top of page

FOGLIO  DI COLLEGAMENTO  INTERNO

 

DEL COMITATO PAUL ROUGEAU

 

Numero 240  -  Luglio / Agosto 2017

The  Hon.  Aramys  Donell  Ayala

SOMMARIO:

1) Aramis Ayala ha perso la sua battaglia    

2) Fissata per il 16 novembre l’esecuzione di Larry Swearingen  

3) Riprendono le esecuzioni in Florida: ucciso Mark Asay   

4) L’Ohio riparte con le esecuzioni: ucciso Ronald Phillips     

5) Concessa una valutazione psichiatrica allo schizofrenico Panetti     

6) Due psicologi torturatori risarciscono tre vittime della CIA   

7) L’uragano Harvey regala tre mesi di vita al texano Juan Castillo 

8) Arrestato a 15 anni, condannato a morte a 16, impiccato a 21 anni    

9) Duterte va avanti alla grande con le esecuzioni extragiudiziarie       

10) Due esecuzioni nelle asettiche camere  della morte giapponesi     

11) Il re del Marocco concede centinaia di grazie    

12) Approvata in Italia una legge che punisce la tortura    

13) Adottato il trattato che proibisce le armi nucleari    

14) Notiziario: Arizona, Bielorussia, Iran, Mongolia, Texas, Yemen

1) ARAMIS AYALA HA PERSO LA SUA BATTAGLIA

 

In Florida, sola contro tutti, la giovane accusatrice nera Aramis Ayala ha dovuto recedere dal dichiarato proposito di non chiedere la pena di morte nei casi in cui lei dovrà sostenere l’accusa e di non ordinare l’esecuzione dei detenuti già condannati.

 

L’ aperta dichiarazione fatta il 16 marzo dall’accusatrice del Nono Circuito giudiziario della Florida, Aramis Donnell Ayala, di non voler chiedere la pena di morte nei casi in cui dovrà sostenere l’accusa né ordinare l’esecuzione dei prigionieri già condannati, scatenò un putiferio tra le autorità di quello stato. Il Governatore Rick Scott tolse subito alla Ayala 24 casi capitali o potenzialmente tali affidandoli ad un accusatore sicuramente forcaiolo: Brad King. La Camera dei Rappresentanti della Florida, l’Associazione degli accusatori, i parenti delle vittime del crimine e molti peronaggi di spicco in grado di influenzare l’opinione pubblica, chiesero che venissero presi provvedimenti contro di lei. (1)

La giovane accusatrice nera Aramis Ayala ebbe la forza di reagire a tutto questo e ricorse presso la Corte Suprema della Florida per riavere i casi che le erano stai tolti. Il ricorso della Ayala è stato discusso pubblicamente il 28 giugno (2). Da quel momento è cominciata l’attesa per il pronunciamento della Corte che è infine arrivato in piena estate.

Il 31 agosto la Corte Suprema della Florida, con la maggioranza di 5 voti contro 2, ha sentenziato che Aramis Ayala “ha dimostrato di non comprendere la legge della Florida” rigettando la sua richiesta di riavere i 24 casi capitali che le erano stati tolti dal governatore Rick Scott. 

Grande soddisfazione è stata espressa dai molti avversari dell’accusatrice. Pochi si sono schierati con la Ayala. Tra di essi Mark Elliot, direttore dell’associazione abolizionista Floridians for Alternatives to the Death Penalty, che ha dichiarato: “La sentenza di oggi non invalida la verità delle critiche mosse da Aramis Ayala al sistema della pena di morte della Florida, caotico e irrimediabilmente guasto… La procuratrice Ayala ha dimostrato una seria devozione alla sicurezza e al benessere delle famiglie della Florida, spostando l’attenzione sulla necessità di consegnare più criminali alla giustizia e prevenire un maggior numero di crimini. La pena di morte, costosa, sprecona e perditempo, dimostra che i processi capitali non fanno nulla per prevenire i crimini violenti o per aiutare i familiari delle vittime in modo rapido e significativo. […]”

Ben diversa reazione alla sentenza ha avuto l’on. Bob Cortes, il deputato che nel maggio scorso aveva chiesto al Governatore di togliere alla Ayala i 24 casi potenzialmente capitali, nonché di sospendere la procuratrice. Cortes ha scritto al Governatore chiedendogli nuovamente di sospendere Aramis Ayala: “Adesso che la Corte Suprema ha affermato che Lei sta esercitando correttamente i suoi diritti legali di Governatore nell’assegnare ad altri procuratori i casi della Ayala, Le chiedo rispettosamente un’altra volta di sospendere la Procuratrice Aramis Ayala dal suo incarico nel Nono Circuito […] I cittadini del Nono Circuito giudiziario meritano di avere un accusatore che cerchi giustizia e non abusi della sua discrezionalità”.

In seguito alla sentenza, di fronte al rischio di essere sospesa dall’incarico, Aramis Donnell Ayala ha dichiarato che si adeguerà alla decisione della Corte Suprema e che cercherà di ottenere la pena di morte nei casi futuri, ogni qualvolta questa pena sia richiesta all’unanimità da una Commissione, da lei nominata, composta da 7 accusatori appartenenti al suo ufficio. Ha aggiunto che rispetterà la decisione della Commissione che comprende membri che hanno già perseguito in passato la pena di morte: “Ho scelto questa squadra di procuratori esperti e sono del tutto convinta che essi rispetteranno la legge. Nessuno di loro si è mai espresso contro la pena di morte, né è mai stato un accertato oppositore alla medesima.” 

La Ayala ha anche chiarito che non continuerà a battersi per riavere i casi che le sono già stati tolti, ma che intende perseguire tutti i futuri casi di omicidio di primo grado. Ha detto che la decisione della Corte Suprema della Florida “ha fissato lo scenario nel quale mi muoverò d’ora innanzi”.

Un portavoce del Governatore, John Tupps, ha avvertito che Rick Scott continuerà a controllare il funzionamento dell’ufficio di Ayala, aggiungendo: “Il Governatore deve essere convinto che la pena

di morte verrà utilizzata secondo la legge della Florida, quando ritenuta appropriata. Il governatore starà sempre dalla parte delle vittime dei crimini.”

