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FOGLIO  DI COLLEGAMENTO  INTERNO

 

DEL COMITATO PAUL ROUGEAU

 

Numero 294  -  Maggio 2022

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Carman Deck

SOMMARIO:
 

1) L’Arizona uccide il navajo Clarence Dixon, cieco e malato di mente

2) Carman Deck ucciso in Missouri dopo vari processi ingiusti

3) Melissa Lucio dopo essere scampata alla morte in Texas intravede la possibilità di essere liberata

4) Djalali è ancora vivo ma il boia è sempre vicino

5) Il mio fratello Juan

6) Avviso importante per chi corrisponde con detenuti in Florida!

7) Notiziario: Bielorussia, Iran, Repubblica Centroafricana, Russia

1) L’ARIZONA UCCIDE IL NAVAJO CLARENCE DIXON, CIECO E MALATO DI MENTE

 

Alle 10 e 30’ dell’11 maggio, Clarence Dixon, sessantaseienne Nativo Americano della tribù Navajo, è stato dichiarato morto, dopo 11 minuti dal momento in cui le sostanze letali hanno cominciato ad entrargli nelle vene (1).

Clarence era stato condannato a morte in Arizona nel 2008 per aver stuprato, pugnalato e strangolato la studentessa universitaria ventunenne Deana Bowdoin nel 1978. L’omicidio rimase irrisolto per 20 anni, fino a quando un test del DNA rivelò che ad uccidere era stato Clarence Dixon, che stava già scontando l’ergastolo per una violenza carnale.

A giugno dell’anno scorso la signora Doreen McPaul, Procuratrice Generale della Nazione Navajo, aveva scritto una lettera al Procuratore Generale dell’Arizona, Mark Brnovich, chiedendo di tenere in considerazione le credenze tradizionali della tribù Navajo e la loro posizione contro la pena di morte.

“La pena di morte toglie la possibilità di ripristinare l’armonia mentre una condanna all’ergastolo consente la possibilità di ritrovare l’equilibrio nel nostro mondo”, scrisse la McPaul a Brnovich. “Per conto della Nazione Navajo, riguardo alla pena capitale, chiariamo la nostra posizione relativamente al caso di Dixon, che è un membro della Nazione Navajo. Per questa ragione la Nazione Navajo si oppone fermamente all’esecuzione di un membro della tribù Navajo da parte dello stato.” La domanda di Doreen McPaul fu ignorata.

I legali di Dixon hanno ancora tentato fino all’ultimo di salvargli la vita, inviando richieste di clemenza e di commutazione della pena alla Commissione per le Grazie e al Governatore dell’Arizona, Doug Ducey. Le richieste sono state respinte, anche se le motivazioni presentate erano fondate e valide.

I legali di Dixon fecero presente innanzi tutto la grave malattia mentale che affliggeva il condannato. Clarence crebbe in una riserva indiana con un padre drogato che abusò fisicamente e psicologicamente di lui, di sua madre e dei suoi fratelli. Da bambino fu completamente trascurato, mangiava cibo per cani e a 12 anni dovette percorrere a piedi da solo molti chilometri per raggiungere l’ospedale locale, dal quale fu poi trasportato in aereo a Phoenix, dove fu operato al cuore per un difetto congenito, di cui continuò poi a soffrire.

Queste informazioni non furono mai rivelate ai giurati durante il processo capitale. Negli ultimi anni, inoltre, Dixon era diventato quasi completamente cieco. Clarence soffriva di schizofrenia che gli impediva di rendersi conto dei suoi reati. Era convinto che la condanna a morte fosse dovuta a un complotto dello stato contro di lui e non si ricordava di aver mai commesso alcuna violenza. Lo psichiatra Lauro Amezcua-Patino aveva dichiarato alla corte che Dixon era nato con la pelle bluastra, perché non gli era arrivato ossigeno durante il parto. Questo trauma, unito agli anni di abusi in gioventù, fece sì che Dixon a 20 anni fosse affetto da schizofrenia. L’esperto per l’accusa, Dr. Carlos Vega, invece, pur avendo solo parlato in videoconferenza con Dixon per poco più di un’ora, disse che il detenuto non soffriva di allucinazioni né era incapace di capire le motivazioni della sua condanna. Valutati i due pareri, i membri della Commissione delle Grazie hanno respinto la domanda e non hanno raccomandato al Governatore di concedere clemenza.

Un’altra questione presentata dai legali di Dixon, nel loro ulteriore appello rivolto alla Corte Suprema dell’Arizona, riguardava l’uso da parte dello stato delle sostanze letali. L’esecuzione di Dixon sarebbe stata la prima dopo 8 anni di moratoria, seguenti all’esecuzione fallita di Joseph Wood, nel luglio 2014 (vedi numero 215). Wood avrebbe dovuto impiegare 10 minuti per morire, invece fu visto agonizzare per due ore, durante le quali, per ucciderlo, gli dovettero somministrare, anziché una sola, 15 dosi del miscuglio di farmaci letali. I testimoni videro il condannato boccheggiare e ansimare per tutto il tempo, mentre cercava disperatamente di respirare. Gli stati come l’Arizona hanno fatto molta fatica a rintracciare i farmaci dopo che gli USA e le case farmaceutiche europee hanno rifiutato di fornire i loro prodotti per le iniezioni letali. Pur di riprendere le esecuzioni, l’Arizona era ricorso nel 2015 all’acquisto illegale di sostanze letali fornite da un piccolo produttore abusivo in Inghilterra, e al ripristino della camera a gas. In pratica i condannati in questo Stato avrebbero potuto scegliere tra una morte certamente atroce, come quelle che avvenivano nei campi di sterminio nazisti, o un’iniezione di veleno ignoto, il cui esito era decisamente incerto. L’anno scorso lo stato ha poi trovato per vie misteriose una fornitura di mille fiale di pentobarbital, pagate 1,5 milioni di dollari, e spedite al carcere in scatole prive di etichetta.

