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FOGLIO  DI COLLEGAMENTO  INTERNO

 

DEL COMITATO PAUL ROUGEAU

 

Numero  121 -  Settembre  2004

SOMMARIO:

                                                                      

1) Kenneth precipita nel più profondo livello di segregazione ( I )

2) Biotecnologie e vita umana        

3) Gli Usa e l’Iran pongano fine alle esecuzioni di minorenni !  

4) Sedicenne impiccata in Iran per fornicazione

5) Un avvocato a Guantanamo ma a quali condizioni !     

6) Prigionieri abusati in conseguenza di ordini superiori

7) Umiliazioni per le prigioniere irachene

8) Lavoro silenzioso per scongiurare l’esecuzione di Dominique

9) Per la quinta volta: sospesa l’esecuzione di Philip Workman

10) In quanti modi si condanna a morte un essere umano fragile?

11) … e in America?

12) Da cattivi “esempi” cattive conseguenze

13) Teniamo gli occhi aperti mentre apriamo il nostro cuore

14) Protestiamo contro l’ingiusto isolamento di Mark !   

15) Preston condannato a morte per aver ucciso un coniglio       

16) La mia prigione  

17) Notiziario:  Afghanistan, Cina, Filippine, Usa

 

 

1) KENNETH PRECIPITA NEL PIU’ PROFONDO LIVELLO DI SEGREGAZIONE (I)

 

Cari amici, oggi devo farvi partecipi di alcune notizie urgenti. Per qualcuno di voi ciò potrà essere scioccante ma non è l’intera questione della pena di morte ad esserlo? Non ho inviato molti aggiornamenti sul mio caso ultimamente dal momento che azioni sia legali che politiche sono state avviate e sono tuttora in corso, ma vorrei cominciare a spedire messaggi più frequentemente. Oggi  comunque  il messaggio ha a che fare con la mia persona.

Tutti coloro che mi conoscono direttamente o perfino quelli che mi conoscono soltanto tramite altri o attraverso il mio sito web, sono sicuro si rendano conto che io ho fatto del mio meglio per restare concentrato sulla mia battaglia legale e produrre con tutto il mio essere sforzi costruttivi […]  Ho fatto del mio meglio per abbozzare di fronte alle molte violazioni che mi circondano nella Polunsky Unit perché la mia permanenza qui è solo temporanea – indipendentemente dal fatto che il futuro mi riservi una vittoria o una sconfitta.  La mia battaglia è con il sistema giudiziario,  per provare la mia innocenza, e io rifiuto di farmi scoraggiare. Sfortunatamente faccio ancora parte di questo ambiente e così sono soggetto ai suoi pro e contro. Dunque, il 12 agosto 2004 ho assunto una presa di posizione di sfida contro le continue violazioni dei nostri diritti costringendo una squadra anti-sommossa a tirarmi fuori dalla cella mentre protestavo per l’inflizione del più duro livello si segregazione per una oltraggiosa e frivola nota disciplinare.

In 7 anni non ho avuto più di 6 note disciplinari e sono stato in isolamento una volta sola per una ridicola infrazione dovuta al fatto di non aver riordinato la cella. Comunque, quel giorno con lo stress montante del braccio della morte che mi circonda, ho preso questa posizione per mostrare il mio rifiuto di essere vittima silenziosa degli attacchi preventivi dell’amministrazione.

Una squadra anti-sommossa o ‘squadra di estrazione’ è un gruppo di 5 agenti, di solito i più robusti dell’intero staff ed equipaggiati di tutto punto (elmetto, maschera anti-gas,  giubbotto anti proiettile e protezione per i gomiti, ginocchi e stinchi) e il suo lavoro è quello di estrarre i detenuti dalla cella con ogni mezzo fino ad usare la forza se necessario. Questa procedura è supervisionata dagli agenti più anziani di grado ed anche registrata da una telecamera.

Sapevo a cosa andavo incontro poiché ho familiarità con ogni aspetto del protocollo carcerario. Essendo consapevole di ciò, sapevo anche che correvo il rischio di restare ferito e persino di morire (le celle sono di 2,10 m x 3 m, all’interno di esse la cuccetta e le sporgenze di acciaio possono causare  ferite gravi). Questi tre tipi di incidenti [essere estratto con la forza, rimanere feriti o morire, n.d.t.] sono già tutti accaduti nel corso degli anni. La domanda che mi facevo era: “fino a quando devo sopportare?” e “quante volte devo consentire a me stesso di essere calpestato?” Il fatto ebbe inizio una mattina presto mentre un’agente donna di nome Crabtree, mi pare, dava in escandescenze con insulti e minacce lungo il corridoio. Il sistema penale è così oppressivo che induce perfino le donne ad essere aggressive. E con un sistema che trascura i nostri diritti e spalleggia gli agenti in ogni occasione, esse lo sono realmente.

Ci sono troppe regole in questo posto. Cambiano mensilmente, settimanalmente e talvolta, giornalmente. Vi farei solo girare inutilmente in tondo se le nominassi tutte. La mia pagina web alla sezione “ L’inferno d’acciaio: dentro il braccio della morte (su www.kennethfoster.de) descrive molti aspetti di tutto ciò che dobbiamo affrontare qui dentro.

Quel giorno mi stavo sottoponendo alla procedura per essere ammanettato dall’agente Crabtree e dall’agente Rogers, per andare alla ricreazione. La regola stabilisce che a nessuno è consentito portare cose nella sala di ricreazione, ad esempio un libro, un succo di frutta o persino una fetta di dolce. La donna apparentemente pensò che io avessi preso qualcosa e così minacciò di annullare la mia ricreazione. Una cosa che non tollererò mai, è che mi tolgano ingiustamente la mia ricreazione.  Se farò qualcosa di sbagliato lo accetterò ma io non avevo fatto nulla. Ci viene consentito di stare per un’ora al giorno tra 4 mura sormontate da una rete. Per 7 anni ho beneficiato della mia ora e continuerò a farlo.

Veniamo ammanettati dietro la schiena mentre facciamo uscire le mani dalla feritoia utilizzata per far passare il cibo e così, mentre lei mi stava ammanettando, mi rifiutai di togliere le braccia dalla feritoia. Questa è già una trasgressione. Viene considerata una “provocazione al disordine”, un rischio per la sicurezza. Comunque, i detenuti spesso usano questa tattica per far sì che un agente si fermi un attimo per parlare in quanto, normalmente, gli agenti non si fermano neanche quando vengono chiamati per risolvere i nostri problemi. Gli agenti di un corridoio hanno potere decisionale per il reparto. Se non riescono a risolvere una questione, un agente più alto in grado (sergente o tenente) viene convocato per trattare il caso ma, 9 volte su 10, il superiore fa orecchie da mercante sia che noi abbiamo ragione oppure no. Raramente un detenuto viene aiutato. Siamo fatti per essere sottomessi senza alcuna pietà.

Mentre mantenevo aperta la feritoia, dissi all’agente che non le avrei permesso di violare il mio diritto alla ricreazione in quanto non avevo fatto niente. Così lei chiamò un sergente e cominciò a discutere il caso con il nuovo arrivato. Non si sa per quale motivo, decisero di risolvere il problema e condurmi alla ricreazione. Assicurai loro che non avevo niente in mio possesso e permisi all’uomo, su mio suggerimento, di perquisirmi. Naturalmente non venne trovato niente. Il sergente alla fine mi fece notare informalmente che il problema era risolto. Erano circa le 9 del mattino. Il giorno passò e la Crabtree mantenne il suo atteggiamento negativo con i detenuti così l’atmosfera fu tesa per tutto il giorno. Verso le sei di sera il loro turno finì, anzi mancavano esattamente dieci minuti alle sei quando il sergente (Ludwig) si avvicinò alla mia cella e chiese se avevo una dichiarazione in merito al caso disciplinare relativo al rifiuto di “lasciare libera la feritoia”. Ludwig è un individuo veramente rozzo e non si preoccupa mai dei detenuti. Egli è ben conosciuto per questo. Così feci al sergente una domanda logica: ‘Quando sei venuto per chiudere la feritoia?’ Mi rispose che non lo aveva fatto ma che io avevo comunque agito così, e che questo era tutto ciò che contava. Risposi che se l’agente aveva risolto la questione e non aveva dato il via ad un procedimento contro di me, come poteva essere legittima la vertenza disciplinare? La logica era troppo ovvia e così si infuriò: ‘Hai una dichiarazione o no?’  Io dissi semplicemente ‘Non ho tenuto aperta la feritoia’.

