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FOGLIO  DI COLLEGAMENTO  INTERNO

 

DEL COMITATO PAUL ROUGEAU

 

Numero 298  -  Settembre 2022

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Il carcere Holman nella città di Atmore in Alabama

SOMMARIO:

1) Esecuzione interrotta in Alabama: le guardie non trovano la vena

2) Patrick Schroeder si suicida nel braccio della morte del Nebraska

3) Due attiviste LGBT sono state condannate a morte in Iran

4) In Iran la polizia va contro i parenti dei condannati a morte

5) In Iran messo a morte un sedicenne all’epoca del crimine

6) Viene uccisa in Iran perché non porta bene il velo

7) I gruppi per i diritti umani e l'UE condannano Hamas per l’esecuzione di 5 persone

8) L’Arabia Saudita è uno dei paesi in cui si compiono più esecuzioni

9) Il papa: la pena di morte non fa giustizia ma alimenta la vendetta

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Alan Miller

1) ESECUZIONE INTERROTTA IN ALABAMA: LE GUARDIE NON TROVANO LA VENA

 

La vicenda terrena di Alan Eugene Miller, il condannato che doveva essere ucciso con un’iniezione letale il 22 settembre, non è finita. Dopo due ore e mezza di inutili cruenti tentativi di praticargli l’iniezione letale, il personale del carcere di Holman ha dovuto rinunciare ad ucciderlo. Si ritiene che verrà fissata un’altra data di esecuzione per lui.

 

Il 22 settembre il Dipartimento di Correzione dell'Alabama ha sospeso un'esecuzione a tarda notte, dopo che il personale del carcere Holman, nel corso di 2 ore e mezza, non è riuscito a trovare una vena adatta all’iniezione letale nel corpo di Alan Eugene Miller. L’interruzione è avvenuta dopo una settimana di battaglie legali su quale metodo lo stato avrebbe dovuto usare per giustiziare Miller, un andirivieni di carte che secondo gli oppositori della pena di morte rivela anomalie enormi sul funzionamento della pena capitale nei 27 stati che continuano ad applicarla.

Alan Miller, che ora ha 57 anni, era stato condannato a morte per una sparatoria sul posto di lavoro nel 1999, in cui egli uccise tre uomini, suoi colleghi, che incolpava di aver diffuso voci tendenziose su di lui, incluso il fatto che fosse omosessuale.

Miller chiese di essere messo a morte per ipossia da azoto, una forma di soffocamento, dopo che lo stato ne approvò il metodo nel 2018 come alternativa all'iniezione letale. Quando il Dipartimento di correzione dell'Alabama ha dichiarato la scorsa settimana che non sarebbe stato pronto a utilizzare l'ipossia da azoto in tempo per l'esecuzione programmata di Miller il 22 settembre, un tribunale distrettuale federale ha sospeso la sua esecuzione, decisione che è stata confermata giovedì da una corte d'appello federale. L'esecuzione è stata bloccata fino alle 21:00 circa. Poi i giudici della Corte Suprema hanno votato 5-4 per revocare il blocco. Il commissario del Dipartimento correzionale dell'Alabama, John Hamm, alla fine ha interrotto lo sforzo di uccidere il condannato intorno alle 23:30, affermando in una dichiarazione che il personale della prigione non riusciva a trovare una vena "secondo il protocollo ADOC". Di fatto si sono resi conto che non sarebbero stati in grado di trovare una vena adatta nel corpo del condannato entro mezzanotte, termine entro il quale scadeva il mandato di esecuzione. Hamm ha dichiarato che “l'accesso alle vene richiedeva un po' più di tempo del previsto". Non sapeva quanto a lungo la squadra aveva cercato di creare il collegamento col catetere venoso, ma ha detto che ci sono una serie di procedure da eseguire prima di iniziare i tentativi di collegamento.

Due mesi fa lo stato dell’Alabama era stato accusato di violare la Costituzione con “punizioni crudeli e inusuali”, quando ci vollero tre ore per mettere a morte un altro condannato, Joe Nathan James.

Maya Foa, direttrice di Reprieve US, ha dichiarato: “Le autorità dell'Alabama hanno torturato a morte Joe Nathan James per oltre tre ore cercando di creare una connessione endovenosa, e poi hanno coperto la faccenda. Invece di fermarsi e indagare su come le loro azioni abbiano portato a quella che potrebbe essere stata l'esecuzione più lunga registrata nella storia del nostro paese, hanno invece portato Alan Miller nella camera delle esecuzioni poche settimane dopo e hanno cercato di ucciderlo

in segreto", ha affermato. "Le autorità sapevano che era probabile che avrebbero sottoposto Alan Miller alla stessa procedura lunga e tormentosa di Joe Nathan James e di Doyle Lee Hamm (la cui esecuzione era stata sospesa nel 2018 dopo che il personale della prigione trascorse due ore e mezza cercando di accedere alle sue vene), eppure sono andati avanti comunque, aggiungendo quest’ultima all'orribile storia dello stato di esecuzioni fallite.” E ha aggiunto: “È dura constatare come possano insistere con questo metodo di esecuzione marcio, che continua ad andare storto in modo catastrofico, ancora e ancora. Nella sua disperata voglia di giustiziare, l'Alabama sta facendo esperimenti sui prigionieri a porte chiuse, e sicuramente questa è la definizione di punizione crudele e inusuale".

