FOGLIO DI COLLEGAMENTO INTERNO
DEL COMITATO PAUL ROUGEAU
Numero 253 - Ottobre 2018 (*)
Edmund Zagorski
SOMMARIO:
1) 10 Ottobre: Giornata Mondiale Contro la Pena Di Morte
2) Washington senza pena di morte e senza ergastolo per i minorenni
3) Pacate risposte alla stampa del morituro Zagorski
4) Così scrive un testimone dell'elettrocuzione di Edmund Zagorski
5) Esecuzione in South Dakota
6) Cittadino del Michigan, stato abolizionista, vicino all’esecuzione
7) Fissata in Texas la data di esecuzione di Bill Coble
8) Infine il verdetto per Asia Bibi: vivrà!
9) Pakistan, negata l’impiccagione pubblica di un pedofilo omicida
10) L’Iran minaccia di morte 17 camionisti scioperanti
11) Esumati in Sud africa 6 combattenti impiccati durante l’apartheid
12) Notiziario: Arabia Saudita, Somalia, USA, Zimbabwe
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(*) I numeri arretrati del Foglio di Collegamento, cui si collegano gli articoli pubblicati successiva-mente, si trovano nel nostro sito, vedi: www.comitatopaulrougeau.org/fogli-di-collegamento-precedenti
1) 10 OTTOBRE: GIORNATA MONDIALE CONTRO LA PENA DI MORTE
Fin che ci sarà la pena di morte ci saranno iniziative per caldeggiare la sua abolizione.
In particolare sono state proclamate da diversi sogetti e in varie parti del mondo delle ‘giornate mondiali’ contro la pena di morte da tenersi in un determinato giorno dell’anno. Nei decenni passati negli Stati Uniti si è celebrato un Abolition Day il 1° marzo, anniversario della prima abolizione della pena capitale avvenuta in uno stato nordamericano, il Michigan (1847).
Dall’Italia, soprattutto per merito della Comunità di Sant’Egidio, è partita la proposta di mobilitarsi il 30 novembre, ricorrenza della prima abolizione avvenuta nel mondo (Granducato di Toscana, 1786).
Attualmente le manifestazioni abolizioniste si tengono soprattutto il 10 ottobre, data scelta dalla Coalizione Mondiale Contro la Pena di Morte, nata a Roma nel maggio del 2002. Coalizione cui aderiscono Amnesty International e la maggior parte delle organizzazioni che si impegnano attivamente per l’abolizione della pena di morte, tra cui il Comitato Paul Rougeau. La Giornata Mondiale Contro la Pena di Morte (World Day Against the Death Penalty) è giunta quest’anno alla 16-ma edizione.
Ogni volta la Giornata Mondiale mette a fuoco un determinato aspetto della pena capitale, quest’anno sono state denunciate le condizioni di prigionia dei detenuti in attesa di esecuzione.
“A prescindere dalla prospettiva dell’esecuzione, la detenzione dei condananti a morte costituisce di per sé una situazione angosciante fatta di sofferenze fisiche e mentali, che in certi casi si può assimilare ad una forma di tortura”, dichiara la Coalizione Mondiale Contro la Pena di Morte.
Non potendo relazionare sulle numerosissime dichiarazioni e manifestazioni, piccole e grandi, che ci sono state in tutto il mondo il 10 ottobre u. s. (per es. il Consiglio d’Europa e l’Unione Europea
hanno diffuso una dichiarazione congiunta in cui affermano la “forte opposizione alla pena capitale in ogni circostanza”), ci limitiamo a riportare il Comunicato emesso da Amnesty International in tal giorno e a notare che le autorità della Malysia proprio il 10 ottobre hanno annunciato il fermo proposito di abolire a breve la pena capitale nel proprio paese (in cui vi sono attualmente 1200 condannati a morte).
GIORNATA MONDIALE CONTRO LA PENA DI MORTE:
AMNESTY INTERNATIONAL CHIEDE CHE CESSI IL TRATTAMENTO CRUDELE
DEI CONDANNATI IN VISTA DELL’ABOLIZIONE TOTALE
I prigionieri condannati a morte devono essere trattati con umanità e dignità e detenuti in condizioni rispettose delle norme e degli standard internazionali sui diritti umani.
Lo ha dichiarato Amnesty International in occasione del 10 ottobre, Giornata mondiale contro la pena di morte. In questa occasione, l’organizzazione per i diritti umani ha lanciato una campagna su cinque paesi (Bielorussia, Ghana, Giappone, Iran e Malaysia) affinché i rispettivi governi pongano fine alle inumane condizioni detentive dei condannati a morte e assumano iniziative in favore dell’abolizione totale della pena capitale.
“A prescindere dal crimine che possa aver commesso, nessuno dovrebbe essere costretto a subire condizioni inumane di detenzione. Invece, in molti casi, i condannati a morte sono tenuti in rigido isolamento, vengono privati delle cure mediche di cui necessitano e vivono nella costante ansia di un’imminente esecuzione”, ha dichiarato Stephen Cockburn, vicedirettore del programma Temi globali di Amnesty International.
“Il fatto che alcuni governi notifichino l’esecuzione ai prigionieri e ai loro familiari pochi giorni, se non addirittura pochi minuti prima, aggiunge crudeltà alla situazione”, ha aggiunto Cockburn.
“Tutti i governi che ancora mantengono la pena di morte dovrebbero abolirla immediatamente e porre fine alle drammatiche condizioni di detenzione che troppi condannati alla pena capitale sono costretti a subire”, ha proseguito Cockburn.
Amnesty International ha documentato condizioni detentive agghiaccianti in molti paesi del mondo ma la sua campagna si concentra su Bielorussia, Ghana, Giappone, Iran e Malaysia, dove la crudeltà del sistema della pena capitale è estrema.
In Ghana i condannati a morte denunciano che spesso non ricevono le cure mediche necessarie per curare malattie o disturbi di lunga durata.
In Iran, Mohammad Reza Haddadi, nel braccio della morte da quando aveva 15 anni, ha dovuto subire la tortura di vedersi fissata e poi rinviata l’esecuzione almeno sei volte negli ultimi 14 anni.
Matsumoto Kenji, in Giappone, soffre di delirio molto probabilmente a causa del prolungato isolamento in cui trascorre l’attesa dell’esecuzione.
Hoo Yew Wah ha presentato una richiesta di clemenza alle autorità della Malaysia nel 2014 ed è ancora in attesa di una risposta.
Il clima di segretezza che circonda l’uso della pena di morte in Bielorussia fa sì che le esecuzioni non siano note all’opinione pubblica e vengano portate a termine senza alcuna comunicazione preventiva ai prigionieri, alle loro famiglie o agli avvocati.
Amnesty International si oppone sempre alla pena di morte, senza eccezione e a prescindere dalla natura o dalle circostanze del reato, dalla colpevolezza, dall’innocenza o da altre caratteristiche del condannato e dal metodo usato per eseguire le condanne a morte.
La pena di morte è una violazione del diritto alla vita, proclamato dalla Dichiarazione universale dei diritti umani. È l’estrema punizione crudele, inumana e degradante.
Nel 2017 Amnesty International ha registrato 993 esecuzioni in 23 paesi, il quattro per cento in meno rispetto al 2016 e il 39 per cento in meno rispetto al 2015. La maggior parte delle esecuzioni ha avuto luogo in Iran, Arabia Saudita, Iraq e Pakistan ma questo dato non tiene conto delle migliaia di esecuzioni avvenute in Cina, dove le informazioni sull’uso della pena di morte restano un segreto di stato. FINE DEL COMUNICATO Roma, 10 ottobre 2018
2) WASHINGTON SENZA PENA DI MORTE E SENZA ERGASTOLO PER I MINO-RENNI
La Corte Suprema dello stato di Washington con le sentenze emesse il 14 e il 18 ottobre ha fatto fare al proprio stato due importati passi sulla strada della civiltà abolendo la pena di morte e vietando di condannare all’ergastolo senza possibilità di liberazione i minorenni. Il governatore Jay Inslee, che dal 2014 ha imposto una moratoria sulle esecuzioni ha accolto con entusiasmo tali sentenze.
