FOGLIO DI COLLEGAMENTO INTERNO
DEL COMITATO PAUL ROUGEAU
Numero 230 - Luglio / Agosto 2016
Un drone per gli assassinii mirati, a Kandahar in Afghanistan
SOMMARIO:
1) Quarant’anni di pena di morte negli USA
2) Anche in Delaware la pena di morte è finita.
3) 80 anni fa in Kentucky l’ultima esecuzione pubblica degli USA
4) Florida: Corte Suprema in ferie senza decidere sulla pena di morte
5) Ennesima sconfitta legale per Tommy Zeigler
6) Sospensione per Wood, condannato in base alla legge sulle complicità
7) Negato un nuovo processo a Linda Carty
8) Assassinii mirati e vittime collaterali nella guerra al terrorismo
9) Sparizioni, alternativa alle esecuzioni e agli assassinii mirati
10) Tra colpo e contraccolpo, la pena di morte in Turchia?
11) L’Indonesia annuncia 14 esecuzioni e ne compie 4
12) Il forcaiolo Duterte si opporrà all’esecuzione della Veloso?
13) Sì, l’attentato dell’ISIS a Nizza è puro male
14) Ad ottobre sorgerà l'alba per Aasia Bibi?
15) Morti nelle mani dello stato italiano
16) Un sit in per denunciare il martirio della Siria
17) Dubbi postumi sull'entità delle responsabilità di Milosevic
18) Notiziario: Arabia Saudita, Florida, Illinois, Iran, Iraq, Italia, Malawi, Pennsylvania, Siria, Texas, Usa
1) QUARANT'ANNI DI PENA DI MORTE NEGLI USA
Il 2 luglio 1976 la pena di morte tornò negli Stati Uniti. E ancora infierisce nonostante il trend mondiale verso l'abolizione. Amnesty International, in un complesso rapporto pubblicato il 1° luglio scorso, fa un resoconto di quel che è avvenuto in proposito negli ultimi 40 anni (1). Ecco una nostra sintesi semplificata del rapporto di Amnesty.
Ogni sentenza capitale, e ogni esecuzione, contraddice la conformità degli USA ai principi enunciati nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 1948. E contrasta con la visione di un mondo in cui siano rispettati i diritti alla vita e all'immunità dalle pene crudeli, inumane o degradanti di tutti i popoli.
Dopo l'approvazione dei nuovi statuti riguardanti la pena di morte con la sentenza della Corte Suprema Gregg v. Georgia del 1976, sono state eseguite negli USA 1.436 condanne capitali e ne sono state pronunciate più di 8.000. Quasi 3.000 tra uomini e donne rimangono nei bracci della morte (2)
La sentenza Gregg non fu presa all'unanimità ma con la maggioranza di 7 contro 2. Notevole fu l'opinione dissenziente del giudice William Brennan. E alcuni di coloro che avevano votato per la pena di morte, negli anni seguenti hanno espresso pareri contrari, come il giudice Blackmun e il giudice Powell.
Nel 2008, il giudice più anziano della Corte, John Paul Stevens, che pure aveva votato a favore, disse di essere arrivato alla conclusione che "l'imposizione della pena capitale rappresenta una inutile e non necessaria estinzione di una vita” (3).
Dopo venti anni passati come giudice presso la Corte Suprema, il giudice Stephen Breyer ha affermato recentemente che è “molto probabile” che la pena di morte violi l’Ottavo Emendamento che vieta punizioni “crudeli e inusuali”. Arbitrarietà ed errori nell’applicare la pena capitale così come la crudeltà verso i condannati sono fra gli argomenti sollevati da Breyer. Stephen Breyer ha osservato che il fatto che la pena capitale sia applicata in pochi stati e a un numero limitato di contee all’interno di questi stati solleva una questione di arbitrarietà “quando consideriamo gli USA come un tutto unico” (4).
Al tempo della sentenza Gregg gli stati USA che avevano la pena di morte erano 37, a partire dal 2007 tale numero si è notevolmente ridotto: oggi gli stati mantenitori sono 31 su 50.
Allora nel mondo solo 16 paesi avevano abolito la pena capitale per tutti i crimini, oggi i paesi abolizionisti totali sono 102.
La pena di morte è una punizione inutilmente crudele, inumana e degradante ed è incompatibile con la dignità umana. Abolire la pena di morte vuol dire abbandonare una politica distruttiva e non condivisa, che non solo corre il rischio di compiere errori irreparabili ma che è anche costosa in termini economici e in termini sociali e psicologici.
La pena di morte non ha dimostrato di avere effetti deterrenti. Negli USA viene applicata in modo discriminatorio sulla base della razza e della classe sociale. Elimina le possibilità di riconciliazione e riabilitazione. Prolunga la sofferenza delle famiglie delle vittime e estende questa sofferenza agli amici e ai parenti del condannato. Impegna risorse che potrebbero essere usate meglio per prevenire i crimini violenti e assistere chi ne è colpito. I legislatori e i governanti a tutti i livelli dovrebbero lavorare per abolire la pena di morte negli USA una volta per tutte.
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(1) Il rapporto intitolato United States of America: Still lethal after all these years: Gregg v. Georgia at 40 [Stati Uniti d'America: ancora letali tutti questi anni: la sentenza Gregg v. Georgia compie 40 anni] si può leggere nel sito di Amnesty International: https://www.amnesty.org/en/documents/amr51/4375/2016/en/ Un ottimo articolo sull'argomento si può leggere qui: http://prospect.org/article/forty-years-experience-%E2%80%98new-and-improved%E2%80%99-death-penalty-1976%E2%80%932016
(2) Molti degli 8.000 condannati a morte nei successivi appelli hanno avuto pene detentive, circa 500 sono morti nel braccio e circa 160 sono stati esonerati dalle accuse e liberati.
(3) V. n. 227.
(4) V. n. 223, "Glossip..."; n. 229.
2) ANCHE IN DELAWARE LA PENA DI MORTE È FINITA!
La pena di morte in Delaware, dichiarata incostituzionale, non verrà emendata ma di certo abolita.
Il 2 agosto la Corte Suprema del Delaware ha dichiarato incostituzionale lo statuto della pena di morte vigente. In un dispositivo di 148 pagine, la Corte, accogliendo il ricorso Benjamin Rauf v. Delaware, ha affermato che lo statuto esistente violava la Costituzione USA dando ai giudici, invece che alle giurie, la parola finale per imporre una sentenza di morte. La decisione del Delaware è una conseguenza dalla sentenza della Corte Suprema USA sul caso Hurst v. Florida (1). Il 15 giugno i giudici avevano ascoltato argomenti in merito e adesso si sono pronunciati contestando anche la non unanimità richiesta alle giurie nel prendere le decisioni nei casi capitali. Dal momento che la pena di morte in Delaware è stata sull'orlo dell'abolizione nell'ultimo anno, che l'Attorney General Matt Denn non intende opporsi alla sentenza Rauf, e che il Governatore Jack Markell ha salutato con grande soddisfazione la medesima sentenza, siamo autorizzati a tirare un sospiro di sollievo: la pena di more in Delaware è finita!
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(1) V. art. di cui sotto sulla Florida e nn. ivi citati
3) 80 ANNI FA IN KENTUCKY L’ULTIMA ESECUZIONE PUBBLICA DEGLI USA
L’ultima esecuzione in pubblico negli USA avvenne 80 anni fa davanti ad un grande folla.
Il 14 agosto è ricorso l’ottantesimo anniversario dell’ultima esecuzione svolta in pubblico negli Stati Uniti. Infatti, il 14 agosto del 1936 ad Owensboro nel Kentucky il giovane afroamericano Rainey Bethea, fu condotto alle 5:20’ del mattino alla forca. Nonostante l’ora, all’esecuzione assistettero tra le 15.000 e le 20.000 persone, che evidentemente preferirono rinunciare ad alcune ore di sonno pur di non perdersi lo “spettacolo”.
Bethea aveva derubato, stuprato e ucciso la settantenne bianca Lischia Edwards ed aveva confessato tutti i suoi crimini, ma fu condannato solo per lo stupro, reato che consentiva di impiccarlo in pubblico nella contea dove si svolse il crimine. Se lo avessero condannato per tutti i crimini, avrebbe dovuto subire il massimo della pena, ossia morire sulla sedia elettrica all’interno del penitenziario statale.