In Arizona non si possono usare per le iniezioni letali farmaci scaduti, ma i legali di Dixon hanno dichiarato che il dipartimento carcerario non ha comunicato la data di scadenza delle sostanze che avrebbero usato per l’esecuzione di Clarence. Gli avvocati hanno detto che questo rifiuto violava i diritti costituzionali del condannato perché “gli impedivano di stabilire se la Direzione del carcere sarà in grado di eseguire la condanna” secondo la legge dello stato e federale. “Anche piccole deviazioni dalle procedure per preparare il pentobarbital possono avere impatto sulla sicurezza e sull’efficacia della sostanza, incluso il possibile effetto insufficiente”. Lo stato ha così concordato di utilizzare per l’esecuzione un nuovo lotto di pentobarbital, tale da non presentare il rischio di essere scaduto. In parallelo a questo accordo, la Corte Suprema dell’Arizona ha negato l’ultimo tentativo di sospensione dell’esecuzione da parte degli avvocati di Dixon.

Lenny Foster, per 37 anni assistente spirituale dei Nativi Americani detenuti e ora in pensione, ha dichiarato di aver conosciuto Dixon nel 1988 e di averlo assistito come poteva. “Ho parlato con lui al telefono, dandogli sostegno spirituale”, ha detto Foster. Non poteva incontrare direttamente Dixon a causa delle restrizioni per il Covid, ma lo assistette anche il giorno precedente l’esecuzione. Foster ha dichiarato di essere contrario alla pena di morte. “I precetti che ci sono stati tramandati dai nostri nonni ci dicono che non dobbiamo togliere la vita. Togliere la vita di un’altra persona è un tabù.”

L’esecuzione di Clarence non è stata drammatica come quella di Wood otto anni fa, ma certamente anch’essa può considerarsi fallita. Il giornalista di Fox News, Troy Hayden, ha testimoniato che la squadra dell’esecuzione ha avuto problemi a inserire gli aghi per l’endovena, e che Dixon faceva smorfie di dolore durante questo procedimento e cercava di divincolarsi dalle cinghie che lo legavano al lettino. Le guardie impiegarono 25 minuti a inserire le cannule, prima nel suo braccio sinistro, poi nel destro, e dovettero anche incidere l’inguine del condannato per utilizzare un’ulteriore vena in quella parte del corpo.

Deborah Denno, docente di Giurisprudenza che ha studiato le esecuzioni per oltre 25 anni, afferma che si dovrebbero impiegare da 7 a 10 minuti in tutto, da quando lo staff inizia a inserire gli aghi a quando il condannato è dichiarato morto. Ha detto che quanto è accaduto a Dixon “E’ un segno di panico da parte della squadra dell’esecuzione, e di incompetenza.”. Un altro esperto ha dichiarato che “L’esecuzione può essere decisamente dichiarata fallita. Qualcuno può non essere d’accordo, ma in realtà le cose non sono andate bene”. Dal canto suo il procuratore Rick Romley, che aveva perseguito Dixon, ha dichiarato che anche se l’esecuzione può essere stata più complicata del previsto, non la considerava fallita e tantomeno in violazione dell’Ottavo emendamento della Costituzione. Insomma, per lui non si è trattato di una punizione crudele e inusuale.

Dixon, prima di morire, ha biasimato la Corte Suprema dell’Arizona per aver negato i suoi appelli, e si è rivolto alla vittima del crimine, dichiarando: “Forse ti incontrerò dall’altra parte, Deana. Non ti conosco e non mi ricordo di te. Proclamo adesso la mia innocenza e lo farò sempre, e adesso andiamo avanti con questa merda.” Poi ha perso conoscenza pochi minuti dopo che le sostanze letali gli sono state inoculate.

Poco dopo la morte di Dixon, la sorella di Deana, Leslie James, è salita su un podio nel complesso carcerario e, affermando che ci erano voluti troppi anni prima che l’esecuzione avesse luogo, ha raccontato tra le lacrime ciò che Clarence Dixon le aveva rubato. Leslie ha descritto la sorella, di due anni più giovane di lei, come una ragazza dolce e intraprendente, che avrebbe potuto fare una carriera brillante, si sarebbe potuta sposare e avrebbe dato nipotini alla loro mamma. “Avremmo dovuto poter crescere insieme”, ha dichiarato la Jones tra i singhiozzi.

Ma davvero la morte di questo povero Navajo, cieco, infelice e maltrattato dalla nascita, affetto da allucinazioni, ucciso dopo essere stato tormentato lungamente nel tentativo di trovargli vene adatte a ricevere il veleno, davvero questa morte può essere una consolazione e un vantaggio per l’umanità? Mi sento solidale con lo spirito e le credenze dei Navajos: ogni vita tolta rompe ulteriormente l’armonia con la nostra Madre Terra. (Grazia)

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(1) Sul caso di Clarence Dixon vedi nn. 272, 282

2) CARMAN DECK UCCISO IN MISSOURI DOPO VARI PROCESSI INGIUSTI

 

L’esecuzione di Carman Deck è stata portata a temine 26 anni dopo il duplice omicidio di cui fu accusato, a conclusione di un lungo e altalenante procedimento giudiziario.

 

Alle 18:10’ del 3 maggio, nel carcere di Bonne Terre in Missouri, Carman Deck, condannato alla pena capitale per duplice omicidio, è stato messo a morte con un’iniezione letale.

Il suo iter giudiziario fu travagliato e intriso di gravi pecche e lacune.

Deck era stato accusato di aver sparato alla nuca a due anziani coniugi, James e Zelma Long, per derubarli, nel 1996, quando aveva 30 anni. La polizia affermò che aveva confessato le uccisioni, ma la difesa di Deck sostenne al processo che si era trattato di una falsa confessione.

La prima condanna di Deck fu annullata in appello a causa di un errore nelle istruzioni fornite alla giuria.

Fu poi nuovamente condannato a morte, ma anche questa seconda condanna fu annullata dalla Corte Suprema degli Stati Uniti, con la motivazione che i giurati potevano essere stati influenzati negativamente dal fatto che Deck fu portato e tenuto in catene in tribunale durante il processo.

Una terza giuria lo condannò nuovamente a morte nel 2008, ma un giudice federale annullò la sentenza, concordando con la difesa di Deck che non c'erano prove sufficienti per giustificare una condanna alla pena capitale.

