Continueremo a lavorare per porre fine alla pena di morte nei paesi che ancora la applicano. A tal fine, sono lieto di annunciare l'intenzione del Canada di venire a far parte della Commissione Internazionale Contro la Pena di Morte (International Commission Against the Death Penalty), un gruppo eterogeneo di 23 paesi guidato dalla Spagna. Insieme a questi e ad altri membri della comunità internazionale, ci opponiamo in ogni modo alla pena di morte”.

 

CARAIBI

 

Il presidente della Greater Caribbean for Life (GCL) ha rilasciato una dichiarazione (di cui riportiamo qui sotto uno stralcio), preceduta dalla citazione della famosa frase dell’Arcivescovo Desmond Tutu, “Non c’è giustizia nell’uccidere in nome della giustizia”.

“Sono presidente della Greater Caribbean for Life (GCL), un'organizzazione indipendente senza scopo di lucro della società civile che lavora nei Caraibi per l'abolizione della pena di morte. La GCL ritiene che la società abbia il diritto di proteggersi dalle persone che commettono crimini atroci e gli autori di reato devono essere ritenuti responsabili. Tuttavia, pensiamo che mezzi non letali siano sufficienti per difendere e proteggere la società dai delinquenti. Mentre condanniamo l'aumento della criminalità violenta nella nostra regione ed esprimiamo solidarietà alle vittime, rifiutiamo l'idea che la pena capitale agirà da deterrente o promuoverà il rispetto per la vita nelle nostre comunità. L'ultima impiccagione nei Caraibi di lingua inglese è stata il 19 dicembre 2008, quando Charles la Place è stato impiccato a St Kitts e Nevis. Anche se gli stati conservatori dei Caraibi non hanno effettuato nessuna esecuzione negli ultimi 12 anni, alcuni di essi continuano a condannare a morte”.

 

EGITTO

 

Il Consiglio per i Diritti e le Libertà di Ginevra ha condannato il comportamento dell’Egitto, che, nel fine settimana del 3 e 4 ottobre, ha messo a morte, con l’accusa di terrorismo, incitamento alla violenza e omicidio, 15 dissidenti entro 24 ore dai loro processi privi di giustizia e dominati dal sospetto di “vendetta politica”. I portavoce dell’organizzazione Fratellanza Musulmana hanno espresso le loro condoglianze ai familiari delle persone messe a morte. Il Consiglio si è rivolto alla comunità internazionale affinché si assuma le proprie responsabilità riguardo all’escalation delle aperte violazioni dei diritti umani in Egitto e adotti misure dissuasive.

 

EUROPA

 

Stralci dalla dichiarazione congiunta dell'Alto rappresentante dell'UE, Josep Borrell, e del Segretario generale del Consiglio d'Europa, Marija Pejčinović Burić:

“Oggi, in occasione della Giornata mondiale ed europea contro la pena di morte, l'Unione Europea e il Consiglio d'Europa ribadiscono la loro opposizione all'uso della pena capitale in tutte le circostanze e chiedono l'abolizione universale della pena di morte. Accogliamo con favore il continuo declino dell'uso della pena di morte, a conferma della tendenza generale verso l'abolizione universale. Nel 2019, per il secondo anno consecutivo, sono state effettuate esecuzioni in soli 20 paesi in tutto il mondo. Si tratta di un minimo storico, ma sono comunque 20 paesi di troppo. Pertanto, cogliamo questa occasione per invitare tutti i membri delle Nazioni Unite a sostenere la risoluzione su una moratoria sull'uso della pena di morte alla 75-a sessione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite che si terrà a dicembre 2020.

La Coalizione Mondiale Contro la Pena di Morte quest'anno si è dedicata al diritto a un'effettiva rappresentanza legale. La violazione di questo diritto fondamentale colpisce in modo sproporzionato i membri più vulnerabili della società, che non possono permettersi avvocati esperti o che potrebbero non avere familiarità con il sistema legale. È essenziale che i sistemi giudiziari forniscano risorse per preparare una difesa efficace, compresi servizi di traduzione e interpretariato accurati, se necessario.

