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FOGLIO  DI COLLEGAMENTO  INTERNO

 

DEL COMITATO PAUL ROUGEAU

 

Numero  181 -  Giugno / Luglio 2010

Elena Kagan

SOMMARIO:  

 

1) Ucciso dallo stato del Texas il nostro amico Michael Perry             

2) “Questo è il mio momento di sanguinare” di Michael James Perry

3) Cronache di una fucilazione

4) Come da copione

5) Imminente in Texas l’esecuzione del nostro amico Peter Cantu

6) Graziata Gaile Owens dal governatore del Tennesse

7) Si è tenuta l’udienza sulle prove di innocenza per Troy Davis

8) Slitta la ripresa delle esecuzioni in California

9) Solo una tortora è ritornata di Fernando Eros Caro

10) Sperimentazione medica durante le torture praticate dalla CIA

11) Un anno di durissima repressione del dissenso in Iran

12) Se un giorno ci chiederanno

13) Eritrei maltrattati dai libici al confine della ‘fortezza Europa’

14) La Libia non è un paese per rifugiati  commento di Lucia Squillace

15) Dal verbale dell’Assemblea di Firenze del 6 giugno 2010

16) Notiziario: Afghanistan, Cina, Globale, Libia, Ohio, Russia, Sudan, Texas,        Usa

 

 

1) UCCISO DALLO STATO DEL TEXAS IL NOSTRO AMICO MICHAEL PERRY

 

Il 1° luglio è stato ‘giustiziato’ in Texas Michael Perry, un condannato seguito da alcuni amici italiani che lo hanno sostenuto ed hanno tentato di aiutarlo a scongiurare l’esecuzione. Con questi amici negli ultimi tempi ha collaborato anche il Comitato Paul Rougeau che, purtroppo, non ha potuto fare granché per aiutare Michael sul piano giudiziario. Michael Perry ha affrontato la morte con grande dignità perdonando tutti pur essendo convinto che si commettesse contro di lui un’atroce ingiustizia.

 

Il 1° luglio, come programmato, è stato ‘giustiziato’ in Texas il nostro amico Michael James Perry. Si è trattato dell’ultimo atto di un ben collaudato copione: Michael nasce da una madre alcolizzata, ha un’infanzia turbolenta da bambino adottato, soffre di gravi problemi psichici e di tossicodipendenza, mette in croce i genitori adottivi, entra ed esce da case di correzione, appena maggiorenne fa delle amicizie pericolose, viene coinvolto in un assurdo crimine di gruppo, la polizia ha buon gioco nel raccogliere contro di lui prove sufficienti per indurre una giuria di bravi cittadini texani a condannarlo a morte.

Inutili sono stati tutti i tentativi di aiutare Michael messi in atto dai suoi amici americani ed europei, tra cui il fraterno amico Marco Bragazzi di Latina (v. n. 178) e Andy De Paoli di Roma (che si è tanto adoperato per mantenere i contatti con i genitori adottivi di Michael e per stimolare i suoi avvocati). Inutili sono stati i ricorsi di emergenza inoltrati dagli avvocati difensori di Michael che, sia pure in extremis, sono riusciti a sollevare tangibili dubbi su come siano andate effettivamente le cose tra lui, il coimputato Jason Aaron Burkett, la ragazza di Burkett, Kristin Willis, e le tre disgraziatissime vittime.

Se non si fosse trattato del Texas, uno stato che ama fare inesorabilmente ‘giustizia’- non importa se si tratta di una giustizia sommaria - una corte o il potere esecutivo avrebbero potuto sospendere l’esecuzione fissata per il 1° luglio onde permettere di chiarire fino in fondo la vicenda che portò Perry nel braccio della morte nel 2003.

Infatti Michael fu condannato a morte per l’uccisione di Sandra Stotler, la cui unica ‘colpa’ fu quella di possedere un’affascinante auto sportiva Camaro, rossa fiammante. Oltre a Sandra, nei dintorni del 24 ottobre 2001, fu ucciso Adam Stotler, figlio sedicenne di Sandra, e il diciottenne Jeremy Richardson che si trovò insieme ad Adam quando la Camaro ed un’altra auto furono rubate. Michael nell’immediato rilasciò alla polizia una stupefacente dettagliatissima ‘confessione’ ma al processo ritrattò e da quel momento in poi ha sempre sostenuto di non aver ucciso la Stotler. Un testimone, reperito all’ultimo momento dall’avvocatessa Jessica Mederson, ha dichiarato di aver sentito in carcere Jason Burkett vantarsi di aver ucciso sia Sandra Stotler che le altre due vittime.

Nei giorni precedenti il 1° luglio i ricorsi di emergenza alle corti inferiori sono stati respinti e la Commissione per le Grazie del Texas ha raccomandato al Governatore di negare ogni forma di clemenza o di rinvio dell’esecuzione. L’avvocatessa Mederson, ingenuamente, aveva aggiunto una richiesta di sospendere l’esecuzione a motivo della recentissima morte del babbo adottivo di Micheal…

Infine, 90 minuti prima dell’esecuzione, la Corte Suprema federale ha annunciato di non voler considerare il caso di Perry.

Il 28-enne Michael Perry ha affrontato la morte con dignità riaffermando ancora una volta sul lettino dell’iniezione letale di essere innocente e di subire un’atroce ingiustizia. Alla domanda se volesse rilasciare un’ultima dichiarazione ha riposto: “Sì, voglio cominciare dicendo a tutti coloro che sono coinvolti in questa atrocità che sono da me perdonati. Mamma… [rivolgendosi alla madre adottiva presente, piange]. Sono pronto ad andare direttore. Vengo a casa papà, vengo a casa papà.”

Poco prima aveva parlato al telefono con Marco Bragazzi. “Era estremamente sereno... in pace.” Ha riferito Marco. “Mi ha detto: vi voglio bene, non preoccupatevi, tra poco sarò in Paradiso”... abbiamo avuto modo si scherzare addirittura sulla pesca... Quasi in ogni lettera parlavamo di andare a pescare assieme un giorno”.

 

 

2) “QUESTO È IL MIO MOMENTO DI SANGUINARE” di Michael James Perry

 

Due giorni prima di essere ucciso dallo stato del Texas, Michael James Perry ha scritto una nobile lettera di incoraggiamento ai suoi familiari e ai suoi sostenitori. Della lettera originale, che occupa sette pagine, riportiamo la traduzione delle parti più significative fatta da Grazia, omettendo i passi in cui Michael si rivolge personalmente a ciascuno dei suoi amici.

 

29 giugno 2010, ore 20,57

Alla mia famiglia, ai miei sostenitori, al mondo.

Non dimentichiamo mai l’Amore, la Luce, tanti tanti sorrisi... Tutti abbiamo condiviso queste cose tra noi o con altri nel mondo, una volta o l’altra. Perciò, non dimentichiamo i momenti belli. La vita è una battaglia, e come qualcuno ha scritto nella mia pagina web, “anche i guerrieri più forti sanguinano sul campo di battaglia...”. A quanto sembra, questo è il mio momento di sanguinare...

E così sia, ma le ferite guariscono. Forse non in questa vita, ma nella prossima, siate certi che le mie ferite, per orribili che siano, guariranno... io sarò felice accanto a mio padre, teniamolo a mente.

Ci sono moltissime persone che contribuiscono al bene del nostro mondo, e tuttavia noi focalizziamo l’attenzione sulle cose negative, sull’odio, sulla distruzione... Perché ciò accade? Quando apriamo il giornale, che cosa vediamo? Si parla solo di crimini, di maree di petrolio, di scandali, di guerre, ecc... Perché leggere tutto questo pessimismo??? Il pessimismo porta pessimismo, e così il mondo rimane in uno stato di cose negativo. Sì, credetemi, tantissime persone rendono bello il nostro mondo, io lo so... sono amico di molte di queste :) Una mia amica inglese poco tempo fa mi fece la lode più grande che abbia mai ricevuto, confrontandomi a Gandhi!!! Mi ricordò una sua famosa frase “Dovete diventare il cambiamento che volete vedere realizzarsi nel mondo”. Se volete cambiare questo mondo, […]  il cambiamento deve iniziare in voi stessi. […] 

Ho imparato molte cose mentre ero tenuto qui in ostaggio... ho imparato riguardo alla corruzione, che non esiste solo nei film, quando sono stato arrestato, picchiato e condannato a morte per un crimine che non ho commesso. Non è rilevante chi l’ha commesso, conta che NON SONO STATO IO. Così ho imparato molte cose nel giorno della mia condanna a morte...

Ho imparato riguardo all’amore incondizionato, quando mia madre e mio padre si schierarono al mio fianco, senza tener conto dei crimini orribili di cui ero accusato. Quando non sapevano che cosa credere, essi si affidarono a Dio e si limitarono ad amarmi.

Ho imparato riguardo alla FEDE, in quel giorno e in molti giorni a seguire, sempre dai miei genitori. Mio padre, che riposi in pace, mi raccontò un fatto... Mi disse che era andato in chiesa, poco dopo il mio arresto, e aveva parlato con il nostro pastore, che doveva essere Mike Lindstrom. Mio padre gli disse: “Mike, non so che cosa fare, mio figlio è accusato di un crimine mostruoso, ma anche se è colpevole, io lo amo, lo amo incondizionatamente”. Potete immaginare un simile amore? Sapete cosa gli rispose Mike? Gli disse: “Adesso sai cosa prova Dio... Dio ama ciascuno di noi indipendentemente da ciò che facciamo, e da quante volte agiamo male. Egli ci ama e basta”. L’amore di mia madre e di mio padre verso di me, è grande allo stesso modo. Loro mi hanno insegnato ad avere fede con il loro esempio.

Ho imparato riguardo al braccio della morte del Texas, mentre ero tenuto qui in ostaggio... ho capito che è falsamente descritto, che i politici tengono il pubblico all’oscuro di molte cose. Che, per esempio, costa meno condannare una persona all’ergastolo, piuttosto che giustiziarla, che i contribuenti sprecano il denaro che viene speso qui, che quando il braccio della morte era alla Ellis Unit di Huntsville e i condannati avevano accesso a taglierine, a rasoi e ad altri pericolosi strumenti di lavoro, ci furono meno incidenti dovuti alla violenza rispetto a quelli che accadevano negli altri settori del carcere. Nessuna guardia carceraria del braccio della morte, a quanto mi risulta, è mai stata assassinata, all’epoca in cui il braccio della morte era aperto... tuttavia noi siamo troppo pericolosi e quindi dobbiamo essere macellati, come cani arrabbiati!

Ho imparato che i condannati qui dentro hanno un cuore altrettanto grande, se non più grande, della maggioranza delle persone che ho incontrato quando ero libero. Non lasciano che qualcuno abbia fame, non permettono a nessuno di essere tagliato fuori, non permettono che uno si senta triste o abbandonato, e se hai bisogno di qualcosa, hai solo da chiederla... Mi ha colpito molto tutto questo. Non ero ancora rinchiuso nel braccio della morte da mezz’ora, che già altri ragazzi mi mandarono sapone, dentifricio, cibo, vestiario, ecc. […]  Mai una volta mi chiesero indietro qualcosa o qualcosa in cambio. Questi sono i mostri che vogliono macellare! […]  

Ho imparato cosa si provi ad avere VERI amici, persone che mi vogliono bene. Quale onore sia avere persone così straordinarie che si battono al mio fianco, lottando per salvami la vita. La straordinaria sensazione che provo quando qualcuno mi scrive e mi dice: “Sii forte, Michael, noi crediamo in te!!!” Quale onore sia avere tante persone, che vivono lontane nel mondo, che mi dicono che credono in me, che stanno lottando e pregando per me, e che io ho toccato cambiando le loro vite! E’ un valore incalcolabile, avere delle persone che viaggiano per 5.000 miglia, solo per trascorrere poche ore con me, stando dietro ad un vetro, a parlare attraverso un citofono! Potete immaginarlo? Persone che probabilmente non potrebbero neppure permettersi simili spese, ma che ti vogliono talmente bene, che lo fanno comunque... è VERA amicizia, ho imparato cosa sia la VERA amicizia.

