FOGLIO DI COLLEGAMENTO INTERNO DEL
COMITATO PAUL ROUGEAU / ELLIS(ONE) UNIT
Numero 78 - Giugno 2000
7) PRIMO CONGRESSO CONTRO LA PENA DI MORTE: LA DICHIARAZIONE FINALE
Il Primo Congresso Mondiale contro la pena di morte si è tenuto a Strasburgo dal 21 al 23 giugno, sotto l’ala del Parlamento Europeo e in presenza di una moltitudine di autorità istituzionali dei paesi abolizionisti, tra cui una ventina di Presidenti di assemblee parlamentari. E’ stato caratterizzato da una serie di interessanti testimonianze, come quella della delegazione giapponese, e dalle relazioni degli esperti e dei leader delle organizzazioni abolizioniste provenienti da varie parti del mondo. Appena saranno pubblicati gli atti congressuali daremo notizia dei principali risultati acquisiti. Di seguito riportiamo una sintesi della Dichiarazione finale del Congresso.
(…) La pena di morte sta a significare il trionfo della vendetta sulla giustizia e viola il primo dei diritti degli esseri umani, il diritto alla vita. La pena capitale non ha mai prevenuto i crimini. E’ un atto di tortura ed è il trattamento più crudele, inumano e degradante. Una società che commina la pena di morte simbolicamente incoraggia la violenza. Ogni società che rispetta la dignità della sua gente deve battersi per abolire la pena di morte.
(…) Siamo felici che molti Presidenti di parlamenti abbiano deciso di lanciare il 22 giugno dal Parlamento Europeo un “Appello solenne al mondo per la moratoria delle esecuzione quale passo verso l’abolizione”.
(…) chiediamo che: · gli stati ratifichino tutti i trattati e le convenzioni abolizioniste internazionali e regionali,
· i paesi che hanno sospeso le esecuzioni rimuovano la pena di morte dalle loro leggi,
· i paesi che condannano a morte i minorenni all’epoca del crimine pongano fine a questa aperta violazione della legge internazionale,
· non possano essere condannati a morte i disabili mentali,
· gli stati che hanno abolito o sospeso la pena di morte non estradino nessuno in paesi in cui essa viene ancora applicata, indipendentemente dalle assicurazioni che la pena di morte non verrà imposta,
· gli stati rendano note regolarmente ed apertamente informazioni sulle sentenze capitali, sulle condizioni di detenzione dei condannati e sulle esecuzioni.
Appoggiamo la verifica del Consiglio d’Europa della compatibilità dello status di osservatori, riconosciuto agli Stati Uniti e al Giappone, con il mantenimento della pena di morte.
Facciamo appello al Consiglio d’Europa e all’Unione Europea affinché insistano perché la Turchia, la Russia e l’Armenia aboliscano permanentemente la pena capitale e per tutti i reati e commutino tutte le sentenze di morte.
(…) Ci associamo alle petizioni promosse da Amnesty International, dalla Comunità di Sant’Egidio, da Insieme contro la pena di morte, dalla Federazione della Lega per i Diritti umani, da Nessuno tocchi Caino e da ogni altra organizzazione e facciamo appello a tutti i militanti abolizionisti di firmare la seguente petizione: “Noi, cittadini del mondo, chiediamo un immediato arresto di tutte le esecuzioni dei condannati a morte e l’abolizione universale della pena di morte”.
Infine chiediamo a ciascuno stato di fare ogni possibile passo verso l’adozione da parte delle Nazioni Unite di una moratoria mondiale delle esecuzioni, in vista dell’abolizione universale.
Strasburgo 22 giungo 2001.
8) COSI’ SCRIVE SERGIO CHE VIVE IN TEXAS E CREDE NELLA PENA DI MORTE
Un fitto scambio di messaggi si è originato dalla risposta di Grazia ad un commento assai poco benevolo nei riguardi della causa abolizionista inviato da Sergio al Comitato Paul Rougeau. Sergio è un cittadino di Houston che crede fermamente nella pena di morte, così come noi crediamo nella necessità di abolirla. Riportiamo una sintesi dell’interessante carteggio tra Sergio e Grazia, che avrà forse un seguito nel prossimo numero.