Per la cronaca: negli otto anni precedenti l’incarico dato alla Ayala, nella sua giurisdizione vi fu una sola condanna a morte, nel 2015. Quella precedente risale al 2008. Ciò dimostra che il polverone sollevato contro Aramis Donnell Ayala origina più che altro da una questione di principio. (Grazia)

___________________

(1) V. nn. 237, 238, 239

(2)  V. n.  239

2) FISSATA PER IL 16 NOVEMBRE L’ESECUZIONE DI LARRY SWEARINGEN

 

Larry Swearingen si è salvato più volte dall’esecuzione per merito dei suoi bravissimi avvocati. Ora però la sua situazione si è fatta estremamente critica e difficilemente scamperà alla morte il prossimo 16 novembre. Aspettiamo con ansia notizie sulle intenzioni della difesa dall’avvocato James Rytting. 

 

Il 9 agosto in Texas il giudice J. D. Langley, accogliendo la richiesta dell’accusa ha fissato la data di esecuzione del nostro amico (1) Larry Swearingen per il 16 novembre p. v.

Ricordiamo che Larry Swearingen fu condannato a morte nel 2000 con l’accusa di aver violentato ed ucciso la 19-enne Melissa Trotter alla fine del 1998. Il corpo della ragazza fu ritrovato da un cacciatore in una foresta dopo una ventina di giorni dalla sua scomparsa.

A sfavore di Larry Swearingen ci sono molti indizi, e alcune testimonianze, inclusa quella della moglie di Larry. Ma nessuna prova con certezza assoluta. L’accusa si è opposta all’esecuzione di alcuni test del DNA che potrebbero portare un po’ di chiarezza.

E’ risultato inutile - se non per dilazionare il terribile evento - l’inusuale ricorso della difesa di Larry in sede civile presentato ad ottobre 2016 (2): il ricorso è stato rigettato a luglio.

Nell’apprendere la notizia della fissazione della data di esecuzione eravamo sicuri che la difesa del condannato avrebbe fatto ancora dei tentativi disperati per salvarlo e attendiamo notizie in merito come promesso dall’avvocato James Rytting dell’Innocence Project da noi prontamente interpellato.

Anche l‘accusatore della Contea di Montgomery, Bill Delmore, si aspetta una contromossa della difesa: “Sono prudentemente ottimista sul fatto che [...] si possa finalmente vedere la conclusione di questo caso. Ma mi aspetto che gli avvocati di Swearingen richiedano un’altra sospensione dell’esecuzione dal momento che loro si sono dimostrati tenacissimi.”

Come nelle precedenti occasioni, avvicinandosi la data dell’esecuzione del condannato, i familiari di Melissa Trotter dichiarano che la chiusura del caso porterebbe loro sollievo. L’avvocato Andy Kahan della famiglia Trotter ha dichiarato: “Anche quando infine si pensa che si stia per avere giustizia, fino a che ciò non avviene, ci si continua a domandare se l’esecuzione avrà luogo oppure no”

Ricordiamo che per Larry Swearingen sono state in precedenza fissate altre quattro date di esecuzione ma che la sua eccezionale difesa è sempre riuscita in extremis ad evitare il peggio. (3)

Larry, che si dichiara innocente e si definisce un ‘prigioniero di guerra’, continua sperare. 

___________________________

(1) Lo chiamiamo ‘amico’ perché è uno dei due condannati a morte del Texas, ancora in vita, che abbiamo cercato di aiutare anche finanziariamente nel corso degli anni.

(2) V. n. 235

(3) V. nn. ...; 196; 199; 202; 203; 204, Notiziario; 209, Notiziario; 212; 214; 215; 224; 225; 231, Not.; 232, 235.

3) RIPRENDONO LE ESECUZIONI IN FLORIDA: UCCISO MARK ASAY

 

In Florida dopo quasi due anni di stallo - causati dalle contestazioni delle regole processuali particolarmente ingiuste in vigore nei processi capitali – la macchina della morte ha ripreso a funzionare: il 24 agosto è stata somministrata l’iniezione letale a Mark James Asay.

 

La macchina della morte della Florida, bloccata dal gennaio del 2016 in seguito alle contestazioni delle regole processuali allora esistenti nello stato (1), si è rimessa in moto il 24 agosto con la somministrazione dell’iniezione letale al duplice omicida Mark James Asay.

Sembra che ora la Florida - che è stata costretta a darsi nuove più eque regole processuali nonostante la resistenza del Governatore e del Parlamento - sia in grado di ricominciare ad uccidere con regolarità buona parte dei suoi quasi 400 condannati a morte.

Invano gli abolizionisti floridiani e statunitensi e i vescovi cattolici della Florida si sono appellati al Governatore Rick Scott. Invano gli avvocati del condannato hanno contestato l’impiego di un nuovo farmaco nell’iniezione letale, l’etomidate: alle 18:22’ del 24 agosto il 53-enne Mark Asay è stato dichiarato morto. 

Si è trattato della prima volta dal 1977 che è stato messo a morte in Florida un bianco accusato dell’uccisione di un nero: nel 1987 Mark Asay uccise il 34-enne nero Robert Lee Booker dopo avergli rivolto epiteti razzisti. La seconda vittima di Asay fu il 26-enne Robert McDowell, che, sempre nel 1987, fu fatto segno di 6 colpi di pistola. McDowell, che era stato pagato per fare sesso, fu ucciso quando Asay si accorse che sotto gli abiti femminili si celava un maschio. 

Il Dipartimento delle Carceri della Florida (Florida Department of Corrections) ha reso noto che non vi sono stati problemi o segni di sofferenza del condannato nel corso dell’esecuzione. Bridgette Matter, una giornalista presente nella camera della morte, ha dichiarato che il procedimento è durato in tutto 11 minuti.

Il medesimo Dipartimento delle Carceri ha precisato che Asay si è svegliato alle 4 e 30’ del mattino, di umore sereno. Il suo ultimo pasto è consistito in cotolette di maiale, prosciutto fritto, patate fritte, una rotella di gelato alla vaniglia e una lattina di Coca Cola. 

Il condannato ha trascorso due ore della mattinata con sua sorella, sua cognata e suo cognato, ed ha incontrato il consigliere spirituale nel pomeriggio.