L’impiccagione fece scalpore anche perché lo sceriffo della contea era una donna, la quale avrebbe dovuto provvedere personalmente ad eseguire la sentenza. Si sa però che alla fine non fu lo sceriffo Florence Shoemaker Thompson ad azionare la leva per aprire la botola sotto i piedi di Rainey Bethea.
Il circo mediatico creato da questa esecuzione indusse il parlamento del Kentucky a modificare la legge. A partire dal 1938 non fu più obbligatorio impiccare gli stupratori lì dove avevano commesso il loro crimine. Dopo Rainey Bethea nessuno fu più messo a morte in pubblico negli USA. (Grazia)
4) FLORIDA: CORTE SUPREMA IN FERIE SENZA DECIDERE SULLA PENA DI MORTE
All'inizio dell'anno la pena di morte in Florida è entrata in una grave crisi, chissà quando ne uscirà.
Nella prima settimana di luglio la Corte Suprema della Florida è andata in vacanza riservandosi di ricominciare ad emettere le sue sentenze a fine agosto. La principale questione rimasta in sospeso riguarda la costituzionalità del sistema della pena di morte della Florida.
Come sappiamo, il problema è scoppiato il 12 gennaio quando la Corte Suprema USA, con la famosa sentenza Hurst v. Florida, ha dichiarato il sistema incostituzionale perché assegnava il ruolo essenziale ai giudici - invece che alle giurie - nei casi capitali (1). Dopo di ciò il Parlamento e il Governatore si sono dati da fare per correggere l’anomalia: ora la nuova normativa prevede che sia la giuria a votare, con un minimo di 10 voti su 12, per imporre una sentenza di morte (2).
Se si fosse richiesta l’unanimità non sarebbero sorte ulteriori questioni riguardo all’applicazione della pena capitale nei nuovi processi, ma così non è stato per la resistenza del Senato.
Dopo l’abolizione della pena di morte per incostituzionalità nel Delaware (3) rimane solo l’Alabama a non richiedere l’unanimità per le sentenze capitali e tre giudici di circuito in Florida hanno già dichiarato incostituzionale il nuovo statuto. La reazione, anche rabbiosa, degli accusatori rende ormai necessario l’intervento della Corte Suprema della Florida.
Un altro grosso interrogativo che tale corte dovrà sciogliere è quello sulla retroattività della sentenza Hurst v. Florida. Sembra impossibile che i 384 uomini e le 4 donne condannati a morte con il vecchio sistema possano essere ‘giustiziati’. Però ci si domanda se costoro dovranno essere riprocessati o ricevere automaticamente la commutazione della pena in ergastolo.
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(1) V. nn. 224, 226
(2) V. nn. 227; 229, Notiziario.
(3) V. articolo qui sopra.
5) ENNESIMA SCONFITTA LEGALE PER TOMMY ZEIGLER
Tommy Zeigler è invecchiato nel braccio della morte della Florida schiacciato da un'accusa assurda
Del caso di William Thomas Zeigler Jr., detto "Tommy" (1), ci siamo occupati tante volte a partire dal 2001, anche in collaborazione con il Coordinamento Non Uccidere. Per lo più abbiamo parlato delle sue sconfitte legali, man mano che invecchiava nel braccio della morte della Florida in cui ha passato più di 40 anni (2).
A noi sembra assurdo che egli sia stato condannato a morte. Della sua innocenza è convinto il nostro amico floridiano Dale Recinella che lo conosce bene e lo va a trovare di quando in quando.
L’ultima sconfitta legale in ordine di tempo Tommy l'ha dovuta incassare l’11 luglio scorso: il giudice Reginald Whitehead della contea di Orange-Osceola ha respinto la richiesta di far analizzare le macchie di sangue sul vestiario da lui indossato la vigilia di Natale del 1975, quando furono assassinati sua moglie, i suoi suoceri e un cliente nel negozio di mobili di sua proprietà, ed egli rischiò la morte in seguito ad un colpo di pistola ricevuto nel ventre.
In un dispositivo di 30 pagine, il giudice afferma che la richiesta di Zeigler di effettuare un nuovo test del DNA sulle macchie di sangue è troppo simile alle altre che furono fatte inutilmente in passato e che le possibili scoperte non sarebbero sufficienti a scagionarlo. Whitehead scrive: “Dopo aver ascoltato attentamente le testimonianze presentate e le argomentazioni delle due parti, la Corte afferma che l’utilità del test del DNA è opinabile in quanto il DNA potrebbe essersi contaminato quando [il materiale da analizzare] fu maneggiato e/o inadeguatamente conservato”.
Lo scorso 31 marzo, ascoltati dal giudice in merito al ricorso, gli avvocati di Zeigler avevano affermato che un test del DNA più sensibile e più progredito dei precedenti, avrebbe potuto dimostrare che Tommy non era l’assassino.
Si tratta di un test detto “DNA da contatto” che avrebbe potuto dimostrare che il DNA di Zeigler si era trasferito sulle vittime per un contatto derivante da uno scontro fisico. Secondo l’accusa questo test non potrebbe dimostrare l’innocenza di Zeigler come già avvenuto con i test effettuati nel 2001.
Uno degli avvocati di Tommy Zeigler, ha dichiarato: “Siamo ovviamente delusi del fatto che [il giudice] non abbia riconosciuto il merito della richiesta. Leggeremo attentamente cosa ha scritto e vedremo quali nuovi passi intraprendere”.
Per fortuna gli avvocati di Zeigler non sono disposti ad arrendersi, ma ciononostante la situazione è pesantissima per Tommy che è rinchiuso nel braccio della morte della Florida da quasi 41 anni e ha da sempre proclamato la sua innocenza!
Il 14 agosto i difensori del condannato hanno inoltrato un appello alla Corte Suprema della Florida contro la decisione del giudice Reginald Whitehead.
Rimangono alcune carte da giocare in favore di Tommy Zeigler, su diversi piani. Ricordiamo che le indagini fatte dall'investigatrice Lynn-Marie Carty due anni fa hanno messo in rilevo gravi irregolarità compiute nel processo originale dall'accusa pur di ottenere la condanna di Zeigler (3).
Occorre inoltre tener presente che il sistema della pena di morte della Florida, dichiarato incostituzionale a gennaio, sta attraversando una grave crisi (4)
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(1) In alcuni articoli sul suo caso, anche nostri, il suo cognome è stato scritto erroneamente Ziegler
(2) Per Tommy Zeigler ci siamo mobilitati e abbiamo scritto molto nel corso degli anni, v. nn. 83, 88, 98, 105, 109, 111, 124, 149, Notiziario, 176, 185, 213.
(3) V. n. 213.
(4) V. articolo precedente.
6) SOSPENSIONE PER WOOD, CONDANNATO CON LA LEGGE SULLE COMPLICITÀ
Speriamo che Jeffery Lee Wood, che non ha ucciso nessuno, riesca a salvarsi dall'iniezione letale in Texas, forse anche per merito della giudice Elsa Alcala, abolizionista convinta.
Il 19 agosto la Corte Criminale d'Appello del Texas (TCCA) ha sospeso l'esecuzione di Jeffery Lee Wood che fu condannato a morte in base alla law of parties (legge sulle complicità). I motivi della sospensione dell'esecuzione addotti dalla TCCA - la quale rimanda il caso al giudice che emise la sentenza di morte - sono contenuti nel terzo e quarto punto del ricorso di Wood: il sospetto che furono usate dall'accusa contro di lui false testimonianze e false prove scientifiche.
Estremamante interessante è l'opinione aggiuntiva espressa dalla giudice Elsa Alcala, in cui si legge: "Scrivo separatamente perché voglio anche riferirmi alle contestazioni di cui ai punti 5, 6 e 7, nei quali il ricorrente afferma che la sua partecipazione nel crimine e la sua colpevolezza morale sono troppo ridotte per meritare la pena di morte, che l'evoluzione degli standard di decenza ora proibiscono l'esecuzione di una persona che fu condannata come parte di un delitto capitale, e, più in generale che la pena di morte del Texas deve essere dichiarata incostituzionale perché è arbitraria e non persegue i peggiori tra i peggiori delinquenti, in violazione all'Ottavo Emendamento [della Costituzione USA]."