Ho provato che cosa voglia dire perdere qualcuno che ami e che rispetti più di ogni altra persona sulla terra... il dolore di perdere mio padre. Il più grande uomo che io abbia mai incontrato. Il dolore di renderti conto del significato della famosa frase: “non sai mai quale bene tu possiedi fino a quando non lo hai perduto...”. Era tante cose per me, mio padre... un modello, un amico, un insegnante, un assistente spirituale per la mia fede, un allenatore, una roccia a cui aggrapparmi quando non ero in grado di reggermi da solo, un protettore, un angelo custode. Mio padre era per me tantissime cose e ancora infinite altre. Commuoveva tutti quelli che venivano in contatto con lui. Ho conosciuto questa sofferenza, in un modo molto concreto. Ho perso il mio compagno spirituale, il più grande uomo della amia vita. Ho conosciuto il dolore e la perdita, mentre ero tenuto qui in ostaggio…

Ho imparato riguardo alla forza. Ho imparato cosa significhi realmente il detto “i veri uomini piangono”. Che le lacrime non sono un segno di debolezza, ma sono segni di svariate forme di coraggio. Il posto in cui sono prigioniero non è un luogo in cui molti piangono in pubblico, ma coloro che lo fanno, sono gli uomini più forti qui dentro, secondo me. Ho imparato riguardo alla compassione, alla misura della tua fede in Colui che ha creato tutto. Ho imparato cosa significhi preoccuparsi davvero di tutte le creature, di tutto il creato. Una mia cara amica inglese mi ha insegnato queste cose poco tempo fa, ed è stata un’esperienza molto profonda. Si può solo vivere nel presente e quindi SOLO TU puoi modificare il TUO presente. Ha senso creare apposta un presente negativo? Perciò sorridete, ridete, abbracciate, saltate di gioia e battete i tacchi in aria! Non siate tristi, non siate depressi, arrabbiati, inferociti, nervosi, frustrati, o qualsiasi cosa che voglia Satana per diffondere pessimismo. Create il vostro presente, come mi ha insegnato il mio amico Dazza, e fate che il vostro presente sia positivo, e volete sapere una cosa? Voi contagerete tutti intorno a voi, affinché creino il loro presente positivo a loro volta. Siate il cambiamento che volete vedere negli altri, nel mondo, come ho detto prima.

Ho imparato riguardo al perdono, e all’importanza di restare uniti alla propria famiglia. E’ un’altra lezione che ho appreso recentemente. Vedere i miei cari mi ha procurato tanta gioia in questi ultimi giorni, che mi è difficile esprimerla. Constatare quanto siano cresciuti i miei cugini, il legame tra mia zia e mia madre, come mio fratello sia diventato una brava persona, qualcuno che sono fiero sia mio fratello... e vedere mia madre... […] 

Immagino infine di aver imparato che cosa significhi essere in pace, in pace completa con la vita, e con la probabile morte. Non ho alcuna paura, alcuna preoccupazione. Non è possibile non avere rimpianti, sarebbe una cosa pazzesca! Tuttavia sono in pace con me stesso. Oggi sono un uomo molto migliore di come ero nell’ottobre 2001. Adesso sono un UOMO, mentre allora ero un bambino che credeva di essere un uomo. Sono un uomo molto migliore, grazie a tutti coloro che hanno benedetto la mia vita con tanti doni! Prima di tutto e soprattutto, il mio Padre celeste, che rende tutto possibile! Poi per il mio padre terreno, che oramai può leggere direttamente nel mio cuore, le parole non sono sufficienti… Mamma, ti chiedo scusa di tutto il dolore che ti ho costretta ad affrontare, non me ne rendevo conto… […] 

Questi saluti dureranno per sempre, vero? E mi rendo conto che se dimentico qualcuno, questi ne soffrirà, e non voglio che ciò accada. Devo per forza riassumere, non ho abbastanza tempo, ho avuto tantissime persone meravigliose nella mia vita, non posso citarle tutte! […] 

La storia è fatta di momenti cruciali, momenti che cambiano le vite, che influenzano molte persone nel loro modo di guardare alla vita. Ma cosa trasforma un momento qualsiasi in un momento cruciale? Noi possiamo scegliere quando compiere una trasformazione, e quella trasformazione può contagiare altri. Chiedo a tutti voi di trasformare l’assassinio che commetteranno su di me, nel momento cruciale che cambi la vostra vita e che trasmetta dei cambiamenti. Facendo così, combatterete lo stato e tutti coloro che hanno odio nel cuore, e vincerete. Questo darà alla mia vita, e alla mia morte, un significato molto maggiore. Ogni persona che verrà toccata e trasformata, in modo positivo, dalla mia morte, sarà un miracolo creato da questa situazione. Ho avuto gli avvocati migliori che potessi mai immaginare, sono sostenuto dalla mia famiglia, dai migliori amici, e sono innocente, con le prove che GRIDANO questa evidenza. Quindi che cosa significa ciò? Significa che è la mia ora, significa che Dio sta cercando di ottenere una vittoria, sta cercando di cambiare il mondo, di usare me e la mia situazione come un esempio. Chi siamo noi per discutere con LUI? Se LUI dice che è la mia ora, allora è la mia ora […] 

Sono qui seduto, alle undici di sera, il giorno 29. Ho meno di due giorni di vita ancora davanti a me, e sto sorridendo, provo gioia nel cuore! Vi garantisco che può accadere a ciascuno di voi! Ed è davvero una sensazione gioiosa e stupenda! Ho avuto tante esperienze, buone e cattive: ho vissuto in una buona casa, ho vissuto del tutto senza casa, sono stato amato, ho subito abusi sessuali, ma non ho mai provato nulla di simile a ciò che provo oggi, in questo momento! E voglio davvero abbracciare ciascuno di voi nel mondo e dirvi: vi amo! Sorridete! Siate felici! Perché no? Dovete scegliere voi come sentirvi! I tempi sono duri, ma, al diavolo, sto affrontando l’omicidio che commetteranno su di me! Non possiamo permettere alla rabbia derivante da cose che non possiamo cambiare di afferrarci […] 

Cercate di capire che non solo potete cambiare voi stessi, ma potete usare il vostro cambiamento per aiutare gli altri a cambiare! Ma deve partire da VOI, esatto, da VOI! Guardate mentre mi assassinano e dite, non è giusto! I politici, i giudici, ecc. in Texas, nel mondo, devono capire questo, e pregate per loro, mandate loro un po’ di amore, e aiutateli a cambiare in meglio... non urlate contro di loro, non malediteli, non pensate male di loro, perché ciò sarebbe controproducente. […] 

Non sto abbandonando la lotta, sto per essere riunito a mio padre, e lui mi insegnerà ad andare in barca a vela in paradiso, e io gli insegnerò a giocare a calcio! E insieme, vi aiuteremo a portare gioia e amore in questo mondo che ne ha così bisogno! Potrò fare di più dal paradiso di quanto possa fare da qui, miei cari amici! Non siate tristi, ma gioite! Vi amo tutti, non scordatelo...

Adesso concludo questa lettera, ma sappiate che, SE verrà la mia ora, alle 6 del pomeriggio del primo luglio, camminerò verso la mia morte a testa alta, con gli occhi rivolti al cielo e un sorriso sulle labbra e nel cuore! Non possono derubarmi del mio sorriso, né della mia pace! Solo del mio corpo!

Con il cuore, continuando a battermi, resto con voi!

Michael James Perry

9 aprile 1982 – 1° luglio 2010

 

 

3) CRONACHE DI UNA FUCILAZIONE

 

Le autorità carcerarie dello Utah hanno fatto di tutto per far apparire clinica ed asettica la truculenta uccisione di Ronnie Lee Gardner, fucilato il 18 giugno. Con tutto ciò è indubbio che quello stato desertico e roccioso, normalmente ignorato dalle cronache, ne abbia riportato un danno di immagine.

 

Fin dal 23 aprile, quando è stata programmata la sua fucilazione, Ronnie Lee Gardner, condannato a morte nello Utah, è stato al centro di un parossistico interesse mediatico.  Mentre uscivano decine di articoli e di servizi radio e TV dedicati al suo caso, le autorità carcerarie si sono rifiutate di permettergli di rilasciare interviste. Gli è stato perfino negato il permesso di rilasciare un’intervista a Larry King, il giornalista televisivo più noto al mondo. “Per ragioni di sicurezza” hanno detto le autorità, “e per rispetto delle sue vittime” hanno aggiunto. Ma forse anche per limitare il danno di immagine subito dallo Utah – uno stato desertico e roccioso normalmente ignorato dalle cronache - in conseguenza della scelta di Gardner di essere ucciso con il truculento metodo della fucilazione (v. n. 179).

Ronnie Gardner ha testimoniato nel corso dell’udienza di due giorni tenuta dalla Commissione per le Grazie dello Utah una settimana prima dell’esecuzione, in cui si sono ascoltate numerose voci pro e contro di lui. Nel corso di una lunga audizione gli è sfuggito di essere favorevole alla pena di morte, si è commosso e ha chiesto clemenza per le attenuanti costituite dalle gravi difficoltà e dalle malattie patite nell’infanzia (*). Gardner ha chiesto pietà anche perché in carcere era cambiato, perché negli ultimi anni non gli erano state contestate mancanze disciplinari di rilevo e inoltre perché intendeva aiutare suo fratello in un’attività educativa per recuperare giovani in difficoltà. Dal canto suo il fratello Randy ha dichiarato di possedere un fondo nel quale intende far svolgere ai ragazzi attività di agricoltura biologica. Randy ha detto di sperare che Ronnie venisse risparmiato in modo da potersi giovare in futuro della sua collaborazione. Ronnie infatti aveva studiato e nel braccio della morte si era fatto una cultura sulla coltivazione biologica.

La Commissione ha rigettato all’unanimità la domanda di clemenza ma gli avvocati di Gardner – seguiti passo passo dai media – si sono battuti fino all’ultimo avanzando una serie di ricorsi e ogni possibile argomento per tentare di salvargli la vita.

Niente da fare: lo Utah, che pure è uno stato che utilizza poco al pena di morte ed ha compiuto solo 6 esecuzioni dagli anni Settanta, ha fucilato Ronnie Gardner il 18 giugno come programmato.

Qualcuno tra i nove giornalisti ammessi tra i testimoni della fucilazione, ha descritto minuziosamente ogni dettaglio del macabro avvenimento. A ciò che abbiamo detto nel numero 179, aggiungiamo soltanto che la messa in scena è stata tale da nascondere quasi perfettamente l’abbondante flusso di sangue dal petto del condannato e che Gardner ha agonizzato, stringendo a tratti il pugno sinistro per fronteggiare il dolore, per due lunghissimi minuti. Poi gli è stato tolto il cappuccio nero per la costatazione del decesso; il suo volto è apparso terreo, con la bocca spalancata.