______________

(1) V. n. 233 e nn. ivi citati

4) L’OHIO RIPARTE CON LE ESECUZIONI: UCCISO RONALD PHILLIPS

 

Ronald Phillips aveva commesso un crimine orrendo nel 1993 quando aveva 19 anni. Ma da allora era molto cambiato. Nonostante la sua redenzione lo stato dell’Ohio lo ha ucciso il 26 luglio scorso. 

 

In Ohio le esecuzioni erano ferme dall’inizio del 2014 a causa della contestazione del metodo dell’iniezione letale che in quello stato aveva clamorosamente fallito il 16 gennaio quando il condannato Dennis McGuire, invece di diventare immediatamente incosciente, aveva sofferto per 26 minuti prima di morire, lottando per respirare e contorcendosi. (1).

Si è ricominciato il 26 luglio con il 43-enne Ronald Phillips che era arrivato alla settima data di esecuzione. Il crimine contestato al condannato fu da lui compiuto quando aveva 19 anni, ben 24 anni fa: una bimba di 3 anni, Sheila Marie Evans, figlia della sua convivente, fu violentata e uccisa da lui.

Dalle cronache sappiamo che la morte di Ronald Phillips è avvenuta ‘regolarmente’ alle 10:43’ del mattino nella casa della morte situata nel carcere di Lucasville nel sud dell’Ohio. Non ci sono state complicazioni. 

Sappiamo inoltre che è stata usata la seguente combinazione di tre farmaci, per la prima volta in Ohio: 500 milligrammi di midozalam cloridrato, un forte sedativo; 1.000 milligrammi di bromuro di rocuronio, un rilassante muscolare, e 240 milligrammi di cloruro di potassio, per fermare il cuore. In tutto sono state adoperate 6 siringhe, 2 per ogni farmaco.

A guardare, di là da un grande vetro, c’erano Renee Mundell, sorellastra della bimba uccisa, nonché Donna Hudson e John Evans, suoi zii.

Inoltre ad assistere all’esecuzione di Ronald c’era suo fratello William Phillips. Costui aveva causato un rinvio di qualche minuto dell’inizio dell’iniezione letale perché era arrivato in ritardo e aveva voluto salutare il condannato.

Qualche giorno prima un gruppo di ecclesiastici, ex funzionari carcerari, detenuti esonerati e rappresentanti dell’associazione abolizionista dell’Ohio avevano tenuto una conferenza stampa per scongiurare il governatore Kasich, che è religioso, di “obbedire alla sua fede” concedendo la grazia a Ronald Phillips. Ronald era molto cambiato nel corso degli anni, in carcere agiva come cappellano laico ed era il consigliere spirituale di altri detenuti..

Da notare: gli ultimi appelli per bloccare l’esecuzione del condannato sono falliti per poco. 

_________________

(1) V. n. 211

5) CONCESSA UNA VALUTAZIONE PSICHIATRICA ALLO SCHIZOFRENICO PANETTI

 

 

Il famoso caso di Scott Panetti, il malato mentale che uccise i suoceri nel 1992 e si difese da solo nel processo in cui fu condannato a morte, potrebbe avere una svolta positiva in conseguenza di una perizia psichiatrica, finanziata dallo stato del Texas, alla quale verrà prossimamente sottoposto.

 

Della storia del texano Scott Panetti ci siamo più volte occupati nel corso degli anni (1). Egli uccise nel 1992 i suoi suoceri. Arrestato, insistette per difendersi da solo. Si presentò al processo con un vestito rosso da cowboy e chiamò a testimoniare, tra gli altri, il Papa, John F. Kennedy e Gesù. Fu riconosciuto colpevole e condannato a morte. Nel 2004 e nel 2014 fu fissata per lui la data di esecuzione ma tutte e due le volte l’esecuzione fu poi sospesa.

L’11 luglio scorso la Corte federale d’Appello del Quinto Circuito ha rinviato il caso di Scott Panetti alla competente corte inferiore, la Corte federale Distrettuale della contea di Kerr, disponendo il finanziamento di una valutazione della sua salute mentale e concedendo il tempo sufficiente per preparare una petizione in cui si chieda che il condannato non venga ‘giustiziato’ a causa della sua incapacità psichica.

Gli avvocati Greg Wiercioch e Kathryn Kase, hanno rilasciato una dichiarazione in cui affermano che Panetti soffre di gravi disturbi psichici da quasi 40 anni e che dopo il 2007 non è stato mai più visitato da un esperto di salute mentale. (2)

I difensori di Panetti, fra le altre cose, hanno dichiarato: “Siamo grati al Texas Defender Service per il suo sostegno [finanziario] che ci ha permesso di ottenere la sospensione dell’esecuzione e di dibattere il caso presso la Corte del Quinto Circuito […] La grave malattia mentale di Panetti è peggiorata durante la sua detenzione.  Ci auguriamo che quando verranno presentate tutte le prove alla Corte Distrettuale, si riconoscerà che Panetti, schizofrenico… non può essere giustiziato. In sostanza, commutare la

condanna del Sig. Panetti nell’ergastolo senza possibilità di uscire sulla parola, terrebbe al sicuro il pubblico e rafforzerebbe il nostro credo in un sistema giudiziario umano e morale”.

Non è del medesimo parere una figlia dei coniugi uccisi da Scott Panetti, la cognata di Scott Rowena Alvarado, che ha dichiarato: “L’episodio è ancora così fresco nella mia mente. […] Non avevamo idea che Scott avesse delle crisi psicotiche. Era un tipo normale.” Ed ha aggiunto: “E’ già da molti anni che i contribuenti texani stanno spendendo per lui, e ciò non è giusto”. Poi, paradossalmente, pur affermando di aver perdonato Panetti, ha aggiunto: “[…] Sento che la pena di morte sarebbe una punizione troppo lieve per lui”!

Vogliamo aggiungere un nostro commento, prendendo spunto proprio dalle parole della cognata di Scott: tutto il denaro che i contribuenti texani hanno speso e spenderanno per mandare avanti e indietro tra le varie corti il caso di questo povero infelice malato di mente, conferma in modo lampante che la pena di morte è molto più dispendiosa del carcere a vita, sia pure in una struttura di massima sicurezza. E dimostra come sia dannoso per tutti questo macchinoso e crudele iter, non solo per malati di mente come Scott, ma per ogni condannato a morte e per ogni cittadino americano. (Grazia)

__________________________

(1) V. ad es. i nn. 146, 150, 159, 217.

