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FOGLIO  DI COLLEGAMENTO  INTERNO

 

DEL COMITATO PAUL ROUGEAU

 

Numero 264  -  Ottobre 2019

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James Dailey è invecchiato nel braccio della morte

SOMMARIO:

 

1) Salvo, per ora, James Dailey in Florida

2) Ucciso in Missouri Russel Bucklew, malato di emangioma cavernoso

3) James Rytting parla dell’ingiusta esecuzione di Larry Swearingen

4) Voci autorevoli a Terre Haute contro le esecuzioni federali

5) Il Presidente dello Sri Lanka non vedrà nemmeno un’esecuzione!

6) Rapporto sulla pena di morte in Iran

7) 10 Ottobre: Giornata Mondiale Contro la Pena Di Morte

8) Notiziario: Ohio, Oklahoma, USA

1) SALVO, PER ORA, JAMES DAILEY IN FLORIDA

James Dailey è ancora vivo in Florida, ma non perché sia stata riconosciuta la sua innocenza. Se dell’innocenza di Dailey noi siamo convinti, non lo è ancora il governatore della Florida al quale ci siamo appellati, e al quale continueremo ad appellarci chiedendogli di intervenire per salvarlo.

James Dailey, il condannato a morte della Florida per il quale ci siamo fortemente mobilitati su richiesta del nostro amico floridiano Dale Recinella (1) è ancora vivo e possiamo sperare per lui. Il 23 ottobre, due settimane prima della sua esecuzione fissata per il 7 novembre, il giudice federale

distrettuale William Jung ha sospeso l’esecuzione fino al 30 dicembre. La sospensione è stata concessa per dar tempo a nuovi avvocati, venuti a far parte della difesa del condannato il 1° ottobre, di approfondire il caso.

“Anche se questa Corte non prende posizione riguardo a qualsiasi petizione di habeas corpus che i nuovi difensori di Dailey possono presentare da ora fino alla scadenza della sospensione […] è nell’interesse di un equo sistema di giustizia dare ai nuovi difensori il tempo di esaminare il caso e di presentare questioni a questa Corte,” ha scritto il giudice Jung. “Dailey è nel braccio della morte dal 1987, sospendere la sua esecuzione per 53 giorni per assicurargli il diritto ad avere un difensore è sensato e costituisce un esiguo danno per l’accusa”.

Il governatore cattolico Ron DeSantis, dal canto suo, si è rammaricato del rinvio dell’esecuzione del cattolico Daley e ha dichiarato che l’unica ingiustizia che vede nel suo caso è il fatto che il complice Jack Pearcy sia stato condannato soltanto all’ergastolo e non a morte.

A quanto pare gli sforzi fatti dai sostenitori di James Daley, convinti dalla sua assoluta innocenza, non hanno ancora fatto breccia nella coscienza del Governatore, anche se seri dubbi sulla sua colpevolezza sono stati invece sollevati, proprio grazie alla mobilitazione di molte persone, dalla stampa e dai media. Ringraziamo di cuore, anche da parte di Dale Recinella, tutti coloro che si sono impegnati finora in questa battaglia per la giustizia, e li invitiamo a riprendere l’invio a Ron DeSantis delle petizioni in favore di Dailey verso la fine dell’anno (come consigliato dallo stesso Dale). Ciò anche se la sospensione dell’esecuzione potrebbe, in teoria, essere annullata in qualsiasi momento.

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(1) V. n. 263

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Ron DeSantis, governatore della Florida

2) UCCISO IN MISSOURI RUSSEL BUCKLEW, MALATO DI EMANGIOMA CAVERNOSO

 

In Missouri è stato messo morte Russel Bucklew un condannato affetto da una rara malattia che avrebbe potuto rendere la sua esecuzione particolarmente penosa. Inutili i tentativi di ottenere clemenza per Bucklew che per 23 anni ha mantenuto una condotta esemplare nel braccio della morte.

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Russel Bucklew

Il Missouri ha portato a termine la sua 89° esecuzione da quando la pena capitale fu reintrodotta in quello stato nel 1989 e la prima dal 2017: il 1° ottobre è stato ucciso il 51-enne Russel Bucklew, dopo 23 anni di detenzione nel braccio della morte.

Il crimine compiuto da Russel fu efferato: egli entrò con la forza nella roulotte in cui la sua ex, Stephanie Ray, viveva con i due figli insieme a Michael Sanders suo nuovo compagno. Bucklew immobilizzò Michael, poi gli sparò più volte e lo uccise, poi sparò ad un figlio di Stephanie Ray, ferendolo. Infine portò via con sé Stephanie, trascinandola in un luogo appartato, dove la violentò tenendola sotto la minaccia della pistola. Fu subito arrestato. Pochi giorni dopo l’arresto egli, con calma e freddezza, descrisse i suoi crimini nei minimi dettagli agli investigatori.

