top of page

FOGLIO  DI COLLEGAMENTO  INTERNO

DEL COMITATO PAUL ROUGEAU

 

Numero 131  -  Luglio / Agosto 2005

SOMMARIO:

 

1) Ucciso in Texas il 23 agosto il nostro amico Robert Shields    

2) Accade nel braccio della morte  

3) Pro e contro i condannati a morte         

4) Gli effetti della pena di morte sulle famiglie degli accusati     

5) Proposto un drastico taglio degli appelli federali         

6) Corte suprema: un thriller la successione di Sandra O’Connor

7) Di nuovo via libera ai processi farsa a Guantanamo                

8) Atkins che ha salvato altri non può salvare se stesso 

9) Massacro a Singapore     

10) Esecuzioni di minorenni in Iran: questa volta protestano i gay 

11) Amnesty denuncia i crimini della guerriglia irachena

12) Cerimonia per il decennale di un genocidio in Europa

13) Che cosa conta di più quando si riprende a vivere?    

14) Son Tran in cerca di nuovi pen pal        

15) Notiziario: Arabia Saudita, Cina, Iraq, Missouri, Texas, Usa   

 

 

1) UCCISO IN TEXAS IL 23 AGOSTO IL NOSTRO AMICO ROBERT SHIELDS

 

Robert Shields è stato ucciso dallo stato del Texas con una flebo letale alle 18 e 15’ del 23 agosto, come programmato. Purtroppo non sono serviti a salvarlo la nostra mobilitazione e neanche lo strazio della madre, la sofferenza degli amici, lo stress sopportato da Alessia, che è andata a trovarlo in extremis…

Speriamo che Robert abbia raggiunto la pace dopo tanta sofferenza, dopo una giovinezza disgraziata finita a 19 anni di età, dopo il faticoso riscatto perseguito nel braccio della morte. Ci auguriamo che sua madre e i suoi amici riescano in qualche modo a lenire le ferite inflitte anche a loro dalla crudeltà sadica e gratuita della pena di morte.

Pensiamo allo strazio patito dai genitori di Paula Stiner che fu uccisa undici anni fa, barbaramente trucidata senza un movente degno di questo nome. I signori Stiner erano presenti all’esecuzione di Robert Shields – accusato del crimine - ma non crediamo che l’uccisione a freddo del prigioniero inerme abbia potuto restituire loro qualcosa, qualcosa di buono e di positivo.

Pochi giorni prima di essere messo a morte, Robert aveva mandato la seguente lettera raccomandata al governatore del Texas, Rick Perry, invitandolo alla propria esecuzione. Naturalmente il governatore si è ben guardato dal prestare ascolto alla richiesta di Robert. Né lui né il suo predecessore George W. Bush hanno mai presenziato ad alcuna delle centinaia di esecuzioni che hanno consentito.

“Mi chiamo Robert Alan Shields Jr. e le scrivo rispettosamente per invitarla a presenziare, insieme alla mia famiglia, alla mia esecuzione stabilita per il 23 agosto 2005. Ritengo sia importante che lei veda con i suoi occhi che si tratta di una vicenda di vite umane e di devastazione, non solamente di un altro passo della sua carriera politica. Crede lei che rimarrebbe della stessa opinione dopo essere venuto a parlare con me, costretto a guardarmi come una persona e non solo come un ulteriore pezzo di carta di passaggio sulla sua scrivania? Le chiedo di essere lì perché vorrei che rispondesse alle domande dei miei cari. Spieghi loro per quale ragione sono stati costretti a diventare anch’essi delle vittime. E’ giunto il momento per lei di mostrare il coraggio delle sue convinzioni e di assistere, guardandomi negli occhi, mentre le sostanze letali mi toglieranno la vita.”

  

 

2) ACCADE NEL BRACCIO DELLA MORTE

 

Cari amici, ciao a tutti. Qui nel braccio della morte ci sono sempre tali e tante cose che succedono che è difficile scrivere su ogni argomento. Questa è la ragione per cui di solito non discuto tutti i problemi che abbiamo qui con le guardie o con l’amministrazione. Di solito un problema è conseguenza di un altro e questo è l’andamento generale. Tuttavia da ora in poi voglio cercare di fare un lavoro migliore parlando delle cose che capitano qui. Molti di voi che leggono il bollettino del Comitato Paul Rougeau hanno dei corrispondenti nel braccio della morte, per cui probabilmente ricevono informazioni di prima mano. Per questo in genere evito di parlare di problemi generali e scrivo invece di ciò che occupa il mio cuore e la mia mente. Mi rendo conto però che ci sono alcuni di voi che non scrivono a detenuti e desidero che tutti siano illuminati sui fatti che accadono qui allo stesso modo.

L’ho già detto in precedenza e lo faccio di nuovo ora: non esitate a inviare al Comitato suggerimenti sui temi dei quali avreste piacere che io parli. Ricordatevi che sono nel braccio della morte da 8 anni e quindi ho visto e avuto esperienza di moltissimi fatti. Forse ci sono cose che alcuni di voi vorrebbero sapere. Vi incoraggio a domandare, perché solo quando tutti voi, e il resto del mondo, avrete potuto vedere e capire questo posto in modo chiaro, vi potrà essere sufficiente consapevolezza dell’atrocità contro cui ci stiamo battendo. La lotta non è sempre fisica, ma a volte spirituale. Quindi, ho bisogno dell’aiuto di tutti voi.

Oggi desidero solo darvi qualche aggiornamento su alcune cose. Sappiamo tutti che adesso le esecuzioni dei minorenni sono state vietate. Bene, l’amministrazione carceraria ha spostato molti minorenni in una stessa parte del carcere. Stanno preparandosi a toglierli dal braccio della morte. Anche se la loro esecuzione è stata proibita, sono di fatto ancora detenuti del braccio della morte fino a che ognuno di loro non ritornerà alle città da cui provengono e il loro giudice non commuterà ufficialmente le loro condanne a morte. Questa è tutta burocrazia che deve essere osservata. Il sistema dovrà far cominciare ad ognuno questa procedura ed essi verranno mandati in un’altra Unità carceraria. Io ho in mente di restare in contatto con alcuni di loro attraverso le famiglie e gli amici (dal momento che non possiamo scriverci direttamente) e vi aggiornerò su come stanno e su che cosa fanno.

Ho poi alcune brutte notizie. Come ricorderete, in marzo avevo fatto un’intervista ad Oswaldo Soriano, minorenne all’epoca del crimine che gli fu contestato. Ho saputo da altri detenuti che Oswaldo ha avuto un ictus. Si è trattato di un attacco piuttosto grave dal momento che adesso Osvaldo deve usare un bastone per camminare e sembra che le sue capacità motorie siano state danneggiate. Mi è stato riferito che Oswaldo aveva iniziato ad avvertire una sorta di insensibilità su un lato del collo, poi si è spostata provocandogli mal di denti e poi ha colpito il suo cervello. E’ stato portato d’urgenza all’ospedale. Oswaldo si trova ora in un’altra area e non posso parlargli direttamente, ma i detenuti cercano di passarmi sue notizie quando ci incrociamo (per esempio durante le visite con i familiari o quando i prigionieri vengono spostati in nuove celle). Cercherò di scoprire di più, ma tutti voi potreste inviare ad Oswaldo un bigliettino di auguri di guarigione. Il suo indirizzo è: Oswaldo Soriano # 999096 – Polunsky Unit – 3872 FM 350 South – Livingston – Texas 77351 – U.S.A.

Ciò che ha reso l’esperienza di Oswaldo particolarmente triste è stato il comportamento del personale medico. Un detenuto mi ha riferito che Oswaldo gli ha detto di aver ricevuto dal personale medico solo qualche medicina e non gli è stata praticata alcun’altra terapia curativa, perché lui era ancora classificato come un condannato a morte. Questo fatto è oltraggioso. Questo è il modo di trattarci e di considerarci da parte del sistema. Mettono tutti nello stesso mucchio. Senza tener conto che Oswaldo lascerà il braccio della morte, il fatto che egli sia ancora qui dentro fa sì che essi non considerino che valga la pena di spendere denaro per salvare la sua vita. Nelle loro menti - questo è il modo in cui vedono la cosa – sei nel braccio della morte e verrai giustiziato, perché dovremmo spendere denaro per mantenerti in salute?

Non molto tempo fa il nuovo capo delle guardie stava camminando da queste parti e io lo fermai per parlargli di alcuni problemi di manutenzione. Una delle nostre docce era rotta e anche un orinatoio, in cui non funzionava lo sciacquone. Lui ha risposto che se non si trattava di una questione di vita o di morte ci sarebbe voluto un bel po’ di tempo perché venisse risolta. Inoltre disse che queste cose costano denaro. Gli risposi che tutti i detenuti in Texas eseguono la maggior parte del lavoro di manutenzione e lavorano gratis, per cui gli domandai quale fosse il problema. Bene, ha detto alcune sciocchezze circa il denaro dei contribuenti che pagano le tasse e del fatto che io non pago le tasse. Penso che quest’uomo dimenticasse che io ho una famiglia che paga le tasse. Ho molti familiari che pagano le tasse che contribuiscono al mantenimento di queste prigioni. Quindi, abbiamo diritto allo stesso modo degli altri all’assistenza medica e alla manodopera di manutenzione. Non li disturba il fatto che un orinatoio sia rotto, ma gli uomini debbano usarlo lo stesso, per cui si genera un pessimo odore. Non gliene importa e non cercheranno di aggiustarlo prontamente. Cose come questa restano guaste per 3 o 4 mesi ogni volta.