(2) La legge prevede che per poter essere ‘giustiziato’, un condannato deve capire che viene messo a morte e la motivazione per cui ciò avviene. I suoi avvocati ricordano che Scott Panetti nel 2014 riteneva che sarebbe stato ucciso per aver predicato il Vangelo.

6) DUE PSICOLOGI TORTURATORI RISARCISCONO TRE VITTIME DELLA CIA

 

 

Sia pure soltanto in sede civile, per la prima volta due persone sono state condannate per le torture inflitte a “nemici combattenti” (o presunti tali) nella “guerra al terrore” scatenata dagli USA di George W. Bush dopo gli attentati apocalittici dell’11 settembre 2001 a New York.

 

A fine agosto si è appreso che due psicologi della Cia sono stati condannati a corripondere un risarcimento in denaro alle vittime delle loro torture (1). Si tratta di James Mitchell e John ‘Bruce’ Jessen (1) che dovranno risarcire con somme mantenute segrete (2) gli eredi dell’afgano Gul Rahman (nella foto), che morì per le torture subite, e due sopravvissuti, il tanzaniano Suleiman Abdullah Salim e il libico Mohamed Ahmed Ben Soud. 

La notizia della condanna al risarcimento ha fatto scalpore perché mai prima d’ora erano state ricosciute le gravissime violazioni dei diritti umani compiute in Afghanistan, a Guantanamo e in vari “black site” (luoghi segreti) come reazione agli attentati dell’11 settembre 2001. A qualsiasi tentativo di fare giustizia per i rapimenti e le torture operati dalla Cia era stato fino ad ora opposto il segreto di stato.

Il merito della storica svolta è dell’ACLU (Unione Americana per le Libertà Civili) che ha pututo far leva sui dati incontestabili resi noti dal Comitato per i Servizi Segreti del Senato USA a dicembre 2014. 

Ricollegandosi ad esperimenti condotti su cani nel 1960, i due sadici psicologi proposero che i prigionieri fatti nella ‘guerra al terrore’ venissero distrutti psicologicamante con torture mentali e fisiche. Essi sostenevano che ridurre i prigionieri in uno stato in cui fossero pienamante consapevoli di non poter contare su nessun aiuto avrebbe rimosso ogni resitenza agli interrogatori. Poterono in tale frangente dare una base sperimentale alla loro teoria, cosa che non si sarebbe potuta fare in

condizioni normali per il principio etico che vieta di sperimentare sugli esseri umani senza il loro consenso.

L’asserzione del Presidente Goorge W. Bush che i “nemici combattenti” fatti prigionieri nella “guerra al terrore” non erano protetti dalle Convenzioni di Ginevra sul trattamento dei prigionieri, rimosse ogni remora nei torturatori.

________________________

(1) V. l’ampio rapporto: https://www.afghanistan-analysts.org/held-accountable-for-torture-cia-psychologists-pay-compensation-to-family-of-dead-afghan/

(2) Questi due hanno escogitato, diretto, ed anche implementato personalmente le torture. 

(3) Potrebbe trattarsi di cifre dell’ordine del milione di dollari. Peraltro la CIA pagò per otto anni i due psicolgi, e l’azienda da loro fondata, con decine di milioni di dollari.

7) L’URAGANO HARVEY REGALA TRE MESI DI VITA AL  TEXANO JUAN CASTILLO

 

Il 30 agosto scorso, un giudice della contea di Bexar ha deciso il rinvio dell’esecuzione del 36-enne Juan Castillo a causa dell’uragano Harvey, in quanto alcuni dei difensori di Castillo risiedono e lavorano nell’area di Houston devastata da tale uragano. 

La richiesta di spostare la data non è pervenuta dalla difesa, bensì proprio dall’ufficio del Procuratore Distrettuale. Matthew Howard, vice procuratore distrettuale della contea, ha scritto: “Una parte dei componenti la squadra dei difensori di Castillo risiede nella contea di Harris e nelle zone limitrofe, ed ha subito danni dall’uragano Harvey. … A causa di queste circostanze eccezionali, lo Stato dovrebbe attivarsi per annullare la data di esecuzione e fissare una nuova data più avanti”.

Il condannato avrebbe dovuto essere messo a morte il 7 settembre ma, a seguito della richiesta, un giudice della Contea di Bexar ha spostato di tre mesi la data, fissandola al 14 dicembre.

Castillo fu condannato a morte nel 2005 per l’omicidio di Tommy Garcia Jr, avvenuto nel 2003 a San Antonio. Secondo l’accusa, egli attirò, insieme a tre complici, Garcia in un luogo appartato con la promessa che avrebbe fatto sesso con una delle ragazze coinvolte nel piano. La cricca voleva derubare la vittima, ma quando Garcia tentò di fuggire, Castillo gli sparò alla schiena, uccidendolo.

8) ARRESTATO A 15 ANNI, CONDANNATO A MORTE A 16, IMPICCATO A 21 ANNI

 

Amnesty International si è battuta invano per salvare dall’impiccagione Alireza Tajiki, un iraniano condannato a morte a 16 anni di età, in violazione alle norme internazionali, per un omicidio commesso nel 2012 quando aveva 15 anni. Ed ha protestato vivamente dopo l’esecuzione.  Purtroppo - come osserva Claudio Giusti - l’Iran negli anni Novanta ha sì aderito alla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’Infanzia ma riservandosi di non rispettarla ove “il testo della Convenzione sia o diventi incompatibile con le leggi interne o gli standard islamici in qualsiasi momento e in qualsiasi caso”. Peraltro anche gli Stati Uniti d’America aderirono alla Convenzione con un’analoga riserva (e continuarono a mettere a morte minorenni all’epoca del crimine fino al 2005).

 

Così scrive Amnesty in un Comunicato Stampa del 10 agosto:

Alireza Tajiki, arrestato incriminato e condannato a morte da minorenne, è stato impiccato questa mattina in una prigione di Shiraz, nell’Iran meridionale.