[…]

Invitiamo gli Stati membri del Consiglio d'Europa che non hanno ancora aderito ai pertinenti Protocolli alla Convenzione europea dei Diritti dell'Uomo e al Secondo Protocollo opzionale al Patto internazionale sui Diritti Civili e Politici, volti all'abolizione della pena di morte, a farlo senza indugio. Il Consiglio d'Europa e l'UE esortano ancora una volta la Bielorussia, l'unico Paese europeo che ancora effettua esecuzioni, ad abolire la pena di morte e ad unirsi alla grande maggioranza delle nazioni che hanno abbandonato una volta per tutte questa pratica crudele e disumana. Chiediamo inoltre agli Stati osservatori del Consiglio d'Europa, che non hanno ancora abolito la pena di morte, di promuovere un dibattito aperto sugli ostacoli che bloccano il loro cammino verso l'abolizione. […]”

FILIPPINE

 

La senatrice dell'opposizione Leila de Lima ha ribadito, dal carcere dove si trova detenuta, la sua opposizione alla pena di morte: "Di volta in volta, sono sempre stata ferma nella mia opposizione alla pena di morte. E non mi stancherò mai di ribadire che la pena di morte è contro i poveri, che è contraria alla fede cristiana e che non è stato dimostrato che prevenga i crimini".

"Ovviamente, il presidente Rodrigo Duterte e i suoi scagnozzi cercheranno sempre una soluzione così draconiana. Nel suo quinto discorso sullo stato della nazione (SONA) lo scorso luglio, Duterte ha rinnovato la sua richiesta di reintrodurre la pena di morte anche se il nostro paese è nel mezzo di una pandemia furiosa, che ha già ucciso migliaia di persone. In parole povere, la politica principale di questo regime è quella di ‘uccidere, uccidere, uccidere’ ", ha aggiunto. "Non abbiamo bisogno della pena di morte, soprattutto con un sistema giudiziario pieno di difetti. Sarà un'ulteriore licenza per uccidere per un regime omicida che ha armato la legge contro i poveri e coloro che criticano il governo. Non espieremo mai abbastanza per le morti illecite ", ha detto. "Invece della pena di morte, di cui non abbiamo bisogno, servono misure che garantiscano l’applicazione rapida della giustizia, la certezza dell'arresto e dell’inflizione della pena.”

Anche la Commissione per i Diritti Umani ha criticato l'insistenza del presidente per riattivare la pena di morte, e ha contemporaneamente chiesto ad altri paesi, che applicano la pena capitale, di risparmiare la vita dei Filippini all'estero. In una dichiarazione, Karen S. Gomez Dumpit, presidente della Commissione per i Diritti Umani delle Filippine, ha affermato che i legislatori filippini dovrebbero riflettere sulla loro insistenza, specialmente durante la diciottesima Giornata mondiale contro la pena di morte. Le Filippine hanno sospeso la pena di morte dal 2006 ma gli alleati del presidente Rodrigo Duterte hanno continuato a spingere per il suo ripristino.

 

FRANCIA

 

Nonostante il risultato del sondaggio condotto il mese scorso, che vedeva una leggera maggioranza di Francesi favorevole al ripristino della pena di morte, il portavoce del Ministero francese per l’Europa e gli Affari Esteri ha chiarito in modo inequivocabile la posizione abolizionista della Francia, affermando, tra le altre cose, che “la Francia ribadisce la sua forte opposizione alla pena di morte ovunque e in tutte le circostanze. Invita tutti gli Stati che applicano la pena di morte a stabilire una moratoria in

vista della sua abolizione definitiva e incoraggia tutti gli stati a firmare e ratificare il Secondo Protocollo opzionale al Patto internazionale sui Diritti Civili e Politici, finalizzato all'abolizione della pena di morte.”