Ricordiamo che in Texas si può essere condananti a morte anche senza aver ucciso nessuno, in base alla law of parties, solo per aver preso parte ad un'azione criminosa in cui qualcuno viene ucciso. Il nostro amico e corrispondente Kenneth Foster si salvò in extremis il 30 agosto 2007 per la grazia concessa dal governatore Rick Perry proprio perchè era stato condannato in base a tale legge (1).
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(1) V. n. 152
7) NEGATO UN NUOVO PROCESSO A LINDA CARTY
Condannata a morte con l'accusa di aver commissionato il rapimento di un neonato, la nera Linda Carty è giunta alla soglia dell'esecuzione. La Carty non è accusata di aver ucciso qualcuno, ma è stata condannata a morte in base alla tristemente famosa law of parties.
In Texas nella prima settimana di luglio il giudice David Garner ha ascoltato vari testimoni tra cui tre uomini che nel 2002 sarebbero stati forzati dell’accusa a testimoniare il falso nel processo capitale contro la nera Linda Carty, ex insegnante ed ex informatrice dell’agenzia antidroga statunitense DEA (Drug Enforcement Administration).
La Carty fu condannata a morte perché l’accusa convinse i giurati che nel maggio del 2001 lei aveva organizzato l’irruzione di tre uomini nell’appartamento di una vicina, Joana Rodriguez. Lo scopo dell’irruzione sarebbe stato quello di rapire il figlio appena nato di quest’ultima. (1)
La Rodriguez fu poi trovata imbavagliata con nastro adesivo morta soffocata nel baule di un’auto che la Carty aveva prestato ad uno degli uomini. Il neonato fu trovato in un’altra auto ancora vivo. Il bimbo si salvò, anche grazie alle informazioni che la Carty fornì volontariamente alla polizia sugli uomini che, secondo le sue affermazioni, avevano minacciato anche lei.
Nella recente udienza agli accusatori Connie Spence e Craig Goodhart è stato contestato di aver distrutto appunti e scambi di email relativi al caso, di aver fatto sparire almeno 18 dichiarazioni registrate dei difensori della Carty e di aver estorto false testimonianze per garantirsi la condanna a morte dell’imputata. Un agente della DEA ora in pensione, Charles Mathis, ha testimoniato di essere stato minacciato da Spence che lo ricattò dicendogli che avrebbe inventato e divulgato la notizia di una sua relazione extraconiugale se non avesse testimoniato contro la Carty. Egli ha aggiunto di essere sicuro che la donna non era capace di commettere atti di violenza e tantomeno di dare ordini a omaccioni come i suoi co-imputati. “Penso che loro avrebbero potuto masticarla e sputarla via”, ha dichiarato. Un altro testimone-chiave dell’accusa ha detto che la coppia di accusatori gli diede precise istruzioni su come mentire, minacciando anche lui di accuse false.
I presunti complici della Carty – esecutori materiali del rapimento e dell’omicidio - furono processati insieme a lei, ma solo la Carty fu condannata a morte. Due dei tre hanno deposto nell’udienza di luglio di essere stati minacciati dall’accusa e di aver ricevuto istruzioni su cosa dovevano dire. Il terzo ha rifiutato di testimoniare.
I due avvocati accusatori dal canto loro hanno negato di aver fabbricato testimonianze false o di aver nascosto le prove, pur ammettendo che email e appunti sono andati perduti nel corso degli anni. Spence ha dichiarato: “La difesa aveva accesso alle prove in qualsiasi momento avesse voluto esaminarle”.
Gli attuali avvocati difensori della Carty, diretti da Michael Goldberg, si sono detti convinti che tutto ciò che era stato prodotto nelle udienze di luglio doveva far ottenere un nuovo processo alla loro assistita, che nel corso di questi anni ha visto respingere tutti i suoi appelli sia a livello statale che federale ed è giunta più volte alla soglia dell’esecuzione.
Purtroppo non è stato cosi!
Il 1° settembre il giudice David Garner si è espresso rifiutando di disporre un nuovo processo per Linda Carty, in quanto non riteneva sufficienti le prove presentate a luglio. Il giudice ha scritto che le prove non dimostrano che lo stato del Texas nel processo originario utilizzò testimoni spergiuri, mancò di correggere testimonianze false o presentò testimoni fuorvianti.
Di fatto il giudice Garner ha ammesso che l’accusa mancò di condividere le dichiarazioni dei testimoni che avrebbero potuto essere di aiuto nella difesa della Carty, ma ha concluso che difficilmente questo avrebbe fatto differenza nel giudizio finale della giuria.
Dopo la decisione del giudice, per la Carty ci sarà il responso definitivo della Corte Criminale d’Appello del Texas.
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(1) La Carty non è accusata di aver ucciso qualcuno, è stata condannata a morte in base alla famosa law of parties
8) ASSASSINII MIRATI E VITTIME COLLATERALI NELLA GUERRA AL TERRORISMO
Si può giustificare da un punto di vista morale l'assassinio di un presunto terrorista fatto da migliaia di chilometri di distanza con un drone che facilmente ammazza anche innocenti vittime collaterali?
Non è l'uccisione del nemico sul campo di battaglia, né l'esecuzione di un criminale con la pena di morte. È un fenomeno che - per così dire - si situa tra i due. Si tratta degli 'assassinii mirati' fatti dagli Americani nei riguardi di non-americani (1) che uccidono (e si uccidono) al di fuori delle zone in cui ci sono guerre riconosciute (Iraq, Siria e Afghanistan). Tutte e tre tali pratiche fanno vittime innocenti.
Barack Obama, apprestandosi a lasciare definitivamente la presidenza degli Stati Uniti, ha sentito il dovere di diffondere un, sia pur minimale, resoconto degli assassinii mirati compiuti dagli USA negli ultimi 7 anni, sotto la sua diretta responsabilità. (2).
Si tratta per lo più di assassinii compiuti con i droni, comandati da migliaia di chilometri di distanza, in paesi come la Libia, il Pakistan, la Somalia e lo Yemen...
Le cifre fornite da Obama il 1 luglio, parlano di 473 missioni, compiute a patire dal 2009, che hanno ucciso tra 2.372 e 2.581 "combattenti" o individui che costituivano un "continuo e imminente pericolo per gli Americani" e tra 64 e 116 vittime civili collaterali.
Le cifre fornite da Obama sono molto al disotto di quelle esposte da varie fonti indipendenti, le quali per le 'vittime collaterali' tra i civili innocenti (bambini compresi) arrivano ad un massimo di 801 uccisi (e non 116).
Contemporaneamente alla diffusione di detti dati, Barack Obama ha emesso un 'ordine esecutivo' (3) che definisce la protezione dei civili una priorità e impone al governo di dichiarare anno per anno il numero dei civili uccisi.
L'ordine esecutivo afferma che "le perdite civili sono una tragica e allo stesso tempo inevitabile conseguenza dell'uso della forza in situazioni di conflitto armato o nell'esercizio del diritto di legittima difesa dello stato," espone i modi migliori per ridurli ed indica i passi da fare quando si verificano. L'ordine esecutivo potrebbe essere cancellato dal nuovo presidente. Ma speriamo che il prossimo presidente sarà Hillary Clinton e non lo farà.
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(1) Gli Americani avrebbero il diritto di essere ammazzati in seguito ad un regolare processo.
(2) V. n. 193.
(3) Il Presidente degli Stati Uniti ha facoltà di legiferare in proprio, sia pure con dei limiti, attraverso i cosiddetti executive orders
9) SPARIZIONI, ALTERNATIVA ALLE ESECUZIONI E AGLI ASSASSINII MIRATI
Il 30 agosto, Giornata internazionale degli scomparsi, Amnesty International ha ricordato come in ogni parte del mondo i governi ricorrano alle sparizioni forzate per rafforzare il loro potere e ridurre al silenzio gli oppositori. Riportiamo qui di seguito una sintesi del comuncato di Amnesty.