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(*) V. articolo seguente.

 

 

4) COME DA COPIONE

 

La tragica e disgraziata vicenda di Ronnie Lee Gardner, finita nella camera della morte del’Utah il 18 giugno 2010, è sorprendentemente simile a quelle di tanti altri condannati a morte statunitensi (v. ad es. il primo articolo di questo numero su Michael Perry e, nel n. precedente, la storia di Kevin Varga).

 

Ronnie Lee Gardner nasce il 16 gennaio 1961 nella capitale dello Utah, Salt Lake City.

La sua famiglia è molto povera, sua madre lo trascura gravemente.

A 4 anni si ammala di meningite.

Tra i 5 e i 6 anni subisce abusi sessuali ed ha i primi contatti con la droga.

A 11 anni presenta gravi difficoltà di carattere tali da giustificare una valutazione psichiatrica.

Quando ha 16 anni nasce sua figlia.

Quando ha 19 anni nasce suo figlio e due settimane dopo è in prigione per rapina.

A 20 anni evade insieme ad un altro detenuto, aggredisce l’uomo che trova a letto con la sua ragazza e rimedia una pallottola nel collo; è di nuovo arrestato.

A 23 anni, durante una visita medica all’esterno del carcere, riesce a sopraffare un agente, gli prende la pistola e scappa con un ostaggio; latitante, uccide tale Melvyn Otterstrom nel corso di una rapina.

A 24 anni, mentre si trova in un’aula di giustizia a causa dell’omicidio Otterstrom, si fa passare una pistola da una donna, con questa uccide un avvocato e ferisce gravemente un usciere nel tentativo di evadere; sei mesi dopo viene condannato a morte per i crimini commessi in tribunale.

Il 18 giugno 2010, all’età di 49 anni, viene ucciso, con quattro proiettili nel cuore, dallo stato dello Utah.

5) IMMINENTE IN TEXAS L’ESECUZIONE DEL NOSTRO AMICO PETER CANTU

 

Peter Cantu aveva appena compiuto 18 anni quando fu coinvolto in un atroce crimine di gruppo compiuto da giovanissimi. E’ profondamente cambiato nei 16 anni che ha passato nel braccio della morte del Texas: lo testimonia la sua e nostra amica Elena Gaita. Tuttavia lo stato si prepara a ‘giustiziarlo’ il 17 agosto.  I lettori che non lo hanno già fatto sono invitati a partecipare alla petizione per salvare Peter.

 

Peter Anthony Cantu e' un texano di 35 anni di origini ispaniche, detenuto da oltre 16 anni nel braccio della morte del Texas. Peter e' stato arrestato a Houston nel 1993, all’eta' di 18 anni appena compiuti, insieme ad altri cinque ragazzi, e successivamente condannato a morte per aver partecipato allo stupro e all’omicidio di due ragazze, Jennifer Ertman e Elizabeth Peña.

Il caso di Peter, che ha avuto una enorme risonanza mediatica, è stato uno dei pochissimi casi in cui ben cinque persone sono state condannate a morte per lo stesso crimine (tutti ragazzi giovanissimi). Due complici di Peter sono stati già uccisi, compreso il messicano José Medellín che fu condannato a morte in violazione del Trattato di Vienna sulle Relazioni Consolari (v. ad es. nn. 160, 162). Due altri complici hanno avuto salva la vita nel 2005 quando la Corte Suprema degli Stati Uniti dichiarò incostituzionale la pena di morte per i minorenni all’epoca del crimine (*).

Peter è profondamente cambiato negli anni, lungo un percorso di redenzione, come testimonia la nostra amica Elena Gaita. Purtroppo, la data di esecuzione di Peter rimane fissata per il prossimo 17 agosto ed Elena ha già comprato il biglietto aereo per andar a rendere un’ultima visita a Peter.

Se l’esecuzione di Peter procederà, vorrà dire che la società avrà deciso di negare a colui che 16 anni orsono era un ragazzo immaturo e irresponsabile, la possibilità di redimersi e di ricostruire la propria esistenza e il proprio rapporto con  la collettività.

Uccidere Peter significherebbe non voler concedere alcuna possibilità ad un ragazzo che, dopo aver commesso un crimine atroce a 18 anni ed essere entrato in carcere nel 1993, non esiste più. Al suo posto vi è, infatti, una persona nuova che ha intrapreso un lungo e proficuo cammino di sviluppo interiore. Vorrà dire che alla cosiddetta “giustizia” non interessa credere, difendere e sostenere quanto di migliore può esserci nella natura umana, ma semplicemente sopprimere chi ha sbagliato.

I partecipanti alla mailing list del Comitato Paul Rougeau hanno già ricevuto due volte l’invito a sottoscrivere la petizione - preparata da Elena Gaita con la consulenza dell’avvocato di Peter Cantu - che chiede di commutare in ergastolo la sentenza di morte di Peter. Se qualcuno dei lettori non l’ha ancora sottoscritta, può farlo ora accedendo SUBITO al seguente link. Si tratta di inserire sotto al testo della petizione Nome e Cognome e indirizzo e-mail e cliccare su SIGN!; è possibile utilizzare lo stesso indirizzo e-mail per l’inserimento di altri sottoscrittori.

http://www.ipetitions.com/petition/petercantu/

N. B. Non è il caso di fare il versamento di 10 dollari che il sito propone subito dopo la sottoscrizione.

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(*) Dei sei criminali, tre erano minorenni e tre avevano 18 anni.  Sean Derrick O’Brien, fu il primo a es­sere ‘giustiziato’, l’11 luglio 2006.  José Ernesto Medellín fu messo a morte il 5 agosto 2008. Le condanne a morte di Efrain Perez e Raul Villarreal, minorenni all’epoca dei fatti, furono commutate in ergastolo. Venancio Medellin aveva solo 14 anni al momento del crimine e fu condannato a 40 anni di carcere.

 

 

6) GRAZIATA GAILE OWENS DAL GOVERNATORE DEL TENNESSE

 

Gaile Owens, condannata a morte in Tennessee per aver fatto uccidere il marito che la maltrattava, doveva ricevere l’iniezione letale il 28 settembre. Al termine di una forte mobilitazione in favore della donna, il governatore Phil Bredesen ha deciso di commutare la sentenza di morte della Owens in carcere a vita con possibilità di liberazione sulla parola.  

 

In uno dei rarissimi casi in cui il potere esecutivo si muove in favore di un condannato alla pena capitale negli USA, il governatore del Tennessee Phil Bredesen ha graziato Gaile Owens, la donna condannata a morte nel 1986 per aver commissionato l’uccisione del marito che la maltrattava. La decisione governatoriale è giunta al culmine di una massiccia mobilitazione in favore della donna maltrattata.

La Owen era caduta in un pasticcio ordito dall’accusa, che aveva patteggiato con lei un’ammissione di colpevolezza in cambio di una pena detentiva ed aveva poi chiesto la pena capitale.

Giunta alla fine del suo iter giudiziario Gaile Owens doveva morire per iniezione letale il 28 settembre anche se in Tennessee altre donne colpevoli di un delitto del tutto simile al suo avevano ricevuto condanne minori od irrisorie (v. nn. 176, 177, 179).  

Phil Bredesen il 14 luglio, nel disporre la clemenza esecutiva per Gaile Owens, ha dichiarato tra l’altro: “La signora Owens è rea di omicidio di primo grado. Ha accettato tale responsabilità. In Tennessee quasi tutti i casi similari si sono conclusi negli anni con una condanna a vita, e, in base a tali considerazioni, ritengo che questo sia un caso in cui la pena di morte non è appropriata, ed è invece appropriata una condanna a vita.”

“Per quanto non possa in nessun modo scusare l’organizzazione di un omicidio,” ha osservato Bredesen, “la possibilità di abusi e di condizioni psicologiche che possono risultare dagli abusi mi sembrano per lo meno un fattore tale da influire sulla severità della pena.”

Il Governatore Phil Bredesen, oltre alla commutazione, ha disposto alcuni alleggerimenti della pena e così la Owens potrà tentare di conseguire la liberazione sulla parola tra due anni, dopo aver passato oltre un quarto di secolo in prigione. In mancanza del provvedimento di clemenza, Gaile Owens sarebbe stata, con tutta probabilità, la prima donna ad essere messa a morte in Tennessee dopo il 1820.

 

 

7) SI È TENUTA L’UDIENZA SULLE PROVE DI INNOCENZA PER TROY DAVIS

 

Si è tenuta nei giorni 23 e 24 giugno un’udienza sulle prove di innocenza di un condannato a morte, evento più unico che raro negli Stati Uniti. A parere dei commentatori l’udienza è andata bene, ma non nel migliore dei modi, per Troy Davis, il condannato a morte più famoso degli Stati Uniti.

 

L’udienza sulle prove di innocenza di Troy Davis, il più famoso condannato a morte degli Stati Uniti, inizialmente programmata per il 30 giugno, si è tenuta nei giorni 23 e 24 giugno a Savannah in Georgia.

Ricordiamo che l’udienza era stata disposta il 17 agosto del 2009 dalla Corte Suprema federale: la massima corte aveva ordinato al giudice della corte federale distrettuale competente, William T. Moore Jr., di ascoltare le testimonianze ed esaminare le altre prove per verificare se Troy Davis è ora in grado di “dimostrare chiaramente” la sua innocenza (v. n. 171).

Si è trattato di un evento del tutto eccezionale, unico nella storia moderna della pena di morte americana, conseguito all’impegno spasmodico degli avvocati difensori e alla mobilitazione di Amnesty International USA che ha giocato il massimo puntando su Troy Davis, già arrivato tre volte sulla soglia dell’esecuzione.

A sfavore di Davis gioca la difficoltà del compito imposto ai suoi avvocati ed anche una questione quantitativa: se lui vince, il suo caso può costituire un precedente per numerosi altri casi capitali provocando, di conseguenza, un gran numero di nuovi appelli.

Dunque il  23 giugno hanno deposto quattro persone che accusarono Davis nel corso del processo del 1991; tutte hanno dichiarato che le loro affermazioni di allora non erano veritiere (altri due testimoni hanno anch’essi ritrattato ma sono morti nel frattempo).

Antoine Williams, che al processo disse di aver visto Troy Davis sparare all’agente Mark Allen MacPhail e ucciderlo, ha affermato che al momento del crimine era troppo spaventato per vedere chi sparava e che depose contro Davis solo perché l’accusa gli chiese di identificarlo come lo sparatore. 

Kevin McQueen e Jeffrey Sapp al processo dissero che Davis confessò loro di aver ucciso MacPhail ed ora hanno affermato che ciò non avvenne mai. Sapp ha aggiunto che fu minacciato e ricattato dalla polizia, lui che era uno spacciatore di droga, affinché testimoniasse contro Davis.

Darrell Collins, che fu sulla scena del crimine, ha affermato ora che la maggior parte di ciò che disse al processo era falso.

Le avvocatesse dell’accusa, Beth Attaway Burton e Susan Boleyn, hanno contestato ciascuna delle quattro deposizioni ed hanno sottolineato che McQueen, Sapp e Collins avevano precedenti penali, per screditarli (evidentemente tali precedenti non impedirono alla giuria di credere ai tre durante il processo di Davis).