 

GIAMAICA

 

Il 9 ottobre l’organizzazione “Stand Up for Jamaica” ha rilasciato la seguente dichiarazione (che riportiamo in parte): “Domani, 10 ottobre, viene celebrata la Giornata mondiale contro la pena di morte. […] Circa 142 paesi, che rappresentano il 74% degli Stati membri dell'ONU, hanno già smesso di usare la pena capitale, sia rimuovendola dal proprio codice penale sia non effettuando esecuzioni per molto tempo.

La Giamaica rientra nel 2 ° gruppo: la sua ultima esecuzione risale al 1988. E la tendenza abolizionista continua, con il calo anche del numero di condanne a morte ed esecuzioni. […] Il 10 ottobre 2020 sarà dedicato al diritto a un'effettiva rappresentanza legale per le persone che potrebbero essere condannate a morte. Senza l'accesso a un'effettiva rappresentanza legale durante l'arresto, la detenzione, il processo e il periodo successivo al processo, non è possibile garantire giustizia. Le conseguenze possono fare la differenza tra la vita e la morte. Ecco perché quelli che si trovano così spesso nel braccio della morte sono coloro che non possono permettersi di pagare avvocati di prim'ordine; gli appartenenti alla classe più povera. […]”

 

IRAN

 

Ovviamente molta attenzione e aspre critiche sono state rivolte all’Iran, dove la pena di morte viene applicata largamente e senza la benché minima parvenza di giustizia. I gruppi iraniani e internazionali per i diritti umani e la libertà dei media hanno denunciato l'uso della pena capitale in Iran, il secondo boia più prolifico al mondo dopo la Cina. Reporter Senza Frontiere (RSF), con sede a Parigi, e il Centro Iraniano per la Difesa dei Diritti Umani (DHRC) hanno lanciato una campagna sui social media per "salvare le vite dei giornalisti iraniani e di altri prigionieri di coscienza". In un rapporto pubblicato l'8 ottobre, la Federazione Internazionale per i Diritti Umani (FIDH) ha affermato che l'Iran ha giustiziato almeno 251 persone l'anno scorso e altre 190 nei primi nove mesi del 2020. Definendo l'uso della pena di morte in Iran "una macchia indelebile nella storia dei diritti umani della Repubblica islamica", la FIDH ha affermato che molte delle condanne a morte sono state "emesse ed eseguite senza le necessarie procedure legali e senza il rispetto dei dovuti standard per i processi." "Il governo può compiere progressi concreti verso l'abolizione di questa pratica antiquata e brutale semplicemente rispettando i trattati internazionali a cui l'Iran è vincolato", ha detto il segretario generale della FIDH, Adilur Rahman Khan.

Il diritto penale islamico iraniano prevede la pena di morte per molti crimini. Secondo la FIDH, le donne iraniane sono soggette alla pena capitale "a causa della natura discriminatoria di diverse leggi che le riguardano direttamente". "Gli iraniani combattono da anni per la rimozione della pena di morte dal codice penale. Ora è urgente che la comunità internazionale venga in loro aiuto", ha detto Shirin Ebadi, premio Nobel per la pace e presidentessa del DHRC.

 

MALAYSIA

 