Questi sono alcuni esempi delle cose che ci tocca subire qui. La mancanza di cure che ci dimostrano conduce a grandi litigi e ad animosità tra i detenuti e le guardie. Questa è la ragione per cui abbiamo bisogno di persone come voi che ci aiutino a presentare le nostre lamentele verso il sistema. Quello che desidero fare è iniziare a portare queste problematiche alla vostra attenzione e fornirvi gli indirizzi degli uffici dell’Amministrazione carceraria a cui potete scrivere per presentare le lamentele. Questo ci aiuterebbe moltissimo perché queste persone verrebbero messe sotto pressione e le loro mancanze verrebbero esposte all’esterno – allora cambieranno comportamento. Questo è l’unico modo per raggiungere un minimo livello di decenza qui dentro. Vi racconterò questi fatti più spesso e spero che potremo lavorare insieme per portare dei cambiamenti. Concludo con le sagge parole di Gandhi – “siate il cambiamento che desiderate vedere realizzato”.  Ciao!  Kenneth

 

 

3) PRO E CONTRO I CONDANNATI A MORTE

 

Tra la nostra mentalità e quella dei conservatori che fanno funzionare l’efficientissima macchina della morte negli USA ci sono profonde differenze. A noi abolizionisti capita spesso di chiamare ‘amico’ un condannato a morte, un individuo che i propri concittadini seppelliscono con la qualifica di ‘convicted murderer’ (assassino condannato) molto prima di ucciderlo fisicamente. Per la tendenza a stringere amicizie con i condannati a morte, gli oppositori alla pena capitale finiscono per essere chiamati dai conservatori ‘amici dei delinquenti’.

Si creano due partiti, ‘a favore’ e ‘contro’ i condannati a morte. Due partiti che dimostrano incomunicabilità reciproca e spesso una profonda incomprensione dei condannati stessi.

Sono certamente i fautori della pena capitale ad avere per lo più un’idea rozza e semplicistica dei condannati a morte, che considerano solo come mostri che hanno perso il diritto alla vita, da eliminare prima possibile. E’ vero che i condannati a morte negli Stati Uniti, nella maggioranza dei casi, hanno compiuto assurdi delitti, ma ciò ovviamente non li priva della loro umanità, di pensieri e di azioni positive, della capacità di amare e di essere amati.

Sono evidenti nelle storie di quasi tutti i criminali forti attenuanti costituite da condizionamenti sociali, familiari e psicologici. La colpa del crimine non è soltanto di chi lo commette ma dell’intera collettività. Negli Stati Uniti, se è esplicita e durissima la richiesta di vendetta nei confronti dei criminali, non viene in mente di mettere sotto accusa la struttura sociale e si trascura di porre in atto le misure di solidarietà atte a prevenire la devianza.  Il carcere e la pena di morte sono un modo sbrigativo di fare ‘pulizia sociale’, cosa che non ha niente a che fare con la necessità di guarire la società e di recuperare i delinquenti. In tale contesto diventa assolutamente incomprensibile la tendenza a corrispondere con i detenuti e a fare amicizia con loro, specialmente con quelli condannati a morte.

L’amicizia con i detenuti condannati a morte nella maggior parte dei casi è un sentimento nobile che, pur nella totale solidarietà con loro, non impedisce di vederli sia nei loro aspetti positivi che in quelli negativi (anche se a noi ‘amici dei condannati’ succede qualche volta di farci un’immagine falsata dei prigionieri, favorita dal fatto che i nostri rapporti con loro sono ristretti e distorti dalla condizione di detenzione.)

Sappiamo che l’amicizia diventa un sostegno essenziale per favorire un’evoluzione dei detenuti. Mentre il tempo fa scolorire i comportamenti disgraziati del passato, in molti condannati a morte nasce una volontà di riscatto ed emerge una consapevolezza delle ingiustizie, delle violenze e dei condizionamenti negativi subiti nella società prima di finire in prigione. A volte, con le limitazioni imposte dalle esigenze della difesa legale, accade che i condannati finiscano con il riconoscere, magari in extremis, i loro misfatti e comprendano la sofferenza che ne è derivata, provandone sincero dolore.

E’ essenziale guardare il volto umano di coloro che sono direttamente coinvolti nella pena di morte, e soprattutto dei condannati. Tuttavia dobbiamo tenere sempre presente che affrontare il problema della pena capitale non si esaurisce nell’adozione di un atteggiamento da tenere nei riguardi dei condannati a morte. Anzi, schierarsi in modo acritico e irrazionale totalmente ‘a favore’ o ‘contro’ di essi può ritardare il superamento di questa cosa orribile in sé, inconcepibile ma pure maledettamente reale, che è la pena di morte.

 

 

4) GLI EFFETTI DELLA PENA DI MORTE SULLE FAMIGLIE DEGLI ACCUSATI

 

E’ uscito negli Stati Uniti il notevole libro di Susan F. Sharp:“Hidden Victims - The Effects Of The Death Penalty On Families Of The Accused” (*) Rutgers University Press, 2005,  pagg. 224 , 24$ (pb).

Pubblichiamo una recensione del libro a cura di Laura Silva.

 

L'autrice è una sociologa che lavora all'Università dell'Oklahoma. Ha condotto uno studio in base a testimonianze volontarie di congiunti di condannati a morte (genitori, figli, fratelli, amici, amici di penna...) mettendo in luce aspetti ignoti (o per dir meglio ignorati) della loro esperienze. Sono vittime anche loro, ma vittime nascoste, perché di loro nessuno si occupa, come se nemmeno esistessero.

Voglio accennare schematicamente ai punti principali rilevati dall'autrice. Tenuto conto della limitatezza dello spazio, la presentazione è necessariamente incompleta, ma sufficiente a far intravedere quale terribile situazione debbano vivere queste Vittime nascoste.

1) Negli Stati Uniti c'è l'ossessione per il crimine e la continua insistenza mediatica (e cinematografica) sulla criminalità violenta non fa che soffiare sul fuoco del sostegno alla pena di morte.

Purtroppo, però, non viene mai messo in conto il fatto che il condannato è circondato da persone che lo hanno amato, lo amano tuttora, ne dipendono affettivamente e anche economicamente: genitori, mariti e mogli, figli, parenti vari, amici, amici di penna, e non ultimi alcuni avvocati che prendono molto a cuore i loro destini.

Tutti costoro debbono affrontare innumerevoli problemi: sono lasciati soli dalle istituzioni, abbandonati spesso anche dalla cerchia famigliare e dagli amici, persino in qualche caso dalla comunità religiosa ("occhio per occhio..." si è sentita rispondere una intervistata!), perseguitati dall'invadenza mediatica e dalle associazioni che sostengono la pena di morte e da familiari delle vittime particolarmente vendicativi.

Se un sospettato vive in famiglia, i congiunti durante l'arresto vengono traumatizzati dai metodi della polizia (irruzioni notturne con grande spiegamento di forze, perquisizioni e requisizioni fatte con violenza, magari di fronte a bambini o genitori atterriti); se il sospettato vive per conto suo, la notizia dell’arresto viene appresa casualmente dalla famiglia, dal primo che l'ha saputa dalla tv o dalla radio, o magari dal baccano che fuori dalla porta di casa fanno schiere di giornalisti eccitati.

Durante il processo, in aula i parenti degli accusati subiscono un clima di intimidazione (anche numericamente sono di gran lunga inferiori ai sostenitori dell'accusa), come se il loro legame familiare con gli imputati fosse di per sé una forma di correità o di condiscendenza al crimine.

Persino quando si recano ad assistere all'esecuzione spesso sono oggetto di intimidazioni da parte di sostenitori della pena di morte che arrivano a beffeggiarli in modo per loro assai doloroso.

2) La colpevolezza del proprio congiunto è qualche cosa che provoca reazioni di orrore, incredulità, rabbia. Vengono colti alla sprovvista e non sanno come affrontare la situazione. Questa inadeguatezza porta molto spesso al rifiuto del condannato, che viene abbandonato, anche per anni e in alcuni casi per sempre. C'è anche difficoltà a credere che un cosa simile possa essere accaduta, scaturita proprio "dalla mia famiglia".

Ma la condanna a morte aggiunge una ulteriore macchia di "alterità" ("otherness") sulla famiglia. "Ci guardano come se avessimo la peste". I famigliari sono mal giudicati, evitati, considerati come intrinsecamente diversi da tutte le altre persone.

Gli esiti comportamentali che si registrano sono "withdrawer, joiner, fighter".

Il primo tipo di comportamento corrisponde all'isolamento, al rinchiudersi in se stessi. Ci si sente incompresi, e davvero diversi da tutti, non si ha più voglia di condurre una vita sociale (affrontare tutti quei giudizi, parlare di cose futili...). La propria risposta è chiudersi nella chiocciolina.