Caro Sergio,
grazie per aver accettato di discutere con me il problema della pena di morte! Prima di tutto, ti dirò che ciò che penso su questo argomento viene dal cuore ed è una “traduzione verbale” dei miei sentimenti in proposito. Intendo dire che non sono abituata a tenere conferenze.
Il punto principale che mi fa opporre “radicalmente” alla pena di morte è questo: ogni vita è preziosa e nessuno è autorizzato a togliere la vita ad un altro essere umano. Nessuno, neanche lo stato, neanche un re o un presidente hanno il diritto di uccidere, sia pure il peggiore degli uomini.
(Sergio) E’ bello che tu abbia simili sentimenti per la vita umana e concordo pienamente con te su questo punto. Ogni vita umana è preziosa. Ma per quanto riguarda il mio sostegno “radicale” alla pena di morte, credo che un essere umano che uccide un altro essere umano durante uno stupro, una rapina o uno spaccio di droga deve essere punito. Gli animali uccidono per sopravvivere, alcuni uomini sono peggiori degli animali perché uccidono un altro essere umano per un paio di dollari.
(Grazia) E’ vero, gli esseri umani possono essere molto migliori o molto peggiori degli animali, a seconda di “come” usano la loro intelligenza. Nessuno può mettere in dubbio che uccidere per stupro o rapina sia una cosa orribile che non deve essere fatta. Dobbiamo ridurre al minimo la possibilità che questa cosa orribile accada. Ciò è possibile con adeguate misure di prevenzione, con l’aiuto sociale e con la promozione del rispetto per la vita umana nella società, che determina un cambiamento culturale.
Se tutti capiscono e concordano che i criminali che uccidono agiscono in un modo orribile, non tutti ancora hanno capito – ed è la ragione per cui stiamo discutendo questo argomento – che anche uccidere in modo premeditato e a sangue freddo (come nel caso della pena di morte) un altro essere umano è un atto orribile. Uccidere è un crimine e criminali sono coloro che uccidono, indipendentemente dall’innocenza delle loro vittime.
(Sergio) Dici che uccidere è un crimine, che criminali sono coloro che uccidono. Così chiameresti criminali tutti quei soldati che hanno sacrificato le loro vite difendendo il mondo dai Nazisti? O un poliziotto che uccide un criminale per difendere un onesto cittadino dovrebbe essere definito un criminale?
(Grazia) Sappiamo tutti che nelle guerre moderne vengono uccisi molti innocenti (vecchi, donne, bambini) e che, ai nostri tempi, le armi da guerra sono tremende. E’ pertanto sempre più necessario rinunciare anche alla violenza bellica – usata come mezzo per risolvere i conflitti tra i popoli - e sostituirla con la forza degli strumenti giuridici basati sul rispetto dei diritti umani. Quando parli di un’aggressione a mano armata, che mette a repentaglio la vita delle persone, se questa viene fermata con il minimo possibile uso delle armi – come mezzo di “legittima difesa” – l’eventuale perdita di vite umane – sebbene terribile – è meno grave che uccidere a sangue freddo una persona che è già stata messa in condizione di non nuocere, com’è il caso di un criminale detenuto.
(Grazia) Gli omicidi dovrebbero essere isolati dalla società in modo da non poter più nuocere (e nelle nostre moderne società ci sono molti modi di rinchiudere le persone in modo tale che non possano fuggire) lasciando loro la possibilità di ripensare ai loro crimini e pentirsi.
(Sergio) Credi onestamente che un criminale che abbia scontato la sua pena in prigione, se dopo essere uscito uccide un poliziotto durante un normale blocco stradale, si pentirà quando tornerà in prigione?!!!!!!
(Grazia) Se anche alcuni criminali rimangono pericolosi per un lungo periodo – e questo vale solo per una parte di loro – non significa che l’unica alternativa possibile sia ucciderli! La maggior parte dei paesi del mondo, che hanno abolito la pena di morte, non risolve il problema uccidendo.
(Sergio) In genere questi assassini non hanno alcun rimpianto per i loro crimini.
(Grazia) Chi può saperlo?
(Grazia) La pena di morte non è un deterrente (i paesi dove è praticata non hanno minore criminalità di quelli in cui c’è la pena capitale)
(Sergio) Hai delle prove?