“Procedendo a questa esecuzione sfidando i loro obblighi di diritto internazionale e la grande indignazione dell’opinione pubblica internazionale, le autorità iraniane hanno ancora una volta crudelmente mostrato di ignorare del tutto i diritti dei minori. Questa vergognosa azione segna una svolta per l’Iran e rivela la vacuità delle affermazioni secondo le quali l’Iran ha un valido sistema di

giustizia minorile”, ha dichiarato Magdalena Mughrabi, vicedirettrice di Amnesty International per il Medio Oriente e l’Africa del Nord.

“Alireza Tajiki è stato il quarto minorenne al momento del reato messo a morte quest’anno in Iran. La sua esecuzione, portata a termine nonostante avesse denunciato di essere stato costretto a confessare sotto tortura, conferma l’orrenda tendenza da parte delle autorità iraniane a mettere a morte persone arrestate quando erano minorenni, spesso al termine di processi profondamente iniqui”, ha proseguito Mughrabi.

“Questa esecuzione costituisce una clamorosa violazione della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’Infanzia, che l’Iran ha ratificato due decenni fa. Impiccando Alireza Tajiki, le autorità iraniane hanno confermato l’agghiacciante intenzione di portare avanti questa terribile prassi e hanno mostrato di non avere voglia di dare seguito alle tanto proclamate riforme introdotte per salvare dalla pena di morte i rei minorenni”, ha concluso Mughrabi.

9) DUTERTE VA AVANTI ALLA GRANDE CON LE ESECUZIONI EXTRAGIUDIZIARIE

 

Il presidente delle Filippine Rodrigo Roa Duterte non è ancora riuscito a ripristinare la pena di morte nel suo paese ma in compenso ha continuato a dar mano libera alla polizia e a giustizieri privati che uccidono a loro discrezione migliaia di persone nella ‘guerra alla droga’. Riportiamo qui la prima parte di un comunicato in proposito intitolato “Filippine, 32 morti in un solo giorno: la ‘guerra alla droga’ di Duterte raggiunge nuovi livelli di barbarie” diffuso da Amnesty International il 16 agosto. Il comunicato rimanda all’ampio rapporto (in inglese) del 31 gennaio scorso cui si può accedere dal sito di Amnesty Italia col seguente link: https://www.amnesty.it/filippine-la-guerra-della-polizia-ai-poveri/   (Su Duterte v. anche i nostri articoli pubblicati nei nn. 229, 231, 233, 236, 238, 239)

 

Il 15 agosto la polizia delle Filippine ha ucciso 32 persone, probabilmente il più alto numero di vittime in un solo giorno da quando il presidente Duterte ha dichiarato la cosiddetta “guerra alla droga”. 

“Queste morti scioccanti ci ricordano che l’illegale ‘guerra alla droga’ del presidente Duterte va avanti senza sosta, anzi pare raggiungere nuovi livelli di barbarie: uccidere i sospetti, violare il loro diritto alla vita e ignorare le regole del giusto processo sono ormai la routine”, ha dichiarato James Gomez, direttore di Amnesty International per l’Asia sud-orientale e il Pacifico. 

“A pagare il prezzo di questa brutalità sono soprattutto le comunità più povere di aree come la provincia di Bulacan, dove è avvenuta buona parte delle esecuzioni extragiudiziali da quando il presidente è al potere, comprese 21 delle 32 del 15 agosto”, ha aggiunto Gomez. 

“Le recenti parole di Duterte, secondo il quale egli potrebbe non riuscire a risolvere i problemi legati alla droga durante il suo mandato, sono molto preoccupanti. Con l’estensione a tempo indeterminato di questa fallace strategia, rischiamo di non vedere la fine di queste uccisioni”, ha commentato Gomez. 

“Considerato che un mese fa Duterte ha minacciato di abolire la Commissione per i diritti umani, l’unica istituzione che svolge indagini approfondite sulle esecuzioni extragiudiziali, pare che mai come oggi dall’inizio del mandato presidenziale i diritti umani siano a rischio”, ha sottolineato Gomez. 

“È chiaro che occorre istituire, senza ulteriori ritardi, una commissione d’inchiesta internazionale sulla ‘guerra alla droga’ e sulla carneficina in corso ogni giorno nelle Filippine”, ha concluso Gomez.

10) DUE ESECUZIONI NELLE ASETTICHE CAMERE  DELLA MORTE GIAPPONESI

 

 

Ogni tanto il Giappone uccide qualche condannto a morte. Il 6 luglio è toccato a Masakatsu Nishikawa e a Koichi Sumida, che sono stati impiccati in due diverse città, il primo a Osaka e il secondo a Hiroshima. Speriamo che il paese del Sol Levante sia comunque sulla strada dell’abolizione. 

 

Nonostante le forti pressioni internazionali esercitate sul Giappone dai paesi europei perché venga abolita della pena di morte nel paese del Sol Levante, le asettiche camere della morte situate nelle  carceri di Tokyo, Osaka, Nagoya, Sendai, Fukuoka, Hiroshima e Sapporo continuano a funzionare, sia pure con una certa moderazione (1).  

Da quando l’attuale Primo Ministro Shinzo Abe è andato al potere nel 2012 le esecuzioni si sono alquanto intensificate e da allora se ne sono avute 19.

Il 6 luglio il Ministro della Giustizia nipponico Katsutoshi Kaneda ha reso noto che due detenuti condannati per omicidio, Masakatsu Nishikawa di 61 anni e Koichi Sumida di 34 anni, sono stai impiccati in due diversi carceri, il primo a Osaka e il secondo a Hiroshima. 

“Ho ordinate le esecuzioni dopo accurata considerazione” ha precisato Kaneda. Ma ciò non gli ha risparmiato le critiche da parte dei governi e degli organismi europei.

Yves Cruchten, che si occupa di pena di morte presso l’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa (PACE) ha dichiarato: “È scioccante che il Giappone, stato osservatore presso il Consiglio d’Europa, continui ad applicare la pena di morte. Ed è particolarmente deplorevole che i condannati a morte e le loro famiglie siano avvertiti dell’esecuzione solo poche ore prima che siano portate a termine. Oltretutto Masakatsu Nishikawa è stato messo a morte nonostante il fatto che stesse ricorrendo in appello per essere riprocessato”. Kaneda dal canto suo ha osservato che non occorre attendere l’esito di un appello quando c’è da aspettarsi il rigetto del medesimo.