Il giorno 24 hanno deposto l’ex accusatore distrettuale Spencer Lawton e il suo vice David Lock assicurando che loro al processo contro Davis non hanno in nessun caso suggerito ad un testimone quello che doveva dire e che non hanno mai sentito i testimoni accennare a pressioni fatte dalla polizia.

Hanno anche testimoniato nove poliziotti che investigarono il caso in cui fu coinvolto Troy Davis ribadendo la correttezza del loro operato. Il tenente Gregory Ramsey, che diresse le indagini, ha negato di aver suggerito alcunché ai testimoni. “Preferisco che il colpevole sfugga centinaia di volte” piuttosto che incriminare la persona sbagliata, ha assicurato Ramsey.

Il giudice Moore si è opposto alla presentazione delle testimonianze di sei persone che affermano di aver sentito uno dei due testimoni a carico che non hanno ritrattato, Sylvester "Redd" Coles, affermare di essere stato lui ad uccidere l’agente MacPhail. Il divieto del giudice è conseguenza del fatto che gli avvocati di Davis non hanno chiamato lo stesso Coles a deporre. Moore ha stigmatizzato la scelta della difesa e questa ha cercato di porvi rimedio chiedendo in tutta fretta  un mandato di comparizione per Coles. Troppo tardi, secondo Moore.

Gli esperti dicono che ciò costituisce una sconfitta per gli avvocati difensori così come l’omissione della difesa di citare altri cinque testimoni minori che al processo deposero per l’accusa.

Nelle loro arringhe finali gli avvocati della difesa e dell’accusa hanno sostenuto tesi diametralmente opposte. Per i primi è ormai chiaro che Davis è innocente, per i secondi è invece chiaro che la difesa non è stata in grado di farsi carico del pesante onere dettato dalla Corte Suprema: “stabilire chiaramente l’innocenza”. 

Alla fine delle audizioni il giudice William T. Moore ha posto il limite del 7 luglio agli avvocati della difesa e dell’accusa per presentare per iscritto i loro pareri su che cosa si debba intendere per ‘stabilire chiaramente l’innocenza’. Dopo di ciò lui deciderà. Pro o contro Davis. I commentatori si aspettano una decisione nel’arco di alcune settimane anche se il giudice Moore non ha voluto dire quanto tempo si riserva per decidere.

Se il giudice sentenzierà che Davis ha “chiaramente stabilito la sua innocenza”  potrebbero essere annullate sia la sentenza di colpevolezza che la sentenza di morte che furono pronunciate nel 1991, oppure cassata solo la sentenza di morte. 

Nell’evenienza di un successo di Davis rimarrebbe all’accusa la possibilità di appellare la decisone di Moore oppure –  ma solo in teoria - la possibilità di processare Davis daccapo.

In caso contrario Davis sarà di nuovo a rischio di ricevere una data di esecuzione.  Sarebbe la quarta volta. Al condannato rimarrebbe tuttavia la possibilità di chiedere una sospensione per appellare la sentenza di Moore ed anche perché rimane in piedi un altro appello di Davis alla Corte Suprema degli Stati Uniti, che verrà discusso in autunno.

 

 

8) SLITTA LA RIPRESA DELLE ESECUZIONI IN CALIFORNIA

 

Un oscuro ufficio statale ha bocciato la nuova procedura per l’iniezione letale, messa a punto in California per assicurare che i condannati a morte non rischino di soffrire una pena ‘crudele ed inusuale’ e quindi contraria alla Costituzione USA. La mossa dell’Office of Administrative Law ha sorpreso tutti suscitando il plauso degli abolizionisti che vedono allontanarsi la ripresa delle esecuzioni capitali in California sospese fin dal 2006 dal giudice federale Jeremy Fogel.

 

Il 5 gennaio, quando fu resa nota la nuova procedura per l’iniezione letale stabilita dal Dipartimento di Correzione e Riabilitazione della California (CDCR), gli abolizionisti temettero che le esecuzioni, sospese da oltre quatto anni, potessero riprendere a breve, addirittura nel giro di pochi mesi (v. n. 177, “Volge al termine…”)

A sorpresa, l’8 giugno l’ufficio statale californiano per la legge amministrativa (Office of Administrative Law) ha respinto la nuova procedura, evidenziandone numerosi punti in contrasto con le leggi della California. Per esempio: le leggi stabiliscono quali debbano essere i testimoni di un’esecuzione senza far riferimento a giornalisti e la nuova procedura ne prevede la presenza (*)

L’intervento dell’Office of Administrative Law, un oscuro ente che ha il compito di verificare che le agenzie statali seguano appropriate procedure nell’emanare i propri regolamenti, ha suscitato il plauso degli abolizionisti.

Al Dipartimento di Correzione e Riabilitazione sono stati concessi 120 giorni per correggere la procedura. Durante questo periodo potranno essere di nuovo inviati all’Amministrazione i commenti del pubblico  (ce ne sono stati già 8.000 lo scorso anno mentre veniva messa a punto la nuove procedura ora bloccata).  Le correzioni saranno sottoposte al vaglio dell’Office of Administrative Law all’inizio di ottobre. Nel frattempo le esecuzioni, sospese nel 2006 dal giudice federale Jeremy Fogel, non potranno riprendere.

Ricordiamo che – nel pieno delle polemiche sul metodo dell’iniezione letale - il giudice Fogel ordinò all’amministrazione di Arnold Schwarzenegger di emendare la procedura allora in vigore in California per eliminare la possibilità che i condannati a morte potessero essere sottoposti a sofferenze tali da rendere  la pena ‘crudele e inusuale’ e quindi contraria alla Costituzione USA.

In seguito a ciò il Dipartimento di Correzione e di Riabilitazione costruì una nuova camera della morte a San Quentin, migliorò  il programma di addestramento degli addetti alle esecuzioni e riscrisse il protocollo di esecuzione (pur senza discostarsi apprezzabilmente da quello in vigore fino al 2006). Per fortuna tutto ciò non è stato sufficiente.

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(*) Rappresentati dei media sono stati ammessi alle 13 esecuzioni compiute dalla California a partire dal 1976

 

 

9) SOLO UNA TORTORA È RITORNATA di Fernando Eros Caro

 

Fernando Eros Caro, nostro corrispondente dal braccio della morte di San Quentin in California, ci parla con autentica partecipazione e grande sincerità di profondi sentimenti in una coppia di tortore.

 

Ieri sono salito sulla terrazza dove si trova il nostro spazio di ricreazione, ed era una giornata stupenda, piena di sole. Noi non possiamo stare molto tempo esposti al sole, quindi ho cercato di godere intensamente del suo calore.

Durante il tempo che trascorsi all’aperto, ossia per circa due ore e mezza, continuai a sentire il tubare di una tortora. Di una sola tortora.

Negli ultimi anni, una coppia di tortore era comparsa nel nostro cortile e aveva costruito il nido, proprio sotto al tetto. Noi non le disturbammo in alcun modo perché era una tale meraviglia vedere le nuove vite nascere, e poi volare via libere.

Circa un mese e mezzo fa, dopo l’inizio della nostra primavera, solo una tortora è ritornata. Ci aspettavamo che l’altra tortora arrivasse da un giorno all’altro. Invece, ogni volta che salivo al cortile, continuavo a vedere una sola tortora. La sentivo chiamare la sua compagna, ma non c’era risposta. La compagna di questa tortora non è arrivata, e non è stato costruito nessun nido. Si può soltanto immaginare che la compagna non sia sopravvissuta e quindi non abbia potuto presentarsi al loro appuntamento.

Tuttavia, la tortora rimasta continua a farsi vedere e a tubare. Non si può fare a  meno di ammirare l’amore, la fedeltà e la determinazione dell’una per l’altra!

Ritengo che questi sentimenti possano essere affidati, come un lascito, a noi condannati a morte. La speranza e la determinazione che tutti abbiamo nel nostro animo ci permettono di tirare avanti, almeno ancora per un giorno. (Trad. di Grazia Guaschino)

10) SPERIMENTAZIONE MEDICA DURANTE LE TORTURE PRATICATE DALLA CIA

 

Un ‘libro bianco’ contesta ai sanitari statunitensi che hanno partecipato a centinaia di sedute di tortura, tenute dalla C. I. A. ai danni di sospetti ‘nemici combattenti’ nella ‘guerra al terrore’, di aver violato l’etica professionale per aver fatto sperimentazione medica senza il prescritto consenso dei ‘pazienti’… A noi i fatti narrati il libro bianco redatto da Physicians for Human Rights fanno venire la nausea anche a prescindere dal comportamento di medici, psicologi e  infermieri che partecipavano alle torture.

 

L’organizzazione Physicians for Human Rights - PHR (Medici per i Diritti Umani) (1) ha pubblicato il 7 giugno un ‘libro bianco’ di 30 pagine intitolato Experiments in Torture (2). Nel documento vengono mosse gravi accuse di violazione dell’etica medica ai professionisti sanitari coinvolti negli interrogatori fatti dalla C. I. A. ai prigionieri cosiddetti “di alto valore”, catturati nel corso della ‘guerra al terrore’(3).

In effetti, i medici, gli psicologi e gli altri specialisti che ebbero l’incarico di monitorare l’uso da parte della C. I. A. di modalità di interrogatorio quali il “waterboarding” (annegamento interrotto), la privazione dal sonno, l’esposizione a temperature estreme, la nudità forzata, l’isolamento prolungato ed altri ‘metodi spinti di interrogazione’, fornirono raccomandazioni e raccolsero dati sull’impatto di tali modalità sui prigionieri. Ciò al fine di perfezionare le ‘tecniche’ usate e anche per garantire che si mantenessero entro i limiti stabiliti dagli avvocati dell’amministrazione Bush (che avevano riformulato in modo talmente largo il concetto di tortura da consentirla di fatto, v. ad es. nn. 119, 125, 159 ).

La C.I.A ha smentito, con una dichiarazione generica che lascia il tempo che trova, le accuse dell’organizzazione umanitaria. “Il rapporto è del tutto errato”, ha dichiarato Paul Gimigliano, un portavoce dell’Agenzia. “La C. I. A., come parte del suo programma di detenzione, non ha mai condotto esperimenti su alcun soggetto umano o su gruppi di prigionieri. L’intero compito di detenzione è stato soggetto di molteplici e complete revisioni da parte del nostro governo, incluse quelle del Dipartimento di Giustizia”.

In effetti il PHR, effettuando nell’arco di due anni un’accurata analisi di un gran numero di documenti governativi, su alcuni dei quali si è cercato a lungo di mantenere il segreto, ha potuto inconfutabilmente dimostrare che i sanitari trasformarono i prigionieri in soggetti di sperimentazione. Con ciò essi hanno infranto l’etica professionale che consente la sperimentazione sugli esseri umani solo a fini terapeutici, osservando regole ben precise di tutela dei soggetti partecipanti alla sperimentazione, a cominciare dall’ottenimento del loro libero ed informato consenso. Esistono limitazioni internazionali sulla sperimentazione umana, incluse quelle contenute nel Codice di Norimberga, redatto dopo la Seconda Guerra Mondiale, oltre a quelle previste dai codici prettamente americani.

I dati raccolti dai medici hanno permesso alla C. I. A. di giudicare l’impatto fisico ed emotivo delle tecniche, aiutandola in questo modo a “dosare il livello di sofferenza provato dal prigioniero durante l’interrogatorio”. Ovviamente ciò ha anche permesso alla C. I. A. di praticare sotto una parvenza di legalità varie forme di interrogatori dolorosissimi e, soprattutto, di accumulare elementi per una futura difesa legale contro eventuali accuse di tortura.