So che casi come questo possono essere trattati in molti modi diversi che vanno dall’essere condannato a mangiare il ‘blocchetto di cibo’ all’essere citato come uno che si rifiuta di obbedire ad un ordine diretto il che porta all’isolamento. Di solito si tiene un’udienza per decidere la colpevolezza e/o la punizione. Questo per me non sarebbe avvenuto. Verso le sei e trenta l’agente del turno successivo mi disse di impacchettare le mie cose e prepararmi così ad essere trasferito in isolamento. Quella era l’ultima goccia poiché non ero stato neanche sottoposto a regolare procedimento. Raccolsi rapidamente la mia roba e presi la decisione di protestare contro l’abuso di autorità. Da quel momento in poi fu tutto un prepararsi per la guerriglia. Vedete, il procedimento di tirare fuori un individuo dalla cella contiene un intervento aggressivo già prima dell’ingresso nella cella da parte della squadra. Si tratta dell’uso di un agente chimico, meglio conosciuto come gas urticante, che viene spruzzato nella cella per mettere il detenuto in condizione di non nuocere. Gli effetti di questo gas sono: a) irritazione degli occhi e della pelle, b) tosse e vomito, c) il gas attacca il tuo sistema respiratorio e impedisce all’aria di entrare nei polmoni e, se usato in dosi massicce, può provocare la morte.

Non avevo mai avuto a che fare con questo gas ma sapevo come prepararmi. Mi feci una maschera con della plastica in modo da poter vedere. Infilai nel naso del tessuto bagnato in modo da proteggere i miei polmoni. Feci una protezione di stoffa per i denti poiché gli agenti sono noti per calciare i detenuti in faccia con i loro stivali quando gli stessi sono distesi a terra ammanettati. Mi procurai un asciugamano bagnato da mettere in bocca per difendere i polmoni dal gas e un secondo asciugamano per il naso. Usai un lenzuolo come schermo per il gas e anche per spingere il gas fuori dalla cella.

E’ previsto che la truppa in un primo tempo tenti di risolvere la questione. Quando mi intimarono di trasferirmi, rifiutai. Approfittai di questo momento per verbalizzare la mia posizione. Dissi loro che desideravo che tutto ciò non avesse luogo e che se volevano prevenire faccende del genere dicessero piuttosto ai loro colleghi del primo turno di essere leali.  Raccontai loro dettagliatamente la mia situazione. Gli dissi che ero stanco di subire gli abusi degli agenti e questa era la mia presa di posizione per manifestare la mia volontà di essere trattato con giustizia. Ormai non c’era nient’altro da dire. La squadra era stata già stata inviata e questi 5 uomini stavano in piedi, allineati, di fronte alla mia cella. Il primo agente, un nero di nome Alexander, alto oltre 1 metro e 80, che poteva pesare un quintale, se ne stava ritto reggendo uno scudo. Pace a tutti voi, Kenneth  (Traduzione di Paolo Scanabucci – Continua)

 

 

2) BIOTECNOLOGIE E VITA UMANA

 

Pubblichiamo un intervento di Giuseppe Lodoli su un argomento che riguarda la vita e dunque – in qualche modo – è connesso con le tematiche dei diritti umani e della pena di morte. La responsabilità dell’intervento è esclusivamente all’autore, esso non comporta in alcun modo una presa di posizione in merito del Comitato Paul Rougeau. Una breve discussione con i lettori potrebbe aiutarci a prendere coscienza di questo tema che ci riguarda tutti in quanto… esseri umani. Respingiamo la tentazione di scontri laceranti ad un basso livello culturale e civile. Senza esimerci da una spinosa riflessione.

 

Il dibattito sorto intorno alla cosiddetta ‘procreazione assistita’, ci spinge a riflettere sulla più vasta tematica dell’impatto delle biotecnologie sulla vita umana in fieri.

I problemi che riguardano gli interventi all’origine della vita umana sono tra i più ardui che ci troviamo ad affrontare nella nostra epoca, pur carica di responsabilità inedite riguardo al cammino e alla stessa sopravvivenza della nostra specie. Purtroppo per lo più vengono affrontati strumentalmente nella contesa politica e scansati dalla prorompente avanzata delle tecnologie, sospinta da immensi interessi economici.

Si sono formati due campi contrapposti abbastanza definiti. Ad un estremo stanno coloro che subordinano le considerazioni etiche alla libertà di ricerca e alla valutazione quantitativa dei possibili benefici ottenibili dalle applicazioni pratiche delle conoscenze acquisite. Non che si neghi la necessità di porre dei limiti di comportamento, ma gli steccati e i paletti sono poco profondi e vengono spostati facilmente. Molto spesso i limiti posti agli interventi sulla vita umana in fieri sono considerati dagli ‘addetti ai lavori’ come  concessioni temporanee ai timori, non ben definibili, del pubblico.

Non e’ difficile argomentare che una tale ‘etica’ relativistica è incompatibile con ogni imperativo categorico a monte dell’aspetto materiale dell’esistenza. Segna il superamento del tradizionale concetto di etica. L’affermazione del qui et nunc, la riduzione del reale al conoscibile, la negazione di un mistero al contorno della vicenda umana, portano a relativizzare il valore dell’individuo e a sostituirlo con il valore del maggior benessere per il maggior numero di persone. E’ questa, in senso lato, una posizione economicistica.

Chi troviamo all’altro estremo? Tra i più visibili vi sono alcuni ultra conservatori (non del tutto coerenti, perché spesso lusingati da nuovi interessi economici), che difendono acriticamente posizioni ideologiche tradizionali insieme ad una vera o presunta supremazia. Ci sono, o dovrebbero esserci, movimenti umanisti e spiritualisti. Ci sono le religioni - esplicitamente soprattutto la religione cattolica - non solo per una volontà di conservazione ma anche per deferenza ad un mistero percepito all’origine e all’intorno della vita umana. Un credente si pone domande del tipo: se Dio crea ogni individuo per amore, come può un tecnico causare freddamente l’inizio di una vita umana - e magari subito dopo distruggere questo inizio - per uno scopo di ricerca/utilità?

Tra i due estremi vi è una grande difficoltà di dialogo. Difatti c’è una totale sordità reciproca, l’assenza di una riflessione comune, lo scontro radicale – spesso viscerale - e soltanto qualche instabile compromesso.

Un dialogo potrebbe esserci sul terreno dei diritti umani? E’ questo un possibile terreno comune anche se difficile, faticoso: sappiamo bene che un ‘diritto umano’ si afferma soltanto nella misura in cui viene riconosciuto come tale universalmente.  E’ un terreno più vicino per la verità ad una concezione umanistica/religiosa dell’uomo (sentimenti) che ad una economicistica (benessere).

La pratica dei diritti umani si accompagna a quella della solidarietà. Solidarietà che auspichiamo tra gli esseri umani nell’affrontare consapevolmente le scelte angoscianti che ci stanno davanti. (Giuseppe)

 

 

3) GLI USA E L’IRAN PONGANO FINE ALLE ESECUZIONI DI MINORENNI!

 

Il 15 settembre un rapporto di Amnesty International stigmatizza l’uso della pena di morte nei riguardi dei minorenni da parte degli Stati Uniti d’America e dell’Iran.