Dei 124 condannati  a morte in Giappone, 91 hanno appelli in corso. 

Noi riteniamo che, sia pure senza affrettarsi, il Giappone sia comunque in cammino sulla strada dell’abolizione. E’ incoraggiante la presa di posizione della grande Federazione degli Ordini degli Avvocati del Giappone impegnata per ottenere l’abolizione della pena di morte entro il 2020 (2) 

___________________

(1) V. nn.: 196; 199, Notiziario; 200; 205; 227, Notiziario; 231; 232  e nn. ivi citati

(2) V. n. 231.

11) IL RE DEL MAROCCO CONCEDE CENTINAIA DI GRAZIE

 

 

Il re del Marocco Mohammed VI in ciascuna di 3 recenti festività - la Festa del Trono, la Festa del Re e del Popolo, la festa di Eid Al Adha - ha concesso centinaia di grazie a rei che si sono detti pentiti.

 

Il 1° settembre, in occasione dell’importante festa religiosa di Eid Al Adha, il re del Marocco Mohammed VI ha concesso l’indulgenza reale a 665 rei. La stampa riporta in dettaglio che 5 detenuti sono stati subito posti in libertà, 538 hanno avuto sconti di pena, 20 hanno ricevuto la commutazione dell’ergastolo in pene detentive a termine. Inoltre tra 102 condannati non detenuti, 17 hanno beneficiato dell’annullamento della pena che dovevano scontare, 8 hanno beneficiato dell’an-nullamento della carcerazione pur essendo state mantenute le pene pecuniarie loro imposte, uno ha avuto sia l’annullamento della pena detentiva che della pena pecuniaria, infine 76 condannati hanno avuto l’annullamento della pena pecuniaria che era stata loro inflitta.

Il precedenza, il 19 agosto, in occasione della Festa del Re e del Popolo, Mohammed VI aveva elargito 415 grazie, tra cui quelle concesse a 14 rei di terrorismo.

Da notare che tra tali grazie vi è quella fatta ad un condannato a morte la cui pena è stata commutata in 30 anni di detenzione.

Le indulgenze regali sono in risposta alle domande avanzate dagli interessati, dopo che loro hanno manifestato il proprio attaccamento ai “valori immutabili e alle istituzioni nazionali del Marocco, hanno rivisto le loro posizioni e i loro modi di pensare, hanno dichiarato il rigetto da parte loro dell’estremismo e del terrorismo e hanno affermato di aver ripreso la retta via mentre mostravano di avere una buona condotta in prigione”, come è stato specificato dal Dipartimento di Giustizia.

Ancora in precedenza, nella Festa del Trono celebratasi il 30 luglio, Mohammed VI aveva concesso ben 1272 grazie. 

(Apprendiamo tutto ciò dalla testata giornalistica marocchina Morocco World News che si definisce ‘indipendente’ ma non lo è poi tanto perché fin troppo ossequiosa nei riguardi del re e del governo del Marocco). (Pupa)

12) APPROVATA IN ITALIA UNA LEGGE CHE PUNISCE LA TORTURA

 

Finalmente, dopo un gestazione di decenni, il 5 luglio scorso è stata approvata in Italia una legge che sanziona la tortura. È una legge tutt’altro che perfetta, ma almeno c’è.

 

Non si può attribuire soltanto all’inefficienza del nostro sistema legislativo il fatto che la legge che prevede il reato di tortura sia stata approvata in Italia solo ora, dopo 28 anni di vani tentativi di farla approvare compiuti dal 1998 in poi. Ha pesato certamente la riluttanza di componenti della società direttamente interessate dalla questione della tortura, come le forze di polizia. (1)

Che il nostro paese abbia compiuto questo indispensabile passo di civiltà, che lo rende conforme alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la Tortura del 1984, è in massima parte merito di Amnesty International Italia e del Presidente dell’Associazione Antigone, Patrizio Gonnella (2).

Si tratta di una legge di civiltà che salutiamo con favore anche se è tutt’altro che perfetta ed è di molto inferiore alla legge che Amnesty e l’Associazione Antigone hanno perseguito. 

Scrive Patrizio Gonnella, in un articolo pubblicato nel n. 8 del 2017 di  Mosaico di Pace:

“In Italia, dopo decenni di melina parlamentare e governativa, finalmente la tortura è reato. C’è voluto un dibattito parlamentare lungo ben ventotto anni per giungere a questo risultato. Un dibattito per lunghi tratti triste, incolto, illiberale, ricco di opposizioni pretestuose. […]

“Quella che segue è la definizione di tortura secondo il legislatore italiano. “Chiunque, con violenze o minacce gravi, ovvero agendo con crudeltà, cagiona acute sofferenze fisiche o un verificabile trauma psichico a una persona privata della libertà personale o affidata alla sua custodia, potestà, vigilanza, controllo, cura o assistenza, ovvero che si trovi in condizioni di minorata difesa, è punito con la pena della reclusione da quattro a dieci anni se il fatto è commesso mediante più condotte ovvero se comporta un trattamento inumano e degradante per la dignità della persona”. […] 

“In due punti la legge approvata è di difficile digeribilità: la previsione della pluralità delle condotte violente affinché vi sia la configurabilità del delitto, il riferimento espresso alla condizione della “verificabilità” del trauma psichico. Un tentativo pacchiano di restringere l’area della punibilità del presunto torturatore. Seppur vero che tutto debba essere verificato all’interno del processo penale, il riferimento alla “verificabilità del trauma psichico” pare scritto apposta per rendere difficile la prova della sussistenza di uno degli elementi essenziali del reato. 

“Era il dicembre del 1998 quando Antigone elaborò la sua prima proposta di legge, fedele al testo delle Nazioni Unite. Da allora, insieme ad Amnesty International, le abbiamo tentate più o meno tutte per convincere i riluttanti governi italiani succedutesi nel tempo i quali hanno usato le più svariate strategie di risposta o di non risposta: dilatorie, apertamente oppositive, falsamente disponibili. Nel frattempo, giudici nazionali, europei o internazionali sono intervenuti per stigmatizzare l’assenza del delitto di tortura nell’ordinamento giuridico italiano. Sono sopraggiunte condanne della Corte europea dei diritti umani che avrebbero dovuto essere considerate infamanti per una democrazia che si onora di chiamarsi tale, come nel caso delle torture alla scuola Diaz a Genova nel 2001.