L’11 ottobre scorso, la Corte Suprema dello stato di Washington (1) ha dichiarato all’unanimità incostituzionale la pena di morte. Nel verbale della sentenza si legge che la pena capitale “viene inflitta in modo arbitrario e razzista”. Mary E. Fairhurst, presidente della Corte, ha scritto: “La pena di morte, come gestita nel nostro stato, non serve a nessuno scopo penale legittimo e viola pertanto l’articolo 1, comma 14, della Costituzione del nostro stato.”
Il Governatore Jay Inslee, che già dal 2014 aveva imposto una moratoria sulle esecuzioni, ha accolto con entusiasmo questa sentenza, dicendo: “Oggi per fortuna la decisione della Corte Suprema mette fine alla pena di morte nello stato di Washington […] questo è un evento importantissimo agli effetti del perseguimento imparziale e onesto della giustizia.”
La corte ha citato i risultati di una ricerca recente secondo i quali, nello stato di Washington, un imputato nero aveva tre volte più probabilità di un bianco di essere condannato a morte per uno stesso reato.
Dal 2010 non ci sono più state esecuzioni nello stato.
Esattamente una settimana dopo questa sentenza, il 18 ottobre, la stessa Corte Suprema, con un’altra importante decisione, approvata con 5 voti contro 4, ha anche stabilito che è incostituzionale condannare un minorenne all’ergastolo senza possibilità di liberazione, motivando la decisione col fatto che il cervello di un minore è meno sviluppato di quello di un adulto e osservando che bisogna pertanto dare ai giovani criminali una seconda possibilità.
Washington diventa così il 21° stato degli USA che non prevede la condanna all’ergastolo per i minorenni. La decisione è stata presa argomentando sul caso di Brian Basset, che fu condannato nel 1996 all’ergastolo per aver ucciso i genitori e un fratello minore a 16 anni di età. Nel 2015, Basset, allora 35-enne, fu sottoposto ad un nuovo processo e dichiarò di essere molto cambiato. All’epoca del crimine era senza casa perché i suoi genitori non gli permettevano di vivere con loro. In prigione si guadagnò una borsa di studio per il liceo e si impegnò fino a diplomarsi col massimo dei voti. Insegnava agli altri detenuti e non commise nessuna infrazione disciplinare per oltre dieci anni. Nonostante questo, fu di nuovo condannato all’ergastolo. Ora egli ha contestato questa nuova condanna.
Anche se sempre più stati stanno abbandonando le condanne più dure per i minorenni, alcuni, come il Michigan e la Louisiana, continuano a mantenerle. In Louisiana quasi due terzi dei minorenni incriminati di omicidio dal 2016 hanno ricevuto condanne all’ergastolo senza possibilità di uscita sulla parola. La maggioranza di questi giovani è afroamericana. (Grazia)
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(1) Lo stato di Washington non deve essere confuso con la città di Washington, capitale degli Stati Uniti d’America.
3) PACATE RISPOSTE ALLA STAMPA DEL MORITURO ZAGORSKI
Edmund Zagorski condannato a morte in Tennessee ha manifestato una inimmaginabile serenità ac-cettando la sua pena. Zagorski ha perfino ringraziato il Governatore Bill Haslam, che ha rifiutato di concedergli clemenza, per il tempo che gli ha dedicato.
Nella prigione di massima sicurezza Riverbend di Nashville in Tennessee, Edmund Zagorski, prossimo all’esecuzione capitale, l’8 ottobre ha risposto per iscritto alle domande preparate dal giornalista Steven Hale di “The Scene” inoltrategli tramite un avvocato (in Tennessee non è permesso intervistare condannati a morte in attesa di esecuzione).
Edmund Zagorski, cresciuto a Tecumseh nel Michigan, aveva 29 anni quando fu condannato a morte per aver ucciso John Dale Dotson e Jimmy Porter frequentati nel mondo della droga. Ha trascorso 34 anni nel braccio della morte.
Al momento dell’intervista Zagorski aveva meno di 100 ore da vivere (1)
Colpisce nelle sue dichiarazioni la totale mancanza di aggressività, di accuse, di odio, sembra sereno e desideroso di por fine ad una vita passata in prigione. Alla domanda su come si sente negli ultimi giorni di vita, risponde:
“Sollevato, è finita. Mi sento bene. Non ho risentimento contro nessuno. Sono felice di poter uscire in buona salute…non ho paura della morte…”
Ricorda la sua giovinezza trascorsa a Tecumseh: “Le buche nella ghiaia erano il mio paradiso. Non mi piaceva passare molto tempo a casa perché mia madre era malata di mente. Quindi andavo nelle cave di ghiaia. Avevo lì la mia privacy e c'erano delle buche dove era possibile nuotare. E mi piaceva guidare la moto là fuori. Adoro le motociclette. Ho avuto una Harley. Le ragazze amavano un uomo su una Harley.”
In realtà ha avuto una giovinezza triste e problematica per la mancanza del padre e la malattia della madre…eppure ricorda momenti sereni e piacevoli.
In carcere ha amato la lettura; The Washing of the Spears di John Laband è il suo libro preferito. Il libro narra come gli Zulu si sono opposti agli Inglesi. Gli piace anche The Seven Pillars of Wisdom (I sette pilastri della Saggezza). Dice che leggendo quel libro ha acquisito una migliore comprensione del Medio Oriente.
Per quanto riguarda la musica, racconta della sua passione per il vecchio rock and roll degli anni '70 e '80. Stevie Nicks è la sua cantante preferita. Gli piacciono il vecchio Rod Stewart e gli Aerosmith. E serenamente continua: “La canzone a cui stavo pensando e che mi verrà in mente quando mi porteranno là è "Flirting With Disaster" del gruppo rock Molly Hatchet.
Alla domanda: “Ti spaventa ciò che avverrà giovedì prossimo?”, risponde: “Per niente. Non voglio essere torturato da quelle sostanze letali, ma non ho paura di morire”.
Alla domanda: “C’è qualcosa che tu vorresti dire alla gente riguardo al braccio della morte e degli uomini che vivono là dentro?”, risponde che vorrebbe che la gente sapesse che la maggior parte dei condannati a morte è gente tranquilla e corretta; sottolinea che nulla di brutto da parte dei detenuti gli è capitato in 35 anni di prigionia.
Nei confronti del Governatore Bill Haslam, che ha rifiutato di concedergli la grazia, non ha sentimenti di rancore; al contrario… lo ringrazia per il tempo che gli ha dedicato.
Dice che le cose non sono sempre come sembrano e che la gente dovrebbe essere più rilassata e non giudicare superficialmente i vicini. Importante, conclude, è cercare sempre di avere più amici che nemici.
Chissà se la calma olimpica di Edmund Zagorski non è anche merito del suo consigliere spirituale, reverendo Joe Ingle, divenuto un suo sincero amico... (Pupa)
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(1) Allora la sua esecuzione, che doveva avvenire mediante iniezione letale, è stata sospesa in extremis, ma è stata poi portata a termine il 1° novembre mediante elettrocuzione (v. art. seguente).
4) COSÌ SCRIVE UN TESTIMONE DELL'ELETTROCUZIONE DI EDMUND ZAGOR-SKI
Riportiamo pressoché integralmente - in una nostra traduzione - il resoconto sull'esecuzione sulla sedia elettrica di Edmund Zagorski scritto dal giornalista Jason Lamb, uno dei 5 esponenti dei media ammessi ad assistere all'esecuzione portata a termine in Tennessee il 1° novembre scorso. (*)
"Si balli il rock." Queste sono state le ultime parole pronunciate Edmund Zagorski legato sulla sedia elettrica, lo strumento di morte che la Corte Suprema degli Stati Uniti, alcuni minuti prima, aveva definitivamente consentito allo stato di usare.
È stato uno dei momenti più surreali della mia vita quando l’ho sentito dire queste parole. Lui è scoppiato in una risata ed ha alzato le sopracciglia mentre guardava verso di noi attraverso la finestra dei testimoni. Indossava una maglia gialla e pantaloni bianchi con una larga striscia scura sul lato su cui si leggeva la scritta TN DEPARTMENT OF CORRECTION (Dipartimento delle carceri del Tennessee).
Sapevano tutti quello che stava per accadere: un tipo di esecuzione portata a termine dallo stato che non si verificava dal 2007, e che non è avvenuta più negli Stati Uniti dopo il 2013. Erano le 7:13’ di sera.
La mia giornata presso il carcere di massima sicurezza Riverbend era cominciata diverse ore prima. Sapevo da settimane che sarei stato uno dei 5 testimoni dei media ammessi dallo stato. Avevo fatto richiesta a settembre - seguendo il procedimento previsto dal Dipartimento di Correzione del Tennessee - di assistere a quella che ritenevo fosse un'esecuzione tramite iniezione letale e la mia richiesta era stata accettata circa una settimana più tardi.
Ma poi si era verificato un brusco cambiamento: in seguito alla controversia riguardo all'uso delle tre sostanze letali previste nel protocollo di esecuzione del Tennessee, Zagorski aveva chiesto di essere messo a morte con la sedia elettrica.
Era stato condannato nel 1984 per aver ucciso e tagliato la gola di tali John Dale Dotson e Jimmy Porter, per la vendita di droga adulterata, e dal momento che la sentenza di morte era stata pronunciata prima del 1999, egli aveva il diritto di scegliere come morire.
Dopo aver trasmesso in diretta per il notiziario delle 16, entrai dalla porta principale nel carcere Riverbend insieme agli altri testimoni della stampa e a Neysa Taylor, responsabile del carcere per le comunicazioni. Siamo passati attraverso dei metal detector ed altri dispositivi di sicurezza. Poco dopo vidi Tony Mays, il direttore della prigione di Riverbend che avrebbe dato entro meno di due ore l'ordine di mandare elettricità a 1750 volt attraverso il corpo di Edmund Zagorski eseguendo una sentenza emessa da 12 giurati 30 anni prima.
Fu in quel momento che ci dettero una grande busta di plastica con una zip contenente un blocco di carta bianca a righe e 2 matite ben temperate. Queste sarebbero state le uniche cose da adoperare per prendere appunti durante l'esecuzione di Zagorski. Non erano ammessi cellulari, e neanche orologi.
Condotti fuori dell'edificio principale attraverso un corridoio esterno, compreso tra due cancelli chiusi da catene con lucchetti, giungemmo infine alla nostra prima fermata della sera attraverso una porta con su scritto "Stanza della Commissione per il rilascio sulla parola": è la stanza in cui ogni tanto tale Commissione si riunisce per decidere se un detenuto può essere liberato sulla parola. Gli alti 4 testimoni, Neysa Taylor e un'altra guardia si sedettero ad una grande tavola di legno circondata da dieci sedie rosse da ufficio.
La stanza illuminata da forti lampade fluorescenti e con il muro bianco ci avrebbe ospitato per circa un'ora. Notai una scatola rossa simile ad un pulsante anti incendio, solo che su di essa campeggiava la scritta PANICO. "Ha senso", pensai, in una prigione che ospita i più violenti criminali dello stato. Il nostro gruppo parlò delle cose più varie durante l'ora di attesa: il lavoro, i nostri podcast favoriti. Non parlammo però molto di ciò per cui eravamo lì, al di là della constatazione che nessuno di noi fino ad allora aveva ancora presenziato ad un'esecuzione; quella volta sarebbe stata la prima per tutti noi.
Ad un certo punto ci portarono acqua in bottiglia. Chiedemmo due volte che ora fosse. 6 e 14'. 6 e 41'. Sapevamo che la Corte Suprema degli Stati Uniti poteva ancora disporre una sospensione dell'esecuzione. Ma nessuno di noi poteva sapere qualcosa in merito, dal momento che ci avevano privato dei cellulari. Il nostro unico indizio fu ciò che accadde dopo.
Poco prima delle 7 di sera ci fu detto che era arrivato il momento di passare nella stanza accanto.
Ci condussero fuori della stanza in cui eravamo stati tenuti, facendoci passare per quella che appariva un’area comune frequentata dai detenuti di giorno. Passai davanti ad un cartello che diceva "gabinetto per i detenuti". La nostra guida ci condusse, attraverso una doppia fila di porte serrate, nella stanza dalla quale avremmo assistito all'esecuzione.
Pensavo di sapere come fosse questa stanza (appariva nei video conservati nell'archivio del mio giornale, video che avevo trasmesso nei miei servizi su Zagorski nelle settimane precedenti) ma mi sorprese la piccolezza di tale stanza nel momento in cui vi entrai. Ad occhio e croce era larga a malapena 2 metri e mezzo e conteneva 15 sedie rosse disposte in 3 file di 5. Mi sedetti in prima fila e guardai verso una serie di 4 finestre rettangolari - probabilmente in tutto larghe 2 metri e alte 1 metro che si trovavano mezzo metro davanti a me. Una grande tenda che impediva la vista era calata davanti alle finestre. A sinistra delle finestre c'era una porta carceraria da cui si entrava nella camera dell'esecuzione. A quel punto la nostra scorta spense le luci ma lasciò entrare dalla porta un po’ di luce che mi consentiva di prendere appunti. Una fessura larga un centimetro al sommo della porta carceraria contribuiva a darmi luce e mi permetteva di sentire ciò che avveniva nella camera di esecuzione.
Alla mia sinistra vidi un telefono d'ufficio istallato sul muro. Era il telefono che l'avvocatessa di Zagorski avrebbe potuto usare per contattare le corti e altre autorità prima e durante l'esecuzione. Sullo schermo a cristalli liquidi del telefono c’erano due bottoni preprogrammati con le scritte "Death Watch Group" (gruppo che controlla il condannato in prossimità dell'esecuzione) e "Central Control Emergency" (controllo centrale d'emergenza). Più utile per i testimoni dei media in questo momento era il timestamp (che fornisce la data e l'ora al secondo) visualizzato nell'angolo superiore sinistro dello schermo: 7:00’ PM. Avremmo usato le informazioni fornite da questo dispositivo per annotare i tempi in cui si verificarono i successivi eventi.
Alle 7:05’ indicate da quell'orologio, sentii delle porte sbattere a distanza, poi un tonfo che sembrava provenire dalla stanza dell'esecuzione. Successivamente il rumore dell'apertura di una porta. Poi un rumore d’acqua che scorreva in un rubinetto o in una tubatura. Altre porte che si chiudevano.
Alle 7:06’ sentimmo altre porte che si aprirono. Un uomo entrò nella stanza dei testimoni e sedette dietro a noi (ho saputo in seguito che si trattava di un rappresentante dell'ufficio del Procuratore Generale). Ci furono altri rumori: sembravano rumori di manette e catene - la tenda era ancora chiusa.
Alle 7:07’ sentii un rumore che presumo fosse di manette messe o tolte. Per tutto questo tempo non sentii alcuna voce provenire dalla camera dell'esecuzione, sentii invece il rumore delle matite dei cinque rappresentanti dei media che febbrilmente grattavano la carta.
Alle 7:10’ percepii un vociare indistinto. Parlarono per 2 secondi, ma non capii che cosa dicevano. Sentii chiudere la porta all'interno della camera dell'esecuzione. Altri mormorii, poi un altro rumore di porta.
Alle 7:12’ sentimmo qualcosa. Sembrava che stessero provando i microfoni nella camera di esecuzione. L'avvocatessa di Zagorski, Kelley Henry, che dei preparativi aveva visto più di noi, occupò la sedia alla mia destra.
"Prova del suono," sentii dagli altoparlanti posti in alto.
"Forte e chiaro”, disse la poliziotta che stava nella nostra stanza comunicando attraverso la sua radio.
"Visitatori al loro posto," sentii.
Poi, alle 7:13’, accadde.
Le tende nella camera dell'esecuzione furono alzate e lui era là dentro.
Edmund Zagorski era legato alla sedia elettrica. Aveva un aspetto diverso da quello mostrato dalle foto segnaletiche. La sua testa e la sua faccia erano state completamente rasate in ottemperanza del protocollo del TDOC (Dipartimento di Correzione del Tennessee). Notai ciò che faceva con la faccia.
"Ha ghignato", scrissi sul mio taccuino. "Ha annuito con la testa."
Notai che alzò le sopracciglia mentre guardò attraverso la finestra nella stanza dei testimoni. Ci sta guadando? Sta guardando me? Non c’erano più di 6 metri tra noi.
Allora parlò Tony Mays, il direttore del carcere di Riverbend, vestito in maniera impeccabile.
"Signor Zagorski, ha una dichiarazione finale da fare?"
Arrivò la risposta che ricorderò per tutta la vita: "Si balli il rock."
Conoscevo le fasi successive della procedura, descritte nelle 88 pagine del manuale del TDOC riguardante le esecuzioni sulla sedia elettrica ma, di nuovo, le cose sono apparse diversamente vedendole di persona. Gli addetti all'esecuzione cominciarono col porre sulla sua testa una grande spugna naturale giallo scura imbevuta di una soluzione di cloruro di sodio (penso per condurre meglio l'elettricità) prima di piazzarvi il casco: un cappello di cuoio ricoperto da una lamina di rame connesso con un cavo ad una sorgente di elettricità. Il casco fu assicurato al condannato tramite un sottogola che fece sembrare il tutto un vecchio elmetto da football americano. Dal momento che la spugna era imbevuta di acqua e sale, molta della salamoia colò sulla sua faccia mentre il team di esecuzione faceva il suo lavoro. Di conseguenza Zagorski, che continuava a sorridere, cominciò a fare delle smorfie. Poi rise di nuovo, alzando le sopracciglia.
Questo fu il momento in cui mi sentii più a disagio. Cominciai a realizzare che rimanevano solo pochi minuti - forse secondi - prima di vedere quest'uomo morto. Pensai: "Come mai ho accettato di assistere a tutto ciò?"
Fu il momento in cui guardai alla mia destra dove sedeva l'avvocatessa di Zagorski. La vidi sorridere al suo cliente che le sorrideva. Lei faceva cenno col capo mentre sorrideva, e metteva la sua mano sul cuore.
Gli addetti all'esecuzione asciugarono la rimanente soluzione salina dalla faccia di Zagorski e cominciarono ad applicargli un sudario nero che gli coprì la faccia e il collo. Mi sembrò che il sudario fosse costituito da una stoffa grezza e ruvida. Esso coprì completamente la sua faccia arrivando ben sotto il suo mento.
La mani di Zagorski appoggiate sui braccioli marrone scuro della sedia elettrica apparivano rilassate.
Da quel momento non fu più necessario consultare l'orologio nella camera dei testimoni per sapere l'ora: un gigantesco orologio LED con cifre nere era facilmente visibile nella camera di esecuzione.
Alle 7:15’ Zagorski coperto dalla maschera, alzò la sua mano sinistra quanto gli fu consentito dalle cinghie che lo legavano. Sembrò che salutasse.
Alle 7:16’ un membro della squadra di esecuzione infilò la spina di un grasso cavo nella presa che si trovava alla base della sedia elettrica. Zagorski sembrò salutare con la mano destra.
Poi un vecchio ventilatore fu acceso nella stanza. Ciò fa parte del protocollo del TDOC. Lo sapevo. E sapevo anche che cosa sarebbe avvenuto dopo quando il direttore Mays avrebbe dato il segnale prendendosi la mano e strofinandosela sulla faccia.
L'elettrocuzione cominciò. Si sentì un rumore non molto forte. Penso che il collega Adam Tamburin giornalista del The Tennessean lo abbia descritto al meglio in seguito dicendo che era come il rumore di un ascensore in movimento. Vidi le braccia di Zagorski alzarsi all'improvviso. Tutto il suo corpo si inarcò tendendosi verso l’alto e le sue mani si contrassero in pugni. Ma non accadde altro. Egli non mandò alcun suono, non sgomitò né si mosse, per quanto io abbia potuto vedere.
Poi la corrente fu tolta. Tutto secondo la procedura. Il corpo di Zagorski cadde giù. Non vidi alcun movimento.
15 secondi dopo arrivò la seconda scarica di corrente. I suoi pugni erano ancora chiusi ma questa volta egli sembrò balzare più in alto della volta precedente. 15 secondi dopo questa seconda scarica terminò. Il corpo di Zagorski venne giù di nuovo, con il mignolo della mano sinistra che sporgeva a sinistra del bracciolo.
Seguì un periodo di attesa di 5 minuti, anche questo previsto nel manuale di esecuzione. Il corpo di Zagorski non si mosse. Apparve chiaro che tre uomini dentro alla camera - il direttore e due ufficiali del carcere – si erano esercitati in precedenza più volte. Essi indossavano tutti un completo, due di loro avevano tasche quadrate. Durante l'esecuzione e per 5 minuti dopo, non si mossero. Rimasero allo stesso posto, guardando dritto davanti a loro o fissando il pavimento.
Trascorsi i 5 minuti il direttore tirò giù le tende e questa fu l'ultima cosa che vedemmo dal di fuori. Sentivamo gente ancora all'interno della camera che parlottava.
E poi, alle 7:26’ arrivò l'annuncio: "Si è conclusa l'esecuzione del detenuto Edmund Zagorski. L'ora della morte è stata: 7:26’ della sera. Vi prego di uscire."
Da quel momento ci fu una certa confusione, lasciammo la stanza, io resi il mio cartellino di visitatore alla guardia, e tutti uscimmo per rispondere alle domande dei reporter che ci aspettavano fuori.
Avevo fatto molte ricerche prima di recarmi nella stanza dei testimoni giovedì. Ho letto racconti di esecuzioni fallite in altri stati, con il sangue che usciva dalla maschera di un condannato, o fiammate che uscivano dalla testa di un altro, oltre a ricorsi legali che affermavano che gli organi di Zagorski si sarebbero cotti e la sua pelle sarebbe bruciata sul suo capo. Non so ancora quali effetti abbia avuto l'elettrocuzione sul corpo si Zagorski. Non saprò mai se egli abbia sofferto. E continuerà il dibattito sul fatto che la sedia elettrica costituisca o meno una punizione crudele e inusuale. Ma sono stato sorpreso da ciò che ho visto e che non ha raggiunto, secondo me, il livello di violenza che mi aspettavo di vedere con la sedia elettrica.
Ognuno è autorizzato ad avere le proprie opinioni sulla pena di morte in generale e sulla sedia elettrica in particolare. Essendo un giornalista tengo le mie opinioni per me. Mi sono iscritto per presenziare a questa esecuzione perché si è trattato di un compito importante quello che hanno svolto i giornalisti ieri. In uno stato che ha la pena di morte 5 di noi (e innumerevoli altri giornalisti che hanno riportato le notizia) siamo stati come gli occhi del pubblico, per assicurare che lo stato ese-guisse il suo compito secondo quanto aveva dichiarato. Questo è un ruolo importante anche se a volte spiacevole.
Quanto a me, mente scrivo questo articolo la mattina presto di venerdì, sto bene. Sono sicuro che ripenserò a ciò che ho visto per giorni o per mesi, o forse per più tempo. Non so se assisterò ad un'altra esecuzione in futuro ma apprezzo l'esperienza e la prospettiva che conseguono da un giorno che a pochi è dato di passare.
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(*) Edmund Zagorski è stato il 2° condannato ad essere messo a morte nel 2018 in Tennessee e l’8° da quando è stata reintrodotta la pena capitale in tale stato.
Zagorski è stato il 20° condannato ad essere messo a morte nel 2018 negli USA.
Con quella di Zagorski le esecuzioni portate a temine negli Stati Uniti dopo la reintroduzione della pena di morte nel 1977 assommano a 1.485.
5) ESECUZIONE IN SOUTH DAKOTA
Il South Dakota, stato nordamericano che mantiene la pena di morte ma che compie pochissime esecuzioni, il 29 ottobre ha somministrato l’iniezione latale a Rodney Berget reo dell’uccisione premeditata di una guardia carceraria nel corso di un tentativo di evasione compiuto nel 2011.
Il 29 ottobre è stato messo a morte in South Dakota mediante iniezione letale Rodney Berget che uccise un agente penitenziario il 12 aprile 2011 durante un fallito tentativo di evasione dal carcere compiuto in complicità con un altro detenuto, Eric Robert.
L’evasione accuratamente progettata cominciò con l’uccisione della guardia Ron "RJ" Johnson che fu spogliata delle sua divisa. La divisa fu indossata da Robert Rodney che cominciò a trascinare una cassa in cui era nascosto Berget. I due riuscirono a passare una prima porta del carcere ma poi furono scoperti.
Eric Robert fu giustiziato nel 2012. Un terzo detenuto coinvolto nel tentativo di evasione, Michael Nordman, fu condannato al carcere a vita per aver fornito agli altri due pellicole di plastica trasparente e il tubo usato per uccidere l’agente colpendolo violentemente sul capo (la pellicola trasparente servì per avvolgere la testa della sventurata guardia penitenziaria).
Rodney Berget è stato il primo condannato ad essere messo a morte in South Dakota nel 2018 e il 4° da quando la pena capitale è stata ripristinata in tale stato nel 2007.
Da notare che nel 2000 fu messo a morte in Oklahoma, il fratello maggiore di Rodney Berget, Roger Berget, che aveva passato 13 anni nel braccio della morte dopo essere stato condannato per un omicidio commesso nel corso di un furto d’auto.
Rachel Timmerman e la figlioletta
6) CITTADINO DEL MICHIGAN, STATO ABOLIZIONISTA, VICINO ALL’ESECUZIONE
La complessa legislazione degli Stati Uniti d’America consente di mettere a morte Marvin Gabrion un cittadino del Michigan, stato che ha abolito la pena di morte fin dal 1847.
Una delle ultime possibilità per l'unico cittadino del Michigan condannato a morte di evitare l'esecuzione è svanita.
In una risposta di 216 pagine resa nota nella prima settimana di ottobre, il giudice federale Robert Jonker del West Michigan ha respinto l'ultimo appello di Marvin Gabrion.
In quell'appello, la difesa di Gabrion sosteneva che parte di ciò che la giuria aveva sentito era falso o fuorviante e che il governo non aveva fatto conoscere alcune prove a lui favorevoli. Ha anche affermato che Marvin Gabrion è un malato di mente.
Gabrion è stato condannato nel 2002 per aver ucciso la diciannovenne Rachel Timmerman nel 1997. Le autorità dicono che ella era ancora viva quando lui l'ha legata, appesantita con blocchi di cemento e gettata in un lago vicino alle Big Rapids. Si ritiene che Rachel Timmerman, la sua figlioletta di 11 mesi e altre tre persone siano state tutte vittime di Gabrion.
Quando uccise la Timmerman, Gabrion era in attesa di processo per aver stuprato costei.
Il Michigan non ha la pena di morte fin dal 1847. Tuttavia poiché il corpo di Rachel Timmerman è stato rinvenuto in una proprietà federale - il parco nazionale Manistee - il caso di Gabrion è stato gestito a livello federale, dove è prevista la pena capitale. Nel corso di numerosi appelli, le corti hanno annullato più volte la sentenza che è stata poi ripristinata.
Ora Gabrion, che ha 64 anni, è detenuto nella prigione federale di Terre Haute nell'Indiana (Pupa).
Bill Coble è invecchiato nel braccio della morte
7) FISSATA IN TEXAS LA DATA DI ESECUZIONE DI BILL COBLE
L'esecuzione di Billie Wayne Coble avverrà in Texas l'ultimo giorno di febbraio, 28 anni dopo la condanna. Stefania Silva, un'amica che andò anche a trovarlo nel braccio della morte, scrive di lui.
“Eppure quando ci si inoltra nel sistema simbolico del castigo per “il male supremo”, argomenti quali la riabilitazione e la redenzione diventano inevitabilmente parte del computo, dal momento che il riconoscimento da parte del colpevole dei diritti della morale prevalente riduce il nostro bisogno di punire per riaffermare tali valori. E quando siamo su quella strada diventa praticamente impossi-bile stabilire chi sarà “folgorato dalla luce” e quando. L’unica certezza è che un’eventuale esecuzione impedirà che quel momento possa verificarsi.”
da “Punizione suprema” di Scott Turow (1)
Bill Coble è stato condannato a morte in Texas nel 1990, per triplice omicidio. La sua esecuzione è stata fissata per il prossimo 28 febbraio.
Nel 2007 la sentenza di morte è stata annullata e si è celebrata nuovamente la fase del processo in cui la giuria decide la pena; queste sono le domande a cui una giuria deve rispondere nel condannare a morte una persona: 1) se il delitto fu deliberato, 2) se il colpevole costituisce una minaccia per la società e 3) se vi sono sufficienti attenuanti per infliggere l’ergastolo senza possibilità di uscita sulla parola invece della pena di morte.
Per Bill, la giuria riunita ha sentenziato ancora la condanna a morte, senza riconoscergli attenuanti, senza possibilità di redenzione.
Ho conosciuto Bill nel 2007 in occasione del mio viaggio a Livingston; ci eravamo scritti per un paio di anni e per me le sue lettere sono sempre state un percorso ad ostacoli, sia nella forma sia nel contenuto.
Scritte spesso a matita, con una calligrafia infantile e poco marcata, piena di pallini sulle “i” e di faccine sorridenti o tristi; molto ordinate e poco scorrevoli; mi ricordo benissimo la sua voce monotona e bassa, tanto che faticavo a sentirlo per il rumore in sala visite che sovrastava la sua voce; dopo la prima visita e per le successive, ho provato ogni volta un senso di implosione, tanto lui rimaneva chiuso nel suo mondo riportando a sé ogni conversazione; era come entrare in un labirinto di abitudini consolidate, stanze senza finestre, senza aria e senza luce.
Mi ci è voluto davvero poco per capire che avesse disturbi ossessivi, lui stesso mi ha poi scritto di essere affetto da disturbo bipolare, per il quale poteva capitare che gli dessero qualche farmaco.
Bill è un uomo che avrebbe dovuto essere curato, che ha vissuto una vita di abusi e di abbandoni; infanzia in istituto, Vietnam a 16 anni (falsificando i documenti pur di partire e lasciare l’istituto), tornato a casa ha provato a condurre una vita normale.
Si è sposato, ha avuto un figlio, aveva un lavoro, allenava una squadra di baseball.
Poi un giorno la sua testa è andata in tilt; ha ucciso i suoceri e il cognato, ha rapito la moglie con l’intento di ucciderla.
Arrestato e condannato a morte nel 1990.
Sono 28 anni che si trova nel braccio della morte, rinchiuso in cella 23 ore al giorno, 28 anni di privazione del sonno, di abusi quotidiani, di vita senza alcuno scopo, se non quello di sopravvivere giorno dopo giorno per arrivare sano all’esecuzione.
La vicenda di Bill è lì a testimoniare di come la pena di morte sia una pena ingiusta, enorme nella sua irrevocabilità, disumana perché appalta un potere divino di vita e di morte a una giuria di dodici pari, che in pochi minuti sentenziano la tua inadeguatezza di essere umano, ti declassano a scarto civile, effetto collaterale di una società individualista poco avvezza a prendersi cura degli elementi deboli.
Come se non bastasse la sentenza di morte, si è costruito un sistema carcerario aberrante, in cui la restrizione della libertà non è che una pena accessoria, in cui i ritmi vitali sono stravolti, dalla colazione alle 3:30' del mattino e gli altri pasti di conseguenza, all’ora d’aria alle 6:30' del mattino in inverno; i ritmi sonno/veglia continuamente interrotti, i detenuti dipendono completamente dai capricci delle guardie carcerarie che spesso vendono favori a caro prezzo.
A questo Bill Coble sopravvive da 28 anni, e oggi che di anni ne ha settanta non credo davvero costituisca un pericolo per la società; la carcerazione è già una pena in sé e mi chiedo quale pacificazione potranno trarre i parenti delle vittime da quest’altra vita che si spegne. (Stefania)
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(1) Scott Turow, avvocato e scrittore americano, ha fatto parte della commissione d’inchiesta sull’applicazione della pena di morte voluta dal Governatore dell’Illinois, in seguito alla quale 164 sentenze capitali sono state commutate.
8) INFINE IL VERDETTO PER ASIA BIBI: VIVRÀ!
Sul caso di Asia Bibi, cristiana condannata a morte in Pakistan per blasfemia nel 2010, si potrebbe scrivere un libro. Un libro con un finale felice: nonostante le forti pressioni degli islamici che vorreb-bero vederla morta, la madre di cinque figli è stata assolta in ottobre. Ora il problema è di farla uscire sana e salva dal suo paese per evitare che sia vittima di un linciaggio.
Lo scorso 8 ottobre la Corte Suprema del Pakistan aveva rinviato la sua decisione in merito all’ultimo appello di Asia Bibi (1), la donna cristiana condannata a morte nel 2010 con l’accusa di blasfemia (2). Un panel di 3 giudici non comunicò il motivo del rinvio né la data in cui avrebbe fatto conoscere la propria decisione, e ordinò ai media di non fare commenti sul caso, probabilmente per evitare reazioni violente da parte del pubblico.
Allora l’avvocato difensore Saiful Malook aveva dichiarato in un’intervista telefonica con l’Associated Press di essere sicuro che Asia Bibi sarebbe stata assolta. E aveva ragione! Finalmente, infatti, il 31 ottobre scorso, i giudici della Corte Suprema hanno emesso il verdetto di non colpevolezza di Asia, annullando quindi la sua condanna a morte e disponendone la scarcerazione!
Citando una frase del “Re Lear” di William Shakespeare, i giudici hanno scritto che Asia Bibi “è stata più vittima che colpevole”. La sentenza afferma: “Anche se ci fosse stata una parvenza di verità nelle accuse mosse contro l’appellante, le vistose contraddizioni nelle prove presentate dall’accusa [,] mostrano chiaramente che la verità in questo caso è stata mischiata con molte falsità”.
Ricordiamo che nel 2009 Asia Bibi andò ad attingere acqua ad un pozzo e fu coinvolta in un litigio con alcune donne musulmane. Pochi giorni dopo fu accusata di blasfemia: le donne dichiararono che ella aveva insultato il Profeta Maometto. Secondo l’avvocato Malook, le testimonianze furono con-tradditorie. Le due donne che accusarono al processo Asia Bibi affermarono che non ci fu alcuna lite e che Asia Bibi insultò il Profeta, ma i testimoni ricordano che le donne invece litigarono con lei.
Come c’era da aspettarsi, il movimento islamista Tehreek-e Labbaik, che già prima della sentenza aveva minacciato di scendere in piazza nel caso Asia fosse stata assolta - il capo del partito, Khadim Hussein Rizvi, aveva dichiarato, dopo il rinvio della sentenza, che “nessuna persona blasfema potrà sfuggire alla punizione” - ha scatenato azioni di protesta appena la sentenza è stata resa nota. Entro poche ore i contestatori hanno invaso varie città e bloccato autostrade e strade, al punto che esponenti del governo hanno consigliato alle persone di restare chiuse in casa (3).
È stato sempre molto pericoloso difendere Asia Bibi. Prima del verdetto, l’avvocato Malook aveva dichiarato in un’intervista: “Ho perso la salute. Soffro di pressione alta e la mia privacy è inesistente. Devo nascondermi. Tutti nella mia strada mi conoscono. Guardano la mia casa e sanno che è la dimora di una persona che può essere uccisa in qualsiasi momento da un mullah arrabbiato”. La sua casa di Lahore è stata in effetti sorvegliata dalla polizia 24 ore su 24.
I rischi per chi difende Asia Bibi sono concreti: ricordiamo che nel 2011 il governatore della provincia del Punjab, Salman Taseer, fu ucciso da Mumtaz Qadri, una delle sue guardie del corpo, perché aveva difeso la Bibi e criticato le norme della legge sulla blasfemia. L’avvocato Malook aveva all’epoca perseguito Qadri che fu impiccato per il suo crimine. Qadri è però considerato da molti un martire e milioni di persone vanno in pellegrinaggio a visitare un tempietto contenente i suoi resti.
Joseph Francis, un attivista di Pakistan’s Christians, ha detto che al momento sta aiutando 120 cristiani accusati di blasfemia. La sua organizzazione cerca di dare loro aiuto legale e di trovare per loro un rifugio sicuro dove andare se e quando verranno assolti, perché continuerebbero certamente ad essere bersaglio dei fanatici.
Vivere in pace in libertà in Pakistan per Asia Bibi è impossibile. Lei potrebbe essere ospitata in Francia, in Spagna o in Germania, paesi disponibili ad accoglierla.
Però la forza delle proteste levatesi contro la decisione di assolvere Asia Bibi ha indotto il governo del Pakistan a fare un mezzo passo indietro tre giorni dopo la sentenza assolutoria, onde accontentare almeno in parte le richieste degli estremisti. Per ora l'ex condannata non potrà uscire dal paese per mettersi sicuramente in salvo.
L'avvocato Saif Mulook ha definito la decisione del proprio governo una capitolazione ed ha subito preso un aereo 'per rimanere in vita' in modo da poter continuare a battersi per la propria assistita. Saif Mulook ha fatto scalo a Fiumicino e di lì ha proseguito per Amsterdam.
Il Ministro dell'Informazione pakistano Fawad Chaudhry ha assicurato che il compromesso con il partito islamista non costituisce una capitolazione, ed ha rinnovato l'impegno del governo di proteggere Asia Bibi. (Grazia)
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(1) La condannata conosciuta con il soprannome Asia Bibi si chiama in realtà Aasia Noreen.
(2) Sulla vicenda di Asia Bibi, e sulle vicende connesse, v. nn. 185; 187; 188; 193, Notiziario; 207; 208; 214; 217; 220; 223; 224; 230.
(3) In effetti la passione popolare contro la blasfemia è fortissima. Le statistiche dicono che tra il 1987 e il 2016 in Pakistan 1472 persone sono state condannate per blasfemia, 20 delle quali a morte. Parecchie decine di blasfemi sono stati linciati anche se fino ad ora nessuna sentenza capitale per blasfemia è stata eseguita.
9) PAKISTAN, NEGATA L’IMPICCAGIONE PUBBLICA DI UN PEDOFILO OMICIDA
La Corte Suprema di Lahore in Pakistan ha respinto la richiesta di Muhammad Ami Ansari, padre di Zainab Ansari, la bimba di 6 anni stuprata e uccisa in gennaio dal 24-enne Imran Ali, di un’impiccagione pubblica dell’omicida. Imran Ali è stato impiccato il 17 ottobre all’interno del carcere.
Il 17 ottobre è stato impiccato nel carcere Kot Lakhpat di Lahore in Pakistan il 24-enne Imran Ali, reo dello stupro e dell’uccisione di una bambina di 6 anni, Zainab Ansari.
Ali è stato messo a morte alla presenza di Muhammad Amin Ansari, padre di Zainab.
“Si è avviato da solo al patibolo reggendosi in piedi senza problemi”, ha detto per telefono all’agenzia Al Jazeera il cugino di Zainab, Muzammil Ansari. “Gli hanno messo il cappio attorno al collo, non ha fatto resistenza. Non ci ha chiesto nessun tipo di perdono”.
Quattro familiari di Imran, tra cui suo padre, si sono presentati in carcere per riceverne il cadavere.
La scoperta del corpo della piccola Zainab Ansari, trovato il 9 gennaio u. s. in un cumulo di immondizie, aveva suscitato in tutta la nazione indignazione e proteste. Erano scoppiati tumulti.
Imran Ali è stato arrestato due settimane più tardi, dopo che la ripresa di una TV a circuito chiuso aveva mostrato Zainab trascinata per un viottolo nelle vicinanze della sua casa.
La polizia dice che i test del DNA collegano Ali con almeno altri sei casi di stupro e omicidio.
A febbraio di quest’anno un tribunale aveva dichiarato Ali colpevole del rapimento di Zainab, emanando una sentenza di morte per rapimento, stupro e omicidio.
In seguito Imran Ali è stato condannato a morte per altri 4 omicidi di bambini.
Il 16 ottobre, la Corte Suprema di Lahore ha respinto la richiesta - avanzata da Muhammad Ami Ansari, padre della bimba uccisa - di un’impiccagione pubblica di Imran Ali. La famiglia Ansari ha dichiarato di aver fatto la richiesta di un’esecuzione pubblica perché servisse da deterrente nei ri-guardi di potenziali criminali.
“Ai genitori delle altre bambine vorrei dire solo questo: abbiamo fatto la richiesta di impiccagione pubblica allo scopo di mostrarla a tutto il mondo: avrebbe avuto un buon effetto”, ha detto Muhammad, padre di Zainab, ai giornalisti raccolti fuori dal carcere subito dopo l’esecuzione.
“Ma anche ora, per il risalto che i media hanno dato all’avvenimento, le famiglie dei bambini hanno capito molte cose e sono diventati molto più consapevoli […] del modo giusto di tenere i bambini e di accompagnarli a scuola e in altri luoghi”, ha aggiunto Ansari.
Muzammil Ansari, cugino di Zainab, ha detto: “Non era soltanto nostra figlia, ma una figlia della nazione.” “Ora lei non c’è più, non tornerà mai indietro, ma vogliamo salvare le altre figlie della nazione, facendo entrare la paura nel cuore di chi compie tali orribili cose”, ha aggiunto.
Ricordiamo che la moratoria della pena di morte, vigente in Pakistan dal 2008, fu interrotta alla fine del 2014 dopo che i Talebani, attaccando una scuola nella città di Peshawar, uccisero 141 persone (1). Da allora lo stato asiatico ha messo a morte almeno 497 persone. (Francesco)
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(1) Vedi n. 220 e nn. ivi citati.
10) L’IRAN MINACCIA DI MORTE 17 CAMIONISTI SCIOPERANTI
Sembra che la pena di morte in Iran venga anche usata per risolvere questioni sindacali: l’8 ottobre si è saputo che lo stato iraniano intende condannare a morte 17 camionisti promotori di un sciopero.
Dal 22 settembre scorso, per attirare l’attenzione del pubblico sulle esigenze della propria categoria, 500 mila camionisti hanno intrapreso azioni di protesta in 290 città in tutte le 31 province iraniane.
L'8 ottobre si è appreso che lo stato iraniano intende dare una durissima risposta ai camionisti in sciopero. In particolare è stata prospettata la pena di morte per 17 dei 200 scioperanti arrestati.
L'agenzia di stampa ufficiale IRNA ha riportato le dichiarazioni di Mohsen Karami, Procuratore Generale presso la Corte di Qazvin: "Il sistema giudiziario non avrà alcuna tolleranza nei riguardi di coloro che hanno messo in pericolo la sicurezza dei trasportatori e per coloro che intendono ricavare un vantaggio dallo sciopero e creare insicurezza.". Karami ha aggiunto che i problemi degli autotrasportatori "non possono essere risolti con gli scioperi."
Karami ha dichiarato l'intenzione di chiedere la pena di morte per gli imputati, se si dimostrerà la loro colpevolezza nel ‘combattere contro Dio’ (1).
Il 14 ottobre la Federazione Internazionale dei Trasportatori (ITF) ha denunciato il sistema giudiziario iraniano. Stephen Cotton, segretario generale della ITF, ha dichiarato: “La condanna a morte per sciopero è la più grave violazione dei diritti dei lavoratori, è disumana e impensabile. Da quello che possiamo capire, i camionisti iraniani hanno intrapreso questa azione come ultima risorsa di lotta per riuscire a guadagnare di che mantenere le loro famiglie. La minaccia della pena di morte è asso-lutamente sproporzionata.”
Per dare una parvenza di credibilità alle accuse, le autorità giudiziarie hanno pubblicato una serie di filmati in cui si cerca di dimostrare che i camionisti hanno danneggiato proprietà pubbliche e private. Gli scioperanti hanno però reagito dicendo che sono filmati falsi usati per opprimere i camionisti che stanno solo chiedendo il rispetto dei loro diritti.
La principale richiesta degli autotrasportatori è la modifica delle imposte sul carico (un tanto per tonnellata per chilometro). Il Ministero dei Trasporti ha approvato la richiesta, ma questa approvazione più volte comunicata, non è stata mai applicata. Gli autotrasportatori iraniani, sia lavoratori dipendenti che proprietari dei loro automezzi, hanno subito riduzioni costanti delle loro entrate negli ultimi vent’anni. Migliaia di loro non hanno ricevuto alcuna paga per mesi e tutti risentono moltissimo dell’inflazione alle stelle.
I camionisti iraniani hanno ottenuto anche il sostegno dei sindacati italiani e delle federazioni dei trasportatori statunitensi e canadesi. (Grazia)
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(1) In Iran alcuni gravi reati vengono classificati come attacchi contro Dio.