Il parere dei medici avrebbe fornito la giustificazione e la copertura legale per l’applicazione di numerose ‘tecniche’ (equivalenti a torture). Per esempio osservazioni mediche su 25 detenuti avrebbero permesso di concludere che la somministrazione contemporanea di diverse ‘tecniche’– come schiaffi insieme a getti d’acqua o a costrizione in posizioni stressanti – non avrebbe causato più dolore delle tecniche usate separatamente. Di qui la giustificazione per l’uso simultaneo di varie tecniche.

I sanitari studiarono anche gli effetti della privazione dal sonno in una dozzina di prigionieri che venivano costretti a rimanere svegli per periodi che andavano da 48 a 180 ore.

La tecnica del waterboarding è stata quella che maggiormente ha evidenziato come i medici stessero in realtà collaborando a raffinare i metodi di interrogatorio. I medici dovevano infatti essere presenti ogni volta che un prigioniero subiva il waterboarding, documentando quanto tempo durava la sessione, quanta acqua veniva utilizzata, come esattamente l’acqua veniva somministrata e come veniva espulsa, verificando se i canali respiratori dei prigionieri erano riempiti completamente d’acqua e quali caratteristiche fisiche presentava un prigioniero tra una sessione e l’altra (4).

I consigli dei medici hanno condotto la C. I. A. ad apportare delle modifiche nelle tecniche. Per esempio, l’acqua è stata sostituita con una soluzione salina, per ridurre il rischio di polmonite o di un abbassamento del livello di sodio nel sangue, che può produrre edemi cerebrali, il coma e la morte. Oltre alla soluzione salina, il personale medico fece introdurre l’uso di una barella speciale, a cui veniva legato il prigioniero durante le sessioni, che si poteva posizionare velocemente in assetto verticale, nel caso il prigioniero stesse soffocando. Il personale medico utilizzò un misuratore dell’ossigeno nel sangue e tenne sotto osservazione altri parametri vitali. Su indicazioni dei medici, i prigionieri furono sottoposti, prima delle sessioni di waterboarding, ad una dieta alimentare liquida, per evitare che soffocassero nel loro vomito.

Il vomito viene anche a noi, leggendo questa relazione, e considerando che si cavilla su fatti che violano palesemente e senza ombra di dubbio i più basilari diritti umani. Se simili accuse riguardassero i  medici che, durante il regime hitleriano, sperimentavano sui prigionieri dei campi di concentramento, tutti gli Americani non esiterebbero a gridare all’orrore.

“Allora si faceva di peggio”, dicono alcuni, cercando di discriminare tra orrore ed orrore, a parziale scusante degli Americani. Costoro dimenticano che nel frattempo c’è stata, oltre alla svolta del millennio, una svolta più radicale: la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. (Grazia)

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(1) L’organizzazione, che ha sede a Cambridge in Massachusetts, ha condiviso il premio Nobel per la Pace 1997.

(2)  V. http://phrtorturepapers.org/

(3) Sulle ‘tecniche di interrogazione equivalenti a tortura’ introdotte sotto la presidenza di George W. Bush, fortemente sostenute dal vice presidente Dick Cheney, l’amministrazione Obama mantiene un atteggiamento equivoco, rifiutandosi di indagare e di perseguire chi le ha praticate (v. ad es. nn. 105, 118, 119, 121, 123, 132, 142, 143, 148, 159, 165, “Sessantanni…”, 166,  167, 169, “100 giorni...”)

(4) La tortura del waterboarding sarebbe stata ripetuta ben 183 volte su un prigioniero (Khalid Shaikh Mohammed, v. n. 160, 162, Notiziario) e 83 volte su un altro (Abu Zubaydah)

 

 

11) UN ANNO DI DURISSIMA REPRESSIONE DEL DISSENSO IN IRAN

 

Si sono tenute una novantina di manifestazioni nel mondo per denunciare la durissima repressione del dissenso ancora in atto in Iran dopo un anno dalle contestate elezioni presidenziali del giugno 2009.

 

Continua una repressione strisciante in Iran ad un anno dal brutale attacco alle manifestazioni di protesta seguite alle contestatissime elezioni presidenziali del 12 giugno 2009. Centinaia di persone – tra le 5.000 arrestate nell’immediato - sono tuttora  in carcere per aver preso parte alle manifestazioni; molte sono state sottoposte a tortura, decine sono state condannate a morte.

La repressione si è scatenata in maniera sproporzionata contro le minoranze. Gli ayatollah hanno fatto arrestare una cinquantina di appartenenti alla comunità Baha’i, accusandoli ingiustamente di aver sobillato le contestazioni al regime. A maggio, sono stati impiccati senza alcun preavviso quattro Curdi, tra cui l’intrepida Shirin Alamhoei e l’insegnante Farzad Kamangar, insieme ad un altro  prigioniero politico (1)

Amnesty denuncia la detenzione di “giornalisti, studenti, attivisti politici, difensori dei diritti umani ed esponenti del clero”, in un comunicato del 9 giugno. “Avvocati, docenti universitari, ex prigionieri politici e appartenenti a minoranze etniche e religiose sono a loro volta finiti in una montante ondata di repressione” (2)

Per mantenere viva l’attenzione del mondo sulla situazione iraniana, Amnesty International  ed altre associazioni per i diritti umani hanno promosso una Giornata globale d’azione. Manifestazioni si sono svolte in una novantina di città,  soprattutto negli Stati Uniti e in Europa Occidentale (3).

A Roma, al sit-in convocato dalla Sezione Italiana di Amnesty International, hanno partecipato molti coraggiosi e determinati giovani iraniani, che hanno scagliato a gran voce le loro denunce  contro l’Ambasciata dell’Iran. La sera dell’11 giungo abbiamo contato una settantina di partecipanti al sit-in a cui si era unita una rappresentanza del Comitato Paul Rougeau.

Contestualmente Amnesty ha lanciato una campagna di un anno per il rilascio dei prigionieri di coscienza incarcerati all’indomani delle elezioni e per ottenere processi equi, con l’esclusione della pena di morte, nei riguardi dei detenuti politici.

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(1) Vedi nn. 177, 180.

(2) La situazione nel paese sottoposto alla dittatura teocratica è  documentata nel nuovo rapporto di Amnesty  International “Dalla protesta alla prigione. L’Iran, un anno dopo le elezioni’, v. in  fondo  alla pagina del link:

www.amnesty.it/Iran_un_anno_dopo_le_contestate_elezioni

(3) v. http://12june.org/

 

 

12) SE UN GIORNO CI CHIEDERANNO

 

Drammatiche violazioni dei diritti umani dei migranti africani in Libia, di cui siamo corresponsabili in quanto Italiani, ci obbligano di nuovo ad occuparci di fatti che esulano dal nostro specifico mandato.

 

Se un giorno ci chiederanno: “Dov’eravate quando la gente moriva in mare e nel deserto? Dove eravate ai tempi dei lager e delle deportazioni?” Vorremmo poter rispondere: “Ero lì, con gli altri, a resistere”.(*)

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(*) Da un volantino degli anarchici torinesi – 10 luglio 2010

 

 

13) ERITREI MALTRATTATI DAI LIBICI AL CONFINE DELLA ‘FORTEZZA EUROPA’

 

Un drammatico episodio di maltrattamento di oltre 200 migranti eritrei da parte dei militari libici si è risolto a metà luglio - in maniera tutt’altro che soddisfacente e definitiva - in conseguenza delle pressioni della parte più evoluta dell’opinione pubblica italiana sul nostro governo. Rimane aperta la grave e complessa problematica che affligge i migranti africani – potenziali titolari del diritto di asilo - aggravata dagli accordi italo-libici per il respingimento in Libia di coloro che tentano di entrare via mare nella ‘fortezza Europa’.

 

A partire dal 2 luglio il quotidiano l’Unità ha avuto il coraggio e il merito di dare grande rilievo ad una notizia drammatica proveniente dalla Libia: all’alba del 30 giugno i militari libici si sono scatenati in un feroce pestaggio nei riguardi di un gruppo di oltre 200 migranti eritrei rinchiusi nel centro di detenzione di Misurata (Misratah) nel nord del paese, poi hanno stipato i prigionieri in due container e li hanno trasportati con un viaggio di 13 ore nel carcere di Braq vicino a Sabha, al centro del deserto libico, ad 800 chilometri da Tripoli. Qualche comunicazione arrivata tramite telefoni cellulari descriveva condizioni di detenzione inumane, per gravi carenze di spazio, cibo, acqua e  servizi igienici. 

L’aggressione dei militari libici è conseguita ad una rivolta dei prigionieri a cui era stato imposto di riempire dei formulari che potevano preludere al loro respingimento in Eritrea, un paese che viola pesantemente i diritti umani.

Il giornale fondato da Antonio Gramsci invitava i lettori a contestare il nostro Ministro degli Interni Roberto Maroni. In effetti la responsabilità del governo italiano per questa ennesima aggressione ai danni dei migranti non è secondaria né indiretta, ma strettamente collegata alla politica dei respingimenti in mare messa in atto d’accordo con la Libia a partire dal maggio del 2009 (1). Una politica spietata che ha fatto diminuire molto gli sbarchi dei disperati sulle spiagge del Sud d’Italia, sia pure facendo pagare ai ‘poveri cristi’ in arrivo un prezzo molto elevato in termini di vite umane (v. nel primo articolo del n. 171, il capitolo “Omissione di soccorso in mare e respingimenti”) .

Ben presto l’indirizzo e-mail generico del Ministero dell’Interno, info@interno.it, indicato dall’Unità, ha cessato di funzionare per il massiccio invio di messaggi di protesta.

Il clamore suscitato dalla notizia (per le verità strillata soprattutto dai telegiornali e dai quotidiani meno seguiti) ha indotto il governo italiano a incaricarsi della sorte degli Eritrei. Personaggi razzisti e xenofobi come Roberto Maroni, politici scarsamente preoccupati dei diritti umani, come Franco Frattini e Stefania Craxi, paladini delle scelte governative come Margherita Boniver, agendo in via riservata sono infine riusciti ad ottenere dalla Libia, non subito ma dopo una quindicina di giorni,  la ‘liberazione di 205 Eritrei’ (rimane oscura la sorte di diverse persone ritenute responsabili della rivolta del 29 giugno).

La Craxi, per calmare le proteste, il 7 luglio aveva anche ipotizzato che ‘alcuni’ degli Eritrei possano essere accolti in Italia.

Il 16 luglio Fortress Europe – l’organizzazione umanitaria che ha avuto il merito di sollevare il caso di questo gruppo di Eritrei - ha confermato che i migranti sono stati liberati: “Finalmente liberi! I 205 eritrei detenuti a Braq dopo la rivolta di Misratah del 29 giugno, sono tornati in libertà. Una volta tanto Gheddafi è stato di parola. […] Sono stati rilasciati con un documento d’identità valido in tutta la Libia, della durata di 3 mesi. Li abbiamo raggiunti telefonicamente, in questo momento stanno bene, ma sono ancora a Sebha. E sì perché anche se liberi, nessun autista finora ha accettato di prenderli a bordo. […] L'altro problema è che il documento di soggiorno scade fra tre mesi. […]  Se l'Italia e l'Europa non accolgono queste persone prima di tre mesi, il documento temporaneo che oggi hanno avuto scadrà e di nuovo rischieranno di essere arrestati e rimpatriati. Da parte nostra riportiamo l'appello che ci è stato fatto dagli eritrei al telefono. Chiedono all'Italia e all'Europa di accoglierli. La loro meta non è la Libia. L'Italia in particolare è doppiamente tirata in causa, visto che una buona metà dei 205 eritrei di Braq sono stati respinti in mare nel 2009 dalle nostre motovedette.” (2)

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(1) I presupposti di tale politica furono studiati, fin dal 2007, da governanti di centro-sinistra.