“Joiner” è chi al contrario cerca conforto negli altri (associazioni, chiesa, famiglia, colleghi). E' l'esito più proficuo: permette di condividere la propria esperienza e in molti casi porta a una collaborazione attiva con le associazioni che si oppongono alla pena di morte.

“Fighter” è l'arrabbiato. Arrabbiato contro tutti, contro il sistema, contro gli altri. La sua costernazione trova sfogo in una collera che non sempre è bene orientata, ma rimane un semplice sfogo.

Inutile dire che il medesimo individuo può sperimentare anche tutte queste risposte, a seconda dell'ambiente che ha intorno, della fase processuale che attraversa, eccetera.

3) L'altalena di speranza e disillusione (alla eventuale riapertura del processo, alla presentazione di un appello) si protrae per anni quando non per decenni, ed è costellata di stress spesso insopportabili.

Ogni volta si ricomincia da capo, e ciò porta patologie da stress. Da forme più blande a forme gravi, dall'insonnia, per esempio, alla depressione con tentativi di suicidio, agli attacchi di cuore (il "crepacuore" come lo definiscono le mamme), e altre malattie. Non è infrequente vedere genitori che si trascinano gravemente ammalati solo con la forza di volontà, per essere vicini nell’ultima ora al loro figlio.

4) La condanna a morte distrugge le famiglie anche economicamente. Ipotecano i beni, spendono tutti i risparmi per pagare gli avvocati (che non di rado si rivelano non soltanto incompetenti, ma persino disonesti). I bambini (figli, o fratellini) vengono affidati ad altre famiglie perché un genitore (di solito la madre) rimane da solo a provvedere alla famiglia, caricandosi anche di due lavori insieme per guadagnare il più possibile. L'attività lavorativa intensa, eccessiva, favorisce il circolo vizioso dell'isolamento, perché lascia poco tempo ed energie per attività sociale di qualsiasi genere.

Inoltre, per il disagio di venire additati, scherniti, offesi, molti bambini abbandonano la scuola, e gli adulti si vedono costretti a cambiare città, o addirittura stato, per sottrarsi alla visibilità mediatica.

5) L'elaborazione del lutto di una morte annunciata, è molto simile a quella sperimentata dai famigliari di ammalati di AIDS. Alcuni riescono a superare la perdita pensando che almeno il loro congiunto si trova libero e lontano dal carcere.

Fra le mille considerazioni che suscita in me questo studio, una fra tutte merita di essere sottolineata. I nostri corrispondenti detenuti lamentano di essere abbandonati, trascurati, ignorati dalle loro famiglie. Fino a ieri avevo accettato questa interpretazione che colpevolizza i famigliari, ma oggi non più. Se questo abbandono fosse dovuto all'impossibilità di sostenere un'esperienza così terribile? Potremmo provare a parlarne con i nostri pen-pal, suggerendo un altro modo di vedere le cose, cercando di creare ponti su basi nuove con le loro famiglie. Facendogli capire le ragioni della loro solitudine, forse li aiuteremmo ad attenuarla.

_____________ 

(*)  Vittime nascoste: gli effetti della pena di morte sulle famiglie degli accusati.

 

 

5) PROPOSTO UN DRASTICO TAGLIO DEGLI APPELLI FEDERALI

 

I repubblicani vogliono pressoché annullare la facoltà dei condannati a morte di adire alle corti federali. Lo “Streamlined Procedures Act of 2005” (*), proposto alla discussione dei due rami del Congresso in una formulazione pressoché identica all’inizio di luglio, intende limitare le possibilità, per chiunque sia stato condannato per un reato penale, di ottenere l’annullamento della sentenza da parte delle corti federali.

La paternità della proposta di legge presentata alla Camera dei Rappresentanti è del deputato californiano Dan Lungren, mentre il firmatario della proposta di legge senatoriale è il senatore dell’Arizona Jon Kyl.

“Assistiamo a rinvii nei casi capitali che si trascinano per 15 od anche 25 anni.“ Ha dichiarato Lungren alla stampa. “Gli avvocati difensori si sono convinti che tanto più lunghi sono i rinvii, tanto meglio è per i loro clienti. Cerchiamo di ottenere che gli imputati diano un solo morso alla mela e non ripetuti morsi.”

I giudizi degli esperti davanti alle Commissioni parlamentari incaricate di esaminare lo Streamlined Procedures Act sono stati per lo più estremamente negativi. “Si vogliono tagliare alla radice e rimuovere le nostre procedure di revisione delle condanne inflitte dagli stati” ha dichiarato Bernard Hartcourt, professore di giurisprudenza all’Università di Chicago. “Questa nuova legge vuole in effetti eliminare l’habeas corpus federale nei casi in cui gli stati hanno imposto una sentenza di morte.” (**)

Presso una Commissione del Senato hanno testimoniato anche sei condannati a morte che sono stati esonerati dalle corti federali, incluso Thomas Goldstein liberato l’anno scorso dal braccio della morte della California dopo avervi trascorso 24 anni.  

Per fortuna la corsa della sciagurata proposta di legge suscettibile di incrementare sensibilmente il numero delle esecuzioni di innocenti - che i promotori prevedevano senza ostacoli - è stata bloccata per tutto il mese di luglio dalle impreviste perplessità di molti parlamentari e anche dal fuoco di sbarramento opposto dalla grande stampa nazionale, da importanti organizzazioni come l’Associazione degli Avvocati Americani e dagli ‘opinion leader’. Sono scesi in campo contro lo Streamlined Procedures Act perfino personaggi repubblicani favorevoli alla pena di morte noti per il loro conservatorismo.

Oggi le corti federali accolgono il 40% dei ricorsi di coloro che sono stati condannati a morte e che non hanno avuto successo nei ricorsi a livello statale. Si teme che la nuova legge impedirebbe alla quasi totalità dei ricorrenti di accedere alle corti federali.

Paradossalmente, si sono espressi contro lo Streamlined Procedures Act perfino i Presidenti delle Corti supreme dei singoli stati, partecipanti ad un congresso a Charleston in South Carolina nella prima settimana di agosto, che hanno votato quasi all’unanimità una risoluzione in proposito (si è dissociato solo il Chief Justice del Texas)

Già l’Atto Antiterrorismo e per il Rafforzamento dell’Efficacia della Pena di Morte (AEDPA) del 1996 (***) ha fortemente limitato le possibilità di ricorso a livello federale per i condannati a morte, agevolando l’esecuzione di un certo numero di innocenti. Gli effetti della attuale proposta di legge potrebbero essere – secondo gli addetti ai lavori – addirittura disastrosi.

L’avvocato Jim Markus, direttore del Texas Defender Service, un'associazione no-profit per la difesa legale degli accusati di reati capitali, ritiene che l’Act in questione porrebbe fine, in pratica, agli appelli federali per i condannati a morte. Infatti esso lascia la possibilità di presentare un habeas federale soltanto nei casi in cui si verifichino tre condizioni: primo, che ci siano "nuovi fatti" che non furono evidenziati con la "dovuta perizia" dagli avvocati; secondo, che tali fatti stabiliscano l'innocenza dell'imputato "in modo chiaro e convincente"; terzo, che l'appellante non sarebbe stato condannato se non ci fosse stata una violazione costituzionale. E’ impossibile, secondo Marcus, che queste tre condizioni si realizzino, e si realizzino contemporaneamente, in un caso concreto.

Amareggiato dal fatto che la sua proposta di legge non sia stata accolta entusiasticamente e non sia stata approvata prima delle ferie estive, il Senatore Kyl ha dichiarato: “Ho sentito alcuni membri del Congresso esprimersi in Commissione contro i miei sforzi e dire: ‘Qual è il problema? Questa gente rimane chiusa nel braccio della morte e non va da nessuna parte.’ Bene, il problema è per i familiari delle vittime delle persone assassinate: perché costoro devono soffrire?”

E’ probabile che in autunno il Congresso prenda nuovamente in esame il famigerato ‘Act’ data l’insistenza dei promotori.  Potrebbe accadere che si raggiunga il compromesso di approvarlo con alcuni emendamenti migliorativi.

In qualsiasi forma venga approvato, lo Streamlined Procedures Act of 2005” sarebbe comunque una iattura per i condannati a morte, soprattutto per il discreto numero di coloro che, tra di essi, sono effettivamente innocenti.

_______________

 

(*) “Legge del 2005 per l’accelerazione delle procedure”

(**)  Nel diritto inglese dei secoli passati (a partire dal 1679) l'habeas corpus era la richiesta fatta al sovrano di liberare un prigioniero; il sovrano doveva ubbidire a meno che un'autorità indipendente non affermasse la liceità della detenzione. Oggi negli USA si chiamano così i ricorsi fatti da un prigioniero, già condannato in giudizio, alle corti superiori, sia statali che federali, quando ritiene di essere stato condannato ingiustamente

(***) Vedi ad es. il libro sulla vicenda di Gary Graham: “Muoio assassinato questa notte”, pag. 64 e segg. L’iter dei ricorsi per dimostrare l’innocenza di Graham fu troncato proprio dall’AEDPA

6) CORTE SUPREMA: UN THRILLER LA SUCCESSIONE DI SANDRA O’CONNOR

 

Se n’è andata in pensione il 1° luglio, all’improvviso e con un certo anticipo sul previsto, precedendo il più anziano e malandato giudice William Rehnquist, la Giudice  della Corte suprema degli Stati Uniti Sandra Day O’Connor. La nomina di ciascuno dei nove giudici della massima corte federale è a vita. Nessuno dunque avrebbe potuto mettere a riposo la O’Connor ma evidentemente, raggiunti i 75 anni di età, lei stessa ha giudicato di aver dato abbastanza in 24 anni di duro lavoro ‘in cattedra’.