Nel 2020, una corte d'appello federale ritenne erronea la decisione del giudice e ripristinò la condanna a morte. Ulteriori ricorsi alla Corte Suprema degli Stati Uniti furono respinti.

“Stasera è stata fatta giustizia”, ha dichiarato Anne Precythe, direttrice del Dipartimento penitenziario del Missouri.

Elizabeth Carlyle, un’avvocatessa di Deck, ha invece definito la sua esecuzione “ingiusta e immorale”, dicendo che da bambino Deck “aveva subito abusi, era stato trascurato e abbandonato, fattori che costituivano circostanze attenuanti, tanto che la Corte Suprema del Missouri li aveva definiti sostanziali”.

“I familiari stretti gli hanno insegnato a rubare, portandolo a una pena detentiva che lo ha trasformato da ladro non violento nella persona che ha commesso due terribili omicidi”, ha aggiunto la Carlyle. La terza giuria non sentì nessuno che potesse testimoniare della sua “orribile infanzia”, ha anche dichiarato. “A causa dell’eccessivo ritardo per colpa dello Stato del Missouri, la giuria non sentì un solo testimone dal vivo che conoscesse Carman prima del crimine”, ha detto la Carlyle. "Questo processo fallito non fornisce motivazioni sufficienti per giustificare la morte di Carman. L'ergastolo senza la possibilità di liberazione sarebbe stata una punizione giusta e adeguata".

I membri della famiglia Long hanno assistito all'esecuzione, mentre nessun familiare di Carman Deck era presente. (Grazia)

3) MELISSA LUCIO DOPO ESSERE SCAMPATA ALLA MORTE IN TEXAS

INTRAVEDE LA POSSIBILITÀ DI ESSERE LIBERATA

 

Melissa Lucio doveva essere messa a morte in Texas il 27 aprile scorso ma è ancora viva, ed anzi, con il passar del tempo aumenta la sua speranza di essere completamente scagionata.

Quattordici anni dopo essere entrata nel braccio della morte del Texas, la 53-enne Melissa Elizabeth Lucio avrà finalmente la possibilità di far esaminare le prove di innocenza in un tribunale statale.

La Lucio, condannata a morte per l’omicidio della figlia Mariah di 2 anni nel 2007, doveva essere giustiziata il 27 aprile u. s. Ma, due giorni prima, la Corte Penale d'Appello del Texas dispose la sospensione dell’esecuzione in modo che la Corte che la condannò possa decidere se debba essere sottoposta o no ad un nuovo processo (1).

Melissa, la sua famiglia e i suoi avvocati sostengono che la condanna a morte per l’uccisione della figlia Mariah è stata ingiusta. Mentre i pubblici ministeri hanno sostenuto al processo che Melissa Lucio era una madre violenta che causò le ferite mortali, gli avvocati difensori hanno affermato che le ferite di Mariah furono causate da una caduta per le scale. Il tribunale esaminerà la richiesta della difesa e la risposta dei pubblici ministeri prima di formulare una raccomandazione alla Corte d'Appello dello Stato, che deciderà se concedere un nuovo processo. Non è chiaro quanto tempo sarà necessario.

“Non credo ci sia modo di prevedere” se Melissa Lucio otterrà un nuovo processo sulla base delle quattro richieste, ha dichiarato Robert Dunham, direttore esecutivo del Death Penalty Information Center, un'organizzazione no-profit apartitica che non prende posizione sulla pena di morte, ma che critica il modo in cui viene amministrata.

Ma “la sospensione dell'esecuzione e il rinvio per l'esame di queste richieste sono straordinariamente significative”, ha aggiunto Dunham, descrivendo la sentenza di questa settimana come “una porta aperta, una soglia che doveva essere attraversata per permettere a Melissa Lucio di avere il suo giorno in tribunale”.

Di seguito, riportiamo le quattro richieste e le argomentazioni della Lucio e dei suoi avvocati.

 

Richiesta n.1: Nessun giurato avrebbe condannato Melissa Lucio senza la falsa testimonianza dello Stato.

La prima richiesta di rinvio sostiene che Melissa Lucio è stata condannata sulla base delle false testimonianze degli esperti medici e degli investigatori dello Stato che hanno interrogato la Lucio la notte in cui è morta sua figlia.

Al momento della morte, il corpo di Mariah era coperto di lividi “in vari stadi di guarigione”, il suo braccio era stato rotto diverse settimane prima e aveva, secondo i documenti del tribunale, quello che le autorità ritenevano essere il segno di un morso sulla schiena.

Secondo gli avvocati della Lucio, le autorità hanno deciso che le ferite di Mariah erano dovute a maltrattamenti e hanno cercato di confermare questa teoria ignorando le prove che avrebbero potuto dimostrare l'innocenza.

Alcune ore dopo la morte di Mariah, Melissa Lucio è stata interrogata dagli investigatori, tra cui un ranger del Texas che ha testimoniato per lo Stato nel processo da carico della Lucio. Secondo la richiesta di habeas, questi ha affermato di sapere che la Lucio era colpevole in base al suo comportamento: la testa era abbassata ed evitava il contatto visivo, segni, a suo dire, della sua colpevolezza.

Questa testimonianza è “scientificamente infondata e falsa”, si legge nella richiesta di habeas. Citando un neuroscienziato, si afferma che non vi sono basi a sostegno dell'idea che alcuni atteggiamenti del viso e del corpo possano rivelare lo stato mentale di qualcuno.

Anche il medico legale che ha condotto l'autopsia di Mariah ha testimoniato il falso, sostengono gli avvocati di Melissa Lucio.

Al patologo forense - che ha stabilito che un trauma da corpo contundente è stato la causa della morte di Mariah - è stato detto che la Lucio aveva confessato di aver abusato della bambina. Secondo la richiesta di habeas, questa informazione ha “alterato" l'autopsia e i suoi risultati, e il medico legale non ha esaminato altre parti della vicenda medica di Mariah, tra cui i suoi problemi di deambulazione e le cadute causate da un piede storto.