Il presidente dell’Ordine degli Avvocati della Malaysia, Salim Bashir, ha chiesto l'istituzione di una Commissione per la Riforma delle Leggi, al fine di rivedere norme e procedure di condanna obsolete. L'Ordine degli avvocati della Malaysia ha rinnovato la sua richiesta di abolire la pena di morte nel Paese, affermando che non ci sono "prove empiriche" per confermare che la pena di morte sia un deterrente per i crimini. Salim Bashir ha dichiarato che nonostante l'esistenza della pena capitale, i reati legati alla droga continuano. Ha detto che l'Ordine degli avvocati ha insistito nel chiedere l'abolizione della pena di morte negli ultimi 30 anni e continuerà ad essere un oppositore. Salim ha sottolineato che, nel dicembre 2018, la Malaysia ha espresso il suo voto finale e si è unita a un numero record di Stati membri delle Nazioni Unite a favore della risoluzione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite che chiede una moratoria sulle esecuzioni, al fine di abolire la pena di morte. Ha esortato quindi il governo a continuare a sostenere l'abolizione della pena di morte quando verrà il momento di votare nuovamente. "È della massima importanza che la Malaysia mantenga la sua reputazione e credibilità globale riaffermando e adempiendo ai suoi impegni e agli impegni internazionali", ha aggiunto.

 

NIGERIA

 

Il Progetto di Difesa e Assistenza Legale (LEDAP) ha invitato il governo federale a smettere di espandere il campo di applicazione della pena di morte. Il gruppo ha affermato di aver trovato un numero crescente di persone sottoposte a processo per reati capitali in Nigeria, a causa del fatto che più reati sono stati prescritti come tali. "Ad esempio, non meno di 8 Stati nigeriani hanno prescritto la pena capitale per sequestro di persona, mentre i 12 Stati che hanno adottato il codice penale della Sharia prescrivono la pena di morte per reati sessuali e altri reati come l'adulterio", ha scritto il LEDAP in una dichiarazione firmata.

 

SRI LANKA

 

‘La loro morte ci darà sicurezza: sfatare i miti sulla pena di morte’, questo il tema trattato in Sri Lanka da Ambika Satkunanathan, che ha fatto parte della Commissione per i Diritti Umani dello Sri Lanka dall’ottobre 2015 a marzo 2020. Riportiamo alcuni brani del suo discorso: “I prigionieri del braccio della morte vivono in celle e reparti che spesso mancano di un'adeguata ventilazione e luce naturale, a causa delle quali molti di loro soffrono di malattie, di cui le più diffuse sono problemi alla vista. Nella prigione di Welikada, ad esempio, i prigionieri del braccio della morte sono chiusi in edifici gravemente sovraffollati e fatiscenti. […] In Sri Lanka, la pena di morte è stata abolita e ripristinata più volte nel corso dei secoli, a partire dal I secolo a.C. quando fu abolita dal re Amanda-gamani, seguito da diversi altri abolizionisti. Si dice che nel IV secolo il re Sirisanghabodhi liberò segretamente i condannati a morte e mostrò i cadaveri di persone morte per cause naturali, facendoli passare per i corpi dei condannati che avrebbe presumibilmente giustiziato. […] Dall'inizio del 1900, furono fatti tentativi per abolire la pena di morte […]. Sebbene dal 1976 vi sia una moratoria de facto sulle esecuzioni, le persone continuano a essere condannate a morte.

Ambika ha poi voluto sfatare, fornendo dati e ampie motivazioni, a uno a uno i miti che vengono addotti dai sostenitori della pena capitale e della cui infondatezza invece tutti gli abolizionisti sono ben consapevoli: che la pena di morte sia l'antidoto all'aumento della criminalità; che consenta di eliminare il traffico di droga; che nessun innocente viene condannato a morte; che la pena di morte è un deterrente alla criminalità.

 

TONGA

 

La Giornata mondiale contro la pena di morte è stata celebrata congiuntamente dagli Alti Commissariati australiano e neozelandese il 9 ottobre a Nuku'alofa. L'Alto Commissario australiano, SE Adrian Morrison, ha sottolineato l'impegno dell'Australia per i diritti umani universali e l'opposizione alla pena di morte. Ha detto, fra le altre cose: "Esortiamo il Regno di Tonga a fare il passo successivo per abolire la pena di morte nella legge e ad unirsi ad Australia, Nuova Zelanda e altri 86 paesi in tutto il mondo nella ratifica del Secondo Protocollo opzionale al Patto internazionale sui Diritti Civili e Politici, che mira all'abolizione della pena di morte". L'evento è stato un'opportunità per riflettere sulle sofferenze causate dalla pena di morte e riconoscere gli sforzi dei governi e della società civile per realizzare la sua abolizione universale.