Si è subito aperta la successione. La palla è passata al presidente Bush ma l’intera nazione non ha mancato di esprimersi, rendendo incandescente la nomina di un successore.

Dopo una breve incertezza iniziale, è saltato fuori dal cappello di George W. Bush un personaggio non certo in testa nelle scommesse sulle nuove nomine alla Corte suprema. Si tratta John G. Roberts Jr., attualmente giudice nella Corte federale d’Appello del Circuito del Distretto di Columbia (D. C.)

Per Roberts, la cui nomina per diventare effettiva deve passare attraverso la severa ratificata dal Senato, sono subito cominciate le tradizionali incursioni nella vita privata alla ricerca “di scheletri nell’armadio” e ricerche a 360 gradi tendenti a scoprire le sue convinzioni per prevedere il suo comportamento nella Corte suprema. E’ risultato che, pur trattandosi di un personaggio conservatore a tutto tondo, John Roberts non ha precedenti così netti da permettere ai progressisti di demolire completamente la sua figura, ai senatori democratici di opporsi efficacemente alla ratifica della sua nomina e agli osservatori di prevedere con precisione il suo atteggiamento futuro.

I ‘liberal’ e i Democratici hanno indagato, ed anche attaccato, Roberts per questioni riguardanti l’aborto; le libertà civili; i diritti delle donne, degli omosessuali, delle minoranze; la religione; l’ambiente…

La più grave delle decisioni sottoscritte da Roberts in qualità di giudice federale è certamente quella del 15 luglio scorso che dà luce verde ai ‘tribunali di canguri’ di Guantanamo (v. articolo seguente).

Per il futuro è importante per noi capire come egli si rapporti alla pena di morte. Non abbiamo grandi appigli ma vogliamo conservare un briciolo di speranza. Lo consideriamo un pericolo minore in confronto ad altri possibili candidati alla Corte suprema. Gli altri, a cominciare dall’attuale Ministro della Giustizia Alberto Gonzales, hanno infatti record molto espliciti ed inquietanti e continuano a far paura in vista della prossima successione al giudice Rehnquist.

Una valutazione preventiva di John Roberts deve essere inoltre fatta in relazione alle caratteristiche della giudice O’Connor che egli va a sostituire. Costei, per la maggior parte del tempo in cui è stata in cattedra nella Corte suprema si è schierata con i giudici ultra conservatori nelle decisioni storiche riguardanti la pena capitale, prese a stretta maggioranza, che hanno permesso l’esecuzione di singoli condannati e di intere categorie di persone. Soltanto negli ultimi quattro anni si è verificato, a sorpresa, qualche suo spostamento dalla parte dei progressisti in materia di pena capitale.

Ha suscitato grande sorpresa e scalpore la sua uscita del 2001 quando, nel corso di una conferenza, ha affermato: “Seri dubbi sono sorti sul fatto che la pena di morte sia amministrata equamente in questo paese… Se le statistiche hanno un senso, il sistema può ben aver consentito che qualche innocente sia stato messo a morte.”

Dopo di ciò, nel 2002 ha votato con la maggioranza per proibire la pena capitale per i ritardati mentali, tuttavia quest’anno ha votato con la minoranza opponendosi alla messa al bando della pena capitale per i minorenni (v. nn. 126, 127).

La O’Connor è stata tra i  giudici che hanno bacchettato negli ultimi anni la Corte federale d’Appello del Quinto Circuito (riguardante anche il Texas e considerata tra le più conservatrici e forcaioli) come ad esempio nei casi di Delma Banks e di Thomas Miller-El (v. nn. 113, 130).

Andando indietro nel tempo, vediamo che nel 1984 Sandra Day O’Connor ha votato per la maggioranza sul ricorso Strickland v. Washington, appoggiando la decisione che ha reso arduo per i detenuti ottenere l’annullamento della condanna a morte a causa degli errori dei propri avvocati.

In genere la tendenza di Sandra Day O’Connor è stata quella di confermare la bontà dei procedimenti giudiziari dei singoli stati.

Di John Roberts si sa che egli lavorò per un po’ di tempo gratuitamente come avvocato difensore di un condannato a morte della Florida.

Nell’attuale carica di giudice federale (della Corte federale d’Appello per il D. C.) non ha avuto a che fare con casi capitali perché nel distretto di Columbia non  vige la pena di morte.

Certamente le affermazioni di Roberts più illuminanti per noi sono le risposte da lui date nel 2003 al senatore democratico Russell Feingold (un abolizionista) durante l’udienza per la ratifica della sua nomina a giudice federale.

Feingold domandò a Roberts se lo preoccupasse “che gli accusati poveri possano non ricevere adeguata assistenza legale, specialmente durante il processo nei casi capitali.” Roberts disse di non sapere molto della situazione, ma che “certamente non in tutti i casi gli accusati ricevono adeguata assistenza.” E aggiunse: “Da molto tempo ho maturato l’opinione che, indipendentemente dal fatto di essere pro o contro la pena di morte, il sistema funzionerà meglio nella misura in cui gli accusati avranno un’adeguata difesa fin dall’inizio.” Roberts aggiunse che gli appelli basati su una cattiva difesa legale sono a suo parere il motivo principale per cui i casi capitali “si trascinano così a lungo.”

Feingold incalzò: “Crede che l’attuale sistema sia giusto o si trova d’accordo con un crescente numero di Americani sul fatto che rischiamo di mettere a morte degli innocenti?” Roberts non rispose a tono. Piuttosto affermò che “una cosa ingiusta è la mancanza di certezza della pena, che rimane sospesa, senza un ragionevole limite di tempo.” I prolungati ritardi compromettono, disse, ogni effetto deterrente che può avere la pena di morte. Al che Feingold ricordò “il fatto che più di 100 condannati a morte sono stati esonerati.” Roberts ribatté: “La prima cosa che viene in mente è che il sistema funziona dal momento che li ha esonerati.” Infine Feingold chiese a Roberts se riteneva che “sono stati tolti dal braccio della morte tutti quelli che erano innocenti.” Roberts osservò: Quando “si parla di pena capitale, si parla della sanzione ultimativa, riuscire a far le cose giuste nella maggioranza dei casi non è abbastanza. Su questo sono d’accordo.”

  

 

7) DI NUOVO VIA LIBERA AI PROCESSI FARSA A GUANTANAMO

 

Dopo anni di discussioni, di indiscrezioni, di annunci, le famigerate Commissioni Militari, istituite dal Presidente degli Stati Uniti all’indomani degli attentati dell’11 settembre del 2001 per giudicare cittadini stranieri definiti ‘nemici combattenti’ avevano cominciato ad operare un anno fa occupandosi di quattro detenuti di Guantanamo (v. n. 120).

L’8 novembre tuttavia il procedimento a carico di Salim Ahmed Hamdan – accusato di aver fatto da autista ad Osama bin Laden - era stato sospeso bruscamente dal giudice distrettuale federale James Robertson. Robertson, il quale aveva sentenziato che le Commissioni Militari (meglio note come ‘tribunali di canguri’’) violavano le Convenzioni di Ginevra, nonché l’autorità del Congresso stabilita dalla Costituzione, e infine le procedure della legge marziale americana.

Il Governo ricorse in appello ed il 15 luglio scorso una Commissione di tre giudici della Corte federale d’Appello del Circuito del Distretto di Columbia gli ha dato ragione, rovesciando la sentenza di Robertson. (Nella terna di giudici, figura anche John Roberts nominato due settimane prima da George W. Bush per la Corte suprema, v. articolo precedente).

“L’autorità del presidente sotto la legge della nostra nazione di processare nemici combattenti costituisce un organo vitale della guerra globale al terrore,” ha dichiarato il Ministro della Giustizia Alberto Gonzales il 15 luglio, “e la decisione odierna riafferma questa essenziale autorità.”

La sentenza, che dà nuovamente disco verde ai ‘tribunali di canguri’ stigmatizzati da tutte le organizzazioni per i diritti umani, rigetta le tre argomentazioni avanzate da Hamdan affermando che le Commissioni Militari non violano la Costituzione, né la legge internazionale, né la legge marziale americana.   

Secondo la sentenza del 15 luglio, le Convenzioni di Ginevra “non stabiliscono diritti che si possono far valere in sede giudiziaria”. Inoltre la Costituzione non risulta violata non essendo stato espropriato il Congresso; il potere legislativo, si afferma,  ha dato infatti carta bianca al Presidente con tre risoluzioni antiterrorismo, una delle quali autorizza Bush “ad usare ogni forza necessaria ed appropriata” contro chiunque abbia favorito gli attacchi dell’11 settembre e gli conferisce l’autorità di prevenire atti internazionali di terrorismo. Infine la sentenza afferma che le Commissioni Militari non sono soggette alle regole della legge marziale americana, che per esempio assicurano agli imputanti il diritto di essere presenti in ogni fase del processo (cosa che era stata già negata ad Hamdan).