Al processo, il medico legale ha testimoniato per lo Stato che le lesioni potevano essere causate solo da abusi, indicando nel corso della sua testimonianza i gravi lividi presenti sul corpo di Mariah, una frattura al braccio risalente a diverse settimane prima della morte e presunti segni di morsi sulla schiena.

Ma gli avvocati di Melissa Lucio, citando esperti medici, hanno offerto altre spiegazioni per le lesioni: Mariah mostrava segni di un disturbo della coagulazione del sangue che può provocare gravi contusioni e una frattura del braccio non è rara nei bambini, specie in quelli che cadono frequentemente.

Le cause più comuni della malattia ematica, si legge nella richiesta di habeas, sono il trauma cranico - come quello subito in una caduta da una ripida rampa di scale - e l'infezione, che sembra che Mariah stesse combattendo quando è morta. Inoltre, le prove e le analisi dei segni dei morsi sono state da allora ritenute “non valide e inaffidabili", si legge nella richiesta, in quanto gli odontoiatri forensi hanno riscontrato che le testimonianze degli esperti che identificano le lesioni come segni di morsi umani sono “prive di base scientifica”.

Di conseguenza, sostengono gli avvocati della Lucio, queste testimonianze erano false e ciò deve essere riconosciuto.

 

Richiesta n. 2: Nuove prove scientifiche impedirebbero la condanna della Lucio

La seconda richiesta che il tribunale esaminerà sostiene che prove scientifiche precedentemente non disponibili avrebbero impedito alla giuria di dichiarare Melissa Lucio colpevole.

Gli avvocati di Melissa Lucio si adoperano anche per demolire la sua presunta confessione.

La condanna a morte conseguì, in parte, dalle dichiarazioni rilasciate dalla Lucio alle autorità nel corso di un interrogatorio “presuntivo di colpevolezza” la notte in cui morì la figlia. Un interrogatorio durato ore. La vaga ammissione di essere responsabile di alcune delle ferite di Mariah - ma non un'ammissione di colpa per la sua morte, - sono state comunque presentate al processo come una confessione.

Ma le dichiarazioni hanno le caratteristiche di una falsa confessione. Melissa Lucio era particolarmente incline a fornirle a causa della sua storia di sopravvissuta per tutta la vita ad abusi sessuali e violenze domestiche.

Il team legale di Lucio ha dichiarato che la donna ha negato più di 100 volte durante l'interrogatorio di aver fatto del male a Mariah. Dopo ore di interrogatorio, però, si legge nella richiesta di habeas, ha “ripetuto a pappagallo” ciò che le suggerivano gli inquisitori e poi ha dimostrato, su istruzioni degli inquisitori, il presunto abuso su una bambola.

Melissa Lucio era particolarmente suscettibile alle pressioni degli investigatori, data la sua "storia di traumi che dura da una vita". Anche questa, dicono i suoi avvocati, è una nuova prova che non era disponibile al momento del processo, e la giuria non ha ascoltato la testimonianza di un esperto di false confessioni.

Se lo avessero fatto, sostengono i suoi avvocati, Melissa Lucio probabilmente non sarebbe stata condannata.

 

Richiesta n. 3: Le prove dimostrano che la Lucio è innocente

Si legge nella richiesta di habeas che le prove nel complesso presentate dal team della Lucio e le relazioni degli esperti "confutano ogni elemento dell'accusa contro la signora Lucio".

Date le prove, in gran parte già descritte, nessun "giurato razionale avrebbe trovato la signora Lucio colpevole al di là di un ragionevole dubbio", si legge nella richiesta. L'esecuzione di una persona innocente violerebbe l'Ottavo e il Quattordicesimo Emendamento della Costituzione statunitense, il suo diritto a un giusto processo e costituirebbe una punizione crudele e inusuale.

 

Richiesta n. 4: lo Stato ha soppresso prove favorevoli alla difesa della Lucio

L'ultima richiesta di revisione della sentenza si basa sul fatto che i pubblici ministeri hanno nascosto all’avvocato difensore alcune prove a favore di Melissa Lucio, pregiudicando ulteriormente il verdetto di colpevolezza e violando il suo diritto al giusto processo.

Tra tali prove vi sono le informazioni di un investigatore dei servizi sociali che aveva intervistato alcuni dei figli di Melissa Lucio, i quali avevano confermato la caduta di Mariah e il peggioramento del suo stato di salute e avevano respinto le accuse di abuso da parte della madre.

Gli avvocati della Lucio sostengono anche che le dichiarazioni alla polizia dei fratelli di Mariah sono state trascurate: invece di fornire all'avvocato difensore le loro dichiarazioni giurate, si legge nella richiesta di habeas, i pubblici ministeri hanno fornito dei riassunti che "omettevano" informazioni potenzialmente scagionanti.

Secondo il documento, tra le altre cose sarebbero state omesse le seguenti prove: che le autorità sapevano dell’esistenza di testimoni, i quali affermavano che Lucio non aveva abusato dei suoi figli; che c'erano altri membri della famiglia che sapevano che Mariah era caduta dalle scale; e che Mariah non aveva mostrato alcun segno di ferita al braccio nelle settimane precedenti la sua morte.

 

La sospensione dell’esecuzione manda un messaggio

 

Sebbene la sospensione dell'esecuzione sia una “notizia estremamente positiva” e “fondamentale” per la Lucio, “non è la garanzia di un determinato risultato “, ha dichiarato Dunham alla CNN. Invia però un messaggio: “I tribunali devono prestare maggiore attenzione alle questioni di innocenza”

“Speriamo che il messaggio sia che non dobbiamo negare a persone probabilmente innocenti il loro giorno in tribunale", ha detto il direttore del Death Penalty Information Center.

Per quanto riguarda Melissa Lucio, i suoi avvocati riconoscono che la strada da percorrere è ancora lunga. Ma sono ottimisti.

La sentenza del 25 aprile “apre la porta alla possibilità di un nuovo processo", ha detto Vanessa Potkin, direttrice delle controversie speciali dell'Innocence Project, "e, in ultima analisi, alla possibilità di essere completamente scagionata". (Pupa)

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(1) Sulla vicenda di Melissa Lucio vedi nn. 287, 291, 292, 293.