Il giudice distrettuale Austin Huffaker Jr. ha ordinato al Dipartimento Correzionale dell'Alabama di rintracciare e conservare tutte le prove collegate al tentativo di esecuzione, inclusi appunti, e-mail, testi, e il materiale sanitario usato, quali siringhe, garze, bisturi, e tubi per le endovenose. Ha inoltre accolto la richiesta dell'avvocato di Miller di fargli visita e di fotografare ciò che essi hanno definito "danni fisici derivanti dal tentativo di esecuzione".

Il Dipartimento non ha spiegato in dettaglio cosa sia successo nelle 2 ore e mezza tra la sentenza dell'alta corte che sbloccava l’esecuzione di Miller e l'annullamento della medesima alle 23,30. In una dichiarazione, il procuratore generale dell'Alabama, Steve Marshall, per nulla turbato dalla ovvia tortura subita dal condannato, ha detto che Miller può aspettarsi una nuova data di esecuzione. Ma quanta crudeltà può esserci nel genere umano? (Grazia)

2) PATRICK SCHROEDER SI SUICIDA NEL BRACCIO DELLA MORTE DEL NEBRASKA

 

Patrick Schroeder, un condannato a morte del Nebraska, sicuramente folle, che si è sempre dichiarato colpevole, il 29 agosto è riuscito a suicidarsi.

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Patrick Schroeder

Il 29 agosto, secondo quanto dichiarato dai suoi compagni di prigionia, il quarantacinquenne Patrick Schroeder si è tolto la vita nel braccio della morte del Nebraska, dopo aver già tentato di suicidarsi agli inizi del mese.

Patrick Schroeder fu condannato a morte a Tecumseh nel giugno 2018, per l'omicidio, avvenuto nel 2017, del suo compagno di cella, Terry Berry. Schroeder era in carcere già da 11 anni con una condanna all'ergastolo, per l'uccisione del settantacinquenne agricoltore di Pawnee City, Kenny Albers, quando il 15 aprile 2017 strangolò il suo compagno di cella, Terry Berry, perché non smetteva di parlare. Si dichiarò subito colpevole del crimine e non si batté contro la condanna alla pena capitale. È già evidente da questo suo comportamento che si trattava di una persona disturbata, che avrebbe dovuto essere curato e tenuto in unità psichiatriche, non rinchiuso in una cella e lasciato ‘libero’ di fare e di farsi del male.

Nelle e-mail inviate dal braccio della morte, i suoi vicini di cella John Lotter e Aubrey Trail hanno confermato che una o due settimane prima di morire Schroeder si era tagliato il polso e il braccio con un rasoio, abbastanza profondamente da incidere un'arteria e richiedere diversi punti di sutura.

Lotter ha detto che Schroeder, dopo questo fatto, fu riportato nella sua cella entro 2 giorni, e come restrizione per impedirgli di ripetere il gesto, gli fu solo tolto il rasoio. Lotter pensa che non avrebbe dovuto essere riportato in cella così presto, dato il suo stato d'animo. Lo pensiamo anche noi.

Il 29 agosto Lotter si è svegliato intorno all’una e trenta al rumore prodotto da una guardia che picchiava contro la porta della cella di Schroeder e lo chiamava per nome. Quando non ha ricevuto risposta, la guardia ha chiamato alla radio per far aprire la porta della cella.

Subito dopo, Lotter ha detto di aver sentito i rumori di quella che sembrava una rianimazione cardio polmonare praticata su Schroeder. Pochi minuti più tardi, l’uomo è stato portato via passando davanti alla sua cella, mentre una guardia stava ancora cercando di rianimarlo. Ma era chiaro che era già morto, ha detto Lotter, che in seguito ha sentito dire che Schroeder si era impiccato con un lenzuolo.

L’altro detenuto, Trail, ha detto che Schroeder fu tenuto nell'unità di salute mentale per meno di 24 ore. "E poi è successo questo," ha scritto. "Tutti qui se ne fregano di noi. Aveva ancora i punti di sutura al braccio dall'ultimo tentativo".

Il Dipartimento Penale del Nebraska ha confermato la sua morte, ma ha rifiutato di fornire dettagli su quanto accaduto, dicendo che la causa non è ancora stata determinata e che ci sarà poi un’analisi dei fatti da parte di un gran giurì.