“Dal 5 luglio abbiamo una legge che incrimina la tortura. Nonostante una legge scritta con tante riserve mentali, le Corti italiane da oggi possono incriminare un pubblico ufficiale per tortura. Gli avvocati e le associazioni che si battono per i diritti umani hanno a disposizione una norma in più: nell’ipotesi di segnalazioni di casi che palesemente potrebbero rientrare nella definizione universale di ‘tortura’ va fatto di tutto perché la legge sia applicata davanti ai giudici nazionali. E se questi latitano – un po’ dipende anche da loro rendere quella fattispecie operativa – si potrà ricorrere davanti alle Corti internazionali. Così come si potrà chiedere alla Corte Costituzionale di intervenire per far fare un passo in avanti a una legge incerta nei contenuti. […]

“Nessuno è, però, così ingenuo dal pensare che, ottenuta la legge, buona o brutta che sia, la tortura sarà di conseguenza definitivamente bandita dalle nostre prigioni, dalle nostre caserme, dai nostri centri per migranti, dalle nostre strade. Il reato è una condizione necessaria ma non sufficiente per la punizione di chi commette atti di tortura. È necessario che vi sia una rivoluzione umanocentrica che metta al centro la persona e la sua dignità. Fondamentale è che se ne rendano conto tutte le forze dell’ordine offrendo inequivocabili segnali culturali in questa direzione. […]”  

In un Comunicato diffuso da Amnesty nel giorno in cui la legge antitortura è stata approvata leggiamo:

“Dopo l’approvazione in via definitiva da parte della Camera dei deputati della legge sul reato di tortura Antonio Marchesi, presidente di Amnesty International Italia ha rilasciato la seguente dichiarazione: 

“Quella approvata oggi dal Parlamento, che introduce con quasi 30 anni di ritardo il reato specifico di tortura nel codice penale ordinario, non è una buona legge. É carente sotto il profilo della prescrizione”.

“Inoltre, la definizione della fattispecie è confusa e restrittiva, scritta con la preoccupazione di escludere, anziché di includere in sé tutte le forme della tortura contemporanea. Permette tuttavia di compiere un passo avanti, anche se incompleto, verso l’attuazione dell’obbligo di punire la tortura imposto dalla Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura del 1984”. 

“Nella misura in cui pone fine alla rimozione della tortura, alla sua indicibilità, la legge permette di superare quella situazione di grave inadempimento per cui i giudici italiani erano costretti a

mascherare una delle più gravi violazioni dei diritti umani da reato banale, a volte da mero abuso d’ufficio, con la conseguenza di punirla in modo lieve o di non punirla affatto per effetto della prescrizione”. 

“Se la definizione accolta non può soddisfare, l’ipotesi di rinviare per l’ennesima volta, nella vaga speranza che un nuovo parlamento sapesse fare ciò che nessuno dei cinque precedenti aveva fatto, sarebbe servita solo a chi – e sono ancora in molti – il reato di tortura non lo ha mai voluto, senza se e senza ma e in qualsiasi modo definito, considerandolo contrario agli interessi delle forze di polizia”

___________________________

(1) V. nn.199, 200, 206, 208, 218, 219, 221, 223, e nn. in essi citati. 

(2) Patrizio Gonnella, che negli anni Novanta è stato direttore in diverse prigioni italiane (Padova, Pisa, Pianosa e San Gimignano), si batte con competenza e determinazione per il rispetto dei diritti umani soprattutto in ambito carcerario.

13) ADOTTATO IL TRATTATO CHE PROIBISCE LE ARMI NUCLEARI

 

 

Il 7 luglio è stato adottato dalle Nazioni Unite il trattato internazionale che proibisce le armi nucleari. ( https://www.un.org/disarmament/ptnw/ ) Il Treaty on the Prohibition of Nuclear Weapons fa seguito al Trattato di Non Proliferazione delle armi nucleari entrato in vigore nel 1970, il quale proibisce ai paesi che non hanno armi nucleari di dotarsi di tali armamenti. L'Italia, paese membro della NATO che ospita armi nucleari USA sul proprio territorio, non è tra i 124 paesi che hanno partecipato al voto del 7 luglio. Ci auguriamo che l'Italia prenda coscienza della negatività della propria posizione e si attivi per eliminare le armi nucleari dal proprio territorio e aderire al nuovo Trattato. Condividiamo in pieno la presa di posizione di Amnesty  – nel momento in cui la Corea del Nord e gli USA parlano senza vergogna dell’uso di tali armi - espressa nel seguente Comunicato diffuso il 7 luglio.

 

 

ONU, AMNESTY INTERNATIONAL: IL BANDO ALLE ARMI NUCLEARI É UN ANTIDOTO ALLA CINICA POLITICA DEL RISCHIO CALCOLATO  

A seguito dell’adozione da parte delle Nazioni Unite di un nuovo trattato globale che proibisce le armi nucleari, James Lynch, responsabile di Amnesty International per Controllo delle armi e diritti umani, ha dichiarato:    

"Questo trattato storico è un passo avanti verso un mondo libero dagli orrori delle armi nucleari, le armi più distruttive e indiscriminate mai create. Tutti gli stati devono dare il loro pieno sostegno a questo antidoto alla cinica politica del rischio calcolato incarnata nello sviluppo, nello stoccaggio o nell'uso di armi nucleari.” 

"La condanna globale immediata e vigorosa dei test della Corea del Nord sui missili nucleari questa settimana dà il senso di quanto sia alta la posta in gioco - tutti sanno che non è nell'interesse di nessuno che una singola testata nucleare possa essere detonata, mai.” 

"Il voto di oggi dimostra che la maggior parte degli stati considera un bando globale alle armi nucleari come la migliore soluzione per proteggere il mondo dai loro effetti catastrofici. E dimostra ancora una volta come uno sforzo forte della società civile possa ispirare un cambiamento reale sulla scena mondiale.” 