4) DJALALI È ANCORA VIVO MA IL BOIA È SEMPRE VICINO (*)

 

Il ricercatore iraniano Ahmad Reza Djalali, arrestato nel 2016 mentre si trovava nel suo paese per tenere un ciclo di conferenze e condannato a morte, doveva essere impiccato entro il 21 maggio ma è ancora vivo. La sua sorte rimane comunque del tutto incerta.

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L’impiccagione del ricercatore iraniano Ahmad Reza Djalali (1) era prevista entro la fine del mese di Ordibehesht del calendario persiano, ovvero entro il 21 maggio.

«Quella data è passata ed è finito un incubo, ma ne è subito iniziato un altro perché già sappiamo che la magistratura di Teheran ha terminato la procedura di revisione del suo caso e il cappio del boia potrebbe stringersi ben presto attorno al collo del ricercatore universitario», commenta Riccardo Noury, portavoce di Amnesty Italia.

Secondo l’ultimo rapporto di Amnesty International sulla pena di morte, «dal 2017 in Iran si è registrato un aumento delle condanne capitali: si è passati da almeno 246 esecuzioni nel 2020 ad almeno 314 nel 2021, con un aumento percentuale del 28%.

Il dato è il più alto registrato nel paese dal 2017. La parte più consistente di queste esecuzioni (42%) è costituita da esecuzioni di condannati a morte per reati di droga (132 in totale), il cui ammontare è cresciuto più di cinque volte rispetto al 2020».

Quella di Djalali è però tutta un’altra storia. Nato cinquant’anni fa nella località di Sarab nella regione iraniana dell’Azerbaigian, Ahmad Reza Djalali è specializzato in medicina di emergenza e ha svolto ricerca in diversi istituti europei, tra cui l’Università degli Studi del Piemonte orientale, il centro Crimedim di Novara, la Vrije Universiteit di Bruxelles e l’Istituto Karolinska di Solna, a pochi chilometri da Stoccolma.

Era stato arrestato nel 2016 mentre si trovava in Iran su invito delle Università di Teheran e Shiraz. Sotto tortura, aveva confessato di essere una spia al soldo dello Stato ebraico e di aver indicato al Mossad due scienziati nucleari, poi uccisi nel 2010.

Nel gennaio 2017 era stato trasferito nella sezione 15 del tribunale rivoluzionario di Teheran con l’accusa di spionaggio. Senza avvocato, al quale era stato impedito di presenziare alle udienze, nell’ottobre dello stesso anno il ricercatore era stato incarcerato nella prigione di Evin e condannato a morte per impiccagione con l’accusa di «corruzione sulla terra».

Dopodiché, nel luglio 2019 era stato trasferito in un luogo ignoto in attesa dell’esecuzione.

In questi anni sono stati numerosi gli appelli a favore di Djalali. Si è anche ipotizzato uno scambio con un detenuto iraniano, Hamid Nouri, che un tribunale svedese potrebbe condannare all’ergastolo il prossimo 14 luglio anche se nega ogni capo d’accusa e dice trattarsi di un caso di omonimia.

Si tratterebbe di un ex funzionario della magistratura iraniana, arrestato nel 2019 all’aeroporto di Stoccolma e recentemente sotto processo in Svezia per il suo presunto coinvolgimento nell’esecuzione di massa di dissidenti negli anni Ottanta nelle carceri iraniane.

Il portavoce della magistratura di Teheran, Massoud Setayeshi, ha però escluso l’ipotesi di uno scambio di prigionieri: «Non c’è alcun piano per scambiare Nouri con Djalali e quest’ultimo verrà giustiziato a tempo debito».

In Italia il caso di Djalali è noto perché il ricercatore iraniano aveva lavorato all’Università del Piemonte orientale, a Novara, dove non si erano però concretizzate opportunità. Si era trasferito in Svezia, che nel 2018 gli concesse la cittadinanza.

Durante la presidenza del moderato Rohani, il ministro degli Esteri svedese Ann Linde aveva chiesto al suo omologo Javad Zarif di intercedere, ma il portavoce del ministero di Teheran aveva risposto: «Sfortunatamente, le informazioni a disposizione delle autorità svedesi sul caso di Djalali sono incomplete e false». In ogni caso, ha aggiunto, «la magistratura è indipendente dall’esecutivo».

In carcere, Djalali ha acquisito la cittadinanza svedese, ma dal punto di vista legale vale ben poco: l’Iran non riconosce la doppia cittadinanza. Di pari passo, non serve granché la cittadinanza onoraria conferita dal Comune di Novara, dopo che Djalali era detenuto nelle carceri iraniane da tre anni.

Secondo Noury, «ora la palla passa alla diplomazia europea, in particolare a quella dei Paesi in cui Djalali ha lavorato: Italia, Belgio e Svezia. Ad avere un ruolo prioritario saranno Bruxelles e Stoccolma, perché nelle loro carceri ci sono prigionieri iraniani che gli ayatollah e i pasdaran vorrebbero liberare. Da anni l’Iran arresta iraniani che hanno acquisito una seconda cittadinanza europea, con l’obiettivo di scambiarli con altri iraniani detenuti nel vecchio continente. Questa strategia è inaccettabile, le persone non possono diventare pedine».

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(*) Articolo di Farian Sabahi pubblicato su Il manifesto il 29 maggio u. s.

(1) Vedi i nostri articoli sul caso di Ahmad Reza Djalali nei nn.235, 244, 246, 260, 262 Not., 281 Not.

5) IL MIO FRATELLO JUAN

articolo di Dale Recinella pubblicato su “L’osservatore Romano”

 

In nostro caro amico Dale Recinella, cappellano laico nel braccio della morte della Florida, ancora malconcio per le conseguenze del Covid, racconta della bella amicizia con il condannato a morte Juan Roberto Melendez che è stato riconosciuto innocente e liberato nel 2002.