Amnesty auspica che la Corte Suprema USA dichiari incostituzionale la pena di morte per i minori di 18 anni all’epoca del delitto. Infatti il massimo organo giudiziario statunitense terrà il 13 ottobre una pubblica udienza per ascoltare argomenti in merito (avanzati dallo stato del Missouri e dagli avvocati difensori di Chris Simmons) e notificherà la sua decisione all’inizio del 2005 (v. n. 120).

L’Iran, dal canto suo, è invitato a completare l’iter parlamentare di una legge, iniziato 10 mesi fa, che abolisce la pena di morte minorile.

Nel rapporto Amnesty sottolinea come nella tragica classifica degli stati che hanno ‘giustiziato’ minorenni all’epoca del crimine a partire dal 1990, primeggino gli USA e l’Iran. Sono note 37 di tali esecuzioni, 19 avvenute negli USA, 10 in Iran (di cui 3 nel 2004) e altre 9 in altri sei paesi: Cina, Repubblica democratica del Congo, Nigeria, Pakistan, Arabia Saudita e Yemen.

Al giorno d’oggi soltanto gli Stati Uniti sostengono ancora esplicitamente la necessità e il diritto di mettere a morte ragazzi di 16 e di 17 anni.

“La vita di un ragazzo non deve mai essere gettata via, qualsiasi cosa egli abbia fatto. Il principio da applicare è quello di massimizzare il potenziale positivo del delinquente minorenne al fine del suo reintegro nella società. L’esecuzione di una condanna a morte è la totale negazione di questo principio,” osserva Amnesty International, che scrive anche: “Tale esecuzione viola la legge internazionale. Il consenso internazionale contro la pena di morte minorile riflette il largo riconoscimento della capacità dei giovani di crescere e cambiare.”

 

 

4) SEDICENNE IMPICCATA IN IRAN PER FORNICAZIONE

 

In un comunicato diffuso in tutto il mondo il 23 agosto, Amnesty International si dice sdegnata per l’esecuzione di Ateqeh Rajabi, una ragazza iraniana accusata di “atti incompatibili con la castità”. La ragazza avrebbe sofferto di gravi problemi mentali sia al momento del reato contestatole sia durante il processo e le sarebbe stato negato un avvocato difensore.

Secondo le notizie disponibili – di cui Amnesty chiede conferma alle autorità di Tehran - Ateqeh sarebbe stata condannata a morte circa quattro mesi fa e impiccata in pubblico nella città di Neka il 15 agosto. La sadica ferocia della ‘giustizia’ iraniana è dimostrata anche dal fatto che lo stesso giudice che ha condannato a morte Ateqeh – dopo averla aspramente rampognata nel corso del processo per il suo abbigliamento - ha voluto mettere il cappio al collo della sventurata ragazza. Nonostante il fatto che dalla carta di identità risultasse per Ateqeh Rajabi un’età di sedici anni, al momento dell’esecuzione è stato dichiarato che ella aveva ventidue anni.

L’uomo con cui Ateqeh ha commesso adulterio, ha ricevuto 100 frustate ed è stato rimesso in libertà.

In Iran una proposta di legge che vieta la pena di morte per i minori di 18 anni è pendente in Parlamento dal dicembre scorso ma non ha ancora ricevuto l’approvazione del Consiglio dei Guardiani della Rivoluzione, massimo organo di controllo clericale del potere legislativo.

 

 

5) UN AVVOCATO A GUANTANAMO MA A QUALI CONDIZIONI!

 

Come abbiamo detto nel numero precedente, la sentenza della Corte Suprema del 28 giugno, che consente ai prigionieri di Guantanamo (ma non agli stranieri detenuti in altri luoghi) di conoscere i motivi della loro detenzione ed eventualmente di contestarli, viene attuata in maniera ridicola e provocatoria dall’Amministrazione Bush.

Finora ai detenuti di Guantanamo è stato assegnato solo un militare in qualità di consigliere legale (vedi n. 120) ma il 29 agosto per la prima volta il Pentagono ha consentito ad un avvocato civile di entrare nel famigerato Campo Delta.

Gita Gutierrez si è recata nella base della Marina americana di Cuba per incontrare i detenuti britannici Feroz Abbasi di 23 anni e Moazzam Begg di 36 ma le limitazioni poste dai militari al suo operato sono tali da rendere quasi, se non del tutto, inutile il suo intervento.   

Altri due legali approvati dal Pentagono, Brent Mickum e Joseph Margulies, che dovevano partire insieme alla Gutierrez, hanno rinunciato al viaggio - dando una cocente delusione ai familiari dei loro assistiti - quando hanno conosciuto, all’ultimo momento, le limitazioni insostenibili imposte dai militari.

E’ stupefacente quanto ha reso noto l’avvocato Brent Mickum che si era preparato ad incontrare tre prigionieri: il governo rifiuta di impegnarsi per qualsiasi ulteriore incontro con i detenuti, rifiutata di rendere note le ragioni della loro detenzione e pretende di videoregistrare i colloqui con i clienti nonché di leggere ogni nota scritta dagli avvocati.

“Ritengo di essere stato messo dal governo in una situazione insostenibile e inaccettabile. Credo che ciò sia stato fatto deliberatamente per mandare all’aria gli incontri”.

Si è saputo infine che ai legali è vietato riferire ai familiari – disperatamente ansiosi di sapere come stanno i prigionieri – delle condizioni di detenzione.

 

 

6) PRIGIONIERI ABUSATI IN CONSEGUENZA DI ORDINI SUPERIORI

 

Non c’è da meravigliarsi delle decine di morti sospette di prigionieri degli Americani nel corso della “guerra al terrore”, prigionieri che in precedenza godevano di ottima salute. Nuove inchieste giornalistiche e rapporti ufficiali dimostrano in maniera sempre più stringente che i disgustosi trattamenti inferti dagli Americani ai prigionieri di Abu Ghraib (come a Guantanamo e in Afghanistan, nonché in molti luoghi di detenzione noti o sconosciuti, distribuiti in ogni parte del mondo) sono il frutto di una strategia pianificata dai vertici dell’amministrazione statunitense ed attuata con variazioni lasciate alla ‘creatività’ degli operatori.

Una delle verità venute fuori dalle (riluttanti e in parte secretate) inchieste ufficiali è che le ‘tecniche di interrogatorio’ ‘adatte’ ai prigionieri di Guantanamo sono state applicate ‘erroneamente’ anche ai detenuti iracheni. Questi ultimi infatti erano stati definiti prigionieri di guerra e dovevano essere protetti dalle convenzioni di Ginevra. Ne consegue che, per esempio, le regole in uso ad Abu Ghraib consentivano di tenere i prigionieri nudi, esposti al caldo o al freddo eccessivo, o al buio, o in celle microscopiche, in condizioni di sovraffollamento o in isolamento, in precarie condizioni igieniche, di terrorizzarli con i cani e di picchiarli duramente ad ogni accenno di disubbidienza. I prigionieri potevano essere aggrediti con urla, musica ad altissimo volume, uso di luci continue ed accecanti, privati del sonno, tenuti in posizioni innaturali. Gli interrogatori potevano durare fino a 20 ore.

Il fatto che siano stati individuati oltre 50 aguzzini di Abu Ghraib perseguibili per ‘abusi’ (per comportamenti, dunque, che vanno al di là delle ‘tecniche’ di cui sopra) dimostra quanto meno che le spietate regole autorizzate nel corso/in vista degli interrogatori, venivano applicate con larga discrezionalità e libertà dagli aguzzini. Il grande numero di presunti autori di ‘abusi’ fa capire che gli ‘abusi’ erano noti e tollerati prima dello scoppio dello scandalo sui media.