Amnesty International sta attualmente svolgendo campagne per centinaia di casi di vittime di sparizione forzata. Quelli che seguono sono solo alcuni di essi.
Medio Oriente e Africa del Nord
Siria: dal 2011, quando è iniziata la crisi ancora in corso, il governo si è reso responsabile di decine di migliaia di sparizioni. L'avvocato per i diritti umani Khalil Ma'touq è stato arrestato a Damasco dalle forze di sicurezza nell'ottobre 2012 e quattro anni dopo risulta ancora scomparso. Stesso destino per l'ingegnere informatico e attivista Bassel Khartabil, arrestato per la prima volta nel marzo 2012,
successivamente trasferito in una prigione di Damasco e del quale si sono perse le tracce dall'ottobre 2014.
Egitto: il ministero dell'Interno sta usando le sparizioni forzate come prassi per eliminare il dissenso pacifico. Dall'inizio del 2015 centinaia di egiziani, minorenni compresi, sono svaniti nel nulla nelle mani dello stato. La procura generale si rende complice di questa fenomeno non chiamando i responsabili delle sparizioni forzate a rispondere davanti alla giustizia. Aser Mohamed, 14 anni, è stato arrestato nel gennaio 2016 ed è risultato scomparso per 34 giorni, durante i quali è stato torturato. Islam Khalil è stato prelevato dalla sua abitazione nel maggio 2015 ed è stato sottoposto a sparizione forzata per 122 giorni. Entrambi verranno processati, grazie alle "confessioni" estorte con la tortura. Se condannato, Islam Khalil rischia la pena di morte; Aser Mohamed, fino a 15 anni di carcere.
Americhe
Messico: in un rapporto del gennaio 2016, Amnesty International ha denunciato oltre 27.000 casi di persone di cui non si ha più notizia. Il rapporto fa riferimento, tra l'altro, alla sparizione forzata, nel settembre 2014, di 43 studenti dell'istituto magistrale di Ayotzinapa e alla recrudescenza delle sparizioni a Ciudad Cuauhtémoc, nello stato di Chihuahua, tra il 2009 e il 2014. [...]
Asia
Pakistan: è trascorso oltre un anno da quando Zeenat Shahzadi, 24 anni, è diventata la prima giornalista vittima di sparizione forzata nel paese. [...]
Laos: quando il presidente degli Usa Barack Obama visiterà il paese a settembre, sarà necessario che chieda notizie di Sombath Somphone, arrestato dalla polizia nel dicembre 2012 e da allora scomparso. [...]
Europa
Turchia: le operazioni di sicurezza in corso da mesi nel sud-est del paese sono svolte ben al di là di quanto disposto dalla legge e in assenza di garanzie legali. Hursit Kulter, esponente politico curdo e sostenitore dell'autodeterminazione dei curdi turchi, è scomparso il 27 maggio 2016. Le autorità e le forze di sicurezza locali negano che sia in loro custodia, sebbene Kulter poco prima della sua scomparsa abbia telefonato al padre per dirgli che la sua abitazione era circondata dalla polizia. Amnesty International nota con preoccupazione che le autorità non hanno avviato un'indagine immediata, efficace e indipendente su questa sparizione forzata.
Africa
Camerun: negli ultimi anni, nel tentativo di sconfiggere il gruppo armato Boko haram, le forze di sicurezza hanno lanciato una campagna di arresti arbitrari, imprigionamenti, sparizioni forzate ed esecuzioni extragiudiziali. Risultano ancora scomparse almeno 130 delle oltre 200 persone arrestate il 27 dicembre 2014 nel nord del paese, durante un raid contro presunti combattenti di Boko haram.
Kenia: nonostante le smentite delle autorità, le sparizioni forzate sono diventate una pratica comune e sistematica. Questo mese l'Alta corte ha stabilito che l'avvocato Willie Kimani, il suo cliente Josphat Mwendwa e il conducente del taxi su cui erano a bordo, Joseph Muiruri - i cui corpi, a luglio, erano stati ritrovati in un fiume - sono stati vittime di sparizione forzata e successivamente di esecuzione extragiudiziale ad opera della polizia. [...]
Zimbabwe: la sparizione forzata di chi critica il governo è un fatto ordinario. L'attivista Itai Dzamara, fervente critico del presidente Robert Mugabe, è scomparso il 9 marzo 2015. Il governo non ha mai risposto alle richieste di Amnesty International d'istituire una commissione d'inchiesta su questo caso.
10) TRA COLPO E CONTRACCOLPO, LA PENA DI MORTE IN TURCHIA?
Se è condannabile qualsiasi tentativo di rovesciare un governo con la violenza delle armi, dobbiamo stigmatizzare la reazione spropositata del presidente turco Tayyip Erdogan al tentato golpe dei militari di metà luglio, le incarcerazioni di massa, le torture e il suo richiamo alla pena di morte.
Il presidente turco Tayyip Erdogan, ha saputo affrontare e annientare il colpo di stato tentato dai militari il 15 luglio con tanta rapidità ed efficacia che ha fatto sorgere in molti il sospetto che egli fosse al corrente dei preparativi del golpe, li abbia lasciati andare avanti seguendoli con i suoi servizi segreti in modo da individuare tutti i suoi avversari, pronto a scattare, a reagire e a catturare gli avversari non appena si fossero mossi.
Dobbiamo dire chiaramente che - se è condannabile qualsiasi tentativo di rovesciare un governo con la violenza delle armi (1) - vi sono molti motivi per stigmatizzare il comportamento di Erdogan dal quel fatidico 15 luglio in poi.
In un documento diffuso da Amnesty International il giorno 24 leggiamo tra l’altro:
“Amnesty International ha raccolto credibili informazioni sui pestaggi e le torture, compresi gli stupri, che stanno avendo luogo in centri di detenzione ufficiali e non ufficiali della Turchia. […]
“A seguito del fallito colpo di stato, sono state arrestate oltre 10.000 persone (3).
“Secondo informazioni attendibili in possesso di Amnesty International, ad Ankara e Istanbul la polizia costringe i detenuti a rimanere in posizioni che causano dolore fisico anche per 48 ore, nega loro cibo, acqua e cure mediche e li sottopone a insulti e minacce. Non mancano segnalazioni di brutali pestaggi e torture, compresi gli stupri. […]
“I detenuti sono trattenuti arbitrariamente anche in centri informali di detenzione, non possono incontrare avvocati né familiari e non sanno esattamente di cosa siano accusati. Ciò mette in pericolo il loro diritto a un processo equo. […]
“Tutte le persone incontrate da Amnesty International hanno chiesto di rimanere anonime per ragioni di sicurezza. L'organizzazione ha ascoltato resoconti estremamente allarmanti di maltrattamenti e torture, soprattutto nel centro sportivo della polizia di Ankara, nel palazzetto dello sport Başkent e nelle stalle di un centro ippico, sempre nella capitale. [...]
“Due avvocati di Ankara hanno riferito ad Amnesty International che i loro clienti hanno assistito allo stupro, con un manganello e con le dita, di un militare di alto grado ad opera di agenti di polizia. […]
“In generale, pare che i trattamenti peggiori siano riservati ai militari di alto grado. […]
“Un avvocato che lavora presso il tribunale di Caglayan, a Istanbul, ha riferito che alcuni detenuti erano in fortissimo stress emotivo; uno ha tentato di gettarsi da una finestra al sesto piano, un altro colpiva ripetutamente con la testa un muro. " […]
“Gli avvocati hanno riferito ad Amnesty International che, nella maggior parte dei casi, né a loro né ai loro clienti sono state fornite informazioni sui reati contestati e che in questo modo è difficile preparare una linea difensiva. Soldati arrestati sono stati portati di fronte a un giudice a gruppi di 20-25 per volta. Secondo un avvocato, difendere un cliente in una situazione come questa è come "cercare qualcosa con la luce spenta".