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Il braccio della morte della Florida

Spesso, durante le conferenze che tengo in Florida e in tutto il Paese contro la pena di morte, confesso al pubblico che trent’anni fa non sapevo assolutamente nulla della realtà della pena capitale in Florida. Come avrei potuto, altrimenti, iniziare il mio volontariato di cappellano dei condannati a morte il 9 agosto 1988? In agosto il calore estivo è al suo massimo livello.

Chiunque sappia davvero come funziona il braccio della morte e la realtà delle sue condizioni di isolamento, supplicherebbe di iniziare l’attività in inverno. Io non ne sapevo abbastanza per farlo.

La mia guida, Padre Joe, sta accompagnandomi di cella in cella, presentandomi a ciascuno degli uomini che la Florida detiene in queste gabbie di 2 metri per 3, fino a quando li uccidiamo. Il calore è fuori controllo. L’umidità è almeno del 99%. Ne consegue una temperatura percepita di oltre 40° Celsius.

Questo calore nel carcere non è una particolarità solo della Florida. Una delle fonti massime di stress sia sui detenuti che sul personale carcerario nel profondo sud degli Stati Uniti è proprio il tremendo calore estivo e l’umidità all’interno delle prigioni che non hanno alcun climatizzatore.

La striscia di cemento su cui cammino incrocia le porte di sbarre di quindici celle. Nel carcere, queste porte sono chiamate “cancelli”. E questo corridoio, che è compreso tra i cancelli delle celle alla mia destra e il muro di sbarre d’acciaio alla mia sinistra, è chiamato “passerella dei cancelli”. Si allunga da un’estremità dell’ala all’altra ed è costantemente umido e viscido.

In un attimo, Padre Joe e io siamo fradici del nostro sudore e della condensa proveniente dall’aria. I muscoli della mia schiena e delle cosce gridano di alleviarli dallo sforzo che compio per evitare di scivolare e cadere sul cemento umido.

Decenni fa, quando svolgevo lavori in fabbrica per mantenermi al liceo, una delle mansioni che durò nove mesi includeva il maneggiamento di stampi in acciaio caldi e freddi. La temperatura e il calore nel braccio della morte mi riportano alla mente quell’esperienza, ma l’umidità estiva qui in Florida ingigantisce l’impatto del calore sul corpo umano.

Penso: non so se questo è l’inferno, ma di certo è come se lo fosse, mentre Frate Joe si ferma e si volta verso di me, dicendo: “Questi uomini sono figli di Dio. Come possiamo tenerli in queste condizioni?”

Allevando i miei cinque figli, ho imparato che quando il carico di un compito viene avvertito come schiacciante, bisogna ridimensionarlo. Occorre identificare porzioni più piccole e traguardi che possiamo raggiungere durante il percorso verso l’obiettivo finale.

Quella lezione si insinua nella mia mente mentre contemplo ogni corridoio di 15 o 16 celle. Ci saranno inevitabilmente una o due celle in ogni corridoio dove un detenuto ricaricherà la mia energia in esaurimento con il suo calore e il suo entusiasmo per la nostra breve visita davanti alla sua cella. Padre Joe mi presenta proprio a un uomo così durante la mia prima visita a questo luogo.

“Lui è Juan”, la mia guida madida di sudore sorride a lui e a me. “Juan è un uomo molto buono e di forte fede cattolica. Fa regolarmente la Comunione”.

Mi inserisco nella conversazione per presentarmi. “Sono un nuovo volontario venuto per aiutare Padre Joe. Mi chiamo Dale, ma tutti hanno già iniziato a chiamarmi Fratello Dale”.

Juan passa le mani attraverso le sbarre per avvolgerle intorno alle mie. “Sono tanto contento che tu sia qui. Padre Joe ha bisogno di tutto l’aiuto che potrai dargli, specialmente in questo edificio.”

Col passare delle settimane, il mio nuovo amico Juan Roberto Melendez è invariabilmente caloroso e sincero. Mi racconta anche gran parte del suo percorso nel braccio della morte della Florida.

“Quando arrivai qui, non sapevo né leggere né scrivere una parola in inglese”.

“Stai scherzando”, sono davvero sbalordito. “Come hai fatto a imparare la lingua?”

“Proprio qui!”, sorride e indica ciò che lo circonda. “I miei fratelli condannati a morte mi hanno insegnato a leggere e a scrivere.”

Non posso nascondere la mia sorpresa. Juan mi spiega.

“Fuori di qui”, allarga il gesto verso le finestre come a includere tutto il mondo all’esterno delle sbarre, “ci definiscono tutti dei mostri. Ma alcuni di noi sono innocenti e la maggior parte di noi ha una storia molto complicata.”

Non ho idea di come rispondere. Nell’autunno del 1984, quando Juan fu condannato a morte, io ero ancora un avvocato dell’alta finanza a Miami. Ero ancora a favore della pena di morte in Florida, di cui non sapevo assolutamente niente.

Ricordo vagamente di aver appreso la notizia dell’incriminazione e della condanna a morte di Juan nel 1984, dai notiziari locali che strombazzavano lo slogan di una vita per una vita. Non mi venne davvero in mente che era facile condannare a morte un raccoglitore di frutta itinerante e analfabeta benché non vi fosse alcuna prova fisica che lo collegasse al crimine.

Bene, questo è esattamente ciò che la Florida fece a Juan! E adesso, quattordici anni dopo, mi trovo davanti alla sua cella nel braccio della morte.

“Juan”, inizio a parlare con cautela, “non avverto in te né amarezza né rabbia. Come è possibile questo se sei innocente?”

“Solo perché essi mi hanno fatto questo, non vuol dire che biasimerò me stesso o loro. Sarà Dio ad occuparsene.”

Dopo aver analizzato il caso di Juan e avergli fatto molte altre visite portandogli la Comunione, trovo il coraggio di chiedergli: “Juan, se mai i tribunali ti scarcerassero, cosa faresti?”

“È ovvio”, sorride. “Investirei ogni atomo delle mie energie lavorando per porre fine a questa orrenda pena di morte, affinché altri non debbano subire tutto questo e magari essere anche innocenti.”