Doug Koebernick, ispettore generale del sistema penale del Nebraska, ha detto che la prigione ha notificato al suo ufficio il giorno della morte di Schroeder e il suo ufficio ha avviato le proprie indagini. A differenza del gran giurì, che esaminerà se accuse penali dovranno essere presentate contro qualcuno in relazione alla morte, loro si concentreranno sull’episodio stesso, sugli eventi che l'hanno circondato e se il personale ha seguito le politiche carcerarie.

"Se sei nel braccio della morte o meno, tutti dovrebbero essere trattati allo stesso modo", ha detto Koebernick. Schroeder è il quinto condannato a morte in 15 anni a morire in attesa dell'esecuzione da parte dello stato.

Nel braccio della morte del Nebraska ci sono ancora 11 condannati.

La Corte Suprema aveva in precedenza stabilito che un mandato di esecuzione non può essere emesso quando sono pendenti impugnazioni giudiziarie da parte di un condannato a morte.

Quando è stato chiesto dai giornalisti la scorsa settimana se la prigione stesse cercando attivamente di validare il protocollo sul farmaco necessario per l’iniezione letale, la portavoce Laura Strimple ha affermato che è responsabilità del Dipartimento Penale statale eseguire l'ordine del tribunale, "che include continuare a gestire gli appalti per la fornitura delle sostanze necessarie”.

L'ultima esecuzione nel Nebraska avvenne nel 2018, quando il sessantenne Carey Dean Moore, fu messo a morte per aver ucciso nel 1979 due tassisti di Omaha. Moore era stato nel braccio della morte per 38 anni. (Grazia)

3) DUE ATTIVISTE LGBT SONO STATE CONDANNATE A MORTE IN IRAN

 

Si ritiene che due iraniane, Zahra Seddiqi Hamedani e Elham Choubdar, siano state condannate a morte in Iran per il fatto di essere omosessuali e di essersi battute per i diritti degli individui LGBT.

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Zahra Seddiqi Hamedani

Un tribunale di Urmia, nell’Azerbaigian occidentale iraniano, ha giudicato Zahra Seddiqi Hamedani, di 31 anni, ed Elham Choubdar, di 24 anni, colpevoli di “corruzione sulla Terra” e le ha condannate a morte.

L'organizzazione norvegese Hengaw per i diritti umani ha riferito che sono state accusate di promuovere l'omosessualità, promuovere il cristianesimo e comunicare con i media contrari alla Repubblica islamica.

La magistratura iraniana ha successivamente confermato le condanne, ma ha affermato che erano dovute al traffico di esseri umani e non all'attivismo. “Contrariamente alle notizie pubblicate nel cyberspazio e alle voci che sono state diffuse, queste due sono state accusate per il traffico di donne e giovani ragazze in uno dei Paesi della regione”, ha riferito l'organo di informazione della magistratura, Mizan.

La Hengaw ha fatto sapere che Seddiqi Hamedani proviene da Naqadeh, città a maggioranza curda, nella provincia dell'Azerbaigian occidentale, che confina con la Turchia e l'Iraq.

Amnesty International l'aveva precedentemente descritta come “difensora dei diritti umani non conforme al genere”, arrestata “esclusivamente in relazione al suo orientamento sessuale reale o presunto e alla sua identità di genere, nonché ai suoi post sui social media e alle sue dichiarazioni in difesa dei diritti LGBT”.

Il rapporto di Amnesty riferisce che la donna è stata arrestata nell'ottobre 2021 dal Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica (IRGC) mentre tentava di entrare in Turchia per chiedere asilo. “È stata fatta sparire con la forza per 53 giorni, durante i quali un agente dell'IRGC l'avrebbe sottoposta a "intensi interrogatori accompagnati da abusi verbali" e "ha minacciato di giustiziarla o di farle del male in altro modo e di toglierle la custodia dei suoi due figli piccoli". La Hengaw ha osservato nel suo rapporto che “Zahra Sediqi Hamadani è stata privata del diritto di accesso a un avvocato durante la sua detenzione”.

A gennaio, Seddiqi Hamedani è stata portata davanti ad un procuratore di Urmia, la più grande città dell'Azerbaigian occidentale, e le è stato detto che era accusata di "diffondere la corruzione sulla Terra", anche attraverso la promozione dell'omosessualità, la comunicazione con media ostili e la promozione del cristianesimo. Secondo Amnesty, le prime due accuse derivano dalla sua difesa pubblica dei diritti LGBT sui social media e dalla sua apparizione in un documentario della BBC del maggio 2021 sugli abusi che le persone LGBT subiscono nella regione semi-autonoma del Kurdistan in Iraq, dove aveva vissuto.