Commentando i risultati delle due maggiori inchieste del Pentagono sugli abusi di Abu Ghraib il Ministro della Difesa Rumsfeld il 27 agosto ha detto di non vedere “nulla fino ad ora che dimostri che la gente abusata fu abusata nel corso di interrogatori e per gli scopi degli interrogatori.” La frase di Rumsfeld è risultata tanto infelice ed in contrasto con i risultati delle inchieste che il portavoce del Pentagono Lawrence De Rita ha dovuto dichiarare che Rumsfeld “ha sbagliato, semplicemente, ma si è corretto”. Infatti il Ministro della Difesa aveva poi precisato che “in due o tre casi” gli abusi avevano avuto a che fare con gli interrogatori. Veramente una delle relazioni sulle inchieste, lette da Rumsfeld, comincia con la frase “Sappiamo che svariati dei più gravi abusi di Abu Ghraib non fotografati accaddero durante gli interrogatori e che abusi durante gli interrogatori accaddero altrove.”

Se le autorità non avessero avuto la coscienza sporca, perché mai avrebbero nascosto molti prigionieri, depennandone i nomi dagli elenchi ufficiali e deportandone alcuni temporaneamente il altri luoghi? In settembre si è saputo che la C.I.A. chiese ed ottenne dai militari di nascondere molte decine di prigionieri per sottrarli alle ispezioni della Croce Rossa compiute ad Abu Ghraib e in altri luoghi. “Il numero è di dozzine, forse anche più di cento,” ha affermato il generale Paul J. Kern, davanti ad una commissione del Senato degli Stati Uniti, il 9 settembre.

 

 

7) UMILIAZIONI PER LE PRIGIONIERE IRACHENE

 

IslamOnline.net, una testata di Doha nel Qatar,  ha riportato il 21 luglio il racconto di una ex detenuta di Abu Ghraib, presentata con lo pseudonimo di Nadia, che fu arrestata dagli Americani durante una perquisizione ‘alla ricerca di armi’ in casa di un parente a cui era andata a far visita. Nadia tentava inutilmente di spiegare che si trovava lì per caso quando perse conoscenza per ritrovarsi in una cella squallida e oscura. Alcuni soldati maschi ridevano istericamente insieme ad una soldatessa che la  beffeggiava imitando l’accento arabo: “Non avevo mai visto un venditore di armi femmina in Iraq!” “Mentre cercavo con fatica di spiegarle che ero stata arrestata per errore, lei mi si avvicinò prendendomi a pugni mentre le mie preghiere e le mie lacrime cadevano nel vuoto.” Ha raccontato Nadia, aggiungendo:  “La soldatessa mi ha dato un bicchiere d’acqua, dopo aver bevuto mi sono sentita come in trance mentre venivo spogliata e …[privata della mia verginità.]”

La storia, raccontata dalla giovane tra i singhiozzi, diventa sempre più truce: il giorno dopo cinque soldati violentano a turno Nadia al suono di una musica heavy metal. Passa un mese e un militare, dopo averle offerto di fare una doccia, la stupra e chiama due colleghi che anch’essi abusarono di lei. Passati altri quattro mesi la donna deve subire l’orgia organizzata da quatto soldati maschi e della solita soldatessa. Costei è munita di una fotocamera digitale; in seguito Nadia viene costretta a guardare le foto delle violenze.

Nadia fu liberata dopo sei mesi di prigionia e lasciata in mezzo ad una strada con una somma di 10 mila dinari “per cominciare una nuova vita.”

La maggioranza delle prigioniere sono state liberate il 12 maggio scorso in concomitanza con lo scandalo di Abu Ghraib ma secondo fonti irachene una quindicina di esse si troverebbe ancora in stato di detenzione in varie prigioni dell’Iraq.

Il Guardian ha riportato il 12 maggio che soldati americani hanno umiliato e violentato diverse donne irachene nel carcere di Abu Ghraib.

Sempre IslamOnline.net ha denunciato il 13 settembre che quattro donne sarebbero detenute in Iraq dagli Americani  per essere scambiate con esponenti della resistenza. Si tratterebbe di una madre e tre bambine rapite il 26 agosto nel distretto di Al-Latifa a 70 chilometri a sud di Baghdad. Questo fatto avrebbe avuto almeno un precedente nel caso della cattura di due mogli e di una sorella dell’ex vice presidente iracheno Izat Al-Douri, subito dopo la caduta del regime di Saddam Hussein, per fare pressioni su di lui.

8) LAVORO SILENZIOSO PER SCONGIURARE L’ESECUZIONE DI DOMINIQUE

 

Fino ad ora nessuna petizione è stata lanciata in favore di Dominique Green per salvarlo dal boia del Texas che si prepara ad ucciderlo il 26 ottobre. Nessuna manifestazione pubblica o campagna di stampa.

Eppure Dominique è certamente uno dei condannati a morte che sono stati più seguiti in questi anni. Per aiutarlo sia moralmente che materialmente sono stati fatti sforzi incredibili dagli Italiani. Basti pensare che ingenti fondi per pagare legali ed investigatori sono stati raccolti anche durante le Messe celebrate nelle borgate più povere dalla Comunità di Sant’Egidio.

Non osiamo sperare che le autorità del Texas vengano mosse a compassione dalla grande amicizia di tante persone per Dominique e dall’ ’obolo della vedova’. Confidiamo nella bravura del nutrito team di avvocati che sta lavorando in maniera riservata per ottenere una sospensione dell’esecuzione, sulle prove che potranno essere presentate in extremis, confidiamo anche sulla nota capacità diplomatica della Comunità di Sant’Egidio. Se credenti, confidiamo nell’aiuto del Signore.

 

 

9) PER LA QUINTA VOLTA: SOSPESA L’ESECUZIONE DI PHILIP WORKMAN

 

Il 2 settembre l’esecuzione di Philip Workman in Tennessee, fissata per il 22 dello stesso mese, è stata temporaneamente sospesa. La sospensione si è poi consolidata per l’assenza di ricorsi dell’accusa. Sono nel frattempo molto utilmente proseguite le pressioni sul governatore Bredesen tendenti ad ottenere un provvedimento di clemenza per Philip.

Questa volta l’ordine di sospendere la procedura dell’iniezione letale – emesso dalla giudice Bernice Donald - è stato notificato con quasi tre settimane di anticipo. (In precedenza, per quatto volte, la procedura era stata invece fermata a pochi giorni dalla data fatidica o all’ultimo momento, dopo che il condannato aveva percorso gran parte della sua ‘via crucis’; vedi ad es. n. 111).

La giudice federale Donald ha riconosciuto che il merito dell’ultimo ricorso presentato dal condannato potrebbe essere avvalorato dalla decisione che la Corte federale d’Appello del Sesto Circuito prenderà per Abu-Ali Abdur'Rahman, un condannato a morte per il quale, come nel caso di Workman, alcune prove a discarico sono state presentate solo dopo l’esaurimento dell’iter giudiziario a livello statale.

Il governatore Bredesen ha risposto, ad un certo numero di persone che hanno inviato appelli in favore di Philip Workman, che considererà le richieste di clemenza al momento opportuno.

Grazie ai lettori del Foglio di Collegamento che hanno scritto all’Hon. Phil Bredesen!

 

 

10) IN QUANTI MODI SI CONDANNA A MORTE UN ESSERE UMANO FRAGILE?

 

Non sempre la pena di morte è una condanna che viene comminata ed eseguita secondo le leggi di uno stato forcaiolo; a volte vengono indirettamente condannate a una probabile morte persone appartenenti a categorie deboli anche in stati che non prevedono la pena capitale.

Nel mese di agosto ha fatto scalpore in Inghilterra la notizia del suicidio di Adam Rickwood, un ragazzino di appena quattordici anni, condannato, per una rissa, ad un periodo di reclusione in un riformatorio. Adam è stato il più giovane suicida detenuto, ma purtroppo non l’unico: negli ultimi sei anni si sono tolti la vita in Inghilterra 14 minorenni detenuti.