“Solo uno dei detenuti rappresentati dagli avvocati incontrati da Amnesty International è stato in grado di nominare un difensore di sua scelta. Gli avvocati che esercitano privatamente sono stati esclusi dalla rappresentanza dei detenuti, cui sono stati assegnati avvocati di ufficio. Gli incontri tra detenuti e avvocati sono limitati. Dopo le udienze, questi ultimi non hanno potuto parlare coi loro clienti, che sono stati rimandati in detenzione preventiva.
“Secondo gli avvocati, i giudici hanno disposto che tutti i soldati che avevano lasciato le loro basi la sera del tentato colpo di stato avrebbero dovuto essere posti in detenzione preventiva, a prescindere dal motivo. […]
“Amnesty International chiede alle autorità turche di condannare l'uso della tortura nei centri di detenzione e di prendere misure concrete per contrastarla e per chiamare a risponderne i responsabili. Le autorità dovranno anche garantire che le associazioni legali e le famiglie siano immediatamente informate delle detenzioni e che gli avvocati possano liberamente incontrare i loro clienti in tutte le fasi della detenzione.”
In tale clima di feroce repressione, aggravato dalla dichiarazione dello ‘stato di emergenza’ fatta il 20 luglio, non sono mancati espliciti richiami al ripristino della pena di morte (2).
A parlare di pena di morte è stato lo stesso presidente Tayyip Erdogan affermando che la maggioranza dei concittadini l’approva.
Erdogan vorrebbe mettere le mani su Fethullah Gulen - un chierico islamico che si è auto-esiliato ed è andato a vivere in campagna in Pennsylvania - che lui accusa di essere stato l’ispiratore del tentato golpe. Per fortuna gli Americani non hanno nessuna intenzione di consegnarglielo.
L’Unione Europea, per bocca di Francesca Mogherini, ha ricordato alla Turchia che essa è legata dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo che impedisce la reintroduzione della pena di morte, ed è parte del Consiglio d’Europa che pure esclude la pena capitale.
Il lungo iter intrapreso dalla Turchia per venire a far parte dell’Unione Europea verrebbe interrotto dal ripristino della pena di morte: “Nessun paese può diventare membro dell’UE se introduce la pena di morte” ha ammonito la Mogherini il 18 luglio.
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(1) Il tentato golpe ha causato quasi 300 morti e circa 2.000 feriti.
(2) Abolita nel 2004 in preparazione all’entrata nell’Unione Europea.
(3) Il 17 agosto si è saputo che Erdogan vuole liberare 38.000 detenuti comuni per far posto nelle carceri ai detenuti politici.
11) L’INDONESIA ANNUNCIA 14 ESECUZIONI E NE COMPIE 4
Dieci condannati a morte, terrorizzati, sono stati risparmiati all'ultimo momento in Indonesia, probabilmente per le pressioni internazionali. Ma la loro sorte rimane incerta.
Nel mese di luglio in Indonesia si sono susseguiti annunci dell’imminente fucilazione di numerosi condannati a morte per reati di droga.
L’Attorney General (Ministro della Giustizia) Muhammad Prasetyo mercoledì 27 ha dichiarato che stavano per essere uccise 14 persone tra cui cittadini della Nigeria, del Pakistan, dell’India e dello Zimbabwe. In vista delle esecuzioni i condannati erano stati posti in isolamento nell’isola-carcere di Nusakambangan. Tra di essi vi era una donna ma non si trattava di Mary Jane Veloso (1), bensì dell'indonesiana Merri Utami.
Il giorno 27 è arrivata nel carcere di Nusakambangan una colonna di ambulanze recanti 16 bare.
Il Vice Ministro della Giustizia, Noor Rachmad, ha reso noto che subito dopo la mezzanotte del 28 ora locale (per noi era già il 29 luglio) erano stati fucilati 2 nigeriani, 1 sudafricano e un 1 indonesiano. “Per ora le esecuzioni sono state portate a termine per quattro condannati”, ha detto Rachmad.
“Non è stata un compito piacevole. È stato un lavoro doloroso perché ha riguardato vite umane.
“Lo abbiamo fatto non per prendere delle vite ma per fermare malvagie intenzioni e malvagi atti nel traffico della droga”.
I cronisti riferiscono che sul carcere di Nusakambangan cadeva una poggia scrosciante con tuoni e fulmini (2).
Non è chiaro se gli altri 10 condannati verranno risparmiati, ma è certo che se la sono vista brutta. Il condannato indiano, Gurdip Singh, aveva telefonato alla moglie la mattina prima delle esecuzioni preannunciando la sua sicura morte. "Questa è la mia ultima telefonata. Oggi mi uccidono. Potrai vedere solo il mio corpo. Abbi cura dei nostri due figli" aveva detto alla consorte Kulwinder Kaur, già ricoverata perché si era sentita male.
Prima e dopo le esecuzioni, fortissime proteste internazionali, a cominciare da quelle dell'Alto Commissario ONU per i Diritti Umani, del Consiglio d'Europa e dell'Unione Europea si sono riversate sulla autorità indonesiane e, probabilmente, hanno avuto l'effetto di limitare le uccisioni.
Ricordiamo che nel 2015 il presidente Widodo ha consentito l'esecuzione di 14 condannati, prima di 6 e, in una successiva occasione, di 8.
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(1) V. art. sulla Veloso e il predente filippino Duterte.
(2) Sulle regole per le fucilazioni in Indonesia, v. n. 221.
12) IL FORCAIOLO DUTERTE SI OPPORRÀ ALL’ESECUZIONE DELLA VELOSO?
Il presidente delle Filippine Rodrigo Duterte è un accanito assertore della pena capitale, ma forse interverrà in favore della propria concittadina Mary Jane Veloso rinchiusa nel braccio della morte dell'Indonesia. Lei ci spera con tutta se stessa.
Il nuovo presidente delle Filippine Rodrigo Duterte è un accanito assertore della pena di morte (e più ancora delle uccisioni senza processo: ne ha ordinate migliaia) (1).
Si è distinto per le più varie stranezze e intemperanze da quando è andato al potere a Manila, incluso l’invio dell’epiteto “figlio di puttana” al Presidente Obama (che a suo dire non si deve impicciare degli omicidi da lui ordinati e che dovrebbe ritirare al più presto le truppe americane di stanza nelle Filippine).
Noi speriamo che non riuscirà a rimettere la pena capitale nel suo paese ma certo ci sta provando: la Proposta di legge n. 1 avanzata dopo la sua entrata in carica mira proprio alla reintroduzione della pena capitale abolita nelle Filippine nel 2006.
In contrasto con il suo atteggiamento forcaiolo, preparandosi ad una serie di impegni all’estero, tra cui una visita in Indonesia dall’8 al 9 settembre, egli sembra affrontare con grande prudenza il caso della compatriota Mary Jane Veloso, emigrante sotto sentenza capitale in Indonesia (2).
“Abbiamo prigionieri lì [in Indonesia],” ha detto Duterte il 31 luglio accogliendo degli emigranti di ritorno dall’Arabia Sadita. “Molti di loro sono detenuti per reati di droga, anche la Veloso”. Ed ha aggiunto: “Prego di poter fare qualcosa per lei.”
D’altro canto sembra che la 31-enne Mary Jane Veloso confidi ormai solo nel proprio presidente. Ecco che cosa dice in un messaggio audio arrivato a Duterte il 1° settembre: “So che hai buon cuore. Sei un genitore. Anche se la mia famiglia è povera, non ho voluto farmi coinvolgere nel traffico di droga. Anche se mi hanno messo dietro le sbarre. Non posso accettare queste accuse perché sono innocente. Sono innocente. Sono innocente.”
Ricordiamo che la Veloso sostiene che la droga fu messa a sua insaputa nel suo bagaglio quando nel 2010 emigrò dalle Filippine all’Indonesia.
La voce singhiozzante di Mary Jane Veloso prosegue: “Beneamato presidente delle Filippine. Sono Mary Jane.” E aggiunge: “Ho sofferto qui in Indonesia per troppo tempo. Ho dovuto sopportare molto nella mia vita e pur essendo povera sono una persona timorata di Dio”.
“Sei la mia sola speranza, caro presidente. So che tu sei la sola persona che mi può aiutare”, ha detto. “Conosco tanti che ancora credono in me e mi sostengono, ma sai che qui non basta. Voglio giustizia, e la desidero ardentemente ora. Ti sto pregando.”