Secondo la legge iraniana, il rapporto sessuale tra persone dello stesso sesso è un reato penale, con punizioni che vanno dalla fustigazione alla pena di morte. Il regime iraniano ha giustiziato a partire dalla rivoluzione islamica del 1979 tra 4.000 e 6.000 persone gay o lesbiche.

L'accusa di promuovere il cristianesimo è stata mossa per aver indossato una collana con una croce e aver frequentato una chiesa in Iran diversi anni fa, ha aggiunto Amnesty.

Prima di tentare di lasciare l'Iran, Seddiqi Hamedani ha registrato un video in cui diceva: “Voglio che sappiate quante pressioni subiamo noi persone LGBT. Rischiamo la vita per le nostre emozioni, ma troveremo il nostro vero io... Spero che arrivi il giorno in cui tutti noi potremo vivere in libertà nel nostro Paese". "Sto viaggiando verso la libertà... Se non ce la farò, avrò dato la mia vita per questa causa”.

Peter Tatchell, attivista britannico per i diritti umani e LGBTQ, ha dichiarato al giornale Jerusalem Post che “Zahra Sediqi Hamedani ed Elham Chubdar, accusate di essere attiviste LGBTQ, sono state condannate a morte con l'accusa di 'Corruzione sulla Terra' attraverso la promozione dell'omosessualità”. Questa accusa viene spesso usata contro i critici del regime e contro coloro che esprimono opinioni non conformi all'ortodossia islamica. Di solito porta all'esecuzione. “Secondo quanto riferito, Zahra non ha avuto accesso a un avvocato durante i 10 mesi di detenzione. L'Iran è noto per i processi iniqui ed è molto probabilmente il caso di queste due donne”. Ha aggiunto che “probabilmente saranno impiccate con il barbaro metodo dello strangolamento lungo e lento, utilizzato dal regime iraniano per massimizzare la sofferenza della vittima”.

Questi casi evidenziano ulteriormente la guerra omicida in corso da parte della dittatura di Teheran contro le persone LGBTQ, in violazione dei principi della Dichiarazione universale dei diritti umani delle Nazioni Unite (1).”

La comunità internazionale deve fare pressione sulle autorità iraniane affinché commutino le condanne a morte e rilascino queste donne”.

La professoressa Jessica Emami, esperta di Iran e ricercatrice dell'Istituto per lo studio dell'Antisemitismo Globale e della Politica, ha dichiarato che “fin dalla sua nascita, la Repubblica Islamica dell'Iran ha trattato le persone LGBT con dispotismo e barbarie. Gli iraniani LGBT cercano disperatamente di fuggire dall'Iran per evitare l'imprigionamento e la morte”.

Sheina Vojoudi, una dissidente iraniana fuggita dalla Repubblica islamica dell'Iran a causa della repressione, ha dichiarato: "Notizie come questa non ci sorprendono più. La Repubblica islamica in Iran interferisce nelle parti più private della vita degli Iraniani. La Repubblica islamica vuole fare di noi degli schiavi, un esercito di schiavi pronti a morire per l'ideologia del regime. Il regime vuole decidere per l'intera nazione, vuole decidere anche per il desiderio sessuale delle persone, per il rapporto tra mariti e mogli e la quantità di figli, per le nostre credenze, per il nostro modo di pensare. Il regime decide quali nazioni dobbiamo odiare e quali amare e se prendiamo le nostre decisioni contro la volontà del regime dei Mullah, siamo considerati un pericolo per la sicurezza nazionale".

Anche il feed Twitter indipendente iraniano 1500tasvir e la Rete iraniana delle lesbiche e dei transgender, con sede in Germania, hanno confermato che “le attiviste per i diritti degli omosessuali Zahra_Seddighi e Elham Choobdar sono state condannate a morte” e hanno invitato i governi stranieri a fare pressione sull'Iran affinché le rilasci. (Pupa)

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(1) Il leader Supremo dell’Iran, l’Ayatollah Ali Khamenei, a marzo ha definito l’omosessualità parte dell’assenza di moralità caratteristica della civiltà occidentale

4) IN IRAN LA POLIZIA VA CONTRO I PARENTI DEI CONDANNATI A MORTE

 

Il 21 settembre la polizia iraniana ha arrestato un gruppo di manifestanti costituito da parenti di condannati a morte. Fermati anche alcuni bambini.

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Familiari dei condannati a morte in Iran

Domenica 21 settembre le forze di sicurezza iraniane hanno attaccato un raduno di famiglie di detenuti condannati a morte davanti all'edificio della magistratura e hanno effettuato diversi arresti. Le foto e i video dei social media mostrano che c'erano bambini tra le persone arrestate.

La polizia ha cercato di disperdere i manifestanti, che insistevano per continuare la loro manifestazione. I manifestanti portavano cartelli con gli slogan "Non mettete a morte" e "No alle esecuzioni".