Gli avvocati di Salim Ahmed Hamdan hanno preannunciato un ulteriore ricorso e nel contempo le autorità militari la ripresa dei processi a Guantanamo: entro 30 o al massimo 45 giorni.

Sono circa 200 gli stranieri che hanno istanze pendenti nelle corti federali dopo che una sentenza della Corte Suprema del 28 giugno 2004 ha affermato che i detenuti stranieri sono autorizzati a ricorrere alle corti ordinarie per contestare il loro imprigionamento a Guantanamo (v. n. 120, “Confuso…”).

 

 

8) ATKINS CHE HA SALVATO ALTRI NON PUO’ SALVARE SE STESSO

 

Il caso di Daryl Renard Atkins, condannato a morte in Virginia, causò, a fine giugno del 2002, la storica decisione della Corte Suprema degli Stati Uniti che proibisce la pena di morte per i ritardati mentali. La sentenza della massima corte sul ricorso “Atkins v. Virginia” ha già costituito la base di decine di ricorsi in diversi stati ed ha anche portato alla commutazione delle sentenze di morte per molti condannati, alcuni dei quali giunti ad un soffio dell’esecuzione. Non è riuscita tuttavia a salvare lo stesso Atkins!

Il 5 agosto una giuria della contea di York in Virginia, dopo aver discusso per 13 ore nell’arco di due giorni, ha concluso che Atkins non debba essere considerato un ritardato mentale.

In precedenza, nel corso di una settimana, la giuria aveva ascoltato un centinaio di contrastanti testimonianze di parenti, insegnanti ed esperti presentati da accusa e difesa.

Nessuno ha potuto negare le difficoltà psico-fisiche dimostrate di Daryl Atkins fin dalla nascita, ma gli esperti dell’accusa hanno sostenuto che tali difficoltà non raggiunsero gli standard di legge per affermare l’esistenza di un ritardo mentale. (*)

Lo stato della Virginia ha pertanto subito chiesto di stabilire la data di esecuzione della sentenza di morte di Atkins che un giudice ha fissato per il 2 dicembre prossimo.

Daryl Atkins, un nero di 18 anni che non era stato capace di concludere gli studi, e l’amico William Jones, entrambi ubriachi e ‘fatti’ di marijuana, nel 1996 rapinarono ed uccisero il ventunenne Eric Nesbitt. I due balordi e maldestri rapinatori si accusarono a vicenda di aver sparato alla vittima. Ebbe la meglio Jones che nel 1998 testimoniò al processo contro Atkins ed ebbe, in cambio, salva la vita.

Il processo del 1998 fu annullato ed Atkins fu di nuovo sottoposto a giudizio nel 1999. La difesa chiese di condannarlo all’ergastolo in regione delle sue ridotte capacità mentali ma fu emessa di nuovo una condanna a morte.

Dopo la sconfitta di Atkins del 5 agosto, l’accusatrice Eileen M. Addison – che riuscì a farlo condannare a morte sia nel processo del 1998 che in quello del 1999 - ha dichiarato di non aver mai dubitato che l’imputato sapesse distinguere il bene dal male. Secondo lei l’uso della droga, la svogliatezza e le cattive inclinazioni erano la causa dei cattivi risultati scolastici e dei problemi da lui incontrati nella vita quotidiana. “Non abbiamo mai contestato che egli fu probabilmente un soggetto dall’apprendimento lento e che non sia dotato di una grande intelligenza, ma ciò è cosa diversa dall’essere un ritardato. Concordo con la sentenza della Corte Suprema ma questo non è un caso che rientra in tale sentenza,” ha affermato.

Gli avvocati di Atkins invece, preparandosi a ricorrere contro la decisione del 5 agosto, hanno detto che le disabilità del loro cliente non lo scusano per aver commesso i suoi crimini. Ma dicono che la pena di morte non è una giusta punizione per un uomo che sa leggere a malapena, non è capace di cucinare le più semplici pietanze, ha difficoltà nel giocare a Monopoli e fu definito “ritardato” già dai suoi compagni di scuola.

“E’ una tragedia,” - ha detto l’avvocato Richard Burr - “la questione era di stabilire se egli presenta un ritardo mentale. Noi abbiamo concluso che Daryl Atkins è un ritardato. Il popolo di questo stato ha affermato invece che non lo è, e non sappiamo per quale motivo.”

Forse il motivo possiamo trovarlo in una tendenza diffusa tra chi sostiene la pena capitale: condannare a morte a meno che ostacoli insormontabili non lo impediscano. Per essere coerenti con le loro pubbliche affermazioni, gli stessi sostenitori della pena di morte dovrebbero invece astenersene nei casi di grave dubbio, dal momento che, per salvare la faccia,  ripetono ad ogni piè sospinto che la ‘sanzione ultimativa’ in America è riservata ai ‘peggiori tra ai peggiori’ criminali.

_____________

(*) Il ritardo mentale, in Virginia e in altri stati, viene definito come il possesso già nella minore età di un Q. I. inferiore a 70 accompagnato da difficoltà significative negli usuali ‘comportamenti adattivi’. Test del Q. I. somministrati ad Atkins in età adulta hanno fornito punteggi di 59, 67, 74 e 76

 

 

9) MASSACRO A SINGAPORE di Claudio Giusti

 

Singapore è sempre alla testa dei paesi più liberisti: è sempre la prima in quelle classifiche sulla libertà d’impresa che ogni tanto ci vengono propinate.

Singapore è l’unico paese totalitario di successo ed è anche la prima della classe in quelle liste dove noi siamo invece al trentesimo posto con la Svezia.

Ma Singapore è anche la capitale mondiale della pena di morte.

Nel periodo 1991 - 2003 Singapore ha ucciso, secondo Amnesty International (1), 408 persone (di cui 76 nel solo 1994). Considerando la differenza nel numero di abitanti è come se gli Stati Uniti ne avessero ammazzate (400 x 60) 24.000, invece delle 740 effettivamente uccise, e la Cina comunista ne avesse accoppate (400 x 260) 104.000. Nessuno sa quanta gente viene effettivamente uccisa in Cina, ma quando si ipotizzò la cifra di 18.000 esecuzioni in 10 anni il sentimento di repulsione fu unanime.

Secondo le Nazioni Unite Singapore ha fatto, nel periodo 1999 - 2003, 138 impiccagioni, che equivalgono a (138 x 60) 8.280 esecuzioni americane e a (138 x 260) 35,800 cinesi (2)

Secondo lo stesso governo di Singapore, fra il 1991 e il 2000, ci sono state 340 esecuzioni, che equivalgono a 20.400 americane e 88.000 cinesi.

Ma se invece ipotizziamo l’esecuzione di 70 - 80 persone l’anno (cifre considerate più realistiche) passiamo ad un equivalente di 4.200-4.800 esecuzioni l’anno per gli Usa e a 18.200–20.800 per la Cina.

Ovviamente questo massacro non produce alcun effetto deterrente. Singapore ha un tasso d’omicidio di 3 per 100.000 mentre Hong Kong, l’altra città stato alla periferia cinese, infinitamente più democratica e senza la pena di morte, ha un tasso di 1 per 100.000. 

Note:

Abitanti in milioni: Singapore circa 5, Usa circa 300 (60 volte risp. a Singapore), Cina 1.300 (260 volte)

(1) http://web.amnesty.org/library/Index/ENGASA360012004?open&of=ENG-SGP

(2) http://daccessdds.un.org/doc/UNDOC/GEN/V05/819/20/PDF/V0581920.pdf?OpenElement

10) ESECUZIONI DI MINORENNI IN IRAN: QUESTA VOLTA PROTESTANO I GAY

 

La pena di morte per i minorenni, abolita negli Stati Uniti d’America il 1° marzo scorso, non viene più apertamente sostenuta in nessuna parte del mondo. Purtroppo in un piccolo numero di paesi si continua ad usarla, in violazione alle leggi interne ed internazionali, e ciò accade soprattutto in Iran. Il 22 luglio Amnesty International ha denunciato con particolare forza le esecuzioni di tre giovani che erano minorenni all’epoca del reato avvenute in Iran nel giro di una settimana.

Il 13 luglio il ventenne Ali Safarpour Rajabi è stato impiccato nella città di Poldokhtar per aver ucciso un poliziotto nel 2002, quando aveva 17 anni.

Il 19 luglio, un ragazzo di 18 anni e un minorenne di cui non si conoscono esattamente i nomi, sono stati impiccati in piazza nella città di Mashhad.(*) Costoro, probabilmente omosessuali,  sarebbero stati condannati a morte 14 mesi prima per aver violentato un tredicenne. In carcere sarebbero stati anche sottoposti alla pena accessoria di 228 frustate, per ubriachezza, disturbo della quiete pubblica e furto.      