(Grazia) Sì, ci sono molte statistiche e cifre che lo dimostrano. Non le ho subito a portata di mano, ma, se vuoi, farò una veloce ricerca e te le farò conoscere.
(Sergio) La pena di morte non è intesa per essere un deterrente al crimine, ma per PUNIRE coloro che commettono i crimini!!!!
(Grazia) Allora dobbiamo intenderci sul significato di “punire”. Se puniamo le persone con lo scopo di farle riflettere sui loro atti e di pentirsi, allora la punizione ha il significato di “correzione”. Se per punire uccidiamo, allora la punizione non ha come finalità la correzione, ma ha solo lo scopo di far soffrire chi ha fatto soffrire altre persone. Questo modo di considerare la punizione deriva solo dal desiderio di vendetta.
(Grazia) La pena di morte non è un modo di aiutare i familiari delle vittime a dimenticare (dà loro soltanto il freddo piacere della vendetta, ma questo è un sentimento che non aiuta a vivere meglio quando hai perso una persona cara – e in ogni caso il suo effetto finisce rapidamente).
(Sergio) A me sembra che tu abbia più a cuore i criminali che le vittime. Non c’è alcun “freddo piacere della vendetta” ma, secondo me e per quel che sento dire dai parenti delle vittime, la certezza assoluta che quei criminali non commetteranno altri crimini. I familiari delle vittime non vogliono che altre persone debbano soffrire per l’assassinio di una persona amata.
(Grazia) Mi preoccupo delle sofferenze e delle ingiustizie patite dai familiari delle vittime! Ma uccidere l’assassino dei loro cari viene quasi sempre pubblicizzato come un modo per dare loro sollievo, proprio come un mezzo di vendetta. Se così non fosse, perché allora i familiari delle vittime verrebbero autorizzati e invitati ad assistere all’esecuzione del criminale? Se fosse solo per avere la sicurezza che un assassino non nuocerà più ad altre persone, dovrebbe bastare leggere sui giornali la notizia della sua esecuzione! Il desiderio di vederlo morire è fredda vendetta.
(Grazia) Pensa, inoltre, al rischio di uccidere un innocente! E’ vero che il vostro sistema giudiziario dà al condannato la possibilità di avanzare parecchi appelli, ma, allora, come mai nel braccio della morte la grande maggioranza di prigionieri è costituita da persone povere? Pensi davvero che gli assassini esistano solo in quella categoria di persone? Non è invece molto più probabile che i ricchi possano permettersi la difesa di avvocati in gamba che li tolgono dai guai?
(Sergio) Non credo che il solo fatto di essere povero ti dia il diritto di uccidere un essere umano e poi andare soltanto in prigione dove ricevi cibo e un riparo. I trafficanti di droga hanno molto denaro per potersi pagare la difesa legale.
(Grazia) Non intendevo dire che i poveri hanno diritto di uccidere! Ciò che volevo dire è che solo i poveri finiscono nel braccio della morte, mentre i ricchi possono pagarsi un buon avvocato che li salva. Ciò significa che la pena di morte è ingiusta e discriminante.
(Grazia) Pensa per quante persone che uccidono deliberatamente, non viene neppure presa in considerazione la pena di morte! Prendi per esempio il caso di un ricco industriale che inquina le acque contravvenendo alle leggi antinquinamento (e lo fa solo per fare più soldi): le acque avvelenate possono provocare il cancro e uccidere molte persone, ma quell’industriale non verrà mai condannato a morte! Al massimo (e non accade sempre) dovrà pagare una multa e risarcire i danni ai familiari delle vittime. Per non parlare dei più grandi assassini della storia, persone come Stalin, Pinochet o Pol-Pot, che spesso non solo non sono stati condannati a morte, ma hanno anche evitato qualsiasi punizione.
(Grazia) Negli USA vengono costruite prigioni sempre più grandi e sempre più sicure per chiudervi sempre più criminali. Il problema della criminalità e della sua vasta diffusione anche tra i più giovani ha le sue radici nella società e nei suoi valori sbagliati amplificati dai media. So che questo è un argomento troppo ampio da discutere così semplicemente, e che gli interessi economici ad esso connessi sono enormi. Ma, come sai, gli investimenti a lungo termine sono spesso più redditizi di quelli che hanno un immediato ritorno.