La settimana precedente le famiglie dei condannati a morte hanno tenuto manifestazioni davanti al Tribunale rivoluzionario nella città di Karaj e davanti alla Sede della magistratura di Teheran, chiedendo di fermare l'esecuzione dei loro parenti.

Alla fine di luglio, 2 organizzazioni per i diritti umani hanno dichiarato che l'Iran ha intrapreso una corsa all'esecuzione a un "ritmo orribile" con almeno 251 impiccagioni tra il 1° gennaio e il 30 giugno 2022.

Amnesty International e il Centro Abdorrahman Boroumand per i Diritti Umani in Iran hanno scritto in un rapporto che il numero effettivo delle esecuzioni è probabilmente più alto, poiché le autorità mantengono il segreto sulle condanne a morte emesse ed eseguite.

Il 16 giugno, il segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres ha pubblicato un rapporto sulla situazione dei diritti umani in Iran, denunciando “l’alto numero di condanne a morte ed esecuzioni”. Il capo delle Nazioni Unite ha dichiarato che il numero di esecuzioni in Iran è aumentato da almeno 260 nel 2020 ad almeno 310 nel 2021 e che tale numero ha continuato a salire nel 2022.

5) IN IRAN MESSO A MORTE UN SEDICENNE ALL’EPOCA DEL CRIMINE

 

Attualmente nei bracci della morte dell’Iran ci sono almeno 85 detenuti che erano minorenni al momento del crimine. Mohammad Hossein Alizadeh, un giovane messo a morte in Iran il 16 agosto, aveva 16 anni quando fu accusato di aver commesso un crimine.

 

Gli attivisti iraniani hanno confermato che Mohammad Hossein Alizadeh, un giovane recentemente messo a morte in Iran, era minorenne quando fu accusato di aver commesso un crimine.

Il sito web di notizie Halvash, che copre le notizie della minoranza etnica Baluch in Iran, ha pubblicato le immagini dei documenti penali riguardanti il condannato da cui risulta che era nato in Afghanistan il 6 ottobre del 2001.

Mohammad Hossein Alizadeh fu arrestato nel 2017, quando aveva 16 anni, con l’accusa di aver accoltellato un uomo durante una rissa, ed è stato rinchiuso nel carcere di Qom fino alla sua esecuzione portata a termine il 10 agosto u. s.

Affermava di essere stato costretto a confessare l’omicidio sotto “tortura, minacce, percosse e oscenità”.

Aveva detto: “Non accetto l’accusa di omicidio. Il coltello mi appartiene, ma non ricordo se ho pugnalato qualcuno con esso. Non ero in uno stato normale, avevo bevuto”.

La Corte Suprema iraniana ha dichiarato: “Il gruppo di cinque membri esperti neuropsichiatrici e forensi ha dichiarato che la persona nominata soffre di disturbo della condotta, aggressività e irritabilità, ma ha la capacità di distinguere e riconoscere il bene e il male. Ha uno sviluppo mentale e intellettuale appropriato alla sua età, e non c'è alcuna prova che non riconoscesse il bene e il male nel momento in cui commise il crimine”.

Il Codice penale iraniano consente l'esecuzione di ragazzi di almeno 15 anni e di ragazze di almeno 9 anni, anche se l'esecuzione di minori è vietata dal diritto internazionale.

Attualmente ci sono almeno 85 detenuti che erano minorenni al momento del crimine rinchiusi nei bracci della morte in Iran.

L'Iran è uno dei pochi paesi al mondo che ancora applica la pena di morte per i minorenni. Il Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici, firmato anche dall’Iran, vieta l'emissione e l'attuazione di condanne a morte per i crimini commessi da individui di età inferiore ai 18 anni.

6) VIENE UCCISA IN IRAN PERCHÉ NON PORTA BENE IL VELO

 

Da Amnesty International apprendiamo che una donna iraniana è stata uccisa per il fatto di non aver portato bene il velo che le donne iraniane devono indossare. Mahsa Amini è stata picchiata dalla polizia mentre veniva portata in un centro di detenzione ed è morta. L’uccisione della donna ha provocato proteste contrastate duramente dalle autorità.

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Mahsa Amini

Il 13 settembre Mahsa Amini, 22 anni, è stata arrestata a Teheran dalla cosiddetta polizia “morale” iraniana per non aver portato in modo conforme il velo, violando dunque un obbligo del tutto discriminatorio.

Secondo testimoni oculari, è stata picchiata violentemente mentre veniva portata in un centro di detenzione. È morta tre giorni dopo!

Da quel giorno, una straordinaria ondata di proteste si è riversata nelle strade dell’Iran. Migliaia di persone stanno protestando, accanto a loro, in tutto il mondo.