Ciò che ha creato scalpore prima e dopo l’esecuzione di Russel Bucklew, è il fatto che Bucklew era affetto da emangioma cavernoso, un raro tipo di tumore che provoca la formazione di agglomerati di vasi sanguigni che si gonfiano all’interno della gola, sul collo, sulla testa e sul viso. Gli avvocati difensori avevano presentato una richiesta di clemenza al Governatore del Missouri, Mike Parson, chiedendogli di commutare la sentenza di Russel in ergastolo per motivi umanitari. Avevano scritto che i tumori del condannato avevano forti probabilità di scoppiare durante l’iniezione di pentobarbitale, facendo soffocare e affogare Russel nel suo stesso sangue. Avevano affermato, inoltre, che non solo la morte sarebbe stata estremamente dolorosa, ma “che l’esecuzione sarebbe stata anche orrenda e sanguinosa da osservare, e avrebbe probabilmente traumatizzato il personale addetto e i testimoni”. Avevano aggiunto: “Le conseguenze dell’esecuzione di Russel avranno un impatto duraturo sui testimoni e probabilmente influenzeranno l’opinione pubblica in merito all’uso della pena di morte in generale e, in particolare, ai metodi usati dallo stato per eseguire le sentenze capitali.”

La malattia di Russel aveva già determinato due sospensioni della sua esecuzione, ma nello scorso aprile la Corte Suprema degli Stati Uniti aveva respinto a stretta maggioranza (5 voti contro 4) l’ultimo appello della difesa, con una sentenza discutibile. La Corte dichiarò infatti che: “L’Ottavo Emendamento della Costituzione [quello che vieta le punizioni crudeli e inusuali, n.d.r.] non garantisce al prigioniero una morte indolore. Perché un metodo di esecuzione possa essere considerato crudele, esso deve ‘esacerbare in modo volontario’ terrore, sofferenza o umiliazione”. Non avendo il condannato la possibilità di dimostrare che lo stato disponeva di un mezzo alternativo di esecuzione che producesse una minore sofferenza, il metodo previsto dallo stato era utilizzabile.

Nella loro richiesta di clemenza al Governatore, i difensori hanno anche aggiunto che gli avvocati del processo originario di Russel non avevano gestito bene la sua difesa. Infatti, mentre i genitori di Russel avevano detto che la sua infanzia fu “tranquilla e idilliaca”, interviste fatte ad altri parenti e

amici hanno rivelato che suo padre era un violento che aveva più volte tradito la moglie, provocandole una forte depressione con ripetuti tentativi di suicidio. Inoltre Russel - già ammalato all’epoca del crimine - faceva uso di analgesici a base di oppiacei, che gli alteravano il carattere.

Uno psichiatra che incontrò Russel Bucklew affermò che questi era un ‘sociopatico’, cosa che permise all’accusa di farlo condannare a morte sulla base della sua pericolosità incorreggibile.

Lo stesso psichiatra però, dopo aver ricevuto informazioni sul passato di Russel, ritrattò in seguito la propria diagnosi. In effetti Bucklew era davvero cambiato: un punto sottolineato dai suoi avvocati nella petizione al Governatore fu la condotta esemplare tenuta da Russel durante i suoi 23 anni di detenzione e il suo autentico pentimento per il dolore causato dal suo crimine.

La richiesta di clemenza per Russel Bucklew è stata sostenuta dai vescovi del Missouri, dal Kansas City Star e dall’ACLU (Unione Americana per le Libertà Civili). Circa 70.000 firme hanno raggiunto il governatore chiedendogli la grazia.

Nella loro lettera, i quattro vescovi del Missouri hanno scritto: “In qualità di vescovi cattolici, ci opponiamo in modo totale alla pena di morte. Le prove dimostrano che essa è spesso ingiusta. Ponendo fine all’uso della pena di morte, possiamo sperare di rompere il ciclo della violenza. Le particolari condizioni cliniche di Bucklew richiedono inoltre una speciale considerazione”.

Tutto inutile: poche ore prima dell’esecuzione, il governatore Mike Parson ha negato la grazia e l’iniezione letale ha avuto luogo. Alle 18:23’ del 1° ottobre, Russel è stato dichiarato morto. Contrariamente a quanto paventato, la sua morte è apparsa indolore e, a detta dei testimoni, egli si spento in modo tranquillo, passando dal torpore alla morte.

I commenti sulla fine di Russel sono stati diversi a seconda delle parti interessate. L’ex avvocato dell’accusa al processo capitale di Russel, che ha assistito all’esecuzione, ha dichiarato in un’intervista telefonica: “La morte di Bucklew è stata dolce e indolore. Egli ha chiuso gli occhi e si è addormentato, in netto contrasto con la morte brutale e violenta che inflisse a Michael Sanders.” (Poi osano affermare che la pena di morte non ha nulla a che fare con la vendetta!)

Invece Cassandra Stubbins, direttrice del Progetto contro la Pena Capitale dell’ACLU, ha rilasciato la seguente dichiarazione: “Questa sera piangiamo l’esecuzione inutile e illegale di Russel Bucklew. Il Missouri ha eseguito una condanna che rischiava di essere una tortura e violava la legge internazionale, ignorando il rimorso di Bucklew e la sua condotta esemplare in carcere. È una vergogna pensare che per uccidere quest’uomo, un malato terminale che è stato un detenuto modello per 23 anni, sia valsa la pena macchiare la nostra democrazia e il nostro spirito umanitario” (Grazia)

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3) JAMES RYTTING PARLA DELL’INGIUSTA ESECUZIONE DI LARRY SWEARINGEN

 

L’ottimo avvocato difensore James Rytting non è riuscito a salvare dall’iniezione letale il nostro amico Larry Swearingen, ciò soprattutto per l’intricata e sfavorevole legislazione penale del Texas.

 

L'avvocato James Rytting in un’intervista rilasciata il 10 ottobre è tornato sul caso del suo cliente Larry Swearingen (1)

Rytting ha parlato delle prove false usate dall’accusa nel processo contro Swearingen, del processo di appello nel quale è pressoché impossibile presentare nuove prove a discarico e del cronico problema delle condanne ingiuste.

Ricordiamo che il nostro amico e corrispondente Larry Swearingen è stato messo a morte il 21 agosto scorso dopo che tutte le corti hanno rifiutato di esaminare le prove della sua innocenza (2).

Nell'intervista, Rytting spiega i problemi inerenti alla principale prova a carico di Swearingen: un pezzo di collant usato per strangolare la sua asserita vittima, Melissa Trotter. L'accusa ha riferito alla giuria che il restante pezzo di collant era stato trovato nella casa di Swearingen.

In realtà, quel pezzo di collant non era stato scoperto nelle due perquisizioni iniziali della casa di Swearingen. Fu "trovato" solo in una terza perquisizione dopo il rinvenimento del corpo della Trotter e dopo che la polizia apprese della legatura del collant al collo della vittima. […]

Rytting ha affermato che ci sono stati altri problemi significativi con le prove presentate contro Swearingen durante il processo, comprese prove scientifiche false sulla data della morte di Melissa Trotter.

Swearingen fu arrestato (per infrazioni del codice della strada) tre giorni dopo la scomparsa della Trotter il cui corpo fu scoperto nella Foresta Nazionale Sam Houston tre settimane dopo, mentre Swearingen era ancora in prigione. Il perito dell’accusa testimoniò che la ragazza era stata uccisa prima dell'arresto di Swearingen. In seguito, "non meno di cinque periti medici, con reputazione internazionale... giunsero alla conclusione che il corpo di Melissa Trotter era stato gettato nel bosco non più di dieci giorni, o giù di lì, prima che lo stesso fosse trovato", un periodo durante il quale Swearingen era in prigione e non avrebbe potuto commettere il delitto.[…].

Rytting afferma che la mancanza di formazione scientifica, sia degli analisti forensi che esaminano le prove, sia degli avvocati e dei giudici che devono presentarle e considerarle, contribuisce al continuo uso improprio della pseudo scienza nei processi penali. […]. Ha definito la formazione di avvocati e giudici "antiquata" e ha detto: "Non si ha alcuna formazione scientifica mentre si frequenta la facoltà di giurisprudenza, eppure oggigiorno questa è una parte importante della vita con cui deve avere una certa dimestichezza chi sta per diventare magistrato e prendere decisioni. Si deve conoscere qualcosa sulla scienza".

L'insufficiente controllo giudiziario nel caso di Swearingen è stato il risultato degli emendamenti apportati dall’Atto Antiterrorismo e per il Rafforzamento della Pena di Morte del 1996. Tale atto, ha affermato Rytting, stabilisce uno standard "quasi impossibile da rispettare" per i detenuti che vogliono presentare nuove prove a discarico. Rytting ha anche osservato che, mentre la pseudo scienza e le condanne ingiuste suscitano l’attenzione nei casi di pena di morte, le stesse affliggono tutto il sistema legale. “In tutti i casi in cui la gente viene condannata all’ergastolo… e ci sono migliaia di questi casi, le sentenze non vengono riesaminate. Sono condannati in base a prove pseudo scientifiche, a esagerate testimonianze di esperti. I loro casi non vengono riesaminati eccetto in rarissime occasioni…” (Anna Maria)

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(1) È possibile ascoltare l’intervista a Rytting qui: https://deathpenaltyinfo.org/resources/podcasts/discussions-with-dpic/junk-science-and-wrongful-convictions-james-rytting-discusses-the-case-of-larry-swearingen

(2) Sull’esecuzione di Larry Swearingen v. n. 262, sul suo caso vedi i nn.: 165; 166; 168; 169; 174; 177; 183; 190; 191; 195, Notiziario; 196; 199; 202; 203; 204, Notiziario; 209, Notiziario; 212; 214; 215; 224; 225; 231, Notiziario; 232; 235; 240; 242; 256, 257, 261.

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4) VOCI AUTOREVOLI A TERRE HAUTE CONTRO LE ESECUZIONI FEDERALI

 

Vicino al penitenziario federale di Terre Haute nello stato dell’Indiana, in cui sono state programmate diverse esecuzioni capitali a partire dal 9 dicembre p. v., il 28 ottobre si è svolta una giornata di conferenze e dibattiti con la partecipazione di noti e autorevoli abolizionisti.

 

Nell’imminenza della ripresa delle esecuzioni federali, voluta dal presidente Trump e preannunciata dal Ministro della Giustizia William Barr (1), si è tenuta il 28 ottobre una giornata di conferenze e dibattiti nel campus dell’Università Statale dell’Indiana situato a Terre Haute, la località dove le esecuzioni federali vengono portate a termine.

Tra le persone che hanno partecipato al dibattito, svoltosi dopo la visione del film “In the Executioner’s Shadow” (All’ombra del boia), è intervenuto Jerry Givens, ex boia in Virginia. Givens mise a morte 62 detenuti tra il 1982 e il 1999, 37 sulla sedia elettrica e 25 con l’iniezione letale. Adesso è un abolizionista convinto. “Prima di ogni esecuzione, pregavo e speravo che Dio non mi permettesse di togliere la vita a un innocente. Se l’avessi fatto, sarei stato colpevole come un qualsiasi omicida”, ha detto Givens. Di fatto Givens può dare un punto di vista unico sul sistema penale, essendo stato sia boia che detenuto. Nel 2000 fu infatti accusato di riciclaggio di denaro sporco per conto di un amico e, pur essendo del tutto innocente, fu condannato e trascorse 57 mesi in un carcere federale.

Quell’episodio fece sì che egli smettesse la sua attività di boia. “Fu un sollievo per me”, ha detto agli studenti. “Per 17 anni mi sono portato questo fardello dentro. Non cercai mai di liberarmene e solo grazie al mio caso giudiziario (anche se di entità modesta) mi sono reso conto che ci sono condannati a morte innocenti. Dio mi ha fatto smettere per poter raccontare la mia storia al mondo”. Givens ha aggiunto che un tempo i condannati a morte venivano lapidati in pubblico. “Si sarebbe dovuto smettere di giustiziare le persone a quell’epoca. Dio disse che solo chi è senza peccato deve scagliare la prima pietra”, ha detto Givens, aggiungendo che già restare chiusi in carcere costituisce una punizione terribile.

All’incontro ha partecipato anche Abraham Bonowitz, noto abolizionista condirettore e co-fondatore del Death Penalty Program. Tra le altre cose, Bonowitz ha detto: “Il nostro scopo è di abolire le esecuzioni. Per noi significa che il governo ha il potere di uccidere e vogliamo che la gente si renda ben conto dell’impatto di questa verità. Io credevo che il nostro sistema giudiziario fosse giusto, ma non è così. Ciò che conta maggiormente è il denaro, la razza, la politica, la collocazione geografica, piuttosto che la gravità del crimine commesso.”

Un’altra testimonianza è stata fornita da Suor Barbara Battista, delle Suore della Provvidenza, che ha dichiarato: “Dobbiamo farci avanti e dire che non facciano questo in nostro nome”. Ha aggiunto: “La nostra speranza è di rendere le persone consapevoli affinché dichiarino che il sistema giudiziario criminale è difettoso”. Suor Barbara ha anche citato il rilascio degli oltre 160 condannati a morte che dal 1973 sono stati liberati perché si è dimostrata la loro innocenza.

Le esecuzioni federali saranno concentrate tra dicembre e gennaio. Ve n’erano cinque in programma, ma quella del nativo americano Lezmond Mitchell, fissata per l’11 dicembre, è stata sospesa in seguito ad un appello che contesta pregiudizi razziali (2). Le altre quattro esecuzioni saranno invece probabilmente portate a termine. (Grazia)

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(1) Vedi numero 261

(2) Vedi Notiziario in questo numero.

5) IL PRESIDENTE DELLO SRI LANKA NON VEDRÀ NEMMENO UN’ESECUZIONE !

 

Maithripala Sirisena, presidente dello Sri Lanka, si è sforzato di riattivare l’uso della forca nel suo stato, bloccato dal 1976, ed ha anche firmato quattro ordini di esecuzione, ma decadrà presto dal suo incarico senza poter assistere ad alcuna esecuzione.

 

La pena di morte rimane nei codici in Sri Lanka (Ceylon) ma negli ultimi decenni tutte le sentenze capitali sono state commutate in ergastolo.

Abbiamo riferito più volte negli scorsi due anni il proposito di Maithripala Sirisena, attuale presidente dello Sri Lanka, di ripristinare l’uso della forca, bloccato dal 1976 (1).

All’inizio di febbraio, dopo un incontro col presidente delle Filippine - il forcaiolo Rodrigo Duterte - Sirisena ha anche assunto due boia.

Ora, approssimandosi la fine del proprio mandato, Maithripala Sirisena ha firmato quattro ordini di esecuzione per colpevoli di reati di droga ed ha dichiarato di voler assistere almeno ad un’esecuzione prima di andarsene (2).

La decisione di por termine alla moratoria ha provocato reazioni da parte dell’Unione Europea, di Gran Bretagna, Francia, Germania, Italia, Olanda, Romania, Canada e Norvegia, che hanno chiesto a Sirisena di mantenere la moratoria. Siccome lo Sri Lanka ha stipulato con l’Europa un importante accodo economico (Generalized System of Preferences), la ripresa delle esecuzioni potrebbe avere conseguenze economiche negative.

Apprendiamo ora che la Corte Suprema dello Sri Lanka non consentirà le esecuzioni finché non si sarà concluso l’iter giudiziario dei condannati che hanno fatto ricorso. Ciò non potrà avvenire prima del prossimo 10 dicembre e nessuno dei candidati alla presidenza nelle elezioni che si terranno il 16 novembre p. v. – tra i quali non figura Sirisena - è a favore della pena capitale.

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(1) V. nn. 251, 256, 261

(2) Secondo i dati ufficiali nello Sri Lanka vi sono 200.000 tossicomani e il 60% dei 24.000 detenuti sono entrati in carcere per reati di droga.

6) RAPPORTO SULLA PENA DI MORTE IN IRAN

 

In occasione della Giornata Mondiale Contro la Pena di Morte l’associazione Human Rights Monitor ha pubblicato il seguente rapporto sull’agghiacciante uso della pena di morte in Iran. (1)

 

L’ Iran ha il primato di esecuzioni pro capite.

 

Centinaia di persone in Iran vengono condannate a morte ogni anno. Il 10 ottobre, Giornata Mondiale Contro la Pena di Morte, ricordiamo le migliaia di condannati a morte nelle carceri iraniane.

I funzionari del regime iraniano non hanno mai ascoltato le richieste della comunità internazionale di abolire la pena di morte.

L'uso deliberato da parte dell'Iran della pena capitale è una fonte costante di indignazione e condanna internazionale. Secondo diversi organismi internazionali indipendenti, tra cui il relatore speciale delle Nazioni Unite sui diritti umani in Iran e Amnesty International, l'Iran è lo stato leader nelle esecuzioni pro capite, secondo solo alla Cina in termini assoluti. L'Iran è anche in cima alle classifiche per numero di esecuzioni di minorenni e di minorenni all’epoca del crimine loro contestato.

Human Rights Monitor ha registrato l'esecuzione di oltre 200 persone dall'inizio del 2019 in Iran.

Almeno otto minorenni e 10 donne sono stati giustiziati e 12 esecuzioni sono state portate a termine in pubblico.

Ci sono sei prigionieri politici tra i giustiziati.

Il regime iraniano usa la pena di morte come strumento per reprimere e mettere a tacere lo scontento di un popolo che in maggior parte vive al disotto della soglia di povertà, è disoccupato e privato della libertà di espressione.

Nel marzo 2019 il leader supremo del regime Ali Khamenei ha nominato Ebrahim Raisi - un ex giudice noto responsabile di esecuzioni di massa - capo della magistratura per mantenere il controllo sui disordini sociali.

Da allora almeno 173 persone sono state messe a morte in tutto l'Iran.

Almeno 9 donne sono state giustiziate in un periodo di poco più di otto mesi, mentre dal 2016 al 2018 il numero di donne giustiziate in un intero anno dal regime iraniano variava tra 6 e 10. Nello stesso periodo, l'esecuzione di condannati per reati di droga è aumentata.

Il 5 marzo 2019 il vice portavoce del Dipartimento di Stato USA, Robert Palladino, ha denunciato la nomina di Raisi a capo del potere giudiziario dell'Iran, definendolo una "disgrazia" e una "beffa ai procedimenti legali" poiché Raisi è responsabile della morte di migliaia di prigionieri politici negli anni '80, incluso il massacro di migliaia di detenuti nel 1988.

Palladino ha twittato: “Ebrahim Raisi, coinvolto in esecuzioni di massa di prigionieri politici, è stato scelto per guidare la magistratura iraniana. Che disgrazia! Il regime prende in giro il sistema legale consentendo processi iniqui e condizioni disumane di detenzione. Gli iraniani meritano di meglio!”

Le esecuzioni avvengono in tutto l’Iran ma la maggior parte nel 2019 è stata portata a termine nella prigione di Raja’i Shahr a Karaj nei pressi di Teheran.

 

Le esecuzioni in Iran sono contrarie al diritto internazionale

 

La pena di morte viola i diritti umani fondamentali, il diritto alla vita e il diritto alla libertà dalla tortura e dalle punizioni crudeli, disumane e degradanti.

160 paesi in tutto il mondo hanno abolito la pena di morte o almeno stabilito una moratoria sul suo uso.

Il regime iraniano non solo ha rifiutato di abolire la pena di morte, ma nel 2019 ha giustiziato:

• 12 persone in pubblico

• 8 criminali minorenni

• Un disabile mentale

• 10 donne

• 33 persone accusate di reati di droga

• Persone condannate per vaghe accuse come "fare la guerra a Dio" o "corruzione sulla terra"

• Persone che hanno commesso crimini non violenti come reati finanziari

Inoltre, a causa del rifiuto del regime clericale di classificare gli omicidi in base alla loro natura, chiunque commette un omicidio viene condannato a morte, indipendentemente dai motivi.

 

Almeno 10 donne impiccate

 

Almeno 10 donne sono state messe a morte dall'inizio del 2019.

Il 26 settembre 2019, Leila Zarafshan è stata impiccata nella prigione centrale di Sanandaj.

Una donna non identificata è stata impiccata insieme a sette prigionieri maschi il 25 settembre 2019, a Karaj.

Una donna di 38 anni è stata giustiziata nella prigione centrale di Mashhad, il 25 agosto 2019.

Quattro donne sono state messe a morte in otto giorni a luglio: Maliheh Salehian impiccata nella prigione centrale di Mahabad, Zahra Safari Moghadam, 43 anni, impiccata nella prigione di Nowshahr, e Arasteh Ranjbar e Nazdar Vatankhah che avevano già trascorso 15 anni in prigione, impiccate nella prigione centrale di Urmia.

Molte delle donne condannate per omicidio in Iran sono esse stesse vittime di violenza domestica e hanno commesso un omicidio per legittima difesa.

Gli ordini disumani di esecuzione, in particolare per le donne iraniane, vengono eseguiti al termine di processi irregolari.

 

L’Iran ha messo a morte otto minorenni

 

Almeno otto persone sono state giustiziate in Iran nel 2019 per reati commessi da bambini.

In flagrante violazione dei diritti umani internazionali, il regime iraniano ad aprile ha frustato e messo a morte due adolescenti senza avvisare la famiglia o gli avvocati.

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Mehdi Sohrabifar e Amin Sedaghat, due cugini di 17 anni (nelle foto), sono stati messi a morte il 25 aprile subito dopo essere stati trasferiti nella prigione di Adelabad nella provincia meridionale di Fars. Entrambi erano stati arrestati più di due anni prima quando avevano 15 anni, e accusati di stupro.

Le famiglie hanno potuto visitare i ragazzi il giorno precedente ma non è stato detto loro che era in preparazione la loro esecuzione. Secondo quanto riferito, le famiglie hanno appreso della loro morte quando hanno ricevuto telefonate dall'Organizzazione di medicina legale iraniana.

È stato riferito che entrambi i corpi erano riempiti di segni di cinghiate, a indicare che erano stati frustati prima di essere uccisi.

Amnesty International ha affermato in una dichiarazione del 29 aprile: "Le autorità iraniane hanno ancora una volta dimostrato di essere maledettamente pronte a mettere a morte giovanissimi, in flagrante disprezzo del diritto internazionale".

Il diritto internazionale proibisce severamente l'uso della pena capitale in tutti i casi in cui l'imputato abbia meno di 18 anni al momento del reato.

L'Iran è un firmatario della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell'infanzia, che vieta l'uso della pena di morte nei riguardi dei minorenni.

Nel 2013 sono state introdotte modifiche al codice penale per proteggere i minori nel sistema di giustizia penale iraniano, consentendo ai giudici di utilizzare discrezionalità nell’infliggere la pena capitale.

Tuttavia, secondo Amnesty International, i cambiamenti non sono stati significativi, consentendo alle autorità di "nascondere le loro continue violazioni dei diritti dei minori e sviare le critiche sulla loro deplorevole immagine di ultimi carnefici di minorenni all’epoca del reato".

Più di 90 altri giovani rimangono a rischio di esecuzione. Molti di loro hanno trascorso periodi prolungati nel braccio della morte, in alcuni casi più di un decennio.

 

Esecuzioni per motivi politici

 

L'Iran ha giustiziato diverse persone con vaghe accuse, con scarsa trasparenza o senza giusto processo.

Almeno otto prigionieri condannati per "guerra contro Dio" o "corruzione sulla terra" sono stati giustiziati nel 2019.

Si tratta di Seyyed Jamal Haji Zavvareh, Maliheh Salehian, Abdullah Karmollah Chab, Ghassem Abdullah, Hamid Derakhshandeh, Behrouz Abdipour, Hossein Roshan e Mohsen Kounani.

Almeno 40 detenuti con accuse simili sono nel braccio della morte in Iran.

L'Iran è anche noto per l’inflizione della pena di morte per crimini che non soddisfano lo standard internazionale di limitare la pena capitale ai reati più gravi.

Recentemente la Corte Rivoluzionaria di Teheran ha condannato a morte un sostenitore dell'Organizzazione del popolo dei Mojahedin dell'Iran (PMOI / MEK).

Secondo la sentenza, l'attivista del PMOI Abdullah Qasempour è stato condannato a morte e otto anni di carcere con l'accusa di "inimicizia con Dio per appartenenza, avallo e cooperazione con l'organizzazione Mojahedin del popolo iraniano".

La Corte ha accusato il 34-enne Abdullah Qasempour di aver filmato l’episodio dell’arresto e di aver inviato il video ai media affiliati al PMOI / MEK.

La lunga storia della magistratura che viola i diritti dei detenuti e applica la pena di morte senza un giusto processo ha sollevato gravi preoccupazioni.

Due prigionieri, Abdullah Karmollah Chab e Ghassem Abdullah, appartenenti alla minoranza araba Ahwazi dell'Iran, sono stati giustiziati il 4 agosto, dopo mesi di torture durante le quali entrambi sono stati costretti a rilasciare false confessioni.

Ad agosto le autorità iraniane hanno messo a morte Hamidreza Derakhshandeh, un uomo che aveva ucciso il leader della preghiera del venerdì a Kazerun.

I leader della preghiera del venerdì sono mullah che rappresentano direttamente Ali Khamenei, leader supremo del regime iraniano, in diverse città, il che li rende odiati dalla popolazione che è stufa della repressione e della corruzione dei funzionari del regime.

L'anno scorso, la città di Kazerun è stata scossa dalle proteste popolari di migliaia di cittadini che erano infuriati dalle politiche del regime per cambiare le divisioni municipali della città, favorendo una maggiore appropriazione indebita da parte dei funzionari del regime con conseguente riduzione dei servizi agli abitanti della città.

Le proteste popolari in tutto l'Iran prendono di mira regolarmente funzionari del regime iraniano, compresi i leader della preghiera del venerdì, per la loro partecipazione alla corruzione del governo.

Commentando l’uccisione del leader della preghiera del venerdì a Kazerun, prima di essere messo a morte tale Derakhsan aveva detto: "Cari Iraniani, amo tutti voi, amo i poveri iraniani, quelli che non hanno pane da mangiare la sera, coloro che si sono ammalati per dover prendere in prestito denaro per sbarcare il lunario ... Ho sentito e visto casi di ingiustizia. Centinaia di questi casi...Ho visto questi delitti. Non sono un criminale. Questa è stata la mia prima volta. I miei amici mi conoscono. Non sono un criminale ".

 

Avversari della pena di morte sotto tiro

 

Il 18 giugno 2019, la Corte Rivoluzionaria di Teheran ha esaminato un nuovo caso contro Golrokh Ebrahimi Iraee e Atena Daemi per la loro protesta per le esecuzioni di tre dissidenti curdi.

Il tribunale ha condannato i due a 1,5 anni di reclusione per "propaganda contro lo stato" e a 2 anni e un mese di reclusione per "aver insultato il leader (cioè Ali Khamenei)".

Amir Raissian, avvocato di Golrokh Ebrahimi Iraee, ha dichiarato alla stampa il 5 settembre 2019 che lo stesso verdetto era stato confermato nella fase di revisione senza essere esaminato dalla Corte superiore.

Golrokh Ebrahimi Iraee è stato rilasciato dal carcere ad aprile dopo più di tre anni in prigione.

A settembre 2019, nel primo anniversario delle esecuzioni dei prigionieri politici curdi Zaniar Moradi, Loghman Moradi e Ramin Hossein Panahi, la attivista Atena Daemi ha inviato una lettera aperta dalla prigione di Evin sottolineando la sua opposizione alla pena di morte.

Nella lettera la donna ha fatto riferimento alla sua condanna scrivendo: “È un onore ricevere un'altra pena detentiva per la mia opposizione alla pena di morte e per aver difeso la vita umana”.

 

Appello per l’abolizione della pena di morte

 

In occasione del 10 ottobre, Giornata Mondiale Contro la Pena di Morte, Iran Human Rights Monitor chiede pressantemente a tutte le organizzazioni internazionali per i diritti umani, e in special modo all’Alto Commissario per i Diritti Umani e al Relatore Speciale per i diritti umani in Iran, ai giornalisti e ai media, di condannare le orrende esecuzioni in Iran e di agire immediatamente per fermare l’attuazione di tali crimini medioevali nel ventunesimo secolo. Vogliamo un Iran libero da tutte le esecuzioni.

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(1) Documento pubblicato da Human Rights Monitor il 9 ottobre 2019 (Traduzione di Pupa)

7) 10 OTTOBRE: GIORNATA MONDIALE CONTRO LA PENA DI MORTE

 

Il 10 ottobre si è celebrata in tutto il mondo, nei modi più vari, la 17-esima Giornata Mondiale Contro la Pena di Morte. Quest’anno la Coalizione Mondiale Contro la Pena di Morte ha messo particolarmente in luce le sofferenze patite dai figli dei condannati a morte. L’Unione Europea e il Consiglio d’Europa hanno dichiarato congiuntamente la loro ferma opposizione alla pena capitale.

 

Tutti gli anni il 10 ottobre si celebra la Giornata Mondiale Contro la Pena di morte (World Day Against the Death Penalty) (1). Arrivata alla 17-esima edizione, quest’anno la Giornata Mondiale è stata ricordata e celebrata nei modi più vari in Paesi situati in tutti e cinque i continenti, con conferenze, manifestazioni, pubblicazione di studi sulla pena capitale, perfino con spettacoli. (2)

Un dato ricordato da tutti è il numero dei paesi che hanno abolito per legge o di fatto la pena capitale: 142. Si tratta del 74% dei paesi membri dell’ONU.

Nel 2018 vi sono state esecuzioni in soli 20 paesi, il 10% dei paesi del mondo, un minimo storico.

La Coalizione Mondiale Contro la Pena di Morte (World Coalition Against the Death Penalty) – cui aderisce anche il Comitato Paul Rougeau – ha dedicato la Giornata mondiale in particolare ai figli dei condannati a morte “Bambini: vittime non viste della pena di morte” (Children: unseen victims of the death penalty)

La Coalizione Mondiale ha ricordato che anche se non sono stati fatti studi per quantificare il numero di bambini con un genitore condannato a morte o giustiziato, dal Rapporto Annuale di Amnesty International del 2019 risulta che almeno 19.336 persone sono state condannate a morte in tutto il mondo nel 2018 e almeno 690 sono state giustiziate in quell'anno... (Da ciò si può capire quanti bambini siano vittime secondarie della pena capitale).

Scrive la Coalizione Mondiale: "Spesso dimenticati, i figli di genitori condannati a morte o giustiziati portano un pesante fardello emotivo e psicologico che costituisce una violazione dei loro diritti umani. Questi traumi si possono verificare in qualsiasi fase della pena capitale di un genitore: arresto, processo, condanna, soggiorno nel braccio della morte, date di esecuzione, esecuzione stessa e periodo successivo. I ripetuti cicli di speranza e delusione che possono accompagnare tutte queste fasi possono avere un impatto a lungo termine, anche nell'età adulta… Nel 30-esimo anniversario dell’adozione della Convenzione sui Diritti del Bambino (30 novembre 1989) l’attenzione in questa Giornata Mondiale va ai bambini e ai loro diritti umani”.

Una dichiarazione congiunta sulla ferma opposizione alla pena di morte in ogni tempo e in qualsiasi circostanza è stata emessa congiuntamente dall’Unione Europea e del Consiglio d’Europa in occasione del 10 ottobre, definito “Giorno europeo e mondiale contro la pena di morte”. In essa si afferma che la pena di morte significa vendetta anziché giustizia e che la sua abolizione contribuisce al rafforzamento della dignità umana.

La Comunità di Sant’Egidio - da anni vicina ai condannati a morte nei diversi continenti, attraverso varie iniziative tra cui “Città per la vita” (che si tiene il 30 novembre di ogni anno) – ha partecipato alla Giornata Mondiale Contro la Pena di morte promuovendo visite nei bracci della morte negli Stati Uniti, in Indonesia e in diversi paesi africani.

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(1) Vedi nn. 253, 242, …

(2) Vedi articolo qui sopra sull’Iran

8) NOTIZIARIO

 

Ohio. Imputato chiede di essere condannato a morte. Il 2 ottobre George Brinkman, sotto processo per aver ucciso a giugno del 2017 a Canton in Ohio i coniugi Roberta (detta Bobbi) e Rogell (detto Gene) John, ha chiesto di essere condannato a morte. Il 47-enne Brinkman ha detto di non avere scuse per il proprio comportamento: “Loro erano estremamente gentili, amorevoli, persone eccellenti che non meritavano di essere uccise da me”. Ha aggiunto: “Sono molto addolorato per le sofferenze causate alle famiglie e agli amici di Gene e di Bobbi. So che non sarà mai abbastanza ma la mia vita è tutto ciò che posso dare.” L’imputato si è espresso anche contro le numerose attenuanti presentate dalla sua difesa. “Sì, ho avuto una terribile infanzia… sì ci sono state molte cose brutte nella mia vita, e allora? Altre persone ne hanno avute di peggiori ma non sono andate in giro ad uccidere coloro che gli volevano bene.” Il giorno dopo, nonostante gli sforzi della sua difesa, Brinkman ha ricevuto la condanna a morte. Da notare: nello stesso giorno in cui uccise Roberta e Rogell John, George Brinkman uccise altre tre persone.

 

Oklahoma. Miglioramenti delle condizioni di detenzione dei condannati a morte. In seguito ad un’azioni dei gruppi statunitensi per i diritti civili, a cominciare dall’ACLU (Unione Americana per le Libertà Civili), le autorità carcerarie dell’Oklahoma hanno deciso di spostare in un diverso carcere “tutti i prigionieri [del braccio della morte] che se lo meritano”. Le organizzazioni per i diritti umani avevano contestato le “pericolose e nocive” condizioni di detenzione, in piccole celle sotterranee occupate ciascuna da un detenuto. “I condannati – avevano scritto – sono chiusi nelle loro celle da 22 a 24 ore al giorno. Di norma viene loro concesso un quarto d’ora per la doccia tre volte alla settimana e 1 ora quattro volte alla settimana per fare esercizio fisico, da soli, in una stanza, di 6,6 metri per 6,6 metri, in cui la luce arriva da un soffitto opaco che non permette di vedere il cielo e il sole. I detenuti che hanno una lista di visitatori approvati dal carcere possono ricevere visite ‘non a contatto’, attraverso una lastra di Plexiglas e un telefono. Non sono previste attività fuori delle celle, non ci sono programmi o servizi educativi”. Scott Crow, direttore ad interim del Dipartimento carcerario dell’Oklahoma, ha dichiarato che lo spostamento dei prigionieri dall’unità H del Penitenziario statale di McAlester all’unità A dello stesso penitenziario “cambierà in maniera significativa l’accesso alla luce naturale e la possibilità di guardare fuori”. Invece di fare la ricreazione in una stanza chiusa senza luce naturale, i prigionieri accederanno ad un’area di ricreazione recintata che riceverà la luce del sole e aria fresca. Tra i cambiamenti è compresa la concessione di visite a contatto. Al momento non è dato di sapere a quali tra i 47 condannati a morte verranno concessi i suddetti ‘privilegi’ a partire dal 10 novembre.

 

USA. Sospesa una delle cinque esecuzioni programmate a livello federale Un panel (commissione) di 3 giudici della Corte Federale d’Appello del Nono Circuito il 4 ottobre u. s. ha sospeso l’esecuzione del navajo Lezmond Mitchell, l’unico nativo americano nel braccio della morte federale, reo di un duplice omicidio commesso in Arizona. L’esecuzione era programmata per l’11 dicembre p. v. Il motivo della sospensione è il sospetto che alla base della condanna a morte di Mitchell vi siano pregiudizi razziali. La sospensione è stata decisa a stretta maggioranza (2 voti contro 1) dal panel che ha fissato per il 13 dicembre l’udienza per esaminare l’appello del condannato. Ora rimangono in essere ancora 4 date di esecuzione a livello federale.

 

USA. Candidato alla presidenza contrario all’esecuzione di Khalid Sheikh Mohammed. Pete Buttigieg, un cittadino dell’Indiana candidatosi alla presidenza degli Stati Uniti nelle elezioni che si terranno fra un anno, il 2 ottobre ha dichiarato al giornale The Hill di essere totalmente contrario alla pena di morte per motivi religiosi (lui è di fede Episcopale). Lo è anche nel caso di Khalid Sheikh Mohammed, il pianificatore degli attacchi suicidi dell’11 settembre 2001, attacchi che causarono quasi 3000 morti a New York e in altre 3 città. (Ricordiamo che Khalid Sheikh Mohammed è attualmente detenuto nella base di Guantanamo nell’isola di Cuba e che il processo capitale a suo carico comincerà a gennaio del 2021). “Ci sono persone che forse meritano di morire, ha dichiarato. Ma non conosco nessuno a cui spetta il diritto di ucciderle”. Nel corso dell’intervista ha affermato che non può giustificarsi “l’uccisione di chi è indifeso”. (Nel riportare questa affermazione The Hill non ha potuto fare a meno di ricordare che Buttigieg è a favore dell’aborto). Non è la prima volta che Pete Buttigieg dichiara la sua opposizione alla pena capitale. Già nel mese di aprile, nel corso di una conferenza presso la National Action Network Convention (un’associazione statunitense che si batte in difesa dei diritti civili), egli aveva chiesto l’abolizione della pena di morte tramite un emendamento costituzionale.

 

 

Questo numero è aggiornato con le informazioni disponibili fino al 31 ottobre 2019

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