Particolare scalpore hanno suscitato in tutto il mondo le esecuzioni dei due giovani gay, cui si riferirebbero due vivide foto pubblicate in Internet, in cui appaiono bendati e con un grosso cappio bianco al collo prima dell’esecuzione. Proteste violentissime delle associazioni per i diritti degli omosessuali si sono riversate da tutto il mondo sulle autorità iraniane. Alcune di tali associazioni hanno anche sostenuto che i due siano stati condannati a morte solo per il loro orientamento sessuale negando che si fossero resi colpevoli di violenza carnale.

Da decenni, nei rapporti di Amnesty International, l’Iran è compreso nella decina di paesi in cui è più esteso e barbaro l’uso della pena di morte. Tuttavia tale gravissima situazione iraniana ha conquistato i titoli della grande stampa internazionale solo negli ultimi due o tre anni.

Alcuni commentatori fanno notare che l’aumento delle denunce delle violazioni dei diritti umani in Iran coincide con la crescita delle minacce di un attacco militare da parte degli Usa e di Israele al regime teocratico degli Ayatollah nel quadro della cosiddetta ‘guerra globale al terrore’. Ciò basta ad alcuni attivisti ‘anti global’ per schierarsi con il regime e per chiudere gli occhi e le orecchie sulle gravissime vicende interne iraniane. Ovviamente fa venire i brividi che qualcuno pensi di restaurare la democrazia e i diritti umani in Iran con i metodi già scelti per l’Afghanistan e l’Iraq, ma non si possono certo tacere le notizie agghiaccianti - pur lacunose, imprecise o contraddittorie - che, per merito della stampa e dell’opposizione, filtrano oltre i confini del paese di Khamenei. Ciò costituirebbe anche un tradimento nei riguardi dei valorosi attivisti impegnati all’interno del paese, come il professor Hashem Aghajari o l’avvocatessa Shirin Ebadi, premio Nobel per la pace, di cui abbiamo parlato più volte.

  

-----------------------

(*) Per Human Right Watch i due ‘giustiziati’ sarebbero stati entrambi maggiorenni al momento dell’esecuzione e uno solo di loro avrebbe avuto meno di 18 anni all’epoca del reato. Secondo alcune fonti i nomi dei due sarebbero Ayaz Marhoni e Mahmoud Asgari

 

 

11) AMNESTY DENUNCIA I CRIMINI DELLA GUERRIGLIA IRACHENA

 

Le organizzazioni umanitarie hanno più volte denunciato la violenza esercitata dagli occupanti anglo-americani e del governo iracheno sulla popolazione civile e sui prigionieri. Si sono giustamente condannati la tortura nelle carceri, le bombe “intelligenti” che hanno mietuto migliaia di vittime innocenti, le sparatorie sui civili, la negazione dei più fondamentali diritti umani alle migliaia e migliaia di prigionieri.

Non è possibile però ignorare l’uso crescente della violenza letale indiscriminata da parte di coloro che dicono di difendere il popolo iracheno: i ribelli che si battono contro l’occupazione americana e contro l’attuale governo iracheno consenziente all’invasione del paese.

Rifiutiamo radicalmente l’atroce logica nichilista della resistenza, che uccide quotidianamente un numero impressionante e sempre crescente di persone innocenti, per di più spingendo all’estremo sacrificio centinaia di giovani kamikaze.

Amnesty International il 25 luglio ha pubblicato un rapporto (1) in cui ha denunciato i crimini di guerra e contro l’umanità commessi dagli insorti: uccisione indiscriminata di civili (sono state rilevate oltre 6.000 vittime provocate dagli attentati negli ultimi due anni, e oltre 16.000 feriti, tra cui moltissime donne e bambini, ma il numero esatto è certamente maggiore: non è calcolabile in quanto sfugge ad ogni possibile tipo di controllo), uccisione di ostaggi e prigionieri indifesi, tortura e uccisione di soldati e poliziotti catturati e resi inermi, rapimento e uccisione di donne, alcune delle quali attiviste per i diritti femminili, attentati ai danni degli uffici delle Nazioni Unite, di varie organizzazioni umanitarie e della Croce Rossa.

Chi per combattere un torto commette crimini di tal genere non può pretendere di avere ragione. Non c’è eroismo in coloro che dimostrano totale disprezzo della vita indifesa, del diritto alla libertà, alla giustizia e alla pace. Non si ottiene pace con la violenza. E’ crudele, ipocrita e inutile affermare che si vuole la liberazione di un popolo se poi gli obiettivi della violenza sono proprio i più indifesi componenti di quello stesso popolo.

Amnesty International rivolge un accorato appello alle autorità religiose e alle personalità influenti irachene affinché cerchino con ogni mezzo, in modo ufficiale o attraverso canali più discreti (che certamente sono ben noti soprattutto ad alcuni leader religiosi) di dissuadere i gruppi armati dall’agire in modo così violento e inumano, prendendo una chiara posizione contro questa “guerriglia”, che riduce ad una condizione ancor più miserevole il popolo iracheno, già abbastanza travagliato dalla presenza di un dominatore che ha ben poco a cuore i suoi diritti.  (Grazia)

------------------

(1) Vedi: http://web.amnesty.org/library/index/engmde140092005

 

 

12) CERIMONIA PER IL DECENNALE DI UN GENOCIDIO IN EUROPA

 

Il 10 luglio i sopravvissuti del massacro avvenuto nel 1995 a Srebrenica, nell’ex-Jugoslavia, hanno ricordato il decimo anniversario della strage di migliaia di Bosniaci musulmani dando onorata sepoltura alle spoglie di 610 dei loro figli, fratelli e padri identificate con i test del DNA. Hanno preso parte alla cerimonia bambini bosniaci vestiti di bianco insieme al presidente serbo Boris Tadic e a poliziotti serbi schierati rispettosamente in mezzo alle bare.

L’8 luglio Amnesty International ha rivolto un appello alle autorità della repubblica Srpska (*) affinché vengano perseguiti i responsabili del massacro di Srebrenica, e affinché ai familiari delle vittime “scomparse” vengano fornite informazioni sulla sorte dei loro cari.

I misfatti si verificarono tra il 10 e il 19 luglio del 1995 quando le forze serbo-bosniache invasero la zona di sicurezza istituita dalle Nazioni Unite, dove si erano rifugiati circa 40.000 musulmano-bosniaci. Appena l’occupazione fu completata – sotto gli occhi di 370 soldati olandesi dell’ONU - migliaia di uomini e ragazzi furono isolati dalla popolazione e uccisi barbaramente.

Stiamo parlando di MIGLIAIA di persone, forse più di 7.000! Si è trattato del più atroce crimine contro l’umanità commesso in Europa dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, e il Tribunale Penale Internazionale per l’ex Jugoslavia l’ha definito atto di ‘genocidio’.

Purtroppo, nella guerra che si combatté – sotto la spinta di un feroce odio etnico – nella ex Jugoslavia nella prima metà degli anni novanta, tutte le etnie si macchiarono di orrendi crimini contro l’umanità. Il massacro di Srebrenica seguì a precedenti estese violazioni dei diritti umani da parte di Serbi, Musulmano-Bosniaci e Croati e precedette i crimini commessi dai Croati nel mese successivo. Tuttavia, per la sua entità e la sistematica spietatezza che lo caratterizzò, esso si staglia singolarmente al disopra degli altri orrori.

Le vittime “scomparvero” e ai familiari non fu più data alcuna notizia su di loro. A dieci anni dai fatti sono state ritrovati, e debitamente sepolti, i resti di circa 2.000 uomini e ragazzi. Degli altri scomparsi non è stata data alcuna comunicazione alle famiglie.

Ciò che rende gravissima e vergognosa la situazione ancora adesso, è che le autorità dell’attuale governo non si sono mai impegnate seriamente per assicurare alla giustizia i responsabili, la maggior parte dei quali hanno anzi goduto di vari tipi di protezione e sono tuttora liberi. Solo qualcuno è stato processato dal Tribunale per l’ex Jugoslavia (ma nessuno è stato arrestato a seguito delle incriminazioni per la strage di Srebrenica), e negli ultimi mesi alcuni indiziati si sono spontaneamente consegnati alle autorità, ma molti altri, e fra di essi in particolare i principali responsabili, ossia l’ex leader serbo-bosniaco Radovan Karadzic e gli ex generali serbo-bosniaci Ratko Mladic e Zdravko Tolimir, sono tuttora liberi.

Finora l’unica risposta alle pressioni internazionali dalle autorità della repubblica Srpska, è stata la nomina, nel gennaio 2004, di una Commissione per indagare sugli eventi di Srebrenica. I rapporti rilasciati dalla Commissione hanno evidenziato che al massacro presero parte la polizia e l’esercito  serbo-bosniaci (v. ad es. http://www.vladars.net/pdf/srebrenicajun2004engl.pdf ), e nel novembre scorso le autorità per la prima volta hanno chiesto scusa di queste gravissime violazioni dei diritti umani (vedi n. 119, Notiziario).

Da un ulteriore rapporto della Commissione risulta però anche che ben 892 persone ritenute coinvolte nel genocidio sono tuttora in servizio nelle istituzioni della repubblica Srpska o della Bosnia ed Erzegovina! 