La risposta delle autorità iraniane è estremamente brutale: dall’inizio delle proteste sono oltre 70 le persone morte, tra cui anche dei minorenni, e centinaia quelle ferite. Amnesty International

7) I GRUPPI PER I DIRITTI UMANI E L'UE CONDANNANO HAMAS PER L’ESECUZIONE DI 5 PERSONE

 

Gruppi per i diritti umani e l'UE hanno condannato l'esecuzione da parte di Hamas, che governa la Striscia di Gaza, di cinque Palestinesi, di cui due accusati solo di “collaborazionismo” con Israele.

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Bandiera di Hamas

Cinque esecuzioni portate a termine il 4 settembre, le prime effettuate nell'enclave assediata dal 2017, sono state definite “crudeli e disumane”.

Gruppi per i diritti umani e l'UE hanno condannato l'esecuzione da parte di Hamas, che governa la Striscia di Gaza, di cinque Palestinesi, di cui due accusati di “collaborazionismo” con Israele.

Le esecuzioni sono state le prime effettuate nell'enclave costiera assediata.

“Domenica mattina, sono stati messi a morte due condannati per collaborazione con l'occupante (Israele) e altri 3 condannati per altri crimini”, ha dichiarato Hamas.

“Le esecuzioni sono state portate a termine dopo la conclusione delle procedure legali.”

“Le sentenze erano diventate definitive dopo che a tutti i condannati erano stati concessi pieni diritti di difendersi”.

Hamas ha fornito le iniziali e gli anni di nascita dei 5 palestinesi giustiziati, ma ha nascosto i loro nomi completi.

I 2 giustiziati per “collaborazione” con Israele erano uomini nati nel 1978 e nel 1968. Il più vecchio dei 2 era un residente di Khan Younis nel sud della Striscia. Fu condannato per aver fornito a Israele nel 1991 “informazioni sugli uomini della resistenza, la loro residenza ... e la posizione delle rampe di lancio dei razzi”, ha precisato Hamas.

Il secondo è stato condannato a morte per aver fornito a Israele nel 2001 informazioni di intelligence “che hanno portato alla presa di mira e al martirio dei cittadini”, da parte delle forze israeliane, si legge nella dichiarazione.

Gli altri 3 giustiziati erano stati condannati per omicidio.

 

Crudeli e disumane

 

Sven Kuehn Von Burgsdorff, ambasciatore dell'UE nei territori palestinesi, ha dichiarato di essere preoccupato per le esecuzioni. “Hamas deve rispettare gli obblighi della Palestina ai sensi del diritto internazionale”, ha detto, sottolineando la “moratoria sulla pena capitale” decisa dell'Autorità Palestinese con sede a Ramallah.

“Le esecuzioni sono crudeli e disumane e non possono in nessun caso essere giustificate in quanto negano alle vittime la dignità umana”, ha scritto in una nota.

Nel frattempo, Yamen al-Madhoun, coordinatore dell'unità di ricerca sul campo presso il Centro Al-Mezan per i diritti umani di Gaza, ha definito le esecuzioni “una punizione disumana e non deterrente”.

“Devono essere cercate altre sanzioni alternative”, ha dichiarato Yamen al-Madhoun a Middle East Eye. “Gli obblighi dello Stato di Palestina devono essere rispettati ai sensi del Protocollo opzionale al Patto internazionale sui diritti civili e politici, a cui ha aderito nel 2018, per quanto riguarda l'abolizione della pena di morte”.

Ramy Abdu, presidente di Euro-Med Human Rights Monitor, ha twittato: “In violazione della legge palestinese e degli obblighi internazionali della Palestina, il ministero degli Interni della Striscia di Gaza ha eseguito oggi 5 condanne a morte. “Rifiutiamo la pena di morte in linea di principio alla luce del suo uso da parte di sistemi giudiziari perversi. È una punizione irreversibile e può essere un errore irreversibile.”

Omar Shakir, direttore di Israele e Palestina di Human Rights Watch, ha definito le esecuzioni ripugnanti. “La morte come punizione sancita dal governo è una pratica barbara che non ha posto nel mondo moderno”, ha scritto su Twitter.

Il Centro Palestinese per i Diritti Umani (PCHR) di Gaza ha affermato che le esecuzioni sono state portate a termine “in violazione degli obblighi internazionali della Palestina”.

Il Centro “chiede alle autorità della Striscia di Gaza di non usare la pena di morte e di sostituirla con l'ergastolo e i lavori forzati”.

Da quando Hamas ha preso il controllo di Gaza, i suoi tribunali hanno condannato a morte circa 180 palestinesi e ne hanno giustiziati 33 finora, ha ricordato il PCHR.

 

Esecuzioni in pubblico

 

Hamas negli ultimi anni ha condannato a morte numerose persone per “collaborazione” con Israele, ma le esecuzioni annunciate domenica sono le prime effettuate dal maggio 2017.