Il Regno Unito possiede il brutto primato di incarcerare i bambini fin dall’età di 10 anni, contro il minimo di 14 anni della maggior parte degli altri stati europei. Non solo, ma nell’ultimo anno la popolazione carceraria minorile è aumentata del 50 per cento in Inghilterra, passando ad un totale di 2.637 giovani detenuti, come conseguenza dell’ossessivo desiderio di dimostrarsi “duri con il crimine” da parte dei rappresentanti politici al potere. Le carceri minorili sono piene fino al limite massimo previsto, e in alcuni casi lo superano.

Entrano in vari tipi di riformatori ragazzini che per la maggior parte dei casi non hanno commesso atti gravi di violenza. I giovanissimi che commettono piccoli crimini sono tutti (ma proprio tutti, nessuno escluso) provenienti da famiglie che li hanno per varie ragioni trascurati o, peggio ancora, maltrattati e violentati in vari modi. Si tratta quindi di ragazzini già psichicamente molto fragili. Molti di essi già prima dell’imprigionamento presentano la tendenza all’autolesionismo.

Cosa trovano questi bambini nel carcere minorile? Non educatori amorevoli e determinati a migliorarli, né un ambiente sano e in grado di colmare le preesistenti lacune etiche, morali ed affettive.    

Al contrario, la durezza che questi bambini hanno incontrato fin dalla nascita viene centuplicata nel riformatorio: le regole disciplinari sono identiche a quelle delle carceri per adulti, se non peggiori.

I bambini vengono perquisiti nudi, vengono rinchiusi in isolamento per le minime mancanze, non possono organizzare partite di pallone in cortile perché non possono mai riunirsi in un numero superiore a dieci, vengono trasferiti in carceri lontanissimi dalle loro famiglie di provenienza rendendo così praticamente impossibile ai loro parenti e amici visite frequenti che garantirebbero sicurezza affettiva e continuità con il mondo esterno. Anche quando in un carcere minorile si trova del personale volenteroso e ben predisposto (e si tratta comunque di casi rari), il sovraffollamento impedisce cure e attenzioni che sarebbero vitali.

Che tipo di risultato ci si può attendere da un simile trattamento riservato a creature che, per la tenera età sommata alle gravi carenze affettive preesistenti, sono particolarmente fragili e vulnerabili? Il numero dei suicidi avvenuti risponde a questa domanda e desta angoscia, ma quasi altrettanta angoscia destano altri dati statistici: moltissimi altri giovani hanno tentato e tentano ogni giorno il suicidio, mentre i giovani che escono vivi da questa prova terribile, sono per lo più molto peggiorati sia nel carattere che nel comportamento violento: un terzo dei minorenni commette nuovi reati entro poche settimane dalla scarcerazione, e ben l’85 per cento ne commette entro i successivi due anni.

Questi dati fanno rabbrividire: invece di trasformare i bambini, vittime di un mondo che non li ha mai accolti fin dalla nascita, in adulti riabilitati, li si condanna a cercare la morte come fuga, o a creare altre  vittime. (Grazia)

 

 

11) … E IN AMERICA?

 

Nell’articolo precedente abbiamo parlato delle gravissime lacune del sistema di detenzione minorile in Inghilterra; diamo ora uno sguardo a ciò che accade in America.

Dai risultati di un’indagine effettuata su 698 riformatori statunitensi dal Comitato del Congresso per le Riforme del Governo, resi noti il 7 luglio, emerge che di fatto le carceri minorili sono divenute depositi per i giovanissimi malati di mente, molti dei quali non hanno neppure commesso alcun reato.

Negli Stati Uniti la prigioni hanno assunto la funzione di togliere dalla strada i malati di mente poveri (v. n. 112): attraverso di esse passano ogni anno oltre 700.000 malati psichici e vi risiede stabilmente una media di 300.000 malati mentali gravi. Il fenomeno si esaspera nelle carceri minorili.

Le scuole raramente forniscono personale dedicato ai bambini con problemi psichici, e le assicurazioni (su cui si basa il sistema si assistenza sanitaria americano) molto spesso non prevedono il pagamento di cure per le malattie mentali. La conseguenza è che i genitori di bimbi con seri problemi psichici, se non sono ricchi, si trovano costretti a far rinchiudere i propri figli in carceri minorili, un luogo che a quanto pare sta sostituendo vieppiù gli ospedali psichiatrici.

Ecco alcuni dati raccapriccianti sottolineati da “USA Today”.

In 33 stati i ragazzini malati di mente sono richiusi in centri di detenzione senza che alcuna accusa sia stata formulata contro loro; nei primi sei mesi del 2003 erano 15.000 i bambini detenuti malati di mente in attesa di ricevere assistenza; ogni giorno circa 2000 bambini restano chiusi nelle loro celle perché manca il personale del servizio mentale in grado di prendersi cura della loro ricreazione; un centro di detenzione ha riferito di avere presso di sé un “detenuto” di… sette anni! Questo povero bambino è in attesa di assistenza sanitaria. Il centro che lo tiene rinchiuso è uno dei 117 riformatori che tengono prigionieri bambini di 10 anni o più piccoli. Dalla ricerca emerge che probabilmente più della metà degli ospiti dei riformatori sono malati di mente.

E’ ovvio che qualsiasi possibilità di recupero e di conquista di un equilibrio psichico, tali da permettere una sopravvivenza decente nella società, viene preclusa a tutti questi ragazzini, la cui sola colpa è, tanto per cambiare, di essere poveri.

D’altra parte se consideriamo la popolazione dei minorenni considerati irrecuperabili e condannati a morte negli Strati Uniti, vediamo che la maggioranza di essi ha avuto una lunga storia di disagio psichico o di malattia mentale grave, oltre ad un’infanzia costellata da abusi e maltrattamenti.    

Se questo è il destino riservato ai bambini del proprio paese, resta davvero poco da sperare dal sistema giudiziario americano per quanto concerne la giustizia che usa nei riguardi dei detenuti adulti, dei malati di mente adulti e dei prigionieri di altre razze, nazionalità e religioni. (Grazia)

 

 

12) DA CATTIVI “ESEMPI” CATTIVE CONSEGUENZE

 

Gli abolizionisti affermano che la pena di morte non costituisce un particolare deterrente per i crimini violenti e che le esecuzioni spettacolarizzate spingono individui psichicamente fragili al suicidio o all’omicidio. Ora in India si è registrato un altro effetto della violenza che induce alla violenza.

In India non c’erano più state esecuzioni da 13 anni, ma purtroppo la pausa è stata interrotta con l’impiccagione, un mese fa, del quarantunenne Dhananjoy Chatterjee, accusato di avere stuprato e assassinato una studentessa tredici anni fa.

L’esecuzione, portata a termine a Calcutta, era stata largamente pubblicizzata dai media, che si sono dilungati in dettagli più o meno macabri, con fotografie e schemi, relativi alle procedure necessarie per procurare la morte al condannato.

Questo evento non avrebbe dovuto compiersi nel Paese che ha visto tra i suoi cittadini alcuni dei massimi esponenti della nonviolenza e della tutela dei diritti umani. Comunque, oltre alla tristezza del fatto in sé, è accaduto qualcos’altro di molto grave. Tutto questo polverone sollevato intorno all’esecuzione, ha indirettamente provocato la morte di due ragazzini, mentre un terzo si è salvato per miracolo.

Il quattordicenne Prem Gaedkwad ha tentato di imitare l’esecuzione e ed è morto impiccandosi con una corda legata intorno al collo e poi fatta passare nelle pale del ventilatore sul soffitto della sua camera. Il padre ha dichiarato che il ragazzo, curioso per natura, gli aveva posto molte di domande sui dettagli dell’esecuzione e seguiva con grande attenzione le trasmissioni televisive in cui l’evento veniva descritto. Un’altra ragazzina dodicenne è morta mentre cercava di “spiegare” con l’esempio pratico l’iter dell’impiccagione al fratellino più piccolo.

E’ andata meglio (ma per un pelo) ad un terzo ragazzino, di dieci anni, quando insieme ai suoi amici ha cercato di mettere in scena l’esecuzione, in cui lui ha impersonato Chatterjee, ed è quasi morto, mentre gli altri bimbi impersonavano il boia, il medico e il direttore del carcere.