"Siamo contrari all'uso, al possesso, alla produzione e al trasferimento di armi nucleari da parte di qualsiasi paese, inclusi i membri permanenti del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, e quindi è stato profondamente deludente vedere che questi e altri stati dotati di armi nucleari non siano riusciti a sostenere il trattato. Li invitiamo a prendere posizione per i diritti umani e per l'umanità unendosi al trattato di bando".  

 

Ulteriori informazioni: In un voto conclusivo dei negoziati su uno "strumento giuridicamente vincolante per vietare le armi nucleari" presso le Nazioni Unite a New York il 7 luglio, 122 stati hanno votato a favore dell’adozione, uno ha votato contro e uno si è astenuto. Gli stati dotati di armi nucleari nel mondo, inclusi i cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, non hanno partecipato ai negoziati finali o al voto. Amnesty International sostiene il lavoro della Campagna internazionale per l'abolizione delle armi nucleari per contribuire ad applicare questo trattato e monitorarne l'attuazione.

14) NOTIZIARIO

 

Arizona. Condannata a morte  una donna che ha asfissiato un bambino. Il 7 agosto a Phoenix in Arizona è stata condannata a morte la 29-enne Sammantha Allen, accusata di aver partecipato all’uccisione di un cuginetto di 10 anni, Ame Deal, nel 2011. Il ragazzino morì asfissianto dopo essere stato rinchiuso per sei ore in un contenitore di plastica come punizione per aver rubato e mangiato un ghiacciolo. Suo marito, correo, sarà processato in ottobre. Al momento in Arizona ci sono 3 donne e 116 uomini condannati a morte.

 

Bielorussia. Unico paese europeo a mantenere la pena di morte. Il Presidente della Bielurussia Aljaksandr Lukashenko ha preso la parola all’apertura della sessione annuale dell’Assemblea parlamentare dell’OCSE, tenutasi a Minsk dal 5 al 9 luglio, per difendere il mantenimento della pena di morte nel proprio paese, unico in Europa a non abolirla: “Ci chiedono di abolire la pena di morte. E noi esaminiamo le richieste in tal senso. Ma nessun paese si può opporre al volere del popolo che nella stragrande maggioranza ha votato per la pena di morte nel referendum sul suo mantenimento.”  Ricordiamo che, nel referendum in proposito indetto dal dittatore bielorusso nel 1996, l’80,5 % dei partecipanti votò per il mantenimento della pena capitale. 

 

Iran. Prigioniero impiccato in pubblico davanti ad una grande folla. Il 28-enne Hossein Sarooki, accusato di omicidio, è stato impiccato in pubblico nella città di Juybar nel nord dell’Iran. L’agenzia ufficiale  Jouybaran ha reso noto che l’esecuzione si è svolta la mattina del 1° agosto di fronte ad una folla di 5.000 persone. Seguendo la procedura iraniana il morituro era stato messo il giorno prima in isolamento nella vicina prigione di Ghaem Shahr.

 

Iran. Dovrebbero essere fortemente limitate le esecuzioni per reati di droga. Il 9 luglio scorso almeno 10 condannati per traffico di stupefacenti, tra cui 3 afgani, sono stati impiccati senza preavviso nel carcere di Taybad nel nord-est dell’Iran. Le autorità iraniane continuano a mettere a morte persone accusate di reati di droga nonostante il fatto che stia per essere approvata un legge che ridurrà drasticamante le fattispecie di reati di droga passibili di pena capitale e che diversi parlamentari abbiano chiesto di sospendere le esecuzioni di oltre 5000 spacciatori e di effettuare ulteriori indagini sui loro casi.

 

Mongolia. Abolita definitivamente la pena di morte. Il 1° luglio è entrato in vigore in Mongolia il nuovo Codice Penale che abolisce definitivamente la pena di morte per ogni tipo di crimine. Il nuovo Codice Penale era stato approvato dal Parlamento il 3 dicembre 2015. Con la Mongolia sono ora 105 i paesi totalmente abolizionisti. 7 sono i paesi che hanno abolito la pena capitale per i crimini ordinari e 29 sono considerati da Amnesty International abolizionisti in pratica perchè non eseguono condanne a morte da oltre 10 anni o si sono impegnati a non eseguirne. 57 paesi mantengono la pena di morte.

 

Texas. Muore di morte naturale Raymond Martinez condannato a morte nel 1984. Durante un controllo di routine nel braccio della morte di Livingston in Texas, alle 11 del  9 agosto,  il 71-enne Raymond Martinez è stato trovato esanime nella sua cella. Dopo alcuni tentativi di rianimazione compiuti sul posto, Martinez è stato trasferito nell’infermeria del carcere. Lì è stato dichiarato morto ‘per cause naturali’. Martinez era stato condannato a morte nel 1984 per un tentativo di rapina compiuto in un bar di Houston finito con l’uccisione del proprietario, tale Herman Chavis.  Dopo la fallita rapina Martinez e uno dei suoi complici si spostarono a  Fort Worth. In tale città Raymond Martinez uccise sua sorella e il suo boyfriend. Alcuni giorni dopo Raymond Martinez uccise una prostituta in un motel perché non gli era piaciuto il suo comportamento. 

 

Yemen. Due pubbliche esecuzioni davanti a migliaia di spettatori. Il 31 luglio tale Muhammad al-Maghribi, un uomo di 41 anni che aveva violentato una bimba un mese prima, è stato portato nella piazza Tahrir di Sanaa, capitale dello Yemen. Mentre la polizia teneva a bada una folla di migliaia di persone - alcuni si erano arrampicati sui pali della luce e molti guardavano dalla terrazze -  l’uomo è stato steso su un tappeto a faccia in giù e ucciso con una raffica nella schiena. Si è trattato della prima pubblica esecuzione nel paese dopo il 2009. Alcuni giorni dopo nella stessa piazza gremita e nello stesso modo è tato ucciso un altro omicida, tale Hussein al-Saket di 22 anni. Questa volta il corpo del prigioniero giustiziato è stato alzato in alto da una gru in modo che tutti potessero vederlo. 

 

 

Questo numero riguarda i mesi di Luglio ed Agosto 2017 ed è aggiornato con le  informazioni disponibili fino al 2 settembre 2017

bottom of page