“Anche se molti dubitano della mia innocenza, Dio non mi dimenticherà. Egli vede tutto quello che faccio; egli sa che non ho fatto nulla di male.”
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(1) V. n. 229
(2) V. n. 228
13) SÌ, L’ATTENTATO DELL’ISIS A NIZZA È PURO MALE
Non abbiamo parole per commentare le imprese dell'ISIS, ci limitiamo a riportare dei dati di fatto.
Barack Obama e David Camerun due anni fa definirono ‘puro male’ gli attacchi portati a termine dall’ISIS (1), in Siria, in Iraq e in altre parti del mondo e una volta tanto fummo d’accordo con loro.
Se i misfatti del Califfato islamico (2) avvengono in paesi lontani come il Bangladesh passano quasi sotto silenzio, mentre se avvengono in America o in Europa i mezzi di informazione danno loro grande rilievo.
Rinunciando ad ogni commento, riportiamo alcuni dati da memorizzare riguardo all’attentato avvenuto alle porte di casa nostra, sul lungomare di Nizza, la sera del 14 luglio, festa nazionale, anniversario della presa della Bastiglia. E nel Notiziario parliamo di cose accadute in Iraq.
Tale Mohamed Lahouaiej-Bouhlel, un 31-enne franco tunisino, alla guida di una grosso TIR ha zigzagato per un chilometro e mezzo sparando all'impazzata e investendo i passanti. È stato alla fine ucciso da un poliziotto, ma prima di ciò è riuscito ad ammazzare 84 persone e a ferirne 200, molte in modo gravissimo. L’impresa di Mohamed Lahouaiej-Bouhlel è stata rivendicata dall’ISIS.
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(1) Ricordiamo che la sigla ISIS sta per Stato Islamico dell’Iraq e della Siria.
(2) L’ISIS, che si definisce Califfato islamico, ha un radicamento territoriale tra l’Iraq e la Siria ma compie attentati in paesi lontani assurgendo in tali casi agli onori delle cronache.
14) AD OTTOBRE SORGERÀ L'ALBA PER AASIA BIBI ?
Si approssima la conclusione del famoso terribile caso della cristiana Aasia Bibi arrestata nel 2009 e condannata a morte per blasfemia in Pakistan nel 2010. Speriamo che sia una conclusione giusta.
Saif-Ul-Malook, avvocato di Aasia Bibi (1), ha fatto sapere che Corte Suprema del Pakistan ascolterà l'appello contro la condanna a morte della propria cliente nella seconda settimana di ottobre.
Si tratta dell'ultima istanza dell'iter giudiziario di Aasia Bibi che nel 2015 aveva ottenuto una sospensione dell'esecuzione dopo aver perso i precedenti appelli contro la condanna capitale inflittale nel novembre del 2010.
La malcapitata Aasia fu separata dal marito e dai 5 figli il 19 giugno 2009 quando fu arrestata con l'accusa di blasfemia. Ad accusarla di aver offeso il Profeta Maometto furono alcune donne musulmane con le quali ebbe un alterco mentre lavava i panni. La frase fatale pronunciata da Aasia sarebbe: "Il mio Cristo è morto per me, che cosa ha fatto Maometto per te?"
L'incredibile vicenda di Aasia Bibi si è intrecciata con quella del Governatore del Punjab, Salman Taseer, che fu ucciso nel 2011 dopo aver preso le sue difese, e dell'assassino di Taseer, Mumtaz Qadri, messo a morte nonostante le proteste popolari il 29 febbraio scorso (2). Ed anche con quella del cattolico Shahbaz Bhatti, Ministro per le minoranze, assassinato poco dopo Taseer per essersi espresso contro la condanna di Aasia. (3)
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(1) Si tratta di Aasia Noreen, detta Aasia Bibi o semplicemente Asia Bibi.
(2) V. n. 226.
(3) Sul caso di Aasia Bibi siamo tornati molte volte, v. nn. 185, 187, 188, 208, 214, 217, 220, 223, 224.
15) MORTI NELLE MANI DELLO STATO ITALIANO
Elevatissimo è il numero dei detenuti che muoiono nelle carceri italiane, per morte naturale, per suicidio o in seguito a violenze. Ce lo ricorda la giornalista Angela Gennaro di Change.org
Il 17 agosto scorso Angela Gennaro ha pubblicato in Internet un articolo sulla violenza e sui soprusi perpetrati in Italia delle forze dell’ordine, sia nelle carceri che durante l’arresto o la detenzione preventiva, violenza che causa un elevato numero di morti. Riassumiamo per i nostri lettori tale icastico articolo (1).
Per cominciare, la Gennaro ricorda il numero dei morti in prigione dal 2000 ad oggi. Si tratta di 2.550 persone, di cui 910 decedute apparentemente per suicidio (2). Sono uomini e donne di estrazione sociale differente, spesso molto poveri, a volte vittime di violenze spropositate e ingiustificate.
In occasione della morte del 31-enne Stefano Cucchi deceduto il 22 ottobre 2009 presso la struttura penitenziaria dell’ospedale Sandro Pertini di Roma, Angelino Alfano, all’epoca Ministro della Giustizia, aveva dichiarato in Senato: “Uno Stato democratico assicura alla giustizia e può privare della libertà chi delinque, ma non può privare nessuno della propria dignità, della propria salute e della vita." Secondo Alfano Stefano Cucchi "non doveva morire”. La Gennaro ricorda che Stefano Cucchi, tossicodipendente, fu fermato tra il 15 e il 16 ottobre 2009 dai Carabinieri e morì sei giorni dopo. Nelle foto del cadavere il volto è scavato, tumefatto, presenta cerchi viola intorno agli occhi, una delle orbite è sfondata, la mandibola sembra fratturata, la schiena è fratturata all’altezza del coccige (3).
Oltre al caso Cucchi, la Gennaro ne ricorda alcuni altri, tra cui i seguenti:
2003 – Carcere delle Sughere, Livorno. Marcello Lonzi, 29 anni muore l’11 luglio. Si parla di suicidio, poi di infarto. Ha otto costole rotte, due denti spezzati, tagli sul viso, polso fratturato e due buchi in testa, di cui uno sporco della vernice blu della cella.
2005 – Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Castiglione delle Stiviere. Katiuscia Favero, 32 anni. Impiccata alla rete metallica con un lenzuolo, in ginocchio, in un giardino cui hanno accesso solo medici e infermieri. La tuta ha macchie d’erba, le suole delle scarpe no. Dietro la testa una ferita. Katiuscia aveva denunciato uno stupro in carcere. La denuncia è caduta nel vuoto perché il referto ginecologico è andato smarrito.
2008 – Ospedale di Cirolo, Varese. Giuseppe Uva, 43 anni. Morto nel reparto psichiatrico dopo aver passato la notte in caserma. Ha il corpo tumefatto. L’amico fermato con lui quella notte chiama il 118 mentre viene lasciato in sala d’aspetto. “… posso avere un’autolettiga qui alla caserma dei Carabinieri in via Saffi?”, “Sì, cosa succede?”, “Eh, praticamente stanno massacrando un ragazzo” (4).
Leggendo di questi casi, ci verrebbe da credere che, in una società che si definisce civile, tutti i responsabili di crimini orrendi siano stati perseguiti e condannati. In realtà purtroppo non è così: solo alcuni degli agenti responsabili vengono a volte radiati o puniti in qualche altro modo, ma la stragrande maggioranza dei colpevoli la passa totalmente liscia. Del resto, se pensiamo a quanta fatica sia stata spesa - finora invano - in Italia nell'arco di decenni per introdurre nel nostro ordinamento il reato di tortura, possiamo facilmente capire il grado di omertà e complicità che parte dall’alto a coprire e proteggere i rappresentanti delle forze dell’ordine che – di qundo in quando - si rendono colpevoli di simili misfatti. (5). (Grazia)
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(1) V. https://changeorgblog.squarespace.com/it/home/nelle-mani-dello-stato
(2) V. http://www.ristretti.it/areestudio/disagio/ricerca/
(3) Il caso di Stefano Cucchi, mantenuto aperto fino ad ora dall'impegno eroico della sorella Ilaria, sembra essersi definitivente chiuso: non fu incriminato nessuno tra gli agenti che lo ebbero in custodia ed ora, il 18 luglio, è arrivato anche il proscioglimeto dei medici che lo ebbero in cura dopo le percosse (v. articolo nel Notiziario).