E’ davvero raccapricciante pensare a quanta ipocrisia e falsità vi sia nei governi, che coprono simili mostruosità, proteggendo i responsabili e ignorando le famiglie delle vittime! Quando i rappresentanti dei governi che violano i diritti umani si recano in visita all’estero, chi li accoglie dovrebbe sempre far loro presente che si è a conoscenza della loro vergognosa situazione, in modo da costringere le autorità a intervenire. Purtroppo però spesso, troppo spesso, gli interessi del momento prevalgono sulla ricerca della giustizia riguardo agli eventi le passato. (Grazia)

 

 

13) CHE COSA CONTA DI PIU’ QUANDO SI RIPRENDE A VIVERE?

 

In questi anni circa 120 condannati a morte sono stati ‘esonerati’negli Stati Uniti, cioè liberati perché – in modo a volte fortunoso – sono cadute le accuse contro di essi. Purtroppo il sistema giudiziario del Texas, particolarmente aggressivo, ha fatto sì che nello stato in cui si compiono più esecuzioni (un terzo del totale) le esonerazioni siano state pochissime: solo 8. Una di queste eccezioni si è verificata per Ernest Ray Willis che la stampa ha seguito dopo la sua liberazione avvenuta nello scorso ottobre.

Che cosa conta per Ernest? Che cosa importa di più quando si “resuscita” dal braccio della morte?

Certamente contano più di tutto la ricostruzione dei legami affettivi e la riaffermazione della propria dignità. I legami con il passato, con le esperienze e gli affetti dell’infanzia rimangono in tutti noi, conservati da qualche parte, ma a volte la frenesia della vita ci porta a dimenticare questi legami. E’ solo nelle vicende in cui si rischia di perdere tutto che questi valori tornano ad assumere un’importanza prioritaria.

Ernest Willis ha trascorso oltre 17 anni nel braccio della morte del Texas, poi è stato liberato dopo che

un famoso avvocato inglese ha dimostrato, lavorando gratis,  che le prove usate per accusarlo di aver provocato un incendio che aveva ucciso due donne, erano false (v. n. 122, Notiziario).

Dopo l’uscita dall’infernale braccio della morte, i primi desideri di Ernest sono stati proprio di ricostruire i legami con i suoi cari e di cercare di ottenere la completa cancellazione della sua fedina penale, per poter camminare a testa alta nel mondo dei ‘liberi’.

Dallo stato del Mississippi dove adesso vive con la moglie (che ha conosciuto e sposato durante gli anni di prigionia), Ernest ha guidato (con grande prudenza per evitare di tornare a cadere nei tranelli della legge) fino in Texas. Qui aveva un appuntamento in tribunale per il 22 luglio (lo stesso tribunale in cui oltre 17 anni fa una giuria lo aveva condannato ingiustamente) per ottenere la completa pulizia dei dossier che lo riguardano con la cancellazione di tutti i carichi relativi al suo caso. L’accusatore che ha riconosciuto l’innocenza del condannato ed ha consentito alla sua liberazione, ha accolto Ernest con cordialità e gli ha chiesto scusa per gli errori commessi da un suo predecessore. Non altrettanto amichevole è stato il procuratore distrettuale attualmente in carica, che si è opposto alle richieste di Ernest. L’udienza è stata rinviata di 60 giorni, perché – guarda caso – la lettera che notificava la richiesta di cancellazione del record ad un laboratorio di analisi forense che conserva alcune delle prove relative al caso di Ellis, non è mai pervenuta a destinazione.

Dopo aver subito questa ulteriore ingiustizia, Ernest si è recato ad incontrare il suo fratello maggiore e sua cognata, che non vedeva da oltre sette anni. I ricordi belli hanno rapidamente prevalso nella conversazione: i tempi dell’infanzia, le lezioni per imparare a guidare, le battute di caccia.

Subito dopo Ernest ha incontrato suo figlio Shawn, che aveva 17 anni quando il padre fu arrestato e condannato. Ora Shawn è un uomo, e insieme i due hanno ritrovato i sentimenti che si erano spezzati durante gli anni di prigionia. Shawn ha dichiarato che il pensiero di un padre condannato a morte, che non poteva essere con lui mentre cresceva e sembrava definitivamente perso, lo opprimeva al punto che non ce la fece più e decise di allontanarsi completamente, per non soffrire più, oltre ogni limite.

Shawn troncò ogni legame con il padre e solo ora i due hanno ritrovato l’affetto e l’unione.

Accade di frequente che i condannati a morte vengano abbandonati dai loro cari. Come ciò sia straziante per entrambe le parti è facilmente intuibile. Ernest ha perso 17 anni della vita di suo figlio, prima del ricongiungimento. Per moltissimi altri condannati a morte questo ricongiungimento affettivo non accadrà mai.

Ernest ha dovuto salutare il figlio prima di affrontare il viaggio di ritorno verso la sua nuova casa in Mississippi. Lungo il percorso è passato vicino al luogo in cui nel 1986 scoppiò l’incendio che provocò la morte di due donne e la sua condanna a morte. Non vi è più traccia di quel dramma: nel luogo dell’incendio ora c’è un giardino con sopra una casa mobile.

Ernest progetta di riprendere a lavorare: forse inizierà un’attività in proprio utilizzando i soldi che lo stato del Texas gli rifonderà per il danno subito: 25.000 dollari per ogni anno ingiustamente trascorso in carcere. Non è certo molto considerato che gli sono stati bruciati gli anni della giovinezza. Nulla può ripagare un cittadino della perdita della propria libertà, dei propri affetti più sacri e della propria immagine pubblica per un periodo così lungo. (Grazia)

 

 

14) SON TRAN IN CERCA DI NUOVI PEN PAL

 

Vi segnalo una richiesta di corrispondenza. Daryl, il mio penfriend che sta nel braccio della morte del Texas, mi ha mandato una lettera che gli dette Son Tran, un ragazzo vietnamita suo vicino di cella. Io purtroppo non riesco a scrivere a più di due persone, così vi giro questa richiesta di corrispondenza. Se qualcuno può scrivergli sarebbe grandioso, altrimenti vi prego di diffondere la richiesta. Son Tran è uno di coloro che avevano meno di 18 anni all’epoca del crimine. Il 1° marzo 2005 una Corte Suprema estremamente divisa al suo interno decise a stretta maggioranza che i condannati per omicidio che avevano meno di 18 anni all’epoca del loro crimine non dovevano più essere giustiziati. La lettera che mi ha passato Daryl descrive i sentimenti di Son Tran mentre si trovava nel braccio della morte pensando alla sua esecuzione, aspettando seduto a fissare i muri. Adesso, dopo che la Corte Suprema ha deciso che lo stato non può più uccidere i minorenni all’epoca del crimine, egli si ritroverà a fissare dei muri senza che la morte incomba più sulla sua testa. Vi chiedo di pubblicare la sua lettera così come l’aveva scritta prima di sapere che sarebbe stato salvo, perché è ricca di sentimento e di umanità. Questa lettera esprime molto bene le emozioni e i sentimenti dei condannati a morte. Ritengo che sarebbe un’ottima cosa scrivere a Son Tran, che non è più condannato a morte ma dovrà comunque rimanere in carcere per moltissimi anni ancora. Egli teme di rimanere senza corrispondenti una volta uscito dal braccio della morte. Grazie mille! Elisabetta Menini

 

Vi siete mai soffermati a pensare a come vivono i prigionieri condannati a morte? O a che cosa significhi essere confinati per 23 ore al giorno in una gabbia di 2 metri per 3 ? Pensate che potreste resistere bene? Potete anche solo iniziare a immaginare il viaggio sulla giostra delle emozioni e la durezza che devono sopportare, sapendo che un giorno verranno uccisi – come se si trattasse di animali da sottoporre ad eutanasia – legati ad un lettino, con il veleno che scorre nelle vene, scacciando ogni barlume di speranza e condannandoli a percorrere la Valle della Morte? Potreste accettare che una cosa del genere capitasse ad un amico, ad un familiare, a chiunque amiate; dire addio e stare a guardare mentre le lacrime scorrono dagli occhi di qualcuno che non può più ridere e sorridere? Potreste fare fronte a ciò? Che cosa esclamereste se vi dicessi che conosco le risposte a queste domande?

Salve, il mio nome è Son Tran. Sono un ragazzo vietnamita, rinchiuso in prigione dal 1997, l’anno in cui ho compiuto 17 anni. Fui condannato a morte da una corte della contea di Harris quando avevo 20 anni, e poco dopo sono giunto nel braccio della morte.

Non posso fare a meno di riflettere sugli anni perduti. Durante questi anni ho combattuto, sono sopravvissuto alla brutalità delle guardie, ho sopportato condizioni di vita tremende, e ho sperimentato di prima mano la vita inumana nel carcere. I miei occhi hanno assistito a tali e tante cose, che non sono più sorpresi da ciò che vedono.