Questi tre drammatici episodi sono l’effetto, portato alle sue più tragiche conseguenze, di una cultura che esalta la violenza e la vendetta. Senza arrivare sempre, per fortuna, a simili danni estremi, è pur vero che la pena di morte non fa che aumentare e fomentare nella popolazione un certo “amore” per il macabro e una cultura di morte.

Se invece della pena di morte, in India ci fossero solo pene detentive, anche volendo imitare qualche scena del sistema penale, nessun bimbo innocente avrebbe trovato una morte così assurda. (Grazia)

 

 

13) TENIAMO GLI OCCHI APERTI MENTRE APRIAMO IL NOSTRO CUORE

 

Martha, corrispondente di Eugene Sheet, condannato in Texas ad una pena di 48 anni di reclusione per violenza carnale, si è innamorata di lui e lo ha sposato 12 anni fa. Si trattava di un matrimonio senza contatto che è andato avanti intensamente per 10 anni, mente Eugene rimaneva in carcere. Il detenuto ha ottenuto la libertà il 10 ottobre 2002, i rapporti tra i due sono drasticamente peggiorati e la sua sposa è sparita un anno dopo. Ora apprendiamo che Eugene è stato accusato dell’omicidio di sua moglie.

Non sappiamo se Eugene Sheet sia effettivamente colpevole di uxoricidio ma questa triste storia (non è l’unica del genere ad essere riportata con grande risalto dalla stampa americana) ci dà lo spunto per consigliare ancora una volta ai corrispondenti dei detenuti di essere prudenti.

Quando apriamo il nostro cuore ai nostri amici condannati a morte, dobbiamo continuare a mantenere lucida la nostra mente e conservare l’attitudine a ragionare con obiettività.

Essere prudenti significa, tra l’altro, che non dobbiamo credere ciecamente a tutto quello che i detenuti ci dicono. Sia per quanto riguarda il loro carattere, sia per quanto riguarda la loro storia.

Consideriamo il dilemma innocente/colpevole. Alcuni detenuti preferiscono non parlare del proprio caso giudiziario: rispettiamo scrupolosamente questo loro desiderio. Molti altri affermano di essere innocenti, o sminuiscono la gravità dei crimini da loro commessi, o avanzano ragioni per giustificare il proprio comportamento. Spesso esistono validi motivi per tali affermazioni. Può darsi che un detenuto sia in effetti innocente. E questo accade in un discreto numero di casi. O che si dichiari non colpevole per motivi giudiziari (nessuno può essere obbligato ad accusare se stesso, soprattutto se vige la pena di morte). Infine può accadere che un prigioniero si senta soggettivamente non colpevole perché condizionato da un ambiente sfavorevole, da un’infanzia abusata o dai problemi psichici di cui è affetto. E questo vale per una gran parte dei condannati a morte.

Dobbiamo pertanto ragionare e confrontare, per quanto possibile, quello che ci dicono i detenuti con le informazioni che otteniamo da altre fonti e farci una NOSTRA opinione sulle persone e sui fatti. Un’opinione da non opporre polemicamente ai prigionieri, da tacere nella maggior parte delle occasioni, ma da ricordare a noi stessi di quando in quando per aiutare meglio e per il meglio i nostri amici.

 

 

14) PROTESTIAMO CONTRO L’INGIUSTO ISOLAMENTO DI MARK !

Giulio Bellucci corrisponde da anni con Mark Lankford, condannato a morte nell’Idaho. Di ritorno da una visita a Mark, Giulio ci chiede di protestare contro il duro isolamento in cui è stato posto il suo amico.

Salve a tutti. Sono rientrato da un viaggio negli Stati Uniti durante il quale ho avuto occasione di incontrare Mark nel carcere di Boise, Idaho, nel quale è rinchiuso da circa 21 anni. L’incontro, durato poco meno di tre ore, si è svolto in un ambiente simile ad un corridoio, suddiviso da una parete con una lastra di vetro antisfondamento, con piccoli scomparti dotati di cornette telefoniche. Impossibile quindi ogni contatto fisico.  E’ stato un bel momento, un incontro piacevole e profondo per entrambi, durante il quale Mark mi ha più volte chiesto di salutare calorosamente a nome suo tutte le persone che gli sono state vicine in questi anni.

Mark, era stato trasferito per buona condotta dall’isolamento (nel quale si è trovato per oltre 20 anni) ad un altro settore in cui poteva condividere la cella con un altro detenuto e “godere dei vantaggi “ di un regime meno restrittivo. Gli era stato assegnato un lavoro (in lavanderia), poteva fare la doccia tutti i giorni, poteva ricevere visite, poteva passare il tempo con altri detenuti, giocare a scacchi o a Scarabeo. Cose non eclatanti, ma dopo 20 anni di isolamento non c’è bisogno che vi dica quale valore avessero per lui. Ora tutto ciò non c’è più. E’ di nuovo in isolamento, tutti i “privilegi” gli sono stati tolti. Il destino si è dimostrato malvagio nel fargli assaporare scampoli di “benessere” per poi sottrarli improvvisamente dopo pochi mesi, riportandolo, nel peggiore dei modi, nella solitudine e nell’inattività.   

Mark è stato assalito alle spalle da due detenuti, mentre si trovava in cella. Si è trattato di un’aggressione premeditata da parte di due appartenenti ad uno dei gruppi violenti che spadroneggiano in quel luogo  (nel suo caso si è trattato di un gruppo xenofobo e razzista, Superiorità Ariana, o qualcosa del genere, simile agli Skinheads). Il fatto che sia stato la vittima di un assalto brutale e violento non ha fatto differenze. Sia lui che i due assalitori sono stati messi in isolamento. Per Mark è stato peggio che una nuova condanna a morte. Ora non ha più modo di scrivere a macchina, non può dipingere, si fa la doccia e si rade 3 volte a settimana, eccetera.

Mark è abbattuto e amareggiato, ma  posso dire di aver riscontrato ancora in lui le forti doti che avevo conosciuto dalle sue lettere. In molte occasioni nel corso del colloquio ho ritrovato la sua forte ironia, il carattere deciso, il coraggio e la grande forza interiore. Insomma non si dà ancora per vinto, per quanto incredibile questo possa apparire. Ora ha una ulteriore battaglia da combattere contro l’amministrazione carceraria che, oltre a non essere riuscita ad evitare il pestaggio, non si è curata di stabilire le responsabilità, punendo indistintamente aggressori ed aggredito. Mark chiede ai suoi amici di dare risonanza all’accaduto, di protestare con l’amministrazione carceraria, di far sapere agli organi di stampa locali che ci sono gruppi razzisti che spadroneggiano e dettano legge nelle carceri, facendo sì che quei luoghi siano governati dall’odio più che dalle leggi dello Stato. (Giulio)

Chi vuole può indirizzare le proprie lamentele ed il proprio sconcerto ai seguenti indirizzi:

GEORGE MILLER - Fax:  001 208 344 9826 - gmiller@corr.state.id.us

THOMAS BEAUCLAIR  - Fax:  001 208 327 7455 - tbeaucla@corr.state.id.us

GREG FISHER - Fax:  001 208 334 4896 - email:  gfisher@corr.state.id.us

Scrivete messaggi anche brevi per fax o per e-mail alle autorità carcerarie Ad esempio:

“I want to express my disappointment because Mr. Mark Lankford, prisoner in the prison of Boise, has been put again on solitary confinement, due to the assault he underwent by two members of a racist group, and the prison management punished him in the same way like they punished the two assailants.

This is unfair. Please give Mark the conditions of detention he had when attacked.

Oppure:

We know that two members of a racist group attacked Mr. Mark Lankford, in the prison of Boise, and for this reason now he is again in solitary confinement. Not only the prison staff did not avoid this cruel aggression, but moreover Mark was punished after that, just like his aggressors, as if he too were guilty.