(Sergio) Il concetto di base è che i criminali hanno avuto la possibilità di pensare prima di commettere il crimine (questo è ciò che ci distingue dagli animali). Hanno avuto la possibilità di fermarsi e di non uccidere. Poi quando vengono condannati a morte chiedono pietà. Se il criminale avesse avuto pietà per la sua vittima, nessun criminale verrebbe punito con la pena di morte.
(Grazia) Giustamente, dici che un criminale dovrebbe pensare prima di uccidere qualcuno (anche se spesso è preda di forti passioni). Che cosa dovremmo dire di uno stato che uccide a sangue freddo e in modo discriminante, spesso dopo una ciclo di processi mal condotto?
(Sergio) Sarebbe bello vivere in un mondo senza crimini, senza odio, senza fame, senza malattie, ma la triste realtà non è così.
(Grazia) Se vogliamo un mondo migliore, coloro che hanno il cervello e il cuore ben disposti devono fare il primo passo per avviarsi in questo cammino. Una delle cose più facili da fare è abolire la pena di morte, poi ci sono molte altre iniziative da intraprendere: migliorare l’assistenza sanitaria, il sistema educativo ecc. La lista è interminabile. Ma se nessuno ferma la violenza da una parte, anzi, al contrario, la sostiene, avremo sempre molti crimini, da entrambe le parti, e molte vittime.
9) INCONTRO CON RICK HALPERIN E JAMES EHRMAN
Nella calda serata del 12 giugno la libreria Bibli a Roma era affollata come non mai per il ritorno di Rick Halperin a Roma. Erano passati due anni dallo storico tour che lo vide anche a Palazzo Vecchio a Firenze col Comitato Paul Rougeau. Parecchi sono rimasti in piedi, nella calca, per seguire il coinvolgente dibattito durato tre ore e mezza. I principali oratori nell’incontro di quest’anno erano gli stessi del 1999.
Oltre a Rick Halperin c’era Riccardo Noury, memoria storica della Sezione Italiana di Amnesty International, c’era Jim Ehrman, consigliere per gli Affari sociali all’Ambasciata Americana, c’era Carlo Santoro della Comunità di Sant’Egidio, “moderava” Norberto Barbieri. Ad una precisa, approfondita ma agile esposizione della storia della pena di morte negli ultimi venticinque anni negli USA fatta da Riccardo Noury, sono seguiti i lunghi appassionati interventi di Rick Halperin che ha attaccato l’uso della pena capitale nel suo paese definendolo una realtà assai peggiore di quanto non appaia a prima vista. Non si tratta di una pena ma di violenza e di sopraffazione del potere, in un paese violento in cui è diffusissima e libera la vendita delle armi personali.
Rick Halperin ha descritto vividamente i cinque metodi di esecuzione capitale ancora previsti negli Stati Uniti ed ha rivolto con forza agli Americani la domanda se sia possibile pensare che le risposte più appropriate ai crimini siano gli orribili rituali della fucilazione, dell’impiccagione, della sedia elettrica, della camera a gas o dell’iniezione letale (questi ultimi due metodi di sterminio furono messi a punto dai nazisti). Se la risposta è no, la sua successiva domanda è: ‘Perché allora si continua ad usare la pena di morte ?’ Nella storia negli Stati Uniti le idee mitiche, come quelle di libertà, uguaglianza, giustizia… hanno dato i corrispettivi privilegi solo alle classi avvantaggiate.
Nei confronti dei gruppi e degli individui ‘perdenti’ si sono verificati ogni sorta di soprusi: dal genocidio legalizzato degli indigeni, alla loro segregazione, allo sfruttamento degli schiavi neri importati dall’Africa, alla discriminazione razziale, alla negazione dei diritti civili per le donne e per gli indigeni (gli Indiani d’America sono stati ammessi al voto solo nel 1924), ai linciaggi, alla pena di morte.
La pena di morte è dunque un’istituzione che deriva direttamente dal peggiore passato degli Stati Uniti. Innegabile è il carattere di discriminazione razziale che si riscontra ancor oggi nell’applicazione della pena capitale, sia nella composizione delle giurie formate quasi sempre da bianchi, sia nella sproporzionata emissione di sentenze capitali nei casi in cui la vittima del crimine è di razza bianca e l’imputato appartiene ad una minoranza etnica.