(2) Il ministro Maroni, il 7 luglio, si era affrettato a dichiarare che “il governo italiano non ha alcuna responsabilità” nella vicenda e che “è indimostrato che queste persone siano tra gli  850 migranti respinti dall’Italia verso  la Libia.”          

 

 

14) LA LIBIA NON È UN PAESE PER RIFUGIATI   commento di Lucia Squillace

 

La Libia non è un paese per rifugiati. Ce lo confermano, semmai ce ne fosse bisogno, i frammenti di testimonianze, le grida di aiuto, persino le fotografie che riescono a trapelare in Italia, in Europa, grazie al lavoro delle organizzazioni umanitarie e di giornalisti come Gabriele Del Grande (fondatore dell’osservatorio Fortress Europe sulle vittime dell’emigrazione).

Racconti fatti di immagini e parole, impressi sulla carta, ma anche sui corpi feriti di quanti, pochi, sono riusciti a sfuggire, in qualche modo, agli uomini di Gheddafi: segni che documentano le infinite storie dell’orrore dei centri di detenzione libici. Una fotografia inquietante, fatta di botte con tubi di gomma, sete, cibo scarso, cadaveri ammassati e buttati via come rifiuti. Peggio ancora per le donne, che vengono anche molestate e violentate. Molte di loro, incinte, messe in isolamento senza cibo né acqua e percosse, muoiono in fretta.

L’ultimo aggiornamento sull’ultimo drammatico episodio, diffuso dall’Ansa il 17 luglio: “sono liberi i 205 profughi eritrei detenuti da 16 giorni nel carcere di Braq”. Ma per ora non sanno che farsene della libertà concessa da Tripoli: senza documenti né soldi, affamati e assetati, non sanno dove dormire e sono bloccati nel cuore del deserto a Sebha, a 800 chilometri dalla capitale Tripoli. Una liberazione “farsa” avvenuta venti giorni dopo la deportazione in massa a Braq, a sud della Libia, da Misurata – uno dei pochi centri di detenzione nei quali fino ai primi di giugno aveva accesso l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, poi espulso dal governo.

Si tratta di potenziali richiedenti asilo, compresi donne e minori, ai quali era stato richiesto di collaborare per le pratiche di identificazione affidate ad un rappresentante dello stesso governo eritreo dal quale erano fuggiti. Al loro rifiuto è seguita una repressione violentissima da parte delle forze di polizia, con decine di feriti gravi e con la dispersione del gruppo di eritrei in altri centri di detenzione segreti che la Libia ha aperto grazie al sostegno politico e finanziario italiano. Quindi, il trasferimento di un numero indefinito di persone a bordo di container.

Centinaia di prigionieri, stipati in condizioni ai limiti della sopravvivenza, sono stati convogliati nel carcere desertico. Ha le “mani libere” la Libia, che infatti non ha mai firmato la Convenzione delle Nazioni Unite sullo status di Rifugiato del 1951.   

“Giriamo per le strade come cani abbandonati, – ha raccontato uno dei profughi – nessuno ci ha detto nulla e nessuno ci ha offerto un rifugio o un aiuto. Non abbiamo soldi. Non sappiamo cosa fare. Abbiamo anche chiesto di poter dormire in una prigione ma ci hanno detto no e ci hanno lasciato per strada. Siamo lasciati soli e nessuno si interessa di noi”.

E intanto la Libia si vanta di fronte al mondo di aver chiuso i centri di accoglienza per immigrati, mandando via tutti i detenuti. Il leader Muammar Gheddafi ha ordinato un’inchiesta “sulla situazione degli immigrati eritrei”, mentre il Ministro degli Esteri di Tripoli respinge le accuse riprese dalla stampa straniera e rivendica “trattamenti umanitari per gli ospiti”. Dal canto suo, plaude alla “disponibilità delle autorità libiche” la Farnesina, auspicando, attraverso il suo portavoce Maurizio Massari, che le persone liberate “possano trovare nel Paese adeguate opportunità di lavoro e di vita”. Riferimento, questo, alla prospettiva, buttata lì da Tripoli, di svolgere non meglio precisati “lavori socialmente utili”. Duro il senatore radicale italiano Marco Perduca, che si dice per nulla sorpreso dalla “solita dimissione di responsabilità dell'Italia ogni qual volta si presenti la necessità di rispettare gli obblighi derivanti dall'aver ratificato la convenzione sui rifugiati”.

Molti dei rifugiati allo sbando nel deserto riferiscono di trovarsi in quelle condizioni “dopo il respingimento in mare dall’Italia”, a pochi chilometri da Lampedusa. Appunto: la politica dei respingimenti collettivi praticata dal governo italiano in violazione delle Convenzioni internazionali e la chiusura della rotta dalla Libia a Lampedusa paiono elementi sufficienti ad inchiodare alle loro responsabilità quanti hanno stipulato con Gheddafi accordi di “amicizia”  di varia natura, delegando di fatto alla polizia libica il pattugliamento e la sicurezza delle coste italiane, in barba ai diritti umani e alla stessa vita dei migranti.

Un rapporto di Amnesty International uscito in giugno e dedicato alla situazione dei diritti umani in Libia offre una analisi accurata di uno dei “partner” prediletti dell'Italia (1). Malgrado il colonnello Gheddafi ostenti liberalità nelle sue visite italiane, il dossier, intitolato “La Libia di domani: quale speranza per i diritti umani?”, presenta un quadro a tinte nerissime, fatto di punizioni alle adultere, detenzioni a tempo indeterminato e violenze nei confronti di migranti, richiedenti asilo e rifugiati – per non parlare dei dissidenti, di cui si registrano le sparizioni forzate.

Tutto questo, nella più totale indifferenza dei paesi europei e dell’Italia, in particolare, che con Tripoli sembra aver stretto un’alleanza speciale. Su “questione libica” e detenuti eritrei, si registra anche una nuova risoluzione del Parlamento europeo datata 17 giugno scorso: in essa è contenuto l’appello alla cessazione delle deportazioni e ai respingimenti collettivi, oltre alla richiesta alla Commissione europea di informative costanti sullo stato delle trattative fra Unione europea e Libia (2)

Continua, purtroppo, l’assordante silenzio internazionale. E mentre il Consiglio Italiano per i Rifugiati si rallegra per l’epilogo della vicenda di 205 eritrei (“Siamo contenti perché non era più possibile che continuassero a vivere nelle condizioni di detenzione cui erano costretti e perché è stato evitato il loro rimpatrio forzato in Eritrea”, si legge in una nota), il problema resta, in tutto il suo orrore e la sua complessità. E ci si chiede che fine faranno queste donne e questi uomini abbandonati nel deserto, a 800 km dalla capitale, senza soldi né documenti. E sempre col terrore del rimpatrio anche se ora in possesso di un permesso di soggiorno in Libia di tre mesi, allo scadere del quale potranno andare a chiedere il passaporto alla loro ambasciata...

Se l’Italia, uno dei dieci paesi più ricchi del mondo, con 60 milioni di abitati, non può farsi carico degli Eritrei bisognosi di accoglienza e di asilo, che cosa ci aspettiamo dalla Libia, un paese di 6 milioni di abitanti tutt’altro che ‘avanzato’, percorso in questi anni da centinaia di migliaia di migranti incantati dalla ‘fortezza Europa’?

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(1) Rapporto Amnesty International pubblicato in data 23 Giugno 2010. Principale autrice del dossier, Diana Eltahawy, specialista dell’organizzazione per il Nordafrica, che nel maggio 2009 ha visitato la prigione di Jdeida. Nonostante le autorità libiche abbiano opposto ostacoli di ogni genere, Amnesty ha comunque potuto raccogliere numerose testimonianze, immagini e informazioni.

(2) E’ datata 14 aprile 2005 una precedente risoluzione del Parlamento Europeo (Lampedusa P6_TA(2005)0138):una condanna contro le deportazioni collettive con cui il Governo italiano aveva espulso in Libia centinaia di persone intercettate al largo di Lampedusa tra l’ottobre 2004 e il marzo 2005.

15) DAL VERBALE DELL’ASSEMBLEA DI FIRENZE DEL 6 GIUGNO 2010

 