We therefore ask you heartily to end Mark Lankford's solitary confinement.

Oppure:

We urge you to end Mr. Mark Lankford's solitary confinement, because he is not guilty of the reason for which he has been punished. He had already spent 20 years in solitary confinement, and only few months ago he was allowed a more humane condition of life inside the prison. Now, because of an aggression he underwent, he has been punished. This is extremely cruel, so please stop such an unfair punishment.

 

Traduzioni:

Desidero esprimere il mio disappunto perché il Sig. Mark Lankford, prigioniero a Boise, è stato nuovamente messo in isolamento, a causa dell'aggressione subita da parte di due membri di un gruppo razzista, e la direzione del carcere ha punito allo stesso modo dei  due aggressori. Ciò è ingiusto. Per favore restituite a Mark le condizioni di prigionia in cui si trovava quando fu aggredito.

Apprendiamo che due membri di un gruppo razzista hanno attaccato il Sig. Mark Lankford, nel carcere di Boise, e per questa ragione adesso egli si trova di nuovo in isolamento. Non solo il personale della prigione non ha evitato questa aggressione crudele, ma Mark fu addirittura punito proprio come i suoi aggressori, come fosse stato colpevole anche lui. Pertanto vi chiediamo con tutto il cuore di porre fine all'isolamento di Mark Lankford.  

Vi chiediamo insistentemente di porre fine all'isolamento del Sig. Mark Lakford, perché non è colpevole della motivazione per la quale è stato punito. Egli aveva già trascorso vent'anni in isolamento e solo pochi mesi fa gli era stata permessa una condizione di vita in carcere più umana. Adesso, a causa di un'aggressione subita, egli è stato punito. Ciò è estremamente crudele, quindi per favore ponete fine ad una punizione così ingiusta.

E’ utile mandare copia delle proteste al quotidiano locale:

The Idaho Statesman - P.O. Box 40 - Boise, ID 83707  (USA)  (Occorre indicare il mittente sulla busta)

mailto:scassinelli@boise.gannett.com  (Sara Cassinelli, redazione versione online del The Idaho Statesman)

 

Potete visitare il sito dedicato a Mark Lankford:   http://home.foni.net/~tm-stgt/Lankford/

È tenuto da Thomas Michael uno dei suoi amici e corrispondenti dalla Germania. Il sito è in tedesco, inglese e finlandese (tra non molto, anche in italiano). E’ possibile anche iscriversi alla mailing list con la quale Thomas  tiene aggiornati tutti i conoscenti di Mark sulle sue vicissitudini.

Per scrivere a Mark:

Mark H. Lankford #20489 - IMSI "C" Block – P.O. Box 51 - Boise, Idaho 83707-0051   (USA)

 

 

15) PRESTON CONDANNATO A MORTE PER AVER UCCISO UN CONIGLIO

 

Chiara è una ragazza entusiasta e molto in gamba, cerchiamo di aiutarla ad aiutare Preston Hughes!

 

Ciao a tutti! Mi chiamo Chiara Bertoglio, e sono una torinese di 21 anni. Vi scrivo per raccontarvi una storia e per chiedere il vostro aiuto. Ho conosciuto Preston Hughes III quasi per caso. Da poco tempo mi ero iscritta ad AmiCa, un’associazione di cui avevo letto su “Famiglia Cristiana”, e che si occupa di alleviare la solitudine dei detenuti nelle carceri italiane scrivendo loro delle lettere. All’inizio di dicembre del 2001 Carlo Molinari, il nostro Presidente, ci scrisse un’email, chiedendoci di inviare, per suo tramite, degli auguri natalizi ad un suo amico e corrispondente, Preston Hughes III, detenuto nel braccio della morte in Texas.

L’appello non mi lasciò indifferente, e così inviai un breve augurio a Preston, anche se al momento non conoscevo nulla di lui (se fosse innocente o colpevole, e se colpevole, di quale crimine si fosse macchiato). Mi sembrava tuttavia che anche un criminale avesse il diritto di ricevere degli auguri natalizi.

Un mese dopo ricevetti una lettera dall’America: era Preston stesso che mi scriveva una lunga e bellissima lettera, raccontandomi un po’ di sé, chiedendomi di scrivergli ancora e di mandargli una mia foto. Non vi nascondo che nel ricevere questa lettera il cuore mi batteva forte. L’idea di un “braccio della morte” mi sembrava tanto lontana dalla mia realtà quotidiana che il fatto di ricevere una lettera da un condannato a morte mi appariva quasi inverosimile. Era come ricevere una lettera da Marte: un mondo lontanissimo si faceva improvvisamente vicino e reale.

Da quel momento iniziò un bellissimo rapporto epistolare: Preston mi scriveva spesso, e mi raccontava della sua vita; ed io, da parte mia, cercavo di raccontargli tutte le avventure della mia vita quotidiana che avrebbero potuto distrarlo e fargli respirare l’aria della vita normale. Nel frattempo venni a conoscenza della sua storia, anche tramite una drammatica lettera che lui stesso mi inviò. Preston si trova nel braccio della morte dall’89 (cioè da quindici anni!); vive in una cella grande come una stanza da bagno, e suoi unici compagni sono i muri, ai quali spesso si sorprende a parlare.

È un uomo di colore, e questo, nel Texas, è quasi un reato di per sé; è completamente innocente dei fatti di cui lo si accusa, ma non può pagarsi un buon avvocato e si deve accontentare dei difensori d’ufficio. La sua storia, in poche righe, è la seguente.

Un giorno dell’88 vengono trovati morti due ragazzini: lei è un’adolescente, lui un bambino. Preston era un amico della ragazzina, sua vicina di casa. In casa sua viene trovato un coltello sporco di sangue: gli esami del DNA stabiliscono senza ombra di dubbio che si tratta di sangue di coniglio, come affermava Preston, che aveva utilizzato quel coltello per andare a caccia. Ciononostante, durante il processo, mentre il perito depone, la giuria viene fatta uscire (e questo è veramente scandaloso), e quando la giuria rientra il p.m. asserisce che tale coltello è l’arma del delitto. Tale coltello, lo ripetiamo, è completamente negativo al sangue umano.

Preston ha testimoni oculari che gli forniscono alibi per tutta la serata in cui è stato commesso il delitto; tuttavia l’opinione pubblica aveva bisogno di un capro espiatorio, ed era troppo comodo trovarsene davanti uno bell’e pronto, e per di più nero, per non utilizzarlo senza alcuno scrupolo.

Il mio amico è stato quindi condannato a morte per aver ucciso… un coniglio. Si trova faccia a faccia con la morte da 15 anni; molti dei suoi compagni sono già stati uccisi, e lui non ha famiglia, non ha persone che si prendano a cuore la sua situazione.

Adesso la situazione sta precipitando: se entro tre mesi Preston non avrà recuperato il denaro necessario per pagarsi un vero avvocato che lo difenda seriamente, verrà fissata la data di esecuzione.   

Noi che lo conosciamo, che sappiamo che persona dolce e “disarmata” sia, non possiamo non rabbrividire al pensiero che il nostro amico possa essere ucciso.

Vi chiediamo di aiutarci: con la preghiera, con una piccola offerta (abbiamo bisogno di raccogliere 75/100.000 dollari in tre mesi), stampando i volantini con la sua storia e diffondendoli; inoltre stiamo cercando di organizzare dei concerti nelle chiese per raccogliere fondi. Se conoscete dei parroci interessati e disposti a metterci a disposizione la loro chiesa e l’organo per un concerto di musica classica, mettetevi in contatto con noi al più presto. Grazie di cuore  Chiara

Per avere informazioni e versare contributi pro-Hughes, rivolgetevi a:

Associazione AMI.CA. (Amici dei Carcerati), c.p. 84, 31015 Conegliano (TV),

tel. 347 04.65.271, Conto corrente postale 10881316 (causale "Pro Preston Hughes III).

http://groups.msn.com/AmiCaWebAssociazioneAmicideiCarcerati

carcerati@hotmail.com

Chiara Bertoglio, chiarabertoglio@yahoo.it

 

 

16) LA MIA PRIGIONE  

 

Monica Licata, corrisponde con Steven “Mike” Woods, condannato a morte in Texas, autore del drammatico articolo “Condizioni di vita inumane nella Polunsky Unit” comparso nel numero 119. Ora Monica ci propone una poesia di Mike e una richiesta di corrispondenza che volentieri pubblichiamo.