Non è vero che l’imputato venga giudicato da una giuria composta da suoi ‘pari’, cioè rappresentativa della popolazione. Accurati procedimenti di selezione eliminano dalle giurie coloro che sono contrari alla pena di morte, perfino l’appartenenza ad Amnesty International può essere un motivo di esclusione. In quattro stati le sentenze di morte possono essere inflitte da un giudice anche contro il parere della giuria, in altri stati non è prevista la giuria popolare ed è il solo giudice ad infliggere la pena capitale. Rick Halperin ha ricordato gli aspetti più aberranti della pena di morte che può essere inflitta ai minorenni e ai ritardati mentali, la scarsa qualità della difesa d’ufficio nei casi capitali, la violazione dei diritti costituzionali degli stranieri immigrati che a volte non comprendono bene la lingua inglese usata in tribunale. Ha concluso con una nota di ottimismo affermando che il processo di abolizione della pena di morte negli USA è comunque iniziato.
Altrettanto interessante, anche se diametralmente contrapposto, è stato lungo discorso di James Ehrman, che si era puntigliosamente documentato sugli argomenti di teoria politica da lui avanzati per ‘spiegare’ – in realtà per difendere o per lo meno per nobilitare – l’uso della pena di morte nel suo paese. In estrema sintesi, Ehrman afferma:
1) Il potere per gli Americani spetta la popolo e la Costituzione tende solo a delimitare l’ingerenza del Governo nella sovranità del popolo, a differenza di quanto avviene in Europa dove l’eredità storica delle antiche monarchie assolute rende per certi aspetti i cittadini ancora sudditi e sottomessi allo stato. Di conseguenza negli Stati Uniti è il popolo la sorgente della giustizia ed è il popolo che commina direttamente le pene – attraverso giurie costituite da ‘pari’ – e anche la pena di morte. Il Governo e i dirigenti ai vari livelli non hanno voce in capitolo.
2) In America vale il principio di “responsabilità” dei cittadini – sottolineato in maniera estrema dal nuovo Presidente Bush – i quali sono liberi a tutti i livelli ma di conseguenza responsabili fino in fondo dei loro atti. In Italia, al contrario, il buonismo imperante finisce per deresponsabilizzare la gente e consentire ai colpevoli di farla franca il più delle volte.
3) Il principio di “uguaglianza” impedisce ai politici americani di svolgere un ruolo guida nella società, essi devono agire solo in conseguenza al volere popolare e sono soggetti ai rigori della legge come tutti gli altri cittadini. In America non si può concepire un ruolo guida delle élite – anzi non vi sono élite - nei riguardi della popolazione verso l’abolizione della pena di morte, come sembra essere invece ritenuto accettabile in Europa occidentale.
4) In America lo stato nasce perfettamente aconfessionale tanto che non occorrono garanzie costituzionali della libertà religiosa. Ciò non vuol dire che gli Americani non siano religiosi, anzi lo sono molto più degli Europei. Nonostante il loro rigoroso agnosticismo gli esponenti politici europei sono legati al potere della chiesa che influisce sul loro operato. Solo la legge è cosa sacra nella vita americana. La legge punisce in maniera inflessibile, senza alcuna pietà: sarà Dio – per chi crede – ad avere pietà del reo nell’aldilà. Il perdono appartiene alla sfera religiosa: Dio perdona, la legge no.
10) IL CASO DEGLI STATI UNITI, UN’ANOMALIA NEL PROCESSO ABOLIZIONISTA
Oggi, applicando i criteri di Amnesty International, possiamo dire che la pena di morte è stata abolita per legge o di fatto in ben oltre la metà dei paesi del mondo: 109 paesi, a fronte degli 86 che la mantengono.
La pena di morte, come la tortura e i supplizi più raccapriccianti, ha accompagnato la lunga storia dell’uomo sulla terra. Anche se in passato in alcuni periodi e in alcuni paesi questa pena non è stata applicata, l’idea abolizionista, come la intendiamo oggi, è recentissima, risalendo alla seconda metà del ‘700.