Entro la fine del 2001, Juan è diventato molto più che un amico per me. È davvero un fratello. Non vedo l’ora di incontrarlo davanti alla sua cella durante i miei giri portando la Comunione, e di ascoltare le notizie di sua madre e di come sta procedendo il suo caso.

Poi, a gennaio del 2002, arrivo davanti alla sua cella e la trovo vuota.

“Dov’è Juan?”, chiedo agli altri detenuti e alle guardie. Nessuno lo sa.

Sono venuti e gli hanno detto di radunare la sua roba, è la risposta di tutti. Informazioni precise possono essere molto difficili da ottenere nel braccio della morte della Florida. Nessun membro del personale vuole essere ripreso dalle telecamere mentre conferma la voce che un condannato a morte è stato liberato perché innocente.

L'opinione convenzionale in Florida è che ogni condannato a morte sia colpevole di qualcosa. Questo nonostante dal 1976 la Florida abbia scarcerato 30 condannati a morte per provata innocenza.

Io posso solo sperare che Juan sia davvero tornato dalla sua famiglia nei Caraibi. Probabilmente non lo rivedrò più.

Poi, nell’autunno del 2004, sono a Montreal con mia moglie per una conferenza internazionale contro la pena di morte. È un grande evento di più giorni, e la presentatrice è la Signora Bianca Jagger. Quando finisco la mia conferenza nel tardo pomeriggio, la Sig.a Jagger torna sul podio per presentare il nuovo oratore. E in quel momento succede.

Sto camminando sul palco dal podio verso l’uscita del palcoscenico sul lato opposto. Da quella stessa uscita mi si avvicina un uomo alto circa come me. La sua sagoma mi sembra vagamente familiare sotto le luci del palcoscenico. Mentre ci avviciniamo uno all’altro improvvisamente è chiaro che si tratta di mio fratello Juan. Non l’avevo più visto da quando era stato scarcerato dal braccio della morte quasi due anni prima.

Siamo entrambi colpiti contemporaneamente nel riconoscerci. Reagiamo spontaneamente mettendoci a correre l’uno verso l’altro. E lì, sul palcoscenico a Montreal, davanti a oltre 2.000 persone, abbraccio mio fratello Juan mentre le lacrime scorrono sulle mie guance. Da quella volta continueremo a rivederci spesso.

Juan e io abbiamo condiviso una dozzina di conferenze agli studenti liceali e universitari in Texas con il Journey of Hope (Viaggio della Speranza) insieme al nostro caro amico Bill Pelke. Abbiamo condiviso la scena all’Edward Waters College di Jacksonville, in Florida, e in numerosi dibattiti a Orlando, Tampa e Miami.

E recentemente, proprio il mese scorso, Juan e io abbiamo partecipato ad un’importante Conferenza Cattolica alla Facoltà di Giurisprudenza di Washington D.C. Il Vescovo Felipe Estévez di St. Augustine in Florida, colui che ha pubblicato la profonda lettera pastorale sull’abolizione della pena di morte in Florida, mi aveva invitato a co-presentare con lui. Che doppia gioia è stata per me trovare mio fratello Juan, anche lui lì a parlare.

La conferenza non trattava solo della pena di morte. Approfondiva come l’insegnamento e le tradizioni della nostra fede cattolica ci diano i mezzi per riformare il nostro sistema giudiziario penale. Juan – un migrante cattolico che ha trascorso oltre 17 anni da uomo innocente nel braccio della morte della Florida – ha catturato l’ascolto e il cuore di ogni partecipante.

Per l’autore di questo articolo, quella conferenza è stata particolarmente toccante, essendo la prima missione di volontariato che sono riuscito a compiere dal gennaio 2022, quando fui colpito dal Covid nel mezzo di una delle mie assistenze settimanali dei condannati a morte e dei detenuti in isolamento della Florida. La mia amata moglie percorse in auto oltre 650 chilometri per venire a prendermi e riportarmi a Tallahassee dove fui ricoverato nel reparto Covid del nostro ospedale regionale.

Ho da poco ripreso a guidare per brevi percorsi. E spero che entro l’estate i medici mi autorizzino a tornare al mio coinvolgimento attivo nelle carceri della Florida. Nel frattempo, però, ringrazio Dio che mi ha permesso di condividere un’altra grande esperienza di fede con il mio fratello Juan.

6) AVVISO IMPORTANTE PER CHI CORRISPONDE CON DETENUTI IN FLORIDA!

 

Care amiche e cari amici, a partire dal 10 maggio tutta la corrispondenza con i detenuti in Florida dovrà essere inviata a un nuovo indirizzo, in pratica a una casella postale che si trova a Tampa. Questo perché, in base al nuovo regolamento, tutta la corrispondenza cartacea non verrà più consegnata materialmente ai detenuti, ma verrà scannerizzata e inviata loro in modo informatico. Tutti i condannati sono stati dotati di un tablet, sul quale riceveranno le lettere e i vari messaggi in entrata.

Il nuovo indirizzo a cui inviare la posta è il seguente:

… (Nome e cognome del detenuto e suo numero identificativo)

P.O. BOX 23608

TAMPA

FLORIDA 33623

U.S.A.

 

Quindi anche i biglietti augurali non verranno più consegnati ai detenuti. Chiaramente è una complicazione, che rallenterà ulteriormente la corrispondenza, e che impedirà in ogni caso ai nostri amici di avere la gioia di ricevere fisicamente lettere, biglietti e foto da noi.

Vi è però un altro metodo nuovo per corrispondere, molto più economico e sicuro. Si tratta della possibilità di inviare e-mail. Non è una comunicazione diretta e anche questa ha un suo costo, peraltro molto inferiore a quello dei francobolli ordinari, ed è molto più rapida. Il detenuto può scrivere e-mail alle persone che trova sulla sua lista dei contatti. Per entrare in questa lista, occorre registrarsi su un programma che si chiama JPAY (www.Jpay.com), con una carta di credito acquistare e-stamps (francobolli elettronici che costano ognuno circa 45 centesimi di dollaro) e accedere alla casella e-mail che si apre automaticamente, poi si può scrivere il messaggio e inviarlo (c’è anche la possibilità di offrire il francobollo al detenuto per la risposta). Di solito il detenuto riceve la mail entro 48 ore e sulla nostra casella di posta elettronica ordinaria arriva poi un avviso quando il nostro amico ci risponderà.