Mi sveglio ogni giorno con un pesante fardello – la lama di una falce sul mio collo – lottando per ottenere scampo dalle corti d’appello. Lotto tutti i giorni per conservare compostezza ed ottimismo. E spero di riuscire a non permettere a questa prigionia di piantare in me i semi dell’amarezza e dell’odio, che potrebbero avvelenare e soffocare il mio spirito. A volte è dura, ma ho imparato a vivere e ad adattarmi ad ogni situazione che devo affrontare. Rido ancora, sorrido ancora. Anche nei momenti peggiori. Riesco persino ad attaccarmi con forza ai miei sogni e al mio credo. Non posso cedere – e non lo farò – all’autocommiserazione, né cederò ai progetti del sistema di schiavizzare e ri-programmare la mia mente, spezzare il mio spirito, distruggere ciò che fa di me quello che sono: me stesso. […]

Quindi, chi sono io?

Sono un padre. Sono un figlio. Sono qualcuno a cui piacerebbe contare qualcosa. Sono un essere umano. E adesso sono prigioniero, avido di condividere la mia vita con voi.

Sono Son Tran.

Non avrei mai potuto immaginare che il mio scritto sarebbe diventato una voce che queste mura spietate non possono zittire – nonostante ci provino tenacemente – perché io sto lottando per portare alla luce l’ingiustizia commessa su di me dallo stato del Texas. […]

Vi saluto con amicizia. Son Tran. P. S. Scrivetemi a questo indirizzo:  Son Tran # 1306208  - Roberson Unit - 12071 FM 3522  - Abilene, Texas 79601  USA

 

 

15) NOTIZIARIO

 

Arabia Saudita. Sentenza di morte per un quindicenne. Il quotidiano saudita al-Yom ha reso noto il 10 agosto che una corte locale ha condannato a morte il quindicenne egiziano Ahmed Abdel Mordi Mahmoud accusato di aver ucciso a coltellate una bimba di tre anni nel corso di un litigio. La sentenza deve essere confermata in appello a Riyadh prima di venire eseguita. Il padre del ragazzo, un insegnante di chimica, ha chiesto al consolato egiziano di perorare clemenza per Ahmed in ragione della giovanissima età del colpevole. In Arabia Saudita sono state eseguite più di 50 condanne a morte nel corso di quest’anno, due terzi delle quali nei riguardi di stranieri.

 

Cina. Diritti umani: ancora gravi lacune da colmare prima delle Olimpiadi. Per l’8 agosto 2008 è fissata la cerimonia di apertura delle Olimpiadi di Pechino. Sono già avanzati i preparativi sul piano pratico ed organizzativo ma un grave ritardo si registra riguardo all’impegno preso dai Cinesi nel 2001 – quando furono assegnati i Giochi olimpici a Pechino -  di migliorare la situazione dei diritti umani.  Tre anni prima dall’inizio del massimo evento sportivo, Amnesty ha lanciato un chiaro monito alle autorità di Pechino. “Sfortunatamente, nonostante la promessa fatta al Comitato Olimpico Internazionale, gravi violazioni dei diritti umani continuano in Cina,” scrive in un comunicato del 5 agosto Amnesty che chiede passi concreti verso: l’abolizione della pena di morte, la riforma del sistema giudiziario, la libertà di espressione e di associazione, il rilascio dei prigionieri di coscienza, la giustizia per le vittime della repressione del movimento democratico di Tienanmen del 1989. Vedi documento completo all’indirizzo http://web.amnesty.org/library/index/engasa170212005

 

Iraq. Confessioni sotto tortura e numerose sentenze di morte. In Iraq la pena di morte, sospesa da Paul Bremer nel 2003 dopo l’invasione anglo-americana e ripristinata un anno fa dall’attuale regime, è in forte espansione e potrebbe dar luogo a breve alle prime esecuzioni. Si sospetta che sentenze di morte siano conseguite a confessioni rilasciate sotto tortura e a processi sommari. Detenuti con evidenti segni di violenze ripetono in TV le loro confessioni. Da un’azione urgente di Amnesty International del 2 agosto apprendiamo che per 48 condannati a morte si sarebbe esaurito l’iter giudiziario. Da un momento all’altro potrebbe essere autorizzata la loro esecuzione dal Consiglio di presidenza, formato dal Presidente Jalal Talabani e dai due Vice presidenti. Talabani è stato un deciso oppositore alla pena capitale ma non si sa se riuscirà ad opporsi alle spinte per la ripresa delle esecuzioni. Il 17 agosto il Primo ministro Ibrahim al-Jaafari ha dato per imminenti tre impiccagioni nella città di al-Kut che sarebbero già state autorizzate dal Consiglio di presidenza.

 

Iraq. Una serie di processi di basso profilo per Saddam. Si è conclusa il 16 luglio l’istruttoria di un primo processo contro Saddam Hussein, caratterizzata da gravi limitazioni dei diritti dell’imputato e in particolare del diritto alla difesa legale. Il procedimento riguarda esclusivamente un episodio repressivo del 1982 avvenuto nel villaggio sciita di Dujail in cui furono irrogate ed eseguite 150 condanne a morte contro oppositori accusati di aver complottato per uccidere il presidente iracheno. L’11 agosto, in una delle frequentissime imbeccate alla stampa, fonti anonime del Tribunale speciale iracheno hanno detto che una sentenza di morte di Saddam potrebbe essere eseguita dopo questo primo processo. Ciò appare poco credibile ma è ormai evidente che, pur di evitare che l’egregio imputato si difenda attaccando, le imputazioni contro di lui saranno accuratamente scelte e spezzettate in diversi processi di basso profilo.

 

Missouri. L’accusa potrebbe scagionare Griffin giustiziato nel 1995. Da un’inchiesta giornalistica pubblicata il 12 luglio risulta che le prove che permisero di condannare a morte e poi di ‘giustiziare’ in Missouri nel 1995 Larry Griffin, accusato dell’uccisione di uno spacciatore di droga, sarebbero inquinate da falsità e incongruenze. I risultati dell’inchiesta sono stati così convincenti da indurre Jennifer Joyce, pubblico accusatore di St. Louis, ad aprire un’indagine in merito che richiederà alcuni mesi di lavoro. Un fatto di tal genere negli USA è più unico che raro. Un’eventuale riabilitazione postuma di Larry Griffin, che si dichiarò fino all’ultimo innocente, darebbe un duro colpo alla pena di morte in Missouri.

 

Texas. Fissata la data per il nuovo processo a Max Soffar. E’ rimasto nel braccio della morte del Texas per 24 lunghissimi anni Max Soffar, nonostante si siano progressivamente sgretolate le prove artefatte della sua colpevolezza: oramai si conosce anche l’identità del vero colpevole del triplice omicidio di cui fu accusato. Nonostante l’opposizione dello stato del Texas, la Corte federale d’Appello del Quinto Circuito ha annullato definitivamente la sua condanna a morte il 19 novembre scorso (v. nn. 118 e 123, Notiziario). L’accusa, che avrebbe dovuto consentire la liberazione del malcapitato Soffar, ha deciso invece di processarlo daccapo nel tentativo di ottenere di nuovo una condanna a morte nei suoi riguardi (v. n. 125).  Il processo a carico di Max Soffar avrà inizio il 30 gennaio prossimo; due udienze preliminari sono stata fissate per il 19 ottobre e per il 1° dicembre, mentre la selezione della giuria comincerà il 9 gennaio.  Mandiamo il più affettuoso ‘in bocca al lupo” all’amico Max, che abbiamo conosciuto nel gennaio del 2004 attraverso una simpatica ed interessante intervista condotta da Kenneth Foster (v. n. 114).  Gli auguriamo di diventare nel 2006, al termine del suo lunghissimo calvario, il nono condannato a morte ad essere esonerato in Texas in questi anni. Sul caso di Max Soffar vedi: www.geocities.com/maxsoffar/index.html    

 

Usa. Continua il sabotaggio del Tribunale Penale Internazionale.  Gli USA hanno mantenuto la promessa fatta tre anni fa di irrogare sanzioni ai paesi che non si dissociano ufficialmente dal Tribunale Penale Internazionale per i crimini contro l’umanità (limitatamente ai reati in cui possano essere coinvolti in qualche modo cittadini gli Stati Uniti) Il 19 agosto il New York Times ha denunciato il taglio di aiuti e di assistenza militare, per tale ragione, ad oltre 24 paesi, 12 dei quali situati nel Centro e nel Sud America. Così facendo gli USA hanno prodotto forti risentimenti ed incidenti diplomatici.

 

 

*****************

Il nostro indirizzo postale è : Comitato Paul Rougeau C.P. 11035, 00141 Roma Montesacro.

 

Dalla redazione: il Foglio di collegamento di norma viene preparato nell’ultima decade di ogni mese.  Pertanto chi vuole far pubblicare articoli, appelli, notizie, comu­nicati, iniziative, let­tere o rifles­sioni  personali deve far pervenire i testi in tempo utile a un membro del Consiglio Di­rettivo o, preferi­bil­mente, inviare un mail a  prougeau@tiscali.it

 

Questo numero è aggiornato con le informazioni disponibili fino al 27 agosto 2005


 

(*) Srebrenica è attualmente compresa nella Repubblica Srpska (repubblica serba di Bosnia), un fazzoletto di terra  frastagliato con popolazione di etnia Serba. Gli accordi di pace del dicembre 1995 hanno fissato la Repubblica Srpska in confini tortuosi e lunghissimi che la dividono dalla Federazione di Serbia e Montenegro, dalla Croazia e dalla Bosnia-Erzegovina.

bottom of page