Avviatosi lentamente, il processo abolizionista ha marciato sempre più velocemente nel secolo appena trascorso e soprattutto nel dopo guerra. Negli anni settanta quando si discuteva di abolire la pena di morte in numerosi paesi dell’Europa occidentale, 40 paesi l’avevano abolita e 122 la mantenevano. Oggi, come abbiamo ricordato all’inizio, i paesi abolizionisti sono 109.
Mentre in Francia e in Inghilterra si discuteva della pena di morte, gli Stati Uniti d’America marciavano rapidamente verso la sua abolizione. Basti pensare che nel 1968 la percentuale dei cittadini statunitensi contrari alle esecuzioni aveva superato quella dei favorevoli (cosa che non avveniva certamente in Europa occidentale). Nel 1972, dopo che non si erano registrate esecuzioni per cinque anni, la Corte Suprema federale dichiarò praticamente incostituzionale l’uso della pena capitale.
Dopo altri quattro anni però si registrarono alcuni fatti che, visti inizialmente come modesti incidenti di percorso sulla strada dell’abolizione, dovevano invece rappresentare l’inizio di un cambiamento di tendenza. Il 2 luglio 1976 la Corte Suprema federale tolse il divieto della pena capitale e sei mesi dopo un condannato a morte dello Utah, tale Gary Gilmore, che aveva prodotto una serie di ricorsi per farsi ammazzare, ottenne di essere fucilato: era il 17 gennaio 1977. Cadeva una moratoria decennale ma nessuno poteva immaginare la carneficina che sarebbe cominciata di lì a sette-otto anni.
L’ultima esecuzione in Europa occidentale era avvenuta in Francia nel 1977. Negli anni ottanta il processo abolizionista si era consolidato nel Vecchio continente quando si assistette con stupore e preoccupazione ad una repentina ripresa delle esecuzioni capitali negli Stati Uniti: 5 uccisioni legali nel 1983 e 21 nel 1984! Prima ve ne erano state, al massimo, una o due in un anno.
Per capire come sia stata possibile la forte ripresa delle esecuzioni capitali negli Stati Uniti occorre certamente tener conto delle caratteristiche della cultura americana. Ma possiamo intanto osservare che è mancata la testimonianza positiva degli intellettuali, degli esponenti politici e religiosi, dei media… nel momento in cui il tornaconto politico a breve termine indusse i candidati alle cariche amministrative, politiche o giudiziarie a cavalcare lo spettro della pena capitale per rispondere alle richieste irrazionali degli elettori spaventati da un incremento massiccio della criminalità.
E’ certo però che la ripresa delle esecuzioni negli USA è stata una malaugurata deviazione dal cammino comune dei paesi occidentali verso l’abolizione definitiva della pena di morte.
Per di più, dato il ruolo giuocato dagli Stati Uniti sullo scenario internazionale, la posizione degli USA, insieme a quella del colosso cinese, oppone un momentaneo formidabile ostacolo al processo abolizionista che sta andando avanti robustamente in tutte le parti del mondo.
Come abbiamo dimostrato nel numero precedente (pag. 2), negli Stati Uniti il momento peggiore sembra essere comunque passato. Dopo l’acme raggiunto nel 1999, si sta verificando una netta inversione di tendenza. La presa di coscienza degli ‘opinion leader’ e dei legislatori americani, correggendo gli aspetti più aberranti dell’uso della pena capitale, pone le premesse per una riflessione sulla pena di morte in sé e per sé.
In questi mesi i giornali americani locali, non solo i grandi giornali nazionali come il Washington Post e il New York Times, sono diventati estremamente critici nei riguardi dell’uso della pena di morte di cui sempre più frequentemente, con ricerche e con editoriali, denunciano l’ingiustizia e l’orrore.
Quest’anno per la prima volta si assisterà al passaggio di un consistente numero di leggi che restringono l’uso della pena di morte e ne eliminano gli aspetti più criticabili. Ciò costituisce senz’altro un passo in avanti ma, come abbiamo detto, può essere anche visto come un ripiegamento dei sostenitori della pena di morte su posizioni meno esposte alle critiche per ritardarne la definitiva abolizione.
In ogni caso gli americani si accorgeranno presto che non è possibile rendere accettabile un mostro con una semplice operazione di maquillage.