(4) V. nn. 228, Notiziario.
(5) V. anche, nel n. 225, "In carcere la costituzione non vale ?"
16) UN SIT IN PER DENUNCIARE IL MARTIRIO DELLA SIRIA
Numerose associazioni caritative, pacifiste o per i diritti umani, tra cui Amnesty International Italia, sono scese in piazza per aumentare la consapevolezza del pubblico su ciò che avviene in Siria.
La mattina del 2 settembre si è tenuto a Roma in Piazza Santi Apostoli un sit-in per la pace in Siria e per chiedere lo stop immediato dei bombardamenti su Aleppo e Mambij (1).
L'iniziativa è stata promossa da Articolo 21 con la Federazione nazionale della Stampa, Amnesty Italia, Arci, Aoi, Associazione 46° Parallelo. Vi hanno aderito: Associazione Amici di Roberto Morrione, Associazione Giornalisti Amici di Padre Paolo Dall’Oglio, Cispi, Comitato 3 ottobre, Comunità di Sant’Egidio, Confronti, Cospe, Fondazione Libera Informazione, Illuminare le periferie, Italians For Darfur, LasciateCIEntrare, Migrare, NoBavaglio, Rivista San Francesco, Tavola della Pace, Associazione Tam Tam, Unicef Italia, Un ponte per, Usigrai, Uscire dalla guerra.
"Metà della popolazione della Siria non ha più una casa - si legge nel testo dell'appello diffuso in questa occasione - 470mila persone hanno perso la vita, 1,9 milioni sono rimaste ferite o mutilate, l’aspettativa di vita è passata dai 70 ai 55 anni. Questi i numeri agghiaccianti che misurano la tragedia siriana prima ancora che iniziasse la nuova campagna di bombardamenti su Aleppo, che ha visto una crescita esponenziale di bambini tra le vittime. L'attenzione mediatica e le informazioni sul conflitto si riducono ogni giorno di più e con esse la consapevolezza di ciò che quotidianamente avviene nel paese. Non basta indignarsi per la foto dell'ultimo bimbo vittima della guerra, che sia morto su una spiaggia turca o salvo e inconsapevole sul seggiolino di un'ambulanza in Siria".
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(1) Qui la registrazione video del sit-in: http://www.radioradicale.it/scheda/485113/stopbombeinsiria
17) DUBBI POSTUMI SULL'ENTITÀ DELLE RESPONSABILITÀ DI MILOSEVIC
Letture contrastanti, aspramente polemiche, della sentenza del Tribunale Penale Internazionale per la Ex Jugoslavia del 24 marzo, sul ruolo e le responsabilità di Slobodan Milosevic nelle violazioni dei diritti umani nella ex Jugoslavia.
Il 24 marzo il Tribunale Penale Internazionale per la Ex Jugoslavia, nella sentenza di condanna di Radovan Karadzic per genocidio (1), affermò che Slobodan Milosevic, il defunto ex Presidente della Repubblica Federale Jugoslava di Serbia e Montenegro (2), fornì assistenza militare (uomini, rifornimenti e armi) ai serbi bosniaci durante il conflitto nella ex-Jugoslavia.
Nella seconda metà di luglio - dopo una incandescente polemica tra fautori detrattori di Milosevic - lo stesso Tribunale ha fatto presente di aver scritto nella propria lunghissima sentenza del 24 marzo che non vi sono "prove sufficienti nel caso in questione per affermare che Milosevic fosse d'accordo" con i piani di pulizia etnica di Karadzic e di altri leader serbi in Bosnia e nella repubblica serba di Bosnia. (3)
Secondo il Tribunale, le relazioni fra Milosevic e Karadzic avevano cominciato a deteriorasi sin dal 1992 e, dal 1994 in poi, i due non furono più d'accordo sulle azioni da intraprendere ed anzi Milosevic criticò e disapprovò la politica e le decisioni dei leader dei serbi di Bosnia.
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(1) V. n. 227
(2) Ricordiamo che Slobodan Milosevic subì un processo che si prolungò per quattro anni, dal 2002 al 2006, presso lo stesso Tribunale Penale Internazionale per la ex-Jugoslavia, senza arrivare ad una conclusione per il sopravvenire della morte dell’imputato.
(3) "The Trial Chamber of the Karadzic case found, at paragraph 3460, page 1303, of the Trial Judgement, that 'there was no sufficient evidence presented in this case to find that Slobodan Milosevic agreed with the common plan' [to create territories ethnically cleansed of non-Serbs]. The Trial Chamber found earlier in the same paragraph that 'Milosevic provided assistance in the form of personnel, provisions and arms to Bosnian Serbs during the conflict'."
18) NOTIZIARIO
Arabia Saudita. Pena di morte per chi importa noci di cola. Le autorità saudite prospettano la pena di morte non solo per gli importatori di stupefacenti ma anche per coloro che importano noci di cola, un ingrediente modicamente stimolante una volta contenuto anche nella Coca Cola. Le noci di cola contengono semi commestibili ricchi di caffeina, conosciuti anche come “goro” e “obi”, che i Nigeriani spesso offrono come gesto di amicizia e accoglienza. Il 13 agosto il governo nigeriano ha però invitato chi si apprestava ad effettuare l’annuale pellegrinaggio alla Mecca, di raggiungere i luoghi sacri evitando di portare con sé noci di cola e altre sostanze proibite.
Arabia Saudita. Non può pagare il prezzo del sangue. Il 21 luglio un tribunale saudita ha ordinato che Ramchandra Timilisina, un autista di camion nepalese, paghi alla famiglia della sua vittima un 'prezzo del sangue' di 300.000 Riyal arabi (pari a circa 70.000 Euro). Se Timilisina, accusato di aver ucciso un Pakistano in un incidente automobilistico, non pagherà, verrà messo a morte. L’autista, in carcere da 15 mesi, sostine che il suo camion carico di cemento era fermo, parcheggiato in un cementificio, quando il veicolo guidato dal pakistano vi sbattè contro. Il Nepali Times riferisce che Timilisina ha detto ai suoi parenti al telefono: “Fu colpa loro, ma hanno messo una bottiglia di liquore nel mio camion e mi hanno fatto arrestare”. Secondo il Nepali Times l’ambasciata nepalese a Riyadh non ha fornito nessun aiuto e la famiglia di Timilisina non riesce a raccogliere il denaro per pagare il prezzo del sangue. Il camionista ha due figli di 5 e 7 anni che vivono con la madre Sarita in una baracca da quando il terremoto distrusse la loro casa. Per questa baracca la moglie di Timilisina ha dovuto chiedere un prestito di 50.000 Rs pakistane (circa 400 Euro).
Florida. Un imputato di reato capitale riesce ad evadere, ma è riacciuffato dopo 5 giorni. Non ci risulta che in questi anni negli USA un imputato di reato capitale sia riuscito ad evadere, prima del ventunenne Dayonte Resiles che vi è riuscito il 15 luglio. Resiles, accusato dell'omicidio di una ragazza, si trovava in un'aula del tribunale della contea di Broward, nel sud della Florida. L'aula, al quarto piano dell'edificio, era affollata. Lui in qualche modo è riuscito a liberarsi delle catene, è saltato oltre una ringhiera ed è fuggito davanti ai poliziotti. Ovviamente si è attivata subito una caccia all’uomo. Gli investigatori della contea hanno dichiarato che Resiles poteva essersi armato ma non hanno fornito dettagli ai media. La fuga di Dayonte Resiles è durata 5 giorni. Il 20 luglio il giovane è stato catturato nella contea di Palm Beach. Resiles si è arreso alle forze dell’ordine in un Days Inn senza che fosse necessario l’uso della forza. Dayonte Resiles, che era solo, ha obbedito agli ordini, è uscito da una stanza, si è sdraiato al suolo ed ha permesso ai poliziotti di ammanettarlo. Lo sceriffo della contea di Broward, Scott Israel, aveva offerto una ricompensa di 50.000 dollari a chi avesse fornito indicazioni per la cattura dell’evaso. Probabilmente qualcuno li riceverà.