 

È la notte, forse, complice dei miei oscuri pensieri che volano lontano oltre tutto ciò che di conosciuto e certo  c’è al mondo.

Poi, all’improvviso, una piccola luce, fioca da principio …. Ma questo tenero tepore ha un sapore così amaro e capisco.

Di tanto in tanto interrogo la mia mente se sia giusto oppure no, ma non mi importa la risposta, il mio cuore la sa…

Hai mai amato tanto da sentire veleno nelle vene?

Prova ad immaginare cosa prova una creatura derubata del suo ultimo fiato di vita proprio quando si affacciava al mondo.

Ricordi quell’istinto primordiale che non traccia mai una linea ben definita tra odio ed amore.

Cammina per la strada più buia e senti il freddo di cento inverni nel cuore,

Respira ghiaccio bollente e dimmi ,ora, la tua mente cosa prova?

Soltanto quando la morsa della fame, quella più insaziabile, quella più bieca e subdola avrà attanagliato le tue viscere … solo allora potrai capire cosa provo ogni notte quando il buio, che è la mia dolce casa, mi circonda ed il mondo assume un nuovo volto: il tuo.

…soltanto allora avrai conosciuto la mia prigione. (Mike)

 

 

Steven Michael Woods jr, ha 23 anni e da 3 è rinchiuso nel Braccio della Morte in Texas , accusato di un reato che non ha commesso.

Due anni fa, dopo averlo conosciuto, decisi che avrei fatto in modo che la sua storia ed il suo nome non fossero soltanto sinonimo di orrore. Non è un essere diabolico, come molti giornali texani amano definirlo, è semplicemente la vittima, anch’esso, di un crudele destino che accomuna molti detenuti nel Death Row.

Mike, così amo chiamarlo, è il migliore amico ed uditore che conosca, è capace di grande generosità e conosce bene il concetto d’amore, proprio perché fin dalla nascita gli è stato negato. Non ha avuto una semplice e comoda vita, ha conosciuto la strada, quella più buia, le violenze fisiche e psicologiche di un padre tossicodipendente e alcolista. Ma nonostante tutto questo orrore ha amato e continua ad amare troppo la vita per poter commettere il reato di cui è accusato.

Così, se anche voi come noi, amate la vita Vi prego aiutatemi a far in modo che la storia ed il nome di Mike possano uscire dalla Polunsky Unit e sollevarsi oltre quelle spesse mura. (Monica)

 

Steven Michael Woods jr # 999427

Polunsky Unit

3872 FM 350 South

Livingston  TX, 77351   USA

 

 

17) NOTIZIARIO

 

Afghanistan. Sergente americano indagato per il decesso sotto tortura di due afgani. Il  sergente James P. Borland della polizia militare ha assistito al pestaggio mortale da parte di un subordinato ai danni di Mullah Habibullah, cittadino afgano fratello di un ex comandante talebano. Lo stesso Borland incatenò un tassista afgano di 22 anni, chiamato Dilawar, al soffitto, con le mani dietro le spalle, negandogli cure mediche. I due afgani morirono nel giro di una settimana nel dicembre del 2002. I vertici militari in Afghanistan nel dicembre 2003 avevano dichiarato che i due erano deceduti per cause naturali. Si è scoperto in seguito che le autopsie parlavano invece di ‘omicidio’. A metà settembre, 21 mesi dopo l’accaduto e in conseguenza dello scandalo di Abu Ghraib, il sergente Borland è stato posto sotto inchiesta insieme ad altre due dozzine di soldati americani accusati di crimini ai danni dei residenti, crimini che ancora una volta riguardano soprattutto le ‘tecniche di interrogatorio’.

 

Afghanistan. Condannati torturatori in privato.  I civili americani Jonathan K. "Jack" Idema e Brent Bennett il 10 agosto sono stati condannati, da una corte di Kabul, a 10 anni di detenzione per aver detenuto e torturato in una prigione privata cittadini afgani. Il giornalista Edward Caraballo ha avuto 8 anni per aver collaborato con i primi due. Gli imputati hanno sostenuto di aver lavorato con l’approvazione dei governi afgano ed americano per scoprire membri di Al Qaeda e hanno annunciato ricorso in appello. L’investigazione sul caso è conseguita allo scandalo del carcere di Abu Ghraib.

 

Cina. Fatta abortire per essere ‘giustiziata’. Ma Weihua di 29 anni fu arrestata in gennaio per il possesso di 1,6 kg di eroina nella città di Lanzhou, provincia di Gansu. Nel processo capitale iniziato il 23 agosto il suo avvocato ha reso noto che la donna è stata fatta abortire forzatamente in anestesia generale il 19 febbraio. L’autorizzazione all’intervento era stata firmata, al posto di Ma Weihua, dal capo della stazione di polizia in cui era detenuta la donna “perché la paziente si rifiutava di collaborare”. In Cina è vietato mettere a morte donne incinte e i giornali cinesi argomentano che la gravidanza di Ma sia stata interrotta in modo che essa possa essere ‘giustiziata legalmente’.

 

Filippine. Ucciso un attivista contro la pena di morte. Rashid "Jun" Manahan di 27 anni, attivista per i diritti umani fin dall’epoca degli studi universitari, è stato ucciso il 24 agosto nella città di Davao nelle Filippine, mentre si recava ad un convegno per l’abolizione della pena capitale e contro le esecuzioni extragiudiziali, da due uomini scesi da una moto di grossa cilindrata che gli hanno sparato quattro colpi di pistola. Solo in questo anno a Davao si contano 66 vittime degli ‘squadroni della morte’,che godono di un’ampia impunità. Oltre a sospetti criminali, tra cui bambini, tra queste vittime vi sono anche coloro che si oppongono all’attività dei ‘vigilanti’. Manahan era direttore della sezione di Davao di “Cittadini Contro la Pena di Morte”, un’organizzazione abolizionista.  “La morte di Rashid non segna la fine della campagna contro la pena di morte e le esecuzioni sommarie” ha dichiarato un esponente di Cittadini Contro la Pena di Morte.

 

Usa. I giudici nominati da Bush sono ultra conservatori. I risultati di una ricerca condotta da due università nordamericane, resi noti il 9 settembre dal prof. Robert Carp dell’Università di Houston, dimostrano che i giudici nominati dall’attuale presidente George W. Bush sono molto più conservatori non solo dei giudici nominati da precedenti presidenti democratici ma anche di quelli che furono insediati da Nixon, Reagan e Bush senior. Studiando l’esito di circa 70 mila casi, si è trovato che i giudici nominati da Bush Junior hanno emesso sentenze ‘liberali’ (in materia di diritti civili, libertà di parola, privacy, relazioni razziali ma anche in materia di aborto e di diritti degli omosessuali) solo nel 26,5 % dei casi. I giudici nominati dai presidenti democratici Johnson, Carter e Clinton hanno emesso sentenze liberali in percentuali oscillanti tra il 42 e il 58,1% dei casi. Coloro che furono nominati dai precedenti tre presidenti repubblicani hanno deciso in maniera ‘liberale’ in una percentuale dei casi oscillante tra il 32,3 al 39,7. Si stima che se Bush verrà rieletto, nell’arco dei due mandati riuscirà a nominare 1/3 di tutti i giudici federali (con conseguenze certamente molto negative per quanto riguarda la pena di morte).

 

Questo numero è aggiornato con le informazioni disponibili fino al 18 settembre 2004

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