Spero di essere stata chiara ed esauriente, se ci fossero dubbi potete contattarmi all’indirizzo e-mail g.guaschino@mgail.com

Un caro saluto a tutti e GRAZIE sempre a chi corrisponde con i detenuti, alleviando la loro solitudine!

Grazia

7) NOTIZIARIO

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Bielorussia. Minacciata la pena di morte agli attivisti anti Putin. Nel corso della guerra scatenata dalla Russia contro l'Ucraina, in Bielorussia il presidente Lukashenka (nella foto) ha trovato nuovi modi per intimidire e punire i propri cittadini: la pena di morte agli attivisti pro-democrazia e a coloro che si oppongono alla guerra russa in Ucraina. Nello specifico, nuove modifiche al Codice penale consentono l’inflizione della pena capitale alle persone condannate per "tentati atti di terrorismo". Il regime ha sollevato accuse di "estremismo" e "terrorismo" per motivi politici contro molti degli oltre 1.100 prigionieri politici e ha utilizzato tali etichette per detenerne altre decine di migliaia. Si tratta di cittadini della Bielorussia che cercano di esercitare liberamente le loro libertà fondamentali: manifestanti pacifici, membri della società civile, giornalisti, oppositori politici e coloro che sono stati arrestati per essersi opposti alla guerra ingiustificata della Russia contro l'Ucraina e al ruolo determinante della Bielorussia in essa. Questi cittadini ora affrontano anche la minaccia della pena di morte.

Iran. Khalil Rezaeipour giustiziato per reati di droga a Qom. Da un comunicato di Iran Human Rights apprendiamo che un uomo è stato giustiziato nella prigione centrale di Qom la mattina del 17 maggio. Si tratta del trentenne Khalil Rezaeipour che era stato condannato a morte per reati di droga dal Tribunale Rivoluzionario. Una fonte informata ha detto a Iran Human Rights: “Khalil Rezaeipour era dietro le sbarre per trasporto di droga da circa quattro anni. Ha trascorso i suoi primi due anni nella prigione di Qezelhesar prima di essere trasferito nella prigione di Qom”.

 

Iran. Tre uomini giustiziati per reati di droga nella prigione di Amol. L’agenzia di stampa HRANA ha riferito che tre uomini sono stati giustiziati nella prigione di Amol la mattina del 18 maggio. Si tratta di Farshad Nematzadeh, Mehdi Shirchian, e di un terzo uomo identificato solo come Eshaghi. Sono stati tutti condannati a morte per reati di droga dalla Corte Rivoluzionaria. I tre erano stati messi in isolamento il 14 maggio.

 

Iran. Ahmad Gashoul, condannato a morte per omicidio, giustiziato il 19 maggio. Secondo le informazioni ottenute da Iran Human Rights, il 21-enne Ahmad Gashoul è stato giustiziato il 19 maggio nella prigione centrale di Isfahan. Era stato condannato al qisas (risarcimento in natura) per omicidio. Una fonte informata ha detto a Iran Human Rights: "Ahmad Gashoul aveva ucciso una guardia carceraria mentre cercava di evadere dalla prigione nel novembre 2019".

 

Iran. Nader Gargij giustiziato per reati di droga a Zabol. Nader Gargij, un uomo Baluch del villaggio di Jarikeh nella provincia del Sistan e del Baluchistan, condannato a morte per reati di droga, è stato giustiziato nella prigione di Zabol il 28 maggio. Nader era stato arrestato nel 2019 e condannato a morte dal Tribunale Rivoluzionario.

Iran. Reo di omicidio giustiziato nella prigione di Chabahar. Hamidollah Sahrayi, un uomo Baluch condannato alla qisas (retribuzione in natura) per omicidio, è stato giustiziato nella prigione di Chabahar.il 28 maggio. Hamidollah fu accusato di omicidio e arrestato nel 2020. Era stato trasferito in isolamento in preparazione della sua esecuzione il 26 maggio. I dati raccolti da Iran Human Rights mostrano che i prigionieri Baluch hanno rappresentato il 21% di tutte le esecuzioni nel 2021, pur costituendo solo il 2-6% della popolazione iraniana.

 

Iran. Uomo non bene identificato giustiziato per omicidio a Mashhad. Secondo il quotidiano Khorasan, un uomo è stato giustiziato nella prigione centrale di Mashhad la mattina del 29 maggio. La sua identità è stata riportata solo come il ventisettenne Shahab (cognome sconosciuto) che è stato condannato alla qisas (retribuzione in natura) per omicidio. Si ritiene che il 21 febbraio 2017 Shahab abbia causato la morte di tre persone appiccando un incendio in un edificio residenziale

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Repubblica Centrafricana. Praticamente abolita la pena di morte. L'Assemblea Nazionale della Repubblica Centrafricana ha deciso di abolire la pena di morte approvando per acclamazione una legge in tal senso. La legge abolizionista deve essere ora promulgata dal Presidente Faustin Archange Touadéra (nella foto). L’ultima esecuzione nella Repubblica Centrafricana è avvenuta nel 1981. Da allora il sistema giudiziario non ha più chiesto la pena di morte nei confronti di un condannato, sebbene sia rimasta la possibilità di infliggere la pena capitale.

 

Russia. Due soldati britannici catturati dai Russi in Ucraina potrebbero essere messi a morte. Shaun Pinner, di 48 anni, e Aiden Aslin, di 28 anni, sono stati catturati a pochi giorni l'uno dall'altro nella città assediata di Mariupol il mese scorso. Sono stati poi mostrati dalla TV russa, mentre imploravano Boris Johnson di effettuare uno scambio di prigionieri con il politico filorusso Viktor Medvedchuk. Entrambi gli uomini a rischio di esecuzione hanno vissuto in Ucraina con le loro partner per quattro anni e prestavano servizio in un'unità di marines ucraini quando sono stati catturati.

 

 

Questo numero è aggiornato con le informazioni disponibili fino al 31 maggio 2022

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