Familiari dei 6 impiccati assistono all'esumazione dei resti dei loro cari
11) ESUMATI IN SUD AFRICA 6 COMBATTENTI IMPICCATI DURANTE L’APAR-THEID
Nel Sud Africa in cui ora vivono pacificamente i bianchi accanto ai neri, per iniziativa dell’attuale Ministro della Giustizia Michael Masutha si onorano i morti fatti durante l’apartheid.
Il 17 ottobre scorso, i familiari di 6 membri del Poqo, l’ala armata del Congresso Pan Africano (PAC), che furono impiccati nel 1963, si sono riuniti in una commovente cerimonia durante la quale i resti dei loro cari sono stati esumati nel cimitero Mamelodi West.
Il maggiore Daniel Mahato Mofokeng, ex capo dell’esercito di Liberazione del Popolo Azaniano, ha onorato i sei quali ‘martiri del PAC’.
“Oggi esumiamo sei dei nostri martiri… Siamo molto grati al governo che sta sostenendo i familiari dei defunti… É stato un percorso molto doloroso. Attivisti del PAC sono stati giustiziati in gran numero dal 1961 fino a quando abbiamo ottenuto la nostra democrazia. Quelli uccisi nel carcere più grande furono quasi 100”, ha detto Mofokeng ai giornalisti. Ed ha aggiunto: “Ciò che accade oggi è la liberazione di queste persone da parte del governo…. Bisogna capire che quando venivi giustiziato dal governo dell’apartheid, rimanevi proprietà dello Stato fino a quando il governo ti rilasciava ai
tuoi cari. Quindi, i familiari non potevano fare niente dei loro morti perché essi appartenevano allo Stato. Ecco perché adesso ci teniamo molto che venga messa in atto questa procedura.”
I sei uomini, Modi Mbiso, Zenzile May, Goli Sonamzi, Katzekile Pilali, Siqwayi Mhlaba e Nkosinam Ngalo - tutti giovanissimi - erano stati mandati ad uccidere un comandante dell’esercito dell’apartheid. Compirono la loro impresa il 19 ottobre 1962, ma furono catturati, riconosciuti colpevoli e condannati a morte il 7 febbraio 1963. Non fu concesso loro alcun appello e furono impiccati a Pretoria solo tre mesi dopo, il 9 maggio 1963.
Queste esumazioni fanno parte del Progetto di Esumazione degli Impiccati, avviato dal Ministro della Giustizia Michael Masutha nel 2016, con lo scopo di recuperare i resti dei prigionieri politici che furono impiccati prima della sospensione della pena di morte nel 1990. I loro corpi venivano all’epoca sepolti in tombe per i poveri in varie zone intorno a Pretoria. Alcuni finirono anche in fosse comuni. (Grazia)
12) NOTIZIARIO
Arabia Saudita. Il giornalista Jamal Khashoggi sparisce nel consolato saudita di Istanbul.
Dal sito di Amnesty International: “Khashoggi è entrato nel consolato saudita di Istanbul il 2 ottobre e da allora non è stato più visto né sentito. L’Arabia Saudita ha ammesso le sue responsabilità ma ha fornito una spiegazione non credibile, sostenendo che il giornalista sia rimasto ucciso nel corso di una colluttazione. La sparizione di Khashoggi è stata preceduta da oltre un anno di arresti di giornalisti che avevano denunciato la corruzione o parlato dei diritti delle donne e di altri temi sensibili. Le autorità turche hanno annunciato di aver avviato un’indagine il giorno stesso della sparizione di Khashoggi. In tale ambito, il 15 ottobre hanno perquisito il consolato saudita di Istanbul. Alcune informazioni sono filtrate o sono state condivise con i media turchi, tra cui quella riguardante l’esistenza di registrazioni audio e video che dimostrerebbero che Khashoggi è stato ucciso all’interno del consolato. Lo stesso 15 ottobre il re dell’Arabia Saudita ha ordinato al procuratore generale di aprire un’inchiesta sulla sparizione di Khashoggi. Dato il possibile coinvolgimento di autorità saudite nella vicenda e la mancanza d’indipendenza della magistratura del paese, vi sono forti dubbi sull’imparzialità di un’inchiesta del genere. La fidanzata di Khashoggi, la cittadina turca Hatice Cengiz, ha dichiarato ai media che quando il suo futuro sposo è entrato nel consolato per chiedere il nulla osta al matrimonio, le ha lasciato in consegna il suo cellulare e delle istruzioni per allertare le autorità turche se non fosse uscito entro due ore. Quella è stata l’ultima volta in cui i due si sono visti. Le autorità turche ritengono che Khashoggi sia stato ucciso, e il suo corpo sia stato smembrato, da agenti sauditi all’interno del consolato. […] Il Comitato per la protezione dei giornalisti, Human Rights Watch, Amnesty International e Reporter senza frontiere hanno sollecitato la Turchia a chiedere al Segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, che sia svolta un’indagine Onu sulla possibile esecuzione extragiudiziale del noto giornalista saudita Jamal Khashoggi.” Firmate l’appello: https://www.amnesty.it/caso-khashoggi-richiesta-indagine-onu/
Somalia. Messo a morte uno dei rei di un grave attentato commesso un anno fa. Il 14 ottobre è stato fucilato in Somalia tele Hassan Adan Isak, appartenente al gruppo islamista Al-Shabaab collegato ad Al-Qaeda (Al-Shabaab controlla attualmente larghe porzioni del territorio somalo). Esattamente un anno prima un camion carico di esplosivo fu fatto esplodere ad un incrocio di Mogadiscio distruggendo un ventina di edifici e uccidendo oltre 500 persone. Hassan Adan Isak era stato giudicato reo di aver guidato uno dei veicoli usati per compiere l’attentato. Il 14 ottobre si è tentuta a Mogasdiscio una grande manifestazione per ricordare quello che è stato uno dei più sanguinosi attentati compiuti in Somalia.
USA. Ancora difficile fare previsioni sugli effetti che avrà la nomina del giudice Kavanaugh. La chiamata del giovane giudice ultraconservatore Brett Kavanaugh a far parte della Corte Suprema degli Stati Uniti da parte del presidente Donald Trump - confermata a stretta maggioranza del Senato Usa il 9 ottobre u. s. - ha suscitato una ridda di discussioni e di previsioni azzardate sull’effetto che potrà avere tale nomina sulla questioni attinenti i diritti umani e in particolare sulla pena di morte. Non è possibile però nel momento attuale fare previsioni precise e attendibili in materia.
USA. Al minimo la percentuale di chi ritiene che la pena di morte sia applicata giustamente. Per la prima volta la percentuale dei cittadini USA che ritengolo che la pena di morte sia applicata in modo giusto è scesa al disotto del 50%. Da un sondaggio effettuato dalla Gallup nella prima decina di ottobre risulta che il 49% degli americani ritiene che la pena capitale sia applicata giustamante e il 45% ingiustamente.
Zimbabwe. Il posto di boia rimene vacante nonostante l’elevato tasso di disoccupazione. Il boia dello Zimbabwe andò in pensione nel 2005 e dal 2006 lo stato ha cercato invano qulcuno disposto ad impiccare che lo rimpiazzi. Non è escluso che l’impegno abolizionista del presidente Emmerson Mnangagwa (v. n. 247), e le pressioni internazionali sul paese africano per indurlo ad abolire la pena di morte, abbiano presto successo salvando la vita degli 81 condananti alla pena capitale e risolvendo così il problema.
Questo numero è aggiornato con le informazioni disponibili fino al 3 novembre u. s.