La deviazione degli Stati Uniti dal cammino comune dei paesi occidentali è cominciata esattamente venticinque anni fa. Dovesse durare altri cinque anni, trent’anni di ritardo nell’abolizione della pena di morte, confrontati ai tempi in cui matura la civiltà umana, possono sembrare un periodo brevissimo. Tuttavia per i 3711 ospiti dei bracci della morte di 38 stati un anno può essere lungo un’eternità.
11) UCCISO TRE VOLTE UNO SCHIZOFRENICO
“Pena crudele ed inusuale” contraria all’Ottavo emendamento della Costituzione USA, così un avvocato d’ufficio dell’Ohio, negli ultimi ricorsi, ha definito la pena di morte per Jay D. Scott. Il tentativo di far dichiarare incostituzionale l’esecuzione della sentenza nei riguardi di Scott è stata un’estrema mossa difensiva che non ha trovato eco in nessuna delle corti. L’ultima chance che rimaneva al condannato sofferente di schizofrenia era quella di essere talmente fuori di testa all’inizio della terza procedura di esecuzione nell’arco di due mesi da non comprendere ciò che stava accadendo. Ciò non è avvenuto ed egli è stato ucciso nel Centro di Correzione di Lucasville nell’Ohio il 14 giugno, dopo 17 anni passati nel braccio della morte.
Come non definire crudele il trattamento inflitto a Jay Scott che era giunto due volte a pochi minuti dalla somministrazione dell’iniezione letale – il 17 aprile e il 15 maggio – quando fu sospesa la procedura? E la seconda volta l’ordine di sospendere l’esecuzione arrivò dopo che gli erano stati inseriti gli aghi nelle vene. Certo crudele ma non inusuale, infatti sono moltissimi i casi in cui un condannato raggiunge una o più volte l’estremo limite del suo calvario, per essere salvato ed essere sottoposto di nuovo alla procedura di esecuzione. Magari ad un giorno di distanza, come accadde un anno fa in Florida a Thomas Provenzano, il detenuto che credeva di essere Gesù Cristo.
12) NOTIZIARIO
Cina – Esecuzioni a raffica ed espianto di organi. Mente prosegue la campagna “Colpire duro!” - con i suoi processi sommari e una grandine di esecuzioni precedute dalla meste esposizioni pubbliche dei condannati - il dott. Wang Guoqi, trasferitosi in America un anno fa, ha reso una testimonianza agghiacciante davanti alla Sottocommissione per i Diritti umani del Congresso degli Stati Uniti. Il 27 giugno Wang ha affermato di aver prelevato organi da oltre 100 cadaveri di giustiziati in Cina e di aver operato in tal modo anche su persone ancora viventi, vittime di esecuzioni intenzionalmente ‘mal riuscite’. Ha confermato così le ricorrenti denunce riguardanti dottori cinesi che, coordinandosi perfettamente con gli esecutori delle sentenze, prelevano organi e tessuti subito dopo le esecuzioni, in certi casi per realizzare profitti all’estero. Il 28 giugno il Governo USA ha fatto le sue rimostranze al Governo cinese. Il Governo cinese ha smentito seccamente la testimonianza del dott. Wang Guiqi.
Yemen – ‘Giustiziato’ con tre colpi di fucile nella schiena davanti a 50 mila spettatori il 20 giugno Mohammad Adam Omar, un sudanese accusato di aver ucciso due donne. In seguito un ufficiale gli ha sparato di punto in bianco un colpo in testa quando si è visto che non era ancora morto e che cominciava a muoversi. Prima di ‘giustiziare’ il condannato, era stato offerto alla grande folla lo spettacolo dell’inflizione di 80 frustate ad Omar per essere stato un consumatore di alcol.
Arabia Saudita – “Gli ho perdonato, per piacere ad Allah!” ha gridato il padre della vittima il 27 giugno nel momento in cui un soldato sfoderava la spada per decapitare il ventenne Jahwi Hussein Qasim Abubakr, condannato a morte per omicidio. Abubakr, graziato all’ultimo momento secondo la legge islamica, si è prostrato lodando Dio. VIENI A LAVORARE CON NOI
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Questo numero è stato chiuso il 30 giugno 2001.