Illinois. Un altro nero ucciso dalla polizia. Paul O'Neal, un diciottenne nero di Chicago, è stato ucciso dalla polizia dopo aver rubato una macchina il 28 luglio scorso. Inseguito a piedi fino al retro di una casa è stato ucciso da un poliziotto senza alcuna ragione. Il drammatico episodio è stato filmato della telecamera indossata da uno dei poliziotti. "Sembra proprio un'esecuzione", ha commentato l'avvocato della famiglia O'Neal, Michael Oppenheimer. Non è la prima volta che la polizia di Chicago uccide persone di colore. Una task force istituita dal sindaco della città, Rahm Emanuel, ha pubblicato un rapporto in cui si riconosce che tra la polizia di Chicago il razzismo è molto diffuso.
Iran. Foto di 12 impiccati per reati di droga. Il 30 agosto il sito di opposizione iraniano Iran Human Rights ha pubblicato le foto di 12 impiccati nel carcere centrale di Karaj. Gli uomini sono stati messi a morte per reati di droga il giorno 27 e le loro salme sono state fotografate prima della restituzione alle rispettive famiglie (V. http://iranhr.net/en/articles/2637/ ). Ahmed Shaheed, Relatore Speciale delle Nazioni Unite per i Diritti Umani in Iran, che aveva chiesto invano di risparmiare i 12, ha dichiarato: "L'esecuzione di individui per reati di droga è semplicemente illegale."
Iraq. L’ISIS esegue condanne a morte per ebollizione o con la motosega. Il 16 agosto si è appreso che l’ISIS ha eseguito nei pressi di Mosul la condanna a morte di sei persone, condannate dal tribunale della Sharia per aver collaborato con la coalizione anti ISIS (irachena, americana e curda). I sei sono stati uccisi gettandoli vivi in serbatoi di catrame liquefatto. L’attivista Abdullah al-Malla ha appreso da fonte curda che centinaia di spettatori erano presenti all’esecuzione e che un capo dell’ISIS ha letto le imputazioni prima dell’esecuzione. Questo per scatenare orrore nel pubblico e prevenire i tradimenti. Precedentemente l’ISIS (Stato Islamico dell’Iraq e della Siria) aveva ucciso sette suoi militanti che erano fuggiti dal campo di battaglia in Iraq bollendoli vivi in acqua. Il 31 agosto è arrivata, da Iraqi News e da altre agenzie, la notizia dell’esecuzione pubblica di 9 giovani da parte dell’ISIS con una motosega.
Italia. Caso Cucchi, nuova assoluzione in appello. Commentando la sentenza emessa il 18 luglio in appello (bis) per i cinque medici che hanno avuto in cura Stefano Cucchi all'ospedale Pertini di Roma, il presidente di Amnesty International Italia Antonio Marchesi ha rilasciato la seguente dichiarazione: "Prendiamo atto di questa assoluzione perché ‘il fatto non sussiste’. L'unico fatto che certamente sussiste è la morte di Stefano Cucchi per la quale dopo quasi sette anni ancora non conosciamo i responsabili".
Malawi. Continuano le richieste della pena capitale per gli uccisori di albini. Il parlamentare Bon Kalindo è tornato alla carica all'inizio di luglio per chiedere l'introduzione della pena di morte per gli uccisori di albini in Malawi. È prevedibile il fallimento dell'iniziativa di Kalindo, data la chiara intenzione del governo del Malawi di rispettare i trattati per i diritti umani adottati dal paese (v. n. 229, Notiziario). La sua proposta ha trovato tuttavia il sostegno di alcuni personaggi di spicco del Malawi. In particolare, il pastore protestante Watson Shaba da dichiarato: “Anche nella Bibbia, nel capitolo 13 della lettera ai Romani, i Cristiani sono esortati a rispettare la legge. Non vedo quindi alcun problema se la pena di morte viene applicata ai rapitori e omicidi degli albini”. Il politico Ken Msonda, segretario del Partito Popolare, ha approvato dicendo: “Perché dovremmo difendere i criminali in nome dei diritti umani? Che tipo di diritti possono avere i criminali a parte quello di perdere a loro volta la vita?”. Il legale Ambukire Salimu ha a sua volta dato sostegno alla proposta, dichiarando: “Sarei felice se uno dei nostri capi firmasse il mandato di esecuzione per i rapitori e assassini degli albini. Ritengo che questa persona sarebbe ricordata perché ciò invierebbe un forte messaggio agli assassini”. Ricordiamo che è credenza popolare in Africa orientale che le membra degli albini abbiano proprietà magiche e che in Tanzania viene comminata la pena di morte agli uccisori di albini (v. n. 227).
Pennsylvania. Torturarono a morte un bimbo di 3 anni: a che pro la pena capitale? Dal 2 al 4 novembre del 2014 nei pressi Coatesville, ad una sessantina di chilometri da Philadelphia, Jillian Tait, mamma di Scotty McMillan di 3 anni, e il suo compagno Gary Fellenbaum torturarono il piccolo Scotty fino ad ucciderlo. I media riferirono che il motivo scatenante della furia degli adulti sarebbe stato il rifiuto del bimbo di mangiare. Il procuratore distrettuale Tom Hogan della contea di Cester in Pennsylvania dichiarò subito l'intenzione del suo ufficio di chiedere la pena di morte per la mamma di Scotty e il suo compagno, che confessarono alla polizia. Una pena detentiva fu prospettata per Amber Fellenbaum, la moglie di Gary, la quale non denunciò le torture mentre avvenivano (ma che chiamò i soccorsi quando il piccolo stava per morire). "Il piccolo Scotty McMillan è morto. Per tre giorni [...] è stato sistematicamente torturato e picchiato fino a farlo morire. E' stato preso a pugni in faccia e nello stomaco. É stato frustato con un flagello fatto in casa. É stato colpito con una bacchetta metallica. É stato legato ad una sedia e picchiato. É stato appeso a testa in giù e picchiato. La sua testa è stata sbattuta contro un muro", dichiarò alla stampa nell'immediato Hogan. Il 31 dicembre scorso si è tenuta un'udienza in cui Jillian e Gary si sono dichiarati 'non colpevoli' e l'accusa ha annunciato formalmente l'avvio di un procedimento capitale nei loro confronti.
Siria. 17.000 detenuti in condizioni inumane morti negli ultimi 5 anni. Amnesty International ha lanciato una petizione in favore dei detenuti ancora viventi nelle carceri siriane di Bashar al-Assad, affermando: "In 5 anni le autorità siriane hanno imprigionato la gente in una rete di prigioni segrete per la tortura. Queste brutali prigioni sono specificamante designate a spezzare irreparabilemente la psiche dei prigionieri e a punirli per aver parlato contro il governo siriano. I prigionieri sono di routine sottoposti a scioccanti torture, pestaggi, stupri e digiuno. Più di 17.000 sono morti in detenzione come conseguenza delle inumane condizioni di detenzione."
Texas. Nessuna esecuzione per 149 giorni di seguito: è un record. Il 2 settembre, al momento di chiudere questo numero, constatiamo che non vi sono state esecuzioni capitali in Texas da ben 149 gioni. Si tratta di un record dopo il biennio 2007-2008, anni in cui la Corte Suprema USA sospese per sette mesi le esecuzioni in tutto il paese discutendo sulla costituzionalità dell’iniezione letale. Alcuni commentatori attribiscono almeno parte del merito della mini-mortoria texana alla giudice Elsa Alcala (v. n. 229)
Usa. La popolazione dei detenuti a Cuba si riduce. Il 15 agosto il Pentagono ha fatto sapere che 12 yemeniti e 3 afghani detenuti a Guantanamo sono stati spediti negli Emirati Arabi e che pertanto la popolazione del tristemente famoso centro di detenzione nell'isola di Cuba si è ridotta a 61 uomini.
Questo numero è aggiornato con le informazioni disponibili fino al 2 settembre 2016