L’Assemblea ordinaria dei Soci del Comitato Paul Rougeau/Ellis One Unit si è riunita il 6 giugno 2010 […] L’ordine del giorno è il seguente: 1. relazioni sulle attività svolte dal Comitato Paul Rougeau dopo l’Assemblea del 3 maggio 2009; 2. situazione iscritti al Comitato Paul Rougeau, gestione dei soci; 3. illustrazione ed approvazione del bilancio per il 2009; 4. ratifica di eventuali dimissioni dal Consiglio Direttivo; elezione di membri del Consiglio Direttivo. Eventuale breve sospensione dei lavori dell’Assemblea per consentire una riunione del nuovo Consiglio Direttivo con il rinnovo delle cariche sociali. 5. Eventuale prosieguo dell’impegno del Comitato Paul Rougeau in aiuto di Larry Swearingen condan­nato a morte in Texas; 6. eventuale tour in Italia di Dale e Susan Recinella nell’anno 2011 per una serie di conferenze; 7. creazione di una rete di soci disposti a partecipare ad azioni urgenti selezionate dal Comitato; 8. redazione del Foglio di collegamento; 9. gestione del sito del Comitato; 10. discussione delle strategie abolizioniste; 11. ripresa della campagna riguardante le condizioni di detenzione nel braccio della morte del Texas; 12. discussione, programmazione e approvazione del prosieguo delle attività in corso; proposte di nuove attività da parte dei soci, programmazione ed approvazione delle stesse; 13. raccolta fondi e allargamento della base associativa; 14. ricerca di adesioni ideali di personalità al Comitato Paul Rougeau; 15. varie ed eventuali. In apertura di seduta si affronta il punto 1. all’o. d. g.; Stefania Silva e Giuseppe Lodoli relazionano sulle presenze attive del Comitato in eventi abolizionisti/culturali/formativi dopo la precedente assemblea; nell’ultimo anno ci sono state solo 5 presenze di questo tipo[…], a fronte delle 10 dell’anno precedente (12 e 20 negli anni ancora precedenti). Il Comitato ha partecipato all’Assemblea Generale della Coalizione Mondiale Contro la Pena di Morte svoltasi a Roma il 13 giugno 2009, presentando anche una mozione scritta contro il ripetersi delle votazioni sulla ‘moratoria della pena di morte’ in Assemblea Generale delle Nazioni Unite, un meccanismo che, a nostro avviso, inflaziona l’iniziativa, ne riduce il significato ideale e acuisce la contrapposizione tra paesi abolizionisti e paesi mantenitori. […] Stefania riferisce sulle sue attività in sostegno di Da’mon Simpson e di Kevin Varga - detenuti seguiti negli anni scorsi dal gruppo delle ‘siste’ - messi a morte dello stato del Texas rispettivamente il 18 novembre 2009 e il 12 maggio 2010. Da’mon Simpson aveva chiesto di interrompere gli appelli per essere ucciso al più presto, salvo poi ripensarci all’ultimo momento. A nulla sono serviti gli sforzi in extremis per salvarlo messi in atto dagli avvocati del Texas Defender Service, con i quali Stefania ha stabilito dei contatti che il Comitato intende mantenere e coltivare […]. Per Kevin Varga Stefania ha lanciato una petizione per chiedere la grazia, in accordo con l’avvocato difensore Robin Norris, che in tre mesi è stata sottoscritta da circa 1.900 persone; ha ottenuto un intervento papale nei riguardi delle autorità texane (intervento che ha avuto una certa risonanza in Texas), ha interessato al caso di Kevin il Sindaco di Roma e gli organismi dell’Unione Europea; con l’aiuto di Lucia Squillace, Katia Rabacchi ed Elena Gaita, ha inviato lettere ai maggiori quotidiani del Texas; ha rilasciato interviste a Radio Globo, a Radio Popolare,a Radio Radicale; ha ottenuto ampi servizi su Kevin su La7, l’Unità…, ha partecipato ad un blog costruito da un amico di Kevin che ha avuto, fra l’altro, il merito di riconquistare a Kevin l’affetto della madre Beth. Stefania ha organizzato un sit in a Roma davanti al Colosseo, la sera del giorno 11, vigilia dell’esecuzione di Kevin, per chiedere la grazia per il condannato. Al sit in si è avuta la presenza di una ventina di persone che reggevano fiaccole davanti al grande striscione del Comitato Paul Rougeau. Continuando la relazione sulle attività svolte, Giuseppe riferisce che sono continuati i rapporti di routine con la Coalizione Mondiale Contro la Pena di Morte, la Comunità di Sant’Egidio e Amnesty International, con una minore partecipazione agli eventi organizzati da queste associazioni. Il Comitato ha partecipato alla giornata mondiale contro la pena di morte (10 ottobre), dedicata dalla World Coalition all’educazione, con una conferenza presso il Liceo Scientifico Francesco d’Assisi a Roma. Per quanto riguarda Amnesty International, è continuata l’assistenza a coloro che in un primo momento chiedono aiuto ad Amnesty Italia in merito alla corrispondenza con i detenuti del braccio della morte e che il Coordinamento Pena di Morte di Amnesty ‘gira’ al Comitato. Sono stati seguiti una decina di corrispondenti. […] Del Foglio di Collegamento sono usciti 10 numeri sugli 11 previsti nel periodo, con due numeri doppi invece di uno. Il numero di pagine del nostro bollettino è stato sensibilmente superiore al minimo di 12 a fascicolo, con una media di 15. Sono state raccolte circa 1.300 pagine di documentazione per la preparazione del bollettino. Rimane il problema di rendere più agile e leggibile in Foglio di Collegamento che, comunque, risulta in Italia l’unica pubblicazione periodica che fa un po’ di approfondimento sulla pena di morte (soprattutto negli Stati Uniti). […]. Passando al punto 2. all’o. d. g. Grazia riferisce di aver mandato ad aprile una lettera di sollecito a rinnovare l’iscrizione a 58 dei 103 soci ancora nel data base del Comitato, che erano in ritardo con il versamento della quota associativa[…] Si ritiene che un sostanziale allargamento della base associativa sia condizione essenziale per disporre delle risorse e delle energie necessarie per mettere in atto le attività programmate. Si contatteranno per e-mail oltre 300 corrispondenti del Comitato – in maggioranza simpatizzanti non soci – per invitarli ad associarsi. Si cercherà di far pubblicare su giornali e periodici una sorta di pubblicità del Comitato con richiesta di associazione. Si passa al punto 3. all’o. d. g. e il tesoriere Paolo Cifariello distribuisce ed illustra il bilancio economico per il 2009. Si sono incassate 36 quote associative (50 nell’anno precedente)  per un totale di 1.298 euro; ci sono state libere offerte per 325 euro (a fronte di 1.330 nell’ano precedente); si rileva l’alto costo sostenuto per la stampa e l’invio del Foglio di Collegamento su carta (quasi 1.000 euro), Paolo e Giuseppe osservano che il bollettino su carta ha un particolare valore trattandosi di una cosa ‘concreta’ che raggiunge i destinatari e che non tutti i destinatari sono in grado di riceverlo per e-mail […]. In complesso l’entità delle partite di giro per i trasferimenti ai detenuti si è mantenuta all’incirca uguale a quello dell’anno precedente. Si rileva l’entità delle offerte raccolte nel Comitato per le investigazioni in favore di Larry Swearingen, offerte che hanno contribuito sostanzialmente alla sospensione in extremis dell’esecuzione del condannato, il cui caso è particolarmente ‘forte’ e suscettibile di un esito favorevole nonostante una recente sconfitta giudiziaria. Il fondo cassa alla fine del 2009 era di 3.200 euro, uguale a quello di un anno prima. Il bilancio viene approvato all’unanimità. Si passa al punto 4. Giuseppe rileva che tutti e cinque i membri del Consiglio Direttivo presenti sono dimissionari e che le due consigliere assenti, Anna Maria Esposito e Lorenza Giangregorio, hanno comunicato per e-mail di essere dimissionarie anche se disponibili, in caso di necessità, ad essere rielette. Si presenta pertanto la necessità di rieleggere il Consiglio Direttivo che – a norma di statuto – deve essere composto da un minimo di 5 ad un massimo di 7 membri. […] Vengono eletti all’unanimità nel nuovo Consiglio Direttivo: Paolo Cifariello, Andrea De Paoli, Loredana Giannini, Maria Grazia Guaschino, Giuseppe Lodoli, Stefania Silva, Lucia Squillace […] Si eleggono all’unanimità: Giuseppe Lodoli a presidente, Stefania Silva a vice presidente, Paolo Cifariello a tesoriere. Giuseppe invita il nuovo Consiglio Direttivo ad una maggiore partecipazione alle decisioni che vengono prese nel corso dell’anno tra un’assemblea e l’altra. […] viene affrontato il punto 5. all’o. d. g. Grazia ha continuato a corrispondere con Fernando Eros Caro, detenuto nel braccio della morte di San Quentin in California, scelto come nostro corrispondente privilegiato dal braccio della morte […]. Recentemente Fernando ha chiesto di essere messo in contatto con gruppi o persone che potrebbero aiutarlo in un nuovo processo […] Tramite Stefania si è cercato di mettere in contatto Fernando con l’avvocato californiano Richard Ellis, che auspicabilmente potrebbe assisterlo ‘pro bono’ o almeno dargli degli utili consigli legali. Lucia Squillace relaziona ampiamente sulla situazione di Larry Swearingen; esaminate e scartate diverse richieste di aiuto avanzate da Larry e/o dai suoi sostenitori – in particolare quella di ottenere dichiarazioni di medici legali europei a sostegno delle perizie statunitensi che scagionano Larry - si è riusciti a capire dall’avvocato James Rytting che sarebbero realmente utili dei fondi per finanziare investigazioni su come fu costruito il caso contro di lui. Si decide pertanto di lanciare prima possibile una nuova raccolta di fondi, per la difesa di Larry Swearingen, da inviare all’avvocato Rytting e da utilizzare per investigazioni.  Punto 6. Dale Recinella – che non è potuto venire in Italia quest’anno ospite del Comitato come preventivato nella precedente assemblea - ha quasi finito di scrivere un libro sulla sua vita nella quale ha avuto un posto importante l’impegno contro la pena di morte e l’assistenza ai detenuti. […] si decide di proporre a Dale Recinella di venire in Italia, non prima di ottobre-novembre 2011, per una serie di conferenze organizzate dal Comitato Paul Rougeau ed eventualmente da altri soggetti interessati. Il Comitato si farà carico delle spese relative al tour di Dale Recinella non coperte da altri soggetti. Nel frattempo cercheremo di trovare un editore disposto a pubblicare il libro, tradotto in italiano, in Italia. […]. Dale è disponibile a cederci i diritti d’autore relativi alle copie in italiano vendute. Punto 7. Dopo una lunga discussione che tocca disparati temi, si decidere di inviare una richiesta, a tutti i 330 iscritti alla nostra mailing list, di esprimere la propria disponibilità a entrare a far parte di un gruppo che si impegni a partecipare alle ‘azioni urgenti’ (petizioni in primo luogo) selezionate dal Comitato. Andy, Lucia e Stefania si assumono l’incarico di seguire l’account del Comitato Paul Rougeau su Facebook. Punto 8. Si decide di preparare un questionario che contenga una decina di domande da inviare ai lettori del Foglio di Collegamento per fare un sondaggio che aiuti a migliorare il nostro bollettino. Giuseppe auspica una più larga partecipazione di soci e simpatizzanti alla scrittura degli articoli. Punto 9. [...] Dal momento che occorre aggiornare ed integrare la parte in Inglese del sito, Andy si offre di tradurre i testi da inserire o rinnovare. […]. Punti 10 e 11. L’Assemblea è d’accordo nel riprendere le campagne per l’abolizione della pena di morte e per il miglioramento delle condizioni di detenzione nel braccio della morte del Texas, campagne che in passato avevano dimostrato di poter essere incisive. […]. Katia Rabacchi propone di organizzare eventi abolizionisti con la presenza di personaggi in grado di attirare l’interesse della popolazione e in particolare dei giovani. Per quanto riguarda le condizioni di detenzione nel braccio della morte, in aggiunta alla documentazione riguardante il Texas già in nostro possesso, si cercherà di acquisire informazioni riguardanti la California. Lucia suggerisce di sfruttare le radio per le quali lei lavora ed altre radio minori per amplificare le iniziative abolizioniste. […]. Punto 12. Stefania propone e si incarica di seguire, per adesso solo in qualità di spettatrice – in vista di una futura possibile collaborazione -  le attività del gruppo ASUS animato da tale Gaspare Mura, un docente dell’Università Lateranense. […]. Punto 13. Per quanto riguarda la raccolta fondi e l’allargamento della base associativa si ribadisce quanto proposto e deciso discutendo il punto 2. […]

 

16) NOTIZIARIO

 

Afghanistan. Impiccato dai Talebani un bimbo di 8 anni accusato di spionaggio. Delawar, un bambino di 8 anni accusato di spionaggio a favore delle forze britanniche, è stato impiccato in Afghanistan dai Talebani l’8 giugno. L’esecuzione è avvenuta in un giardino nei pressi della casa del bimbo nel villaggio di Heratian nel distratto di Sangin appartenente alla provincia di Helmand. La notizia è stata comunicata da Dawoud Ahmadi portavoce del governatore della provincia. Abdul Quddus, padre del bambino impiccato, che inizialmente aveva denunciato il fatto, avrebbe poi cominciato a dire che il figlio è stato ucciso ‘dai fantasmi’ per paura di rappresaglie. Come non ricordare che tre anni fa i Talebani avevano messo a morte una donna di 70 anni e un bambino, anch’essi accusati di spionaggio!