Allora tre Palestinesi, Ashraf Abu Leila, Hisham al-Aloul e Abdallah al-Nashar, furono giustiziati per il loro coinvolgimento nell'assassinio di un leader militare di Hamas. E furono messi a morte in pubblico, con centinaia di persone autorizzate ad assistere alle esecuzioni. Erano stati arrestati poche settimane prima per l’uccisione di Mazen Faqha, un uomo che si disse fu ucciso a colpi d'arma da fuoco per conto di Israele.

Mentre Hamas mantiene la pena di morte nei codici, i Palestinesi nella Cisgiordania occupata non hanno compiuto esecuzioni negli ultimi anni.

Mahmoud Abbas, presidente dell’Autorità palestinese, che ha sede a Ramallah in Cisgiordania, ha firmato il trattato delle Nazioni Unite che vieta la pena di morte.

Il movimento Fatah di Abbas e Hamas si divisero nel 2007, in seguito allo scoppio di combattimenti tra le fazioni palestinesi.

L'Autorità Palestinese opera in Cisgiordania, sede di quasi tre milioni di palestinesi che vivono accanto a 475.000 coloni israeliani.

Hamas, dal canto suo, governa più di 2,3 milioni di palestinesi.

8) L'ARABIA SAUDITA È UNO DEI PAESI IN CUI SI COMPIONO PIÙ ESECUZIONI

L’Arabia Saudita è uno dei paesi del mondo in cui si compio più esecuzioni capitali. Lo ha sottolineato il Segretario Generale delle Nazioni Unite António Guterres nel rapporto pubblicato in occasione della 51-sima sessione del Consiglio per i Diritti Umani.

 

Il rapporto del Segretario Generale delle Nazioni Unite sulla pena di morte ha confermato che l'Arabia Saudita ha ripreso le esecuzioni con diffuse violazioni del diritto internazionale.

Il rapporto, pubblicato in occasione della 51-sima sessione del Consiglio per i Diritti Umani, riguarda il periodo che va da luglio del 2020 a giugno del 2022 ed è ricavato da rapporti e interventi di stati, organismi internazionali e regionali delle Nazioni Unite e organizzazioni non governative.

Nell’introduzione il Segretario Generale delle Nazioni Unite António Guterres afferma che gli Stati che non hanno ancora abolito completamente la pena di morte dovrebbero intraprendere un percorso irreversibile verso la sua totale abolizione, de facto e de jure. La pena di morte non può conciliarsi con il pieno rispetto del diritto alla vita. Il rapporto rileva che 170 paesi hanno abolito o sospeso la pena di morte, ma contrariamente alla tendenza globale, una minoranza di paesi continua a farne uso.

Reintroduzione della pena di morte o estensione o ripresa delle esecuzioni

Le misure adottate nel contesto della pandemia di coronavirus hanno avuto un impatto sull'imposizione e sull'applicazione della pena di morte. Nel 2020 è stata segnalata una riduzione del numero di condanne a morte annunciate ed eseguite in diversi paesi, tra cui l'Arabia Saudita, a causa delle misure adottate per contrastare l'epidemia. Tuttavia, con l'allentamento delle restrizioni contro la pandemia nel 2021 e nel 2022, le esecuzioni sono riprese o sono aumentate in molti paesi. Tre paesi, tra cui l'Arabia Saudita, di tutte le esecuzioni conosciute in quell’anno, ne hanno portate a termine 88.

Le misure di salvaguardia garantiscono la protezione dei diritti di coloro che rischiano la pena di morte

Molti paesi hanno continuato a imporre e applicare la pena di morte per reati di terrorismo. Il Consiglio ONU per i Diritti Umani ha espresso preoccupazione per l'uso delle leggi antiterrorismo in vari paesi, tra cui l'Arabia Saudita, contro cittadini stranieri e persone appartenenti a minoranze. Secondo i rapporti, le condanne sono state emesse in seguito a procedure giudiziarie inique, quali arresto arbitrario, tortura, maltrattamenti e sparizione forzata.

L'Alto Commissario per i Diritti Umani ha condannato le esecuzioni di massa in Arabia Saudita basate su accuse di terrorismo, anche contro persone appartenenti a minoranze che hanno partecipato a proteste antigovernative.

 

Garanzie per un processo equo

 

Alcune condanne a morte sono state emesse dopo arresti arbitrari e tortura, applicando leggi antiterrorismo in vari paesi, tra cui l'Arabia Saudita.

È stato riferito che molte persone nel braccio della morte non sono riuscite ad ottenere una difesa legale personale, ma alcuni avvocati difensori hanno riferito di non essere stati in grado di svolgere efficacemente il proprio lavoro investigativo. Sono inoltre accresciute le preoccupazioni sul fatto che si stiano scoraggiando gli avvocati dall'assumere casi di pena di morte, e si stia rendendo difficile trovare rappresentanza legale per le persone nel braccio della morte.