Anche l'Alto Commissario della Nuova Zelanda, SE Tiffany Babington, che ha co-ospitato l'evento, ha parlato del sostegno del suo governo per l'abolizione della pena di morte in tutto il mondo.

"Accogliamo con favore il fatto che il Regno di Tonga non abbia applicato la pena di morte dal 1982, essendo abolizionista in pratica, riflettendo le nostre opinioni condivise sulla santità della vita, e attendiamo con ansia il giorno in cui la pena di morte verrà rimossa dalle leggi di Tonga".

 

Tutte queste iniziative sono state molto utili e importanti, ma, ora che le luci sull’evento della Giornata Mondiale si sono spente, certo molto più importante sarà l’impegno che ogni nazione abolizionista si assumerà nei confronti delle nazioni forcaiole, con gesti significativi, riducendo ad esempio al minimo gli scambi commerciali con questi paesi, gli eventi sportivi, e, più di tutto, annullando il commercio di armi. Questo davvero sarà un modo di dimostrare l’impegno all’ottenimento dell’abolizione della pena di morte nel mondo, un impegno che dovrebbe andare dall’11 ottobre di ogni anno al 9 ottobre dell’anno successivo. Solo così si potrà celebrare poi a testa alta l’evento del 10 ottobre! (Grazia)

9) Notiziario

 

Alabama. Muore nel braccio della morte in cui era rinchiuso da oltre 40 anni. Arthur Lee Giles è morto di polmonite il 30 settembre u. s. all’età di 61 anni. Era rinchiuso nel braccio della morte dell’Alabama dal 1979 ed era il più anziano condannato alla pena capitale in quello stato. Il coimputato di Giles, Aaron Jones, è stato messo a morte nel 2007. Nel 1978 Giles e Jones uccisero due persone e ne ferirono altre quattro nel corso di una rapina. Il necrologio di Arthur Lee Giles si conclude così: “Arthur riconobbe umilmente gli errori del suo passato, che conseguirono alle pesanti e estremamente avverse condizioni di povertà in cui fu allevato ed ha cercato di dimostrare a tutti intorno a lui – avvocati, guardie ed altri condannati a morte – che egli in prigione era diventano un uomo completamente differente dal teenager di tanti anni fa. Egli cercò di spargere amore, speranza e fede su ciascuno che incontrava.”

 

Yemen. Condannati a morte il Re dell’Arabia Saudita e il Presidente degli Stati Uniti. Da una corte controllata dagli Houthi (1), sono stati condannati a morte a fine settembre in Arabia Saudita 10 personaggi tra cui Salman Bin Abdulaziz Al-Saud re dell’Arbia Saudita, suo figlio, il principe Mohammed Bin Salman Bin Abdulaziz Al-Saud, il presidente USA Donald Trump e il presidente dello Yemen Abdrabbuh Mansur Hadi. Le sentenze capitali sono state inflitte per punire il bombardamento di un autobus carico di studenti che nel 2018 fece oltre 40 vittime nella città di Dahyan. Dalle agenzie si apprende che ai condannati è stato chiesto di pagare un risarcimento di 10 miliardi di dollari alle famiglie degli studenti uccisi.

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(1) Gli Houthi costituiscono una delle fazioni impegnate nella guerra civile in Yemen. Gli Houthi controllano la capitale Sanaa.

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Situazione della pena di morte nel mondo al 10 ottobre 2020

 

106 Stati abolizionisti per tutti i crimini: celeste chiaro

9 Stati abolizionisti per i crimini di diritto comune: celeste

34 Stati con la moratoria delle esecuzioni: blu

Questo numero è aggiornato con le informazioni disponibili fino al 31 ottobre 2020

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