 

Cina. Bandito l’uso delle prove d’accusa costituite da confessioni rese sotto tortura. Il governo cinese ha bandito l’uso di confessioni estratte con la tortura quali prove d’accusa. L’annuncio fatto all’inizio di giugno ha avuto un notevole risalto ed è stato salutato come un grande progresso della giustizia penale. Per la verità nell’ordinamento preesistevano leggi che proibiscono la tortura ma tali leggi fino ad ora sono state largamente disattese perché il sistema accusatorio cinese dipende fortemente dalle confessioni rese alla polizia e la polizia per ottenerle non esclude l’uso della forza. Le nuove disposizioni  permettono ai condannati a morte di chiedere in appello l’annullamento sia delle prove a carico ottenute tramite tortura o minacce, sia delle testimonianze accusatorie anonime. Si ritiene che la svolta attuale sia anche una conseguenza della liberazione di tale Zhao Zuohai, accusato di un omicidio mai avvenuto e reo confesso. Dopo 11 anni si è scoperto infatti che la sua presunta vittima è viva e vegeta. Secondo l’esperto legale Zhao Bingzhi per la prima volta si è provveduto ad una chiara e sistematica regolazione della materia. “Si tratta di un grande progresso, sia per il sistema legale sia per la protezione dei diritti umani. Contribuirà a ridurre il numero delle esecuzioni,” ha dichiarato Bingzhi al quotidiano China Daily. Sophie Richardson, esponente di Human Rights Watch esperta della giustizia penale cinese, ha sottolineato che le nuove disposizioni sono particolarmente importanti nei casi capitali: “La pena di morte è applicata in Cina non soltanto con un’allarmante frequenza ma spesso in casi nei quali il giusto processo viene ignorato.” La Richardson ha avvertito che occorrerà verificare se le nuove disposizioni verranno attuate e che rimangono comunque ulteriori enormi progressi da fare per rendere il sistema penale dell’immenso paese asiatico meno politicizzato e meno ingiusto.

 

Globale. Dopo sei mesi di interregno, Salil Shetty è il nuovo Segretario Generale di Amnesty. Il 1° luglio l’Indiano Salil Shetty è diventato Segretario Generale di Amnesty International succedendo alla Bengalese Irene Khan dimessasi a fine 2009 (v. n. 175). “Sono profondamente onorato di avere l’opportunità di dirigere il movimento nella sua lotta per porre fine alla repressione e all’ingiustizia,”­ ha dichiarato Shetty in occasione del suo insediamento. “Di fronte alle sfide tradizionali e a quelle nuove, il bisogno di Amnesty International e della sua voce guida contro le violazioni dei diritti umani è più grande che mai”. In un comunicato di Amnesty leggiamo che “il nuovo Segretario Generale ha sottolineato l’indivisibilità di tutti i diritti e la necessità di trovare nuove modalità per collegare più sistematicamente i diritti economici, sociali e culturali con quelli civili e politici”.

 

Libia: 18 fucilazioni eseguite a fine maggio. Con un comunicato del 1° giugno Amnesty International condanna duramente il comportamento della Libia, uno dei pochi stati africani restii ad avviare un processo abolizionista, che ha compiuto 18 esecuzioni tramite fucilazione il 30 maggio. Sono stati uccisi 14 prigionieri a Tunisi e 4 a Bengasi. Non è stata rivelata l’identità dei fucilati. Si sa che parecchi dei ‘giustiziati’ erano stranieri, del Ciad, dell’Egitto e della Nigeria. Più di 200 persone rimangono nel braccio della morte in Libia; si ritiene che tra di essi vi siano molti stranieri nei riguardi dei quali la pena di morte sarebbe inflitta in maniera sproporzionata e in processi ingiusti nei quali gli accusati hanno scarse possibilità di difendersi anche per difficoltà linguistiche e carenza di interpreti. Gli stranieri hanno meno possibilità di negoziare la commutazione delle loro sentenze di morte con i familiari delle vittime secondo la legge islamica.

 

Ohio. Il governatore grazia un condannato a morte.  Il 4 giugno Ted Strickland, governatore dell’Ohio, ha commutato in ergastolo senza possibilità di liberazione sulla parola la condanna a morte di Richard Nields che doveva subire l’iniezione letale il giorno 10. Nields era stato condannato alla pena capitale per aver strangolato la sua ragazza nel corso di un litigio nel 1997.  Il governatore ha dichiarato di concordare con la raccomandazione di clemenza espressa a maggioranza della Commissione per le Grazie. Strickland ha citato dubbi sull’esistenza nel caso di Nields delle aggravanti necessarie per l’inflizione della pena capitale, nonché problemi riguardo alla perizia di un esperto forense fortemente squalificato, il dottor Paul Shrode. L’Ohio ha eseguito 15 condanne a morte a partire dal 2007, anno in cui entrò in  carica il governatore democratico Ted Strickland, 7 delle quali con il nuovo metodo basato sull’uso di una sola sostanza letale. Attualmente negli USA questo stato è secondo solo al Texas per quanto riguarda il ritmo di esecuzione delle sentenze capitali. La Commissione per le Grazie dell’Ohio ha raccomandato clemenza in tre casi a Strickland il quale ha seguito la raccomandazione soltanto in due di essi, lasciando uccidere Jason Getsy nel 2009.

 

Russia. Ancora nessuna giustizia per Natalia Estemirova. Un anno fa, il 15 luglio 2009, Natalia Estemirova, valorosa attivista del movimento per i diritti umani Memorial, veniva rapita da alcuni uomini davanti alla sua casa di Grozny in Cecenia. Urlò disperatamente, ma fu portata via. Fu ritrovata uccisa nella vicina repubblica dell’Inguscezia. A differenza di quello che è accaduto in altri simili casi, il vile assassinio dell’Estemirova fu stigmatizzato sia dal presidente russo Dmitrii Medvedev, che dall’eminenza grigia Vladimir Putin, i quali promisero il loro impegno perché si facesse giustizia (v. n. 171). Per la verità non fece altrettanto il pupillo di Putin, il giovane presidente ceceno Ramzan Kadyrov, che in un’intervista dell’agosto 2009 ha definito Natalia Estemirova “una donna senza onore e senza vergogna.’ Sta di fatto che nessuno è stato ancora incolpato dell’assassinio della Estemirova tanto che Amnesty International ha rivolto un nuovo appello alle autorità russe di porre fine a persecuzioni e intimidazioni nei confronti degli attivisti per i diritti umani e “di portare di fronte alla giustizia, in un processo pubblico ed equo, i responsabili del suo omicidio.” Amnesty ha ricordato che l’uccisione di Natalia Estemirova ha seguito quelle dell’avvocato per i diritti umani Stanislav Markelov e della giornalista Anastasia Baburova, avvenute nel gennaio 2009 (v. n. 166), e della giornalista Anna Politkovskaya, uccisa nell’ottobre 2006 (v. n. 144, 153), nonché dell’attivista Zarema Sadulayeva e suo marito Umar Dzhabrailov anch’essi assassinati in  Cecenia.

 

Sudan. Il presidente Omar al-Bashir incriminato anche di genocidio. Il presidente del Sudan Omar Hassan Ahmed al-Bashir, già incriminato per crimini contro l’umanità per lo sterminio di gruppi tribali non arabi da parte dei militari sudanesi nella regione del Darfur a partire dall’aprile del 2003 (v. n. 168), il 12 luglio è stato incriminato anche di genocidio dalla Corte Penale Internazionale dell’Aia (CPI). Secondo la Corte il genocidio sarebbe stato perpetrato secondo tre modalità: tramite assassino, causando danni mentali e fisici, “infliggendo deliberatamente condizioni di vita calcolate per portare alla distruzione fisica”. In precedenza i giudici internazionali si erano rifiutati di accogliere la richiesta di incriminazione per genocidio di al-Bashir avanzata dall’accusatore Luis Moreno Ocampo. Il procuratore Ocampo è ricorso in appello ed infine la sua richiesta è stata accolta. Inutile dire che fino ad ora il Sudan si è costantemente opposto alla richiesta di estradizione del presidente in carica formulata dalla CPI il 4 aprile di quest’anno.

 

Texas. Non viene fissata la data di esecuzione per il messicano Humberto Leal. Humberto Leal, un condannato a morte del Texas che ha esaurito i normali appelli, era stato già trasferito dal braccio della morte in un carcere nei pressi della corte distrettuale in cui avrebbe dovuto ricevere la data di esecuzione. Già si sapeva che lunedì 12 luglio la giudice Maria Teresa Herr avrebbe scelto per lui una data nel mese di ottobre. Le previsioni sono state sconvolte da una lettera che Harold Hongju Koh, consigliere legale del Segretario di Stato Hillary Clinton, ha inviato alla giudice Herr invitandola a soprassedere alla fissazione della data per Leal. Koh chiede un congelamento a tempo indeterminato della situazione di Humberto Leal  in attesa che il Congresso decida se approvare una legge che regoli la spinosa materia riguardante coloro che sono stati condannati a morte negli USA in violazione del Trattato di Vienna sulle Relazioni Consolari del 1963. Infatti una cinquantina di Messicani, tra cui Humberto Leal, sono stati arrestati, accusati, processati e condannati a morte senza ricevere l’assistenza del proprio consolato richiesta dal Trattato, di cui gli USA hanno fatto parte a pieno titolo fino ad alcuni anni fa. Frustrata, la giudice Herr si è astenuta per il momento dal fissare la data di esecuzione per Humberto Leal ma ha dichiarato di non aver deciso se accettare o meno la richiesta di Harold Hongju Koh. Ricordiamo che – dopo serrate ed inutili schermaglie legali - il messicano José Medellín ricevette la data di esecuzione e fu ‘regolarmente giustiziato’ in Texas il 5 agosto 2008 (v. nn. 158, 160, 162).

 

USA. Elena Kagan, certa della conferma nella Corte Suprema, è per la pena di morte. Dopo aver sostenuto con estrema abilità l’interrogatorio dei senatori nel corso dell’audizione al Senato degli Stati Uniti, durato due giorni a fine giugno, la solicitor general Elena Kagan, nominata da Barack Obama per sostituire il giudice John Paul Stevens nella Corte Suprema USA (v. n. 180), è pressoché sicura di ottenere la conferma senatoriale, che gli osservatori si aspettano per l’inizio di agosto. La Kagan  è stata soprattutto attenta a non esprimere suoi punti di vista su questioni che potevano causarle la disapprovazione di una parte dei senatori, riferendosi a preesistenti prese di posizione del Corte Suprema che costituiscono un precedente meritevole della massima deferenza. Se ha espresso opinioni personali lo ha fatto collegandosi esplicitamente a decisioni della Corte, per esempio contro la discriminazione degli omosessuali nelle assunzioni nelle forze armate e per  il ‘diritto di scelta’ delle donne riguardo all’aborto, sia pure rifiutandosi di esprimere un parere sulla questione dell’aborto con ‘nascita parziale’ di cui si discusse negli anni Novanta. Elena Kagan ha deluso in pieno gli abolizionisti confermando il suo già noto sostegno per la pena capitale. Interrogata dal senatore democratico Dick Durbin, la Kagan ha detto di avere una visione differente da quella dell’ex giudice Thurgood Marshall – suo capo e grande amico quando lei lavorava come cancelliera alla Corte Suprema - che dissentiva in ogni singolo caso riguardante la pena capitale in base a considerazioni etiche. Elena Kagan ha detto di ritenere che la pena di morte costituisce un precedente ben consolidato che non deve essere disgregato. Come abbiamo osservato nel n. 179, la sostituzione di Elena Kagan al giudice John Paul Stevens che ha maturato una cristallina contrarietà alla pena capitale, rischia di danneggiare non poco il processo abolizionista negli Stati Uniti e i singoli casi dei condannati a morte che arrivano alla Corte Suprema.

 

 

Questo numero è aggiornato con le informazioni disponibili fino al 18 luglio 2010

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