 

Esecuzione di minori

 

In alcuni paesi sono ancora legali le condanne a morte per crimini commessi da persone di età inferiore ai 18 anni. Si ritiene che criminali che erano al disotto dei 18 anni al momento del crimine siano nel braccio della morte in vari paesi, tra cui l’Arabia Saudita.

I titolari del mandato di procedure speciali hanno espresso grave preoccupazione per le condanne a morte pronunciate contro i minorenni in Arabia Saudita, a dispetto di sentenze emesse dopo processi che, secondo quanto riferito, non avrebbero rispettato le garanzie di un processo equo, e di accuse di detenzione arbitraria e tortura. Il gruppo di lavoro sulla Detenzione Arbitraria aveva chiesto all'Arabia Saudita di rilasciare immediatamente una persona che era stata arrestata quando aveva 14 anni, e condannata a morte dopo un processo che conteneva irregolarità, inclusa un'ammissione di colpa che si diceva fosse stata estorta sotto tortura.

Il Gruppo di Lavoro e il Relatore speciale sulle esecuzioni extragiudiziali hanno esortato l'Arabia Saudita ad adottare senza indugio le misure legislative necessarie per abolire l'imposizione della pena di morte ai bambini per tutti i reati, compresi quelli punibili con le pene Qisas e Hadd.

 

Il Segretario Generale ha chiuso la sua relazione con alcune conclusioni e raccomandazioni, tra cui:

• Dopo le limitazioni dovute alla pandemia di Covid-19, l'imposizione e l'applicazione della pena di morte sono riprese o sono aumentate in molti paesi.

• Il Segretario Generale ricorda che tutti gli Stati dovrebbero rispettare pienamente i propri obblighi ai sensi della legge internazionale sui diritti umani. Gli Stati che mantengono la pena di morte dovrebbero imporla solo per i “reati più gravi”, che sono stati conformemente interpretati come crimini di estrema gravità che comportano uccisioni intenzionali.

• Gli Stati dovrebbero abolire la pena di morte obbligatoria. Inoltre, un processo dovrebbe tener conto delle circostanze personali dell'autore del reato e delle circostanze particolari del reato.

• In attesa dell'abolizione, gli Stati dovrebbero assicurare che le garanzie e le tutele legali siano effettivamente messe in atto, compreso il diritto di chiedere la grazia e la commutazione della sentenza attraverso procedure che offrano determinate garanzie essenziali.

 

L’Organizzazione Europea Saudita per i Diritti Umani (European Saudi Organisation for Human Rights) rileva che, in conseguenza delle minacce alla società, delle minacce alle famiglie, della mancanza di trasparenza e della difficoltà di accedere ai documenti, è difficile stabilire il numero di coloro che sono attualmente nel braccio della morte in Arabia Saudita.                                                                                                                       (Anna Maria)

9) IL PAPA: LA PENA DI MORTE NON FA GIUSTIZIA MA ALIMENTA LA VENDETTA

 

Grande risonanza ha avuto l’ulteriore intervento di papa Francesco contro la pena di morte contenuto in un video di 2 minuti diffuso in 114 paesi

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Papa Francesco

Nel video con le intenzioni di preghiera per il mese di settembre, papa Francesco ribadisce l’inammissibilità della pena capitale, abolita in 170 paesi ma ancora applicata in 55 paesi di tutti i continenti: “È moralmente inadeguata. La società non deve privare chi ha commesso un crimine della possibilità di redimersi”

È un “no” senza condizioni contro la pena di morte quello che Francesco - il Papa che ha modificato il Catechismo per dichiarare tale pratica “sempre inammissibile” - torna a ribadire nel video con le intenzioni di preghiera per il mese di settembre.

Chiedo a tutte le persone di buona volontà di mobilitarsi per ottenere l’abolizione della pena di morte in tutto il mondo. Preghiamo perché la pena di morte, che attenta all’inviolabilità e alla dignità della persona, sia abolita nelle legislazioni di tutti i Paesi del mondo.

Le parole del Pontefice nel filmato, rivolte non solo ai credenti ma a tutte le persone di buona volontà, sono accompagnate da immagini toccanti: gli occhi di uomini e donne dietro le sbarre, persone sole in una cella o intente a pregare, fotogrammi di manifestazioni in giro nel mondo con cartelli come “Don’t kill for me” e “Execute justice not people”. Nei circa 2 minuti del video, tradotto in 23 lingue e diffuso in 114 Paesi, si vedono pure gli strumenti attraverso i quali avvengono le esecuzioni: cappi per l’impiccagione, siringhe per le iniezioni letali, sedie elettriche, muri con i fori di proiettile delle fucilazioni, camere a gas.

 

 

Questo numero è aggiornato con le informazioni disponibili fino al 30 settembre 2022

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