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FOGLIO  DI COLLEGAMENTO  INTERNO

 

DEL COMITATO PAUL ROUGEAU

 

Numero  180 -  Maggio 2010

Shirin Alamhoei

SOMMARIO:

1) Anche Kevin è andato, assassinato dallo stato del Texas                              2) Sarà discusso il ricorso di Hank Skinner e forse l’actual innocence         

3) Alle soglie dell’esecuzione in Texas la britannica Linda Carty                  

4) L’indomita Shirin è passata dalla tortura al patibolo                          

5) Lettera di Farzad Kamangar  “ai miei alunni”                                   

6) Riprendono a Taiwan le esecuzioni capitali                                                    

7) Niente ergastolo irrevocabile per i minorenni non omicidi                            8) Preoccupa la nomina di Elena Kagan in seno alla Corte Suprema              9) Riguardo alle esecuzioni, difficili problemi di etica medica                           10) Più morti per suicidio che per esecuzione,  di Fernando Eros Caro            11) Cold case,  di Claudio Giusti                                                                             

12) E’ uscito il rapporto annuale di Amnesty International                                  13) Notiziario: Georgia, Israele, Italia, New Mexico, Somalia, Texas, Usa               

 

1) ANCHE KEVIN È ANDATO, ASSASSINATO DALLO STATO DEL TEXAS

 

Nonostante i nostri sforzi per salvarlo, nonostante l’impegno incredibile di Stefania Silva, Kevin Varga è stato ucciso dallo stato del Texas, come programmato, il 12 maggio.

 

“Perché ho fatto tutto questo per lui?” si è domandata Stefania alla fine di aprile, quando mancavano solo 12 giorni all’esecuzione di Kevin Scott Varga condannato a morte in Texas (v. n. 179).

“Perché è stato il mio primo corrispondente, perché ne ho visti morire troppi in questi anni; molti erano solo nomi, amici di amici, ma quando sostituisci un volto e una voce a un numero di matricola, le cose cambiano. E non poco,” ha tentato di rispondersi Stefania.  “Kevin è stato l’inizio del mio impegno contro la pena di morte, che continuerà anche se le cose doves­sero seguire il loro innaturale percorso. Ma non sono pronta a lasciarlo andare, non senza aver speso ogni energia perché la sua vita possa essere salvata.”

Ed effettivamente Stefania ha continuato a profondere le sue energie, fino all’ultimo. Per la sera dell’11 maggio, vigilia dell’esecuzione, ha perfino organizzato un sit in a Roma davanti al Colosseo: c’erano una ventina di persone con le fiaccole e un ritratto di Kevin sotto allo striscione nero del Comitato Paul Rougeau che reca la grande scritta bianca: “No death penalty”.

Alla fine le adesioni alla petizione promossa da Stefania per chiedere clemenza per Kevin hanno raggiunto quota 2.300, di cui circa 500 su carta, le altre on-line; tutte inoltrate al Governatore del Texas Rick Perry e alla Commissione per le Grazie.   

La Commissione per le Grazie del Texas è stata unanime, nel negare clemenza a Kevin, e il 12 maggio è stato il giorno dedicato al telefono. Stefania è riuscita a parlare con il suo amico per più di un’ora. “Abbiamo riso tanto e ho anche pianto tanto.” Ci ha confidato Stefi. “Lui era completamente pacificato con la sua vita e con la sua morte. Ha parlato anche con suo fratello, che non sentiva da 12 anni, e ha chiarito tutto con i suoi due figli.”

Ci è difficile concepire un’azione più spietata di quella compiuta dalle guardie che interrompono il colloquio del condannato con parenti e amici per condurlo a morire. Ci è difficile immaginare la desolazione di chi viene portato via.

Eppure Kevin Varga non si è accasciato. Ha tirato fuori  un supplemento di forza e di amore, quando, con gli aghi nelle braccia, ha fatto la  sua ultima dichiarazione. Ha chiesto perdono, ha esternato la sua tenerezza per sua madre Beth – che assisteva tra i testimoni – e per Stefania.

“Desidero cominciare rivolgendomi alla famiglia della vittima,” – ha dichiarato Kevin all’accensione del microfono che portava la sua voce, al di là del vetro, nella stanzetta dei testimoni.  “So che la persona che vi ho tolto era preziosa per voi. Lo abbiamo fatto io e il signor Galloway che vedrete [morire] domani. Perdonatemi. Dio mi ha dato pace. Amo tutti e ciascuno di voi. Perdonatemi, per guadagnarvi il Regno dei cieli. Vorrei che non vi fosse stato strappato colui che vi è stato preso. So che cosa significa perdere i propri cari. […] Se mi odiate, per favore smettetela. Vi perdono e spero che mi perdoniate. Mamma tu sei la mia forza. Kathy abbiamo avuto dei momenti belli, sei ancora la mia scimmietta. Mamma, non è niente, sto per addormentarmi e risvegliarmi con Gesù. Questa è la sola strada attraverso cui Dio mi può salvare. Stefania è il mio cuore, dai il mio addio a Stefania. Non voglio che nessuno si addolori per me, celebrate la mia vita. Dio mi ama e Dio vi ama. Mamma, non hai fatto niente di sbagliato. Grazie direttore, grazie capitano. Grazie Dio, sono pronto ad andare. Dio portami a casa. Sono pronto direttore.”

Dopo di ciò – come ha annotato il cronista dell’Associated Press – Kevin ha emesso un profondo sospiro mentre i farmaci letali cominciavano a fare effetto ed ha detto: “Oooh! Grazie Gesù. Sto andando mamma.”

Kevin Varga è stato dichiarato morto 7 minuti più tardi, alle 6 e 19 del pomeriggio del 12 maggio.

Ventiquattr’ore dopo - come previsto - è stato dichiarato morto Billy Galloway, complice di Kevin.

Le due uccisioni compiute dallo stato del Texas, secondo lo stato del Texas chiudono un ciclo apertosi 12 anni fa, ristabilendo la giustizia. Noi non siamo assolutamente d’accordo. Ma non perché vogliamo dimenticare l’efferatezza del delitto per cui il nostro amico Kevin fu condannato a morte. Anzi la vogliamo ricordare.

Alla fine dell’estate del 1998 Billy Galloway, in South Dakota, era uscito da meno di tre mesi dal carcere, ottenendo per la terza volta nella vita la liberazione sulla parola. Convinse la propria ragazza, Deanee Bayless, nonché Kevin Scott Varga e la ragazza di quest’ultimo, la minorenne Venus Joy Anderson, a partecipare ad un viaggio in auto dal South Dakota al Messico.

Galloway e Varga, trentenni con un pesante fardello di precedenti penali, erano tutt’altro che brave persone con buone intenzioni, quando iniziarono il viaggio.

Il programma del viaggio comprendeva un disegno criminoso ideato da Kevin Varga: le ragazze avrebbero attirato gli uomini incontrati casualmente lungo la strada con profferte sessuali, in seguito sarebbero intervenuti gli altri due per rapinarli.

Galloway e Varga furono condannati a morte in separati processi nel 2000 per aver ucciso il 37-enne David Logie, un ufficiale dell’esercito: secondo l’accusa lo massacrarono dopo averlo rapinato mentre si trovavano a passare nei pressi di Greenville in Texas l’8 settembre 1998. Kevin ha sempre sostenuto di aver assistito all’uccisione di Logie da parte di Galloway senza parteciparvi materialmente. (Da notare: una settimana prima i due avevano fatto fare la stessa fine a tale David McCoy in Kansas).

Billy, Kevin, Deanee e Venus furono arrestati a San Antonio in Texas due giorni dopo l’uccisione di Logie, scoperti in seguito ad un normale controllo del traffico da parte della polizia: l’auto in cui viaggiavano risultò rubata. Le ragazze furono arrestate mentre facevano shopping con le carte di credito rubate e i due uomini mentre assistevano ad uno spettacolo di lap dance.

Orribile, pazzesco, insensato il comportamento dei due criminali. Nonostante tutto riteniamo che non vi sia proporzione tra gli omicidi commessi da Varga e Galloway e quelli compiuti dallo stato del Texas, che ha assassinato Varga e Galloway a sangue freddo e senza attenuanti.

Sì, perché  a spiegare almeno in parte il comportamento dei criminali vi sono quasi sempre attenuanti che derivano dal contesto in cui sono nati e cresciuti, attenuanti che lo stato non può invocare in nessun modo, semmai colpevole di non aver fatto il possibile per rimuovere le cause sociali della delinquenza.

Non sappiamo molto di Billy Galloway ma abbiamo conosciuto la tragica storia di Kevin Varga attraverso Stefania. Kevin ebbe un’infanzia difficilissima e un’adolescenza turbolenta, soprattutto perché gli venne a mancare il sostegno dei genitori: il padre se ne andò di casa e la madre, de­pressa, divenne un’alcoolista. Il fratello maggiore, che per Kevin rappresentava un riferimento e l’unico vero affetto, a 18 anni morì in una sparatoria con la polizia; come se non bastasse, l’altro fratello, il più piccolo, morì di leucemia a soli 6 anni di età.

Kevin è entrato in istituto a 10 anni ed è passato da un riformatorio all’altro, dai quali regolarmente scappava per tornare a casa; e ogni volta che lo riprendevano, lo portavano in un istituto più lontano e più severo. Tant’è che si formò la convinzione che nella vita si può essere solo vittime o carnefici e che quindi occorre ‘imparare a difendersi’.

Ognuno di noi, e dei suoi giudici, dovrebbe domandarsi se sarebbe potuto diventare come Kevin, nelle condizioni in cui Kevin è nato e cresciuto.

Come ogni essere umano, Kevin Varga non era intrinsecamente cattivo e irrecuperabile. Tant’è vero che nella precaria e tremenda condizione di condannato a morte, riuscì a superare la sua cinica filosofia di strada e a percorrere un cammino di riscatto morale. Ha riconquistato la sua dignità, ha scoperto sen­timenti di amicizia e di amore, si è impegnato per riavvicinarsi ai suoi familiari, a suoi due figli e alla madre, alla quale ha saputo dire dal lettino dell’esecuzione: “Mamma, non hai fatto nulla di sbagliato”.

 

 

2) SARÀ DISCUSSO IL RICORSO DI HANK SKINNER E FORSE L’ACTUAL INNOCENCE

 

Hank Skinner è ancora vivo nel braccio della morte del Texas, anche a causa della sua intelligenza e dell’aiuto ricevuto dai sostenitori. Tuttavia la strada per scampare l’esecuzione rimane per lui ardua.

 

Lunedì 24 maggio la Corte Suprema degli Stati Uniti ha fatto sapere che prenderà in esame il ricorso di Henry “Hank” Skinner condannato a morte in Texas (v. n. 178). La decisione, attesa per metà aprile, era stata rinviata per sei volte, di lunedì in lunedì, tenendo ‘sulla graticola’ il condannato e i suoi sostenitori.

Se la massima corte avesse declinato di entrare in merito al ricorso, sarebbe stata subito fissata una nuova data di esecuzione per Hank.

“Tutti i lunedì mattina mi prende un’ansia terribile, mi sento sull’orlo di un collasso” ha dichiarato Hank già dopo il terzo rinvio. “[La sera] da una parte mi sento sollevato [dal fatto che non vi sia stata una decisione], dall’altra penso che dovrò vivere il resto della settimana macerandomi nell’incertezza di ciò che accadrà.”

Hank Skinner ha superato dignitosamente momenti terribili – incluso il pomeriggio del 24 marzo quando è arrivato a 47 minuti dall’esecuzione - ma è una persona tutt’altro che insensibile. “Devo prepararmi ad affrontare qualsiasi cosa accada e non so mai quello che sta per accadere”, ha dichiarato. “Cerco di farmi coraggio utilizzando ogni fibra di energia che possiedo e aggrappandomi alla mia sanità mentale”.

Nel pomeriggio del 24 maggio la notizia della presa in considerazione del ricorso di Hank Skinner da parte della Corte Suprema si è diffusa rapidamente - sospinta da una grande gioia - tra gli amici di Hank e tra gli abolizionisti. Per contro l’accusatrice distrettuale Lynn Switzer ha palesato la sua frustrazione. La signora Switzer, controparte dell’attuale ricorso di Skinner, ha detto che il condannato ebbe un giusto processo ed ora la decisione della giuria deve essere rispettata. “Se si permette ai condannati di ‘giocare col sistema’, non potremo mai confidare nella ‘finalità’ dei giudizi emessi nei loro casi,” ha affermato la Switzer.

Ricordiamo che Hank Skinner fu condannato a morte per l’uccisione della sua amante Twila Jean Busby e dei due figli adulti (e disabili) di costei. La strage avvenne la sera dell’ultimo giorno dell’anno 1993, mentre Hank era completamente intossicato da alcol e codeina. Lui non nega di essersi trovato sul luogo del delitto ma sostiene che i richiesti test del DNA potrebbero spostare la responsabilità degli omicidi su uno zio della Busby che aveva una passione morbosa per la nipote.

“I cittadini ragionano in termini di ‘noi’ e ‘loro’. Se tu sei ‘uno dei nostri’ sei un buon soggetto, se sei ‘uno di loro’ sei un cattivo soggetto,” osserva Skinner. “Così se queste prove… mostrano che non sono ‘uno di loro’, sono ancora ‘uno di noi’. E che se è potuto capitare a me, può capitare a te, a tua sorella, a tua fratello, a tuo figlio, a tuo padre.”

I giudici della Corte Suprema discuteranno l’ammissibilità della richiesta di Hank Skinner di perseguire, con un ricorso civile in una corte federale, i test del DNA che non furono eseguiti prima del processo del 1995 (1). Le corti federali inferiori hanno respinto tutti i tentativi in tal senso fatti da 10 anni a questa parte dei difensori di Skinner.

Le 12 corti federali d’appello negli USA hanno posizioni differenti riguardo al diritto di chiedere in sede civile i test del DNA: due corti, tra cui quella del Quinto Circuito, competente per il Texas, negano questo diritto e cinque lo ammettono. Le rimanti cinque corti non hanno una posizione definita sulla questione. La Corte Suprema sembra ora in procinto di chiarire e uniformare la materia.

Dunque i giudici della Corte Suprema come minimo prenderanno spunto dal caso di Skinner per decidere se si debba estendere il diritto all’accesso ai test del DNA, ma potrebbero anche entrare in merito ad una questione più generale, di estrema importanza: è ammissibile che venga messo a morte un condannato che sia in grado di dimostrare la sua effettiva innocenza (actual innocence)? Finora la Corte Suprema USA non ha mai sentenziato a proposito dell’actual innocence (2).

Si susseguono le dissertazioni degli esperti di legge sui possibili sviluppi del caso Skinner. Tutti, sia quelli favorevoli sia quelli contrari all’esecuzione di Hank Skinner, sono concordi nel dichiarare che il suo caso rimane intricatissimo e che le possibilità del condannato di essere prosciolto sono scarse. Assai intrigante per gli esperti è la sia pur minima possibilità che si affronti l’actual innocence.

Frattanto il condannato può rilassarsi, libero dall’incubo di un’esecuzione imminente. Il suo ricorso verrà discusso in autunno e la sentenza della Corte Suprema è prevista per il prossimo anno (3).

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(1) La Corte Suprema affermò a stretta maggioranza nel 2009, con la sentenza Osborne, che anche se il condannato può conseguire inconfutabili prove di innocenza tramite test del DNA aggiuntivi, l’accesso a tali test non costituisce un diritto costituzionale. Il giudice Alito scrisse in una sua opinione concorrente che consentire successivamente test del DNA non richiesti al momento del processo “permetterebbe ai prigionieri di giocare con il sistema di giustizia criminale”.  La corte tuttavia non precluse la richiesta di tali test in sede civile.

(2) Il giudice della Corte Suprema Antonin Scalia ha scritto nella sentenza in favore di Troy Davis del 17 agosto 2009: “Questa Corte non ha mai affermato che la Costituzione proibisca di mettere a morte un condan­nato che ha avuto un esauriente e giusto processo ma che in seguito sia in grado di convincere una corte che esamina gli habeas che egli è ‘in effetti’ innocente (actual innocent)”.  Scalia ha notato esplicitamente che la Corte fino ad ora ha lasciato aperta la questione (v. n. 171).   

(3) Al momento della discussione del ricorso di Hank Skinner, il giudice John Paul Stevens si sarà già ritirato dalla Corte Suprema (v. art. più avanti), con ciò il ricorrente avrà perduto un potenziale alleato.

 

 

3) ALLE SOGLIE DELL’ESECUZIONE IN TEXAS LA BRITANNICA LINDA CARTY

 

Linda Carty ha esaurito gli appelli e lo stato del Texas potrebbe fissare per lei la data dell’esecuzione. Nera e proveniente dalle Antille, la Carty è di nazionalità britannica, ciò le ha permesso di ottenere l’appoggio del governo di Londra e un forte sostegno da parte dell’opinione pubblica inglese. Non dispera di trovare in extremis una strada verso la revisione del disastroso processo che subì nel 2002.

 

Sono soltanto 10 le donne condannate alla pena capitale in Texas, su un totale di 329 ospiti del braccio della morte. Dal 1973 in questo stato sono state ‘giustiziate’ 3 donne a fronte di 455 uomini.

Nel momento attuale c’è grande interesse negli USA e nel Regno Unito per il caso di Linda Carty condannata a morte in Texas, giunto quasi alla sua tragica conclusione.  Con il rifiuto di esaminare il suo ricorso da parte della Corte Suprema federale, notificato il 3 maggio, la condannata ha esaurito i suoi appelli e potrebbe ricevere a breve una data di esecuzione.

Linda Anita Carty, nera proveniente dalle Antille, dotata di un carattere combattivo e di un non trascurabile fascino personale, sostiene con forza di essere innocente del delitto per cui fu condannata a morte nel 2002 (1). I suoi attuali avvocati dicono che il processo della Carty fu “catastroficamente ingiusto” soprattutto per la pessima prestazione del difensore nominato dalla corte, Jerry Guerinot. Tra le varie contestazioni fatte a Guerinot, che detiene il poco onorevole record di ben 20 clienti condannati a morte, ci sono il rifiuto di incontrare l’imputata, se si esclude una visita di un quarto d’ora poco prima del processo, l’omissione di ascoltare testimoni a favore e di mettere in rilievo cruciali attenuanti nella fase di inflizione della pena.

All’avvocato Guerinot si imputa anche di non aver contestato la tesi dell’accusa rilevandone gli errori e le contraddizioni.  In effetti la tesi accusatoria contro Linda Carty è piuttosto strana: diventata incapace di rimanere ulteriormente incinta dopo una prima maternità, avrebbe meditato di uccidere e sezionare una vicina, Joana Rodriguez, che stava per partorire, allo scopo di rubarle il nascituro. Saputo che la Rodriguez aveva partorito, avrebbe assoldato tre malviventi per sopprimerla e rapire il bambino appena nato.

La Rodriguez subì una rapina in casa da parte di alcuni uomini che la portarono via insieme al suo bambino. Fu rinvenuta asfissiata in un furgone  con un sacchetto di plastica infilato in testa mente il neonato fu ritrovato incolume. Gli assalitori scamparono la pena di morte, ma l’accusa pretese in compenso una testimonianza contro la Carty.

Se è strano il movente addotto dall’accusa, lo è anche quello attribuito dalla Carty ai malviventi che l’hanno incolpata. Questi avrebbero ucciso Joana Rodriguez per vendicarsi su Linda Carty in quanto informatrice della D. E. A., l’agenzia federale antidroga.

Di nazionalità britannica, per essere nata e cresciuta nell’isola di St. Kitts, dove rimase fino all’età di 23 anni quando si trasferì in Texas, la Carty riceve un esplicito sostegno dal governo di Londra. Il Foreign Office ha anche protestato perché non fu fatta una immediata notifica del suo arresto al consolato britannico.

Linda Carty ha registrato un messaggio audio in cui chiede aiuto agli Inglesi (2): “Per favore ascoltate e riferite quello che vi dico a tutti coloro che conoscete,” scongiura la condannata. “Per favore non  lasciate che io muoia qui. Mi dispiace di apparire come una donna disperata. Io sono disperata. Il popolo britannico può essere la mia ultima speranza.”

L’estate scorsa si è svolta a Londra una campagna di tre mesi in favore della Carty, in cui veniva riprodotto quotidianamente il suo messaggio vocale, che comprendeva imprese oratorie a Trafalgar Square e l’esibizione di una sagoma della condannata a grandezza naturale.

L’interessamento del governo e del popolo britannico non sono serviti ad evitare il precipitare del caso di Linda Carty alla quale, dopo il diniego dalla Corte Suprema del 3 maggio, rimane solo la possibilità di chiedere la grazia governatoriale, con probabilità quasi nulle di essere ascoltata, nonché di inoltrare ricorsi legali di emergenza.

Il Foreign Office ha emesso un reciso comunicato appena si è saputo che la Corte Suprema degli Stati Uniti aveva rifiutato di esaminare il caso Carty: “Ci preoccupa fortemente la situazione attuale di Linda Carty, lavoreremo duro per aiutarla nelle prossime settimane e nei prossimi mesi […] Abbiamo fatto conoscere la nostra preoccupazione nel corso di tutto l’iter legale. Abbiamo anche sollevato il suo caso numerose volte attraverso i canali politici appropriati.”

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(1) V. http://www.reprieve.org.uk/savelindacarty

(2) V. http://www.reprieve.org.uk/2009_09_10_listen_to_linda_carty

        

 

4) L’INDOMITA SHIRIN E’ PASSATA DALLA TORTURA AL PATIBOLO

 

Shrin Alamhoei, che ha descritto in una agghiacciante lettera da noi pubblicata nel n. 177 le torture subite nelle carceri iraniane, è stata improvvisamente impiccata il 9 maggio: sperava di essere liberata.

 

Non credevamo che l’avrebbero uccisa, non credevamo che l’avrebbero uccisa tanto presto!

E’ stato colto di sorpresa anche l’avvocato di Shirin Alamhoei, Khalil Bahramian, che ha dichiarato in lacrime di essere rimasto senza parole di fronte ad un’esecuzione decisa all’improvviso in violazione alle normali procedure. 

Nonostante i gravi problemi di salute conseguenti alle torture subite, il forte abbassamento della vista e l’incanutimento precoce, l’indomita Shirin non aveva perso la speranza. Bahramian ha raccontato che la detenuta sperava in un rilascio ed aveva programmato di continuare i suoi studi universitari.

Dunque dobbiamo farcene una ragione: sì, all’alba del 9 maggio la giovane attivista curda Shirin Alamhoei (alias Shirin Alam Hooli o Shirin Alamhouli) è stata impiccata. Aveva denunciato di essere stata torturata e ripetutamente violentata.

Nella grande prigione di Evin a Tehran, tristemente famosa, insieme a Shirin Alamhoei sono stati impiccati altri 4 prigionieri politici: Farzad Kamangar (v. articolo seguente), Ali Heidarian, Farhad Vakili e Mehdi Eslamian. 

Secondo le autorità iraniane gli impiccati, ad eccezione di Mehdi Eslamian, facevano parte del PJAK (Partito per la libertà in Kurdistan), un partito di opposizione fuori legge analogo al PKK. I cinque erano accusati di “moharebeh” (inimicizia nei riguardi di Dio) e si sarebbero macchiati di atti terroristici. In particolare Shirin Alamhoei avrebbe fatto saltare in aria un’automobile ferma in un parcheggio appartenente ai  Guardiani della Rivoluzione (milizia d’élite del regime).

Altri 17 prigionieri politici curdi sono a rischio di imminente esecuzione in Iran.

Non è possibile valutare l’attendibilità delle accuse mosse ai cinque giustiziati il 9 maggio che furono sottoposti a processi iniqui e a torture, come affermano non solo i gruppi di opposizione iraniani ma anche le grandi organizzazioni per i diritti umani, a cominciare da Amnesty International e Human Rights Watch.

Amnesty International in un  comunicato del giorno 11,  in cui condanna  le cinque esecuzioni, accredita le feroci torture denunciate da Shirin nella sua bellissima e dolente lettera del 18 gennaio che abbiamo tradotto e pubblicato nel n. 177 col titolo “Un autentico manuale di tortura”.

5) LETTERA DI FARZAD KAMANGAR  “AI MIEI ALUNNI” (*)

 

Il 9 maggio, insieme a Shirin Alamhoei e ad altri 3 prigionieri politici, è stato ‘giustiziato’ in Iran, nel carcere di Evin a Tehran, l’ex insegnate Farzad Kamangar. Per ricordarlo pubblichiamo una umanissima lettera di Kamangar scritta ai suoi alunni due anni fa e riportata in un sito di opposizione al regime iraniano. Da come scrive, Farzad Kamangar non appare proprio uno spietato terrorista. Riportiamo la lettera così come l’abbiamo trovata, tradotta in un Italiano molto poetico e un po’ zoppicante.

 

Ciao ragazzi… mi mancate. Pieno dei vostri ricordi passo qui i miei giorni e le mie notti cantando canzoni sulla vita.

Ogni giorno saluto il sole invece di salutare voi. Ogni mattina, dietro questi tristi muri, mi sveglio insieme a voi. Rido e dentro di me i vostri ricordi, dormo e dentro di me ancora i vostri ricordi.

A volte la nostalgia mi strugge dentro che vorrei quasi fosse possibile dimenticare, lavar via tutto, proprio come facemmo quella volta, dopo essere ritornati da una gita scolastica, lavammo via la polvere della nostra stanchezza nelle acque chiare del fiume del nostro piccolo villaggio.  

Vorrei che fosse possibile… vorrei che fosse possibile donare le orecchie al suono dell’acqua e far perdere il nostro corpo nelle carezze dei fiori, mentre le nostre lezioni si riempiono della bellissima sinfonia della natura.

Vorrei che potessimo lasciare i nostri libri di matematica, con tutti i loro problemi sotto una roccia, perché quando “il padre non ha pane da mettere in tavola” (1) che differenza fa se π è uguale a 3,14 o 100,14?

Abbiamo atteso un altro Norooz che avrebbe portato un paio di scarpe nuove, un vestito bello, una tavola piena di dolci e caramelle per tutti.

Vorrei che fosse possibile, ancora una volta, insegnarvi in segreto il nostro alfabeto kurdo, lontano dallo sguardo furente del preside della scuola e cantare poesie e canzoni l’uno per l’altro nella nostra lingua, e tenerci per mano e ballare, ballare e ancora ballare.

Vorrei che fosse possibile, ancora una volta, essere il portiere della squadra dei ragazzi del primo anno (scuole elementari), ragazzi che sognano di diventare Ronaldo, in modo che mi possano battere facendo goal nella porta dell’insegnante.

È un peccato che la nostra terra, i nostri sogni e desideri siano coperti dalla polvere della dimenticanza, ancora prima di un ritratto lasciato nel dimenticatoio.

Vorrei ritornare ad essere un membro del “Signor Chain il costruttore” (2) con le ragazze della prima classe (elementari), le stesse ragazze, lo so già, che in pochi anni scriveranno nei loro diari: “Vorrei non essere mai nata ragazza”

Lo so che siete cresciute e presto vi sposerete, ma per me rimarrete sempre degli angeli, angeli puri, che portano nei loro occhi i baci di Ahura Mazda. (3)

Chissà, forse se voi angeli non foste nate nella povertà e nel dolore, adesso potreste raccogliere firme per la Campagna sulle donne.

Se non foste nate in questa terra dimenticata da Dio non sareste costrette a dire addio alla scuola (a soli 13 anni) con le lacrime negli occhi.

Ragazze della terra di Ahoora, quando un domani andrete a raccogliere i fiori nei campi per farne delle corone per i vostri figli, raccontate loro della vostra infanzia fatta di purezza e felicità.

Ragazzi della terra del sole, lo so che non potete più cantare e ridere con i vostri compagni, perché dopo la tristezza nel diventare uomini, dovrete affrontare le difficoltà per guadagnare il pane quotidiano. Non dimenticatevi però delle vostre poesie, delle vostre canzoni, di Leyla, e dei vostri sogni. Insegnate ai vostri figli ad essere i figli della poesia e della pioggia, per la loro terra, per il presente e per il domani.

Vi lascio al vento e al sole in modo che in un prossimo futuro, possiate cantare lezioni sull’amore e sulla sincerità alla vostra terra.

Il vostro amico d’infanzia e giochi, il vostro insegnante.

Farzad Kamangar – Carcere di Rajai Shahr, Karaj

(1) “Il padre provvede al pane” è il primo testo in farsi che viene insegnato ai bambini delle scuole elementari in Iran

(2) Amoo Zanjir Baaf (Signor Chain il costruttore) è un vecchio gioco persiano per i bambini

(3) Ahura Mazda è una divinità zoroastriana

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(*) Traduzione  a cura di “For a free Iran”, pubblicata l’11 maggio 2010 - vedi:  http://forafreeiran.com/author/forafreeiran/

 

 

6) RIPRENDONO A TAIWAN LE ESECUZIONI CAPITALI

 

La repubblica di Taiwan, che sembrava avviarsi all’abolizione della pena di morte, ha interrotto la moratoria vigente dal 2005 ed ha messo a morte 4 dei 44 condannati alla pena capitale. Il piccolo ma importante stato dell’Estremo Oriente, fortemente orientato verso il mondo occidentale, ha mostrato di subire nell’attuale frangente l’influenza degli Stati Uniti più di quella europea.

 

Da qualche anno nella repubblica di Taiwan, nonostante il forte sostegno popolare per la pena capitale, vigeva una moratoria delle esecuzioni e gli attivisti locali potevano sperare nell’avvio di un processo abolizionista. Anche i governanti del paese dell’Estremo Oriente che ha forti legami con il mondo occidentale dicevano di avere come fine ultimo l’abolizione della pena di morte.

L’equilibrio si è rotto nel mese di marzo quando la signora Wang Ching-feng si è dovuta dimettere dalla carica di Ministro della Giustizia, in seguito ad una tempesta politica, dopo aver dichiarato che non avrebbe mai firmato ordini di esecuzione.

Il 30 aprile, cinque settimane dopo le dimissioni della Ching-feng, sono state eseguite 4 condanne a morte delle 44 pendenti nel paese. Si è così interrotta la moratoria che durava dal dicembre 2005.

Alle proteste dell’Unione Europea il Primo Ministro Wu Den-yih  ha replicato che Taiwan ha democraticamente applicato la legge vigente. “Mettere a morte i condannati è anche un modo di praticare la giustizia sociale e di implementare la legalità.” Ha dichiarato Wu.

Wu Den-yih ha osservato che l’Unione Europea mantiene stretti legami con gli Stati Uniti, e gli USA hanno un atteggiamento totalmente differente riguardo alla pena di morte.

“La pena capitale rimane valida negli USA e il Giappone ha ripristinato la pena di morte che aveva abolito per un certo tempo (1),” ha puntualizzato Wu.

E’ appena il caso di sottolineare, a questo proposito, come conti il cattivo esempio offerto dai paesi più importanti che vengono presi come riferimento.

In seguito, il 19 maggio, la Corte Costituzionale di Taiwan ha respinto un ricorso presentato dall’organizzazione abolizionista Taiwan Alliance to End the Death Penalty nell’interesse dei rimanenti 40 condannati a morte. “Gli accusati furono messi in condizione di difendersi durante i processi … non vi è alcuna violazione della Costituzione nelle loro condanne.” Ha sentenziato la massima corte. “La richiesta di sospendere le esecuzioni è respinta, e la corte declina di entrare in merito alla questione.”

Il nuovo ministro della giustizia Tseng Yung starebbe mettendo a punto un’agenda per stabilire una priorità nelle esecuzioni, a cominciare da quelle dei detenuti colpevoli dei peggiori delitti, come omicidi multipli o uccisioni di familiari. Una nuova tornata di esecuzioni è prevista entro l’anno.

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(1) In realtà il Giappone non ha reintrodotto la pena di morte, bensì ha interrotto una moratoria.

 

 

7) NIENTE ERGASTOLO IRREVOCABILE PER I MINORENNI NON OMICIDI

 

La giustizia penale degli Stati Uniti è orgogliosamente autoreferenziale e per certi aspetti arcaica. Il 17 maggio la Corte Suprema ha marcato un passo verso al civiltà dichiarando incostituzionale la pena dell’ergastolo senza possibilità di liberazione per i minorenni, purché non siano assassini. Nonostante questa sentenza, presa a stretta maggioranza e fortemente osteggiata dai giudici più conservatori, il sistema penale minorile statunitense rimane il più arretrato al mondo.

 

Con fatica, a stretta maggioranza, la Corte Suprema degli Stati Uniti ha finalmente emesso una sentenza (Graham v. Florida) che proibisce l’ergastolo senza possibilità di liberazione per i minorenni non omicidi.

Una decisione del genere, che consegue ad un’udienza pubblica tenutasi nel mese di novembre, era aspettata da tempo e fortemente caldeggiata dalla stampa più evoluta.

Per la verità Graham v. Florida è una sentenza assai restrittiva: non si applica ai circa 2000 minorenni assassini condannati all’ergastolo irrevocabile negli USA e non implica che i minorenni non omicidi debbano essere prima o poi liberati, bensì solo che vi sia per essi una realistica possibilità di liberazione.

Il 17 maggio cinque su nove membri dalla massima corte (i giudici più avanzati: Anthony M. Kennedy, John Paul Stevens, Ruth Bader Ginsburg, Stephen G. Breyer e Sonia Sotomayor ) hanno decretato che l’Ottavo Emendamento della Costituzione, che bandisce le pene crudeli e inusuali, proibisce l’ergastolo irrevocabile per tutta la categoria di coloro che hanno meno di 18  anni al momento del crimine e che non si siano macchiati di omicidio.

Gli esperti hanno fanno notare l’analogia della sentenza attuale con la sentenza Roper v. Simmons del 2005 che proibisce la pena di morte per i minorenni (e ritengono che la sentenza attuale possa essere estesa, in un futuro vicino o lontano, alla categoria dei minorenni assassini).

Tra i giudici ultraconservatori, John G. Roberts Jr. - pur non essendo favorevole alla sentenza che si applica a tutti i minorenni - si è aggiunto alla maggioranza nello specifico caso discusso dalla corte, ritenendo che la pena inflitta al minorenne Terrence Graham fosse troppo dura e quindi incostituzionale: Graham fu condannato alla pena dell’ergastolo senza possibilità di uscita sulla parola in Florida nel 2005, dopo la sua seconda partecipazione ad una rapina di gruppo, compiuta quando lui aveva 17 anni.

Notiamo che in novembre insieme a quello di Graham fu discusso un secondo caso (Sullivan v. Florida) riguardante tale Joe Sullivan che violentò una donna quando aveva solo 13 anni. La corte ha evitato di pronunciarsi sul caso di Sullivan ma il suo avvocato potrà ora agganciarsi alla sentenza emessa per Graham.

Il giudice Kennedy ha precisato nell’opinione di maggioranza che  “lo stato non deve garantire il rilascio finale del colpevole” ma che “se impone una sentenza a vita deve provvedere […] una qualche realistica opportunità di rilascio [...]”. Kennedy ha anche scritto che “sia il consenso nazionale che quello internazionale ormai supportano una tale sentenza.”  Per quanto riguarda il consenso nazionale questo è dimostrato dal piccolo numero di condanne di tal tipo in essere negli Stati Uniti - 129 secondo Kennedy - mentre il consenso internazionale è dimostrato dal fatto che solo gli USA, e forse Israele, ancora irrogano l’ergastolo irrevocabile ai minorenni (che siano o meno omicidi).

Il giudice ultraconservatore Clarence Thomas, cui si sono aggiunti gli ultraconservatori Antonin Scalia e Samuel A. Alito Jr., ha contestato la maggioranza per entrambe le affermazioni sui fatti e, per ragioni di principio, per il riferimento a ciò che avviene all’estero. Secondo lui per quanto riguarda il consenso interno occorre tener conto che 36 stati su 50, il Distretto di Columbia e la Giurisdizione federale consentono l’ergastolo senza possibilità di liberazione sulla parola per i minorenni non omicidi; inoltre a lui risulta che 11 nazioni estere ammettono tale punizione almeno in teoria e, cosa più importante, “le leggi e le sentenze straniere” sono “irrilevanti per il significato della nostra Costituzione.”

“Da oggi in poi” ha scritto preoccupato il giudice Thomas “ci potremo contare tra i pochi [paesi ] nei quali i decreti del potere giudiziario impediscono ai votanti di fare le loro scelte.”

Si tratta di posizioni barbariche quelle espresse da Thomas e compagni, degne della preistoria del diritto, ignare dell’internazionalizzazione dei diritti umani, vagheggianti una sorta di ‘democrazia diretta’ che decide a furor di popolo perfino sulle basi etiche della democrazia.

Detto questo per i giudici ultraconservatori, dobbiamo sottolineare che, purtroppo, Graham v. Florida è una sentenza minimale emessa da giudici conservatori che lascia tuttora gli Stati Uniti il paese più arretrato del mondo riguardo alla giustizia minorile, infatti l’ergastolo irrevocabile per i minorenni (omicidi o meno) non esiste nella pratica degli altri paesi ed è proibito dai trattati internazionali riguardanti i diritti umani.

Ci poniamo infine una domanda tutt’altro che peregrina: la sentenza moderatamente civile del 17 maggio si sarebbe potuta ottenere in una Corte Suprema in cui il giudice John Paul Stevens fosse stato già sostituito da Elena Kagan ? (V. articolo seguente).

 

 

8) PREOCCUPA LA NOMINA DI ELENA KAGAN IN SENO ALLA CORTE SUPREMA

 

Il presidente Barack Obama ha scelto, per la sostituzione del giudice John Paul Stevens in procinto di abbandonare la Corte Suprema degli Stati Uniti, la giurista Elena Kagan. Si tratta di una scelta comoda, che non dispiace più di tanto ai conservatori, deludente per coloro che ancora credono che il nuovo presidente sia orientato al cambiamento. In particolare la Kagan, che dimostra di avere una visione tradizionale e acritica della pena di morte, potrebbe alterare l’equilibrio della Corte Suprema che negli ultimi anni si è divisa all’incirca a metà nelle decisioni più rilevanti sulla pena capitale.

 

Il 9 maggio il presidente  Barack Obama ha comunicato la sua scelta riguardo alla successione del giudice della Corte Suprema degli Stati Uniti John Paul Stevens, in procinto di ritirarsi a vita privata.

Il giorno dopo si è svolta la cerimonia di nomina della giurista Elena Kagan. In attesa che prendesse la parola il Presidente, si levavano gli accordi di un pianoforte in una atmosfera festosa, tra personaggi della politica, parenti ed amici di Elena Kagan, che sciamavano nel foyer della Casa Bianca.

Probabilmente accreditandole il merito di essere stata la prima donna a diventare preside della prestigiosa Scuola di Legge dell’Università di Harvard, Obama ha definito la Kagan una “donna pioniera”.  Secondo Obama, Elena Kagan ha conquistato lodi sperticate in “tutto lo spettro delle diverse ideologie”. Il Presidente l’ha lodata per la sua “apertura a una larga varietà di punti di vista” e per “l’abitudine ad approfondire prima di dissentire”.

Tutti hanno sottolineato la giovane età di Elena Kagan - una cinquantenne in grado di influenzare per decenni la Corte Suprema - e le novità portate dal suo prevedibile ingresso nella massima corte. Per la prima volta ci saranno tre donne tra i nove giudici e non ci sarà alcun giudice protestante, ma sei cattolici e tre ebrei (tra cui la Kagan). 

Al di là delle feste e della retorica, è stata una  scelta deludente quella della Kagan, specie perché presa da un presidente che, entrando in carica un anno e mezzo fa, aveva suscitato grandi speranze di cambiamento, non solo negli USA ma nel mondo intero. Da un democratico, un  nero, un premio Nobel per la Pace, ci si poteva aspettare un scelta più ‘avanzata’.

Per Obama, nominare la sua Solicitor general (*) si è trattato della soluzione più comoda. La scelta prefigura una Corte Suprema più vicina all’Esecutivo, contenta anche gli ambienti conservatori e anticipa un’agevole conferma da parte del Senato (nonostante il fatto che la Kagan sia priva un’esperienza da giudice, v. n. 179). Elena Kagan potrà ricevere parecchi voti dai Repubblicani, mentre i Democratici si vergogneranno di contestarla ‘da sinistra’.

Elena Kagan, presentata da Obama come “la mia amica” durante la cerimonia di nomina del 10 maggio, in qualità di Solicitor general ha perorato fedelmente le cause dell’amministrazione Obama di fronte alla Corte Suprema dal mese di febbraio del 2009 in poi. Tra di esse quelle gravemente lesive dei diritti umani che tendono a prolungare all’infinito la politica di emergenza caratteristica della ‘guerra al terrorismo’ (v. n. 179). Una politica instaurata da George W. Bush subito dopo gli attentati apocalittici dell’11 settembre 2001, inizialmente contestata ma progressivamente assimilata dal nuovo presidente (v. ad es. nn. 167, 168, 175, 176).

Il fatto che Elena Kagan abbia preso posizioni ‘liberali’ per quanto riguarda l’aborto e i diritti degli omosessuali, non tranquillizza punto gli abolizionisti che vedono succedere al giudice Stevens una persona perfettamente conformista per quanto riguarda la pena di morte. 

A febbraio del 2009 nel corso dell’audizione al Senato per la sua conferma quale Solicitor general, Elena Kagan si era sforzata di dare, sia pure indirettamente, ampie rassicurazioni di essere pronta a perseguire la pena di morte nella pratica e nelle leggi e di non avere nessun remora al riguardo: “Sono del tutto preparata a sostenere, in armonia con i precedenti della Corte Suprema, che la pena di morte è costituzionale.[…] Come altre persone nominate  per essere Solicitor general, mi astengo dal fornire le mie opinioni personali […] sia perché tali opinioni non avranno un ruolo nelle decisioni ufficiali, sia perché esternazioni su tali opinioni potrebbero essere usate per compromettere gli interessi degli Stati Uniti nei dibattimenti. Ma posso dire che niente nelle mie personali vedute sulla pena di morte (riguardo sia alla sua applicazione, sia alle leggi che la regolano) può rendere difficile per me eseguire i compiti di Solicitor general in tale ambito.”

Per i molti che si dicono ancora convinti che un presidente come Barack Obama possa contribuire  ad accelerare il processo abolizionista negli USA, la nomina della Kagan costituisce un’ulteriore smentita. D’altra parte non possiamo dimenticare che lo stesso Obama aveva criticato, già in campagna elettorale, la Corte Suprema per la sentenza Kennedy v. Louisiana che proibisce la pena di morte per i pedofili:  “Ritengo che la pena di morte debba essere applicata in circostanze molto ristrette per i peggiori crimini. Credo che lo stupro di bambini piccoli, di 6-8 anni, sia un crimine odioso,” aveva dichiarato Obama in una conferenza stampa.

La nomina di Elena Kagan ci preoccupa notevolmente soprattutto perché la nuova giudice subentra a John Paul Stevens, che ha maturato nei decenni una chiara, cristallina, opposizione alla pena di morte (v. n. 179). La Corte Suprema che finora si è divisa all’incirca a metà nelle decisioni più rilevanti sulla pena di morte, con l’ingresso della Kagan potrebbe subire una pericolosa involuzione.

Non dimentichiamoci che la Corte Suprema si dovrà presto occupare di almeno due questioni cruciali riguardo alla pena capitale: 1) la liceità costituzionale di ‘giustiziare’ una persona che, dopo essere stata condannata a morte in un processo regolare, divenga in seguito capace di dimostrare la sua actual innocence (effettiva innocenza) e 2) la liceità di condannare a morte i malati mentali all’epoca del crimine.

La Corte Suprema può influire sul processo abolizionista assai di più dei milioni di firme che gli abolizionisti sognano di ottenere in calce alle loro petizioni!

Nonostante la nomina della Kagan, ci sforziamo pur sempre di conservare la speranza. Anche i giudici della Corte Suprema possono evolvere. Dopo tutto il giudice John Paul Stevens era inizialmente favorevole alla pena di morte ed ha maturato la sua contrarietà alla pena capitale nel corso degli anni.

L’audizione in Senato per la conferma di Elena Kagan come giudice della Corte Suprema USA è prevista in luglio, prima delle ferie estive. La nuova giudice potrebbe entrare nella Corte Suprema durante la sessione autunnale. Si prevede che Elena Kagan dovrà ‘ricusarsi’ nella discussione di almeno una quindicina di casi in cui lei è già intervenuta, in qualità di Solicitor general, nell’interesse dell’Amministrazione Obama.

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(*) V. n. 179. Il Solicitor general è l’avvocato che difende gli interessi del Governo USA presso la Corte Suprema (e non solo).

9) RIGUARDO ALLE ESECUZIONI, DIFFICILI PROBLEMI DI ETICA MEDICA

 

Gli anestesisti statunitensi che partecipano alle esecuzioni capitali da ora in poi sono passibili di una pesante sanzione da parte della loro associazione. La scelta dell’associazione degli anestesisti ha suscitato reazioni di diverso segno sia tra i sostenitori che tra gli oppositori della pena di morte.

 

L’Associazione Americana degli Anestesisti (American Board of Anesthesiologist - A. B. A.) ha deciso di revocare la propria certificazione agli anestesisti che da ora in poi parteciperanno alle esecuzioni capitali. “Operiamo per la guarigione, non siamo boia,” ha dichiarato Mark A. Rockoff, segretario dell’A. B. A.

La massima associazione medica americana (American Medical Association - A. M. A.) si è sempre opposta al coinvolgimento dei medici nelle esecuzioni, ma gli anestesisti sono i primi a prevedere una pesante sanzione per i contravventori di tale indirizzo etico.

Negli ultimi mesi si è sviluppata un’accesa discussione sulla nuova politica dell’ A. B. A., in essere da febbraio, anche se, a quanto pare, nessun anestesista è stato ancora sanzionato.

Sappiamo che circa la metà dei 35 stati nordamericani che eseguono condanne a morte, inclusi la Virginia e la California, richiede obbligatoriamente la presenza di un medico, cui si assicura l’anonimato.  Anche altri stati reclutano medici, in particolare anestesisti, per ricoprire un ruolo nelle esecuzioni con l’iniezione letale.

In alcuni stati gli anestesisti si limitano ad istruire la squadra di esecuzione riguardo ai dosaggi dei farmaci, in altri inseriscono personalmente i cateteri venosi e infondono le tre sostanze letali previste.

La decisione dell’associazione degli anestesisti statunitensi ha suscitato reazioni di diverso segno sia tra i sostenitori che tra gli oppositori della pena di morte.

Alcuni sostenitori della pena capitale si sono affrettati a dichiarare che i medici non sono necessari nel corso di operazioni che possono benissimo compiere i dipendenti dell’amministrazione carceraria.

Gli oppositori della pena di morte hanno in genere accolto con favore una decisione che ostacola le esecuzioni.

E’ tuttavia ineludibile un problema umanitario. 

“Se giacessi su una barella e mi si stesse somministrando un farmaco paralizzante… vorrei che fosse presente qualcuno che sapesse bene che cosa si sta facendo,” ha dichiarato Ty Alper, direttore associato del gruppo Death Penalty Clinic – che assiste legalmente i condannati a morte  - costituito presso la Scuola di Legge dell’Università di Berkeley. “Proprio come, nel caso in cui subissi un intervento chirurgico, non vorrei che una guardia mi somministrasse l’anestesia.”

 

 

10) PIÙ MORTI PER SUICIDIO CHE PER ESECUZIONE di Fernando Eros Caro

 

Dal penitenziario di San Quentin, Fernando ci comunica le sue forti considerazioni sul disagio mentale, sui suicidi, e sulla speranza, fattore essenziale per continuare a vivere. Anche nel braccio della morte.

 

L’altro giorno una guardia ha urlato nei corridoi che era arrivato uno specialista del “servizio per la salute mentale”, e ci ha domandato se qualcuno di noi sentiva delle voci! Io ho urlato di rimando che l’unica voce che sentivo era la sua!! :-)

Scherzi a parte, la necessità di assistenza psichiatrica qui a San Quentin è una faccenda seria. Come ho già scritto in precedenza, abbiamo perso più uomini per suicidio che per le esecuzioni. La cosa non mi sorprende, ovviamente; c’è una negatività così intensa in un ambiente come il nostro. Ogni giorno siamo vittime di osservazioni caustiche da parte delle guardie, che ci vengono rivolte con il preciso intento di ferirci. A questo si aggiunga che ogni detenuto può aggredirti per le più futili ragioni.

La maggior parte dei detenuti qui rinchiusi è povera, illetterata, oppressa e desiderosa di libertà. Per coloro che non hanno parenti, amici e persone che vengano a trovarli, la “speranza” viene drammaticamente offuscata. Questi detenuti si considerano tagliati fuori, non hanno modo di condividere nulla, e non sanno come riferire i loro sentimenti.

Dopo un certo numero di anni, alcuni scelgono di porre fine ad un’esistenza così vuota. Dovete ammettere che l’attesa di un’esecuzione non ci dà grosse basi su cui fondare la “speranza”.

La speranza è un fattore positivo molto potente per continuare a vivere. E anche per continuare ad essere sereni. Sì, a volte è difficile tirare avanti, giorno dopo giorno, nelle condizioni di vita più normali. Quindi immaginiamo quanto più difficile lo sia in prigione!

Eppure, le privazioni e la sofferenza ci aprono i sensi a ciò che avevamo soppresso in noi stessi: che la vita sia più di un mero svegliarsi al mattino, solo per ritornare a dormire alla fine della giornata. E’ meglio cominciare ogni giorno con la speranza di lasciare un’impronta nella storia umana. Anche solo comunicando un’impressione ad un’altra persona.

La tua vita è un poema, solo tu puoi comporlo scrivendone le parole.

 

Fernando

 

 

11) COLD CASE  di Claudio Giusti

 

Il mastodontico sistema della giustizia penale degli Usa, dotato delle più avanzate tecnologie e della pena di morte, nella rappresentazione mediatica appare inesorabile. Sembra che non vi sia scampo per gli autori dei più gravi delitti. Eppure, come mostra brillantemente Claudio Giusti esponendo i dati sugli omicidi irrisolti nell’ultimo decennio, non è poi così difficile per i criminali farla franca.

 

Ogni tanto i giornali ci narrano la soluzione di un “cold case”. Un omicidio di cui, per circostanze fortuite, si sono conservati i reperti che hanno permesso di effettuare il test del Dna e di consegnare, anche dopo trent’anni, il colpevole alla giustizia.

La storia arriva quasi sempre dall’America e suscita un’ammirazione sconfinata per il sistema giudiziario di quel paese. Tolleranza zero, sindaci sceriffi, libertà di girare armati: tutto il ciarpame giuridico-telefilmico ci viene rovesciato addosso.

Peccato che dietro la fogliolina del “cold case” risolto si nasconda un’inquietante foresta.

Ogni anno, nella sola California, 1.000 omicidi restano impuniti. Ogni anno nello stato del Governatore più fico del mondo 1.000 assassini la fanno franca.

Pensiamo agli ultimi anni: quelli che ci separano dall’undici settembre. Negli Stati Uniti ci sono stati almeno 130 mila omicidi criminali, 50.000 sono senza un colpevole e di questi 12.000 in California. Un risultato sconfortante di fronte a qualche cold case risolto.

La situazione è destinata a peggiorare.

La California non ha soldi per pagare gli straordinari alla polizia, mentre i tribunali vengono chiusi e il personale licenziato.

In compenso il Golden State si ostina a spendere più di 100 milioni di dollari all’anno nella pena capitale.

Il braccio della morte di San Quintino trabocca di 700 condannati, ma le esecuzioni sono state 13 in trent’anni e ciascuna è costata almeno 250 milioni di dollari.

 

 

12) E’ USCITO IL RAPPORTO ANNUALE DI AMNESTY INTERNATIONAL

 

Il 27 maggio è stato presentato il Rapporto Annuale 2010 di Amnesty International che esamina e denuncia la situazione e le violazioni dei diritti umani in 159 paesi nel corso del 2009; si tratta della grande maggioranza dei paesi del mondo. Non fa buona figura l’Italia, in grave ritardo nell’approvazione di leggi che implementino i trattati sui diritti umani, afflitta da un dilagante razzismo e dalla xenofobia, dalle violenze perpetrate dalle forze di polizia sui fermati e sui detenuti.

  

“La repressione e l’ingiustizia prosperano nelle lacune della giustizia globale, condannando milioni di persone a una vita di violazioni, oppressione e violenza” - ha dichiarato Christine Weise, presidente della Sezione Italiana di Amnesty International, il 27 maggio nel corso della conferenza stampa con cui è stato presentato il  Rapporto Annuale 2010.“I governi devono assicurare che nessuno si ponga al di sopra della legge e che ogni persona abbia accesso alla giustizia, per tutte le violazioni dei diritti umani subite. Fino a quando i governi non smetteranno di subordinare la giustizia agli interessi politici, la libertà dalla paura e dal bisogno rimarrà fuori dalla portata della maggior parte dell’umanità” - ha affermato la Weise.

Nel 2009 i paesi finiti sotto la lente di ingrandimento di Amnesty, oggetto di analisi e di denunce, sono 159 (su un totale di circa 200).

In un comunicato del giorno 27 Amnesty sottolinea alcuni tra i maggiori problemi che riguardano i diritti umani nel mondo affrontati dal Rapporto 2010:

· gli sgomberi forzati di massa in Africa, come in Angola, Ghana, Kenya e Nigeria, che spesso hanno fatto sprofondare ancora di più le persone colpite nella povertà;

· l’aumento delle denunce di violenza domestica contro le donne, degli stupri, degli abusi sessuali, degli omicidi e mutilazioni successivi agli stupri in El Salvador, Giamaica, Guatemala, Honduras e Messico;

· lo sfruttamento, la violenza e le violazioni che milioni di migranti della regione Asia e Pacifico hanno subito in paesi come Corea del Sud, Giappone e Malesia;

· il profondo aumento del razzismo, della xenofobia e dell’intolleranza nella regione Europa e Asia centrale;

· gli attacchi compiuti da gruppi armati in alcuni casi apparentemente affiliati ad al-Qaeda, che in paesi come Iraq e Yemen hanno acuito l’insicurezza.

In particolare, per quanto riguarda l’Italia, Amnesty rileva che: “Per tutto l’anno sono proseguiti sgomberi forzati illegali delle comunità rom. Gli sforzi da parte delle autorità per controllare l’immigrazione hanno messo a repentaglio i diritti di migranti e richiedenti asilo. L’Italia ha continuato a espellere persone verso luoghi in cui erano a rischio di violazioni dei diritti umani. Funzionari statunitensi e italiani sono stati condannati per il ruolo svolto nel programma di rendition (trasferimenti illegali tra paesi di persone sospettate di terrorismo) guidato dagli Usa. Sono stati segnalati decessi in stato di detenzione e sono pervenute ulteriori denunce di tortura e altri maltrattamenti da parte delle forze di polizia.”

Naturalmente le denunce che riguardano il nostro paese sono state contestate dai nostri governanti. In particolare il Ministro degli Esteri, Franco Frattini, in missione all’estero, da Caracas si è affrettato a definire il rapporto “indegno per il lavoro dei nostri uomini, delle nostre donne e delle forze di polizia che ogni giorno salvano persone”.

La versione italiana su carta del Rapporto è stata pubblicata quest’anno da Fandango Libri.

Il Rapporto è consultabile integralmente on-line, v. http://www.amnesty.it/Rapporto-Annuale-2010

Per l’Italia v. in particolare: http://www.amnesty.it/Rapporto-Annuale-2010/Italia

 

 

13) NOTIZIARIO

 

Georgia. Anticipata al 23 giugno l’udienza sulle prove per Troy Davis. E’ stata anticipata al 23 giugno l’udienza davanti al giudice distrettuale William T. Moore sulle prove di innocenza di Troy Davis, condannato a morte in Georgia. L’udienza era stata inizialmente  fissata per il 30 giugno (v. n. 179). Il cambiamento di data è dovuto a impegni indifferibili del principale avvocato dell’accusa.

 

Israele. Esecuzioni di Palestinesi nella Striscia di Gaza. Il 18 maggio nella Striscia di Gaza, controllata da Hamas dal 2007 in poi, sono stati ‘giustiziati’ tre uomini non identificati accusati di omicidio. Il 2 aprile altri due uomini erano stati fucilati perché accusati di collaborazionismo con Israele. L’Autorità Palestinese ha criticato le esecuzioni come illegittime in quanto non ratificate dal presidente dell’Autorità Palestinese, Mahmoud Abbas. Si tratta delle prime esecuzioni a Gaza dopo il 2005; allora il territorio era sotto il controllo dell’Autorità Palestinese.

Italia. Si è svolto a Roma il V Congresso Internazionale dei ministri della giustizia. Si è svolta a Roma  il 17 maggio, come ogni anno,  la ormai tradizionale conferenza internazionale organizzata dalla Comunità di Sant’Egidio in cui personalità politiche e della società civile, parlamentari, esponenti del sistema giudiziario di decine di paesi si confrontano incoraggiandosi reciprocamente ed  esponendo i loro progetti tendenti all’abolizione universale della pena di morte. I partecipanti alla conferenza “Dalla moratoria all’abolizione della pena capitale” provenivano da Kazakhstan, Cambogia, Indonesia, Filippine, Timor Est, Mongolia, Corea del Sud, Messico, Uruguay, Ecuador, Francia, Spagna, Eritrea, Angola, Benin, Burkina Faso, Capo Verde, Congo-Brazzaville, Costa d’Avorio, Gabon, Guinea, Kenya, Sudafrica, Mali, Mozambico, Niger, Rwanda, Sao Tomé, Somalia, Tanzania, Zambia. In apertura del convegno, Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant’Egidio, ha posto la domanda: “Di fronte alla violenza diffusa in tante parti del mondo, quali possono essere le risposte degli stati?”. Una domanda a cui hanno risposto gli oratori che si sono susseguiti nell’arco della mattinata. Oltre ai saluti di Gianfranco Fini, Presidente della Camera, e di Gianni Alemanno, Sindaco di Roma, si sono avuti i contributi di: Jean-Marie Bockel, ministro della giustizia francese, Jorge Omar Chediak Gonzalez, presidente della Corte Suprema dell’Uruguay, Marisa Helena Morais, ministro della giustizia di Capo Verde,  Ang Vong Vathana, ministro della giustizia cambogiano,   Guilhermina Prata, ministro della giustizia angolano, Célestin Twizere, esponente della Comunità di Sant’Egidio del Ruanda, Rashid Tusupbekov, ministro della giustizia del Kazakhstan. E’ stato anche  letto un messaggio di Tsakhiagiin Elbedgorj, presidente della Mongolia, il quale ha recentemente proposto la moratoria della pena di morte nel suo paese. Mario Marazziti della Comunità di Sant’Egidio ha fatto il punto sul processo abolizionista nel mondo notando che i paesi che non usano più la pena di morte sono ormai 141.  L’incoraggiamento e il sostegno alla “battaglia di civiltà” tendente alla cancellazione della pena capitale è venuto anche dal Consiglio d’Europa, tramite il  capo del dipartimento per i diritti umani Jeroen Schokkenbroek.

Italia. Condannati i vertici della Polizia per le violenze durante il G8 di Genova del 2001. Il 18 maggio si è avuta la sentenza di appello per le violenze compiute dalla polizia nei riguardi dei manifestanti al G8 di Genova del 2001, che dormivano nella scuola Diaz nella notte tra il 21 e il 22 luglio di quell’anno. La Terza sezione della Corte d’Appello di Genova ha esteso ed aggravato notevolmente le sentenze rispetto a quelle che si erano avute in primo grado, condannando tutti i 27 imputati meno due. In primo grado erano state condannate solo 13 persone. In particolare i vertici della Polizia direttamente coinvolti, che erano usciti indenni dal primo processo, sono stati tutti condannati, con pene varianti tra 3 anni e 8 mesi e 5 anni di carcere. Si tratta del capo dell’anticrimine Francesco Gratteri, dell’ex comandante del primo reparto mobile di Roma Vincenzo Canterini, dell’ex vicedirettore dell’Ucigos Giovanni Luperi, dell’ex dirigente della Digos di Genova Spartaco Mortola, dell’ex vicecapo del Servizio centrale Operativo della polizia, Gilberto Caldarozzi. In totale sono stati irrogati 85 anni di carcere rispetto ai 110 chiesti dall’accusa. “Seppur essenziale e lungamente attesa, la ricostruzione delle responsabilità penali individuali non è tuttavia sufficiente. In questi nove anni,” sottolinea la Sezione Italiana di Amnesty International in un comunicato del 19 maggio, “non c’è stata alcuna parola forte di condanna da parte delle istituzioni per il comportamento tenuto dalle forze di polizia nel luglio 2001 a Genova […] Quanto accaduto alla scuola Diaz potrebbe ripetersi se le autorità non diranno a chiare lettere che le violazioni dei diritti umani da parte delle forze di polizia non sono tollerate e non assumeranno le necessarie misure di riforma dei meccanismi che a Genova non garantirono sicurezza e protezione dei diritti fondamentali di tutti” - avverte Amnesty che torna a chiedere l’introduzione del reato di tortura nel nostro ordinamento come conseguenza della partecipazione dell’Italia alla Convenzione internazionale Contro la Tortura. Come era da temere, il potere politico - senza dubbio principale responsabile morale di quel che avvenne al G8 di Genova nel 2001 -  ha fatto quadrato intorno agli alti dirigenti condannati: “Resteranno al loro posto” in attesa della sentenza della Cassazione, ha dichiarato il sottosegretario all’Interno Alfredo Mantovano, criticando la sentenza del 18 maggio, perché quegli uomini “hanno e continuano ad avere la piena fiducia del sistema sicurezza e del Viminale”. Il Ministro dell’Interno Maroni ha detto di sottoscrivere al 100% le parole di Mantovano. Ricordiamo che anche  nel processo di appello per le violenze perpetrate nella caserma di Bolzaneto ai danni dei fermati durante le manifestazioni per il G8 del 2001, le condanne sono state aggravate (v.n. 178, Notiziario).

New Mexico. Processo capitale nello stato abolizionista totale. Il 3 maggio sono cominciate le fasi preliminari del processo capitale contro Michael Paul Astorga, accusato di aver ucciso in strada un poliziotto nel 2006 durante un controllo della sua auto. Il New Mexico ha abolito la pena di morte l’anno scorso (v. n. 168) ma solo per i delitti commessi dopo il 1° luglio 2009. Qualora Astorga venga riconosciuto colpevole e condannato alla pena capitale, sarebbe logico attendersi un provvedimento di grazia da parte del governatore Bill Richardson (il quale peraltro non ha ancora affrontato la situazione degli altri condannati a morte del suo stato).

 

Somalia. Un’esecuzione e un’amputazione. I miliziani somali di stretta osservanza islamica hanno fucilato un uomo e amputato una mano ad un altro il 26 aprile nei pressi di Mogadiscio di fronte ad un folto pubblico.  “Mohamed Ahmed Qasim è stato trovato colpevole di omicidio e la Corte Islamica dei Mujaheddin lo ha condannato a morte, mentre Shine Abukar Hersi è stato condannato all’amputazione della mano destra per un furto di beni del valore di 300 dollari,” ha dichiarato il giudice Sheik Ali Omar. “Abbiamo chiesto ai parenti del colpevole di perdonarlo prima della fucilazione ma loro hanno insistito perché fosse giustiziato e la corte ha eseguito la sentenza.” (E’ da ritenere che si trattasse di un omicidio avvenuto nell’ambito familiare). Sull’uso raccapricciante della pena di morte da parte delle ‘corti islamiche’ somale v. anche nn. 164; 173, Notiziario.

 

Texas. Il condannato che si è mangiato entrambi gli occhi? Può essere ucciso. La difesa di Andre Thomas, il condannato a morte del Texas che, in momenti successivi, si è cavato e mangiato prima un occhio poi un altro (v. nn. 166, Notiziario; 168), ha fatto un nuovo tentativo presso la famigerata Corte Criminale di Appello del Texas per scongiurarne l’esecuzione: ha sostenuto che egli non costituisce una minaccia per la società dal momento che è cieco. La corte ha rigettato il ricorso osservando che il grado della sua pericolosità costituiva una questione rilevante al momento del processo, non ora.  Per la verità Thomas arrivò al processo già orbo di un occhio (se lo era mangiato 5 giorni dopo il delitto) ma evidentemente non era abbastanza. In precedenza il fatto che il meschino avesse strappato i cuori a sua moglie e ai due bambini “per ordine di Dio” e si fosse inflitto tre coltellate al torace, non è stato considerato un sintomo sufficiente di insanità mentale. Thomas “è chiaramente pazzo” sentenziò la stessa corte il 18 marzo 2009 respingendo il precedente ricorso, “ma egli è anche sano secondo la legge del Texas” (di qui la legalità della sua condanna a morte e della sua esecuzione).

 

Usa. Attacco dell’amministrazione Obama ai ‘diritti Miranda’. L’amministrazione di Barack Obama chiede al Congresso di togliere i tradizionali ‘diritti Miranda’, codificati dalla Corte Suprema nel 1966, ai prigionieri fatti nell’ambito della ‘guerra al terrorismo’. Ricordiamo che i ‘diritti Miranda’ devono essere letti ad ogni arrestato per consentirgli di non autoincriminarsi  in attesa di un avvocato difensore, come si vede in ogni film poliziesco ambientato negli USA. Ovviamente il problema si pone solo per i cittadini americani catturati in patria, come Faisal Shahzad, sospetto attentatore dinamitardo  di Times Square del 1° maggio, arrestato a New York il 3 maggio. L’Attorney General (Ministro della Giustizia) Eric Holder ha annunciato la nuova politica il 9 maggio, sostenendo che, nell’interrogare i sospetti di terrorismo,  gli inquisitori hanno bisogno di una flessibilità che va molto a di là delle eccezioni ai ‘diritti Miranda’ già previste . I Repubblicani avevano addirittura chiesto che i sospetti di terrorismo fossero detenuti e interrogati come detenuti militari invece di essere trattati come i criminali ordinari. Dopo aver tergiversato sostenendo che le regole esistenti erano sufficienti per fronteggiare il terrorismo, ora l’amministrazione Obama sembra decisa a capitolare su un’altra questione che riguarda i diritti umani, assomigliando sempre più alla precedente amministrazione Bush. Per altro, già prima del mancato attentato di Times Square, l’amministrazione era intenta ad allargare i limiti del periodo per cui un sospetto può essere interrogato prima di essere avvisato dei suoi diritti. Per esempio dopo il mancato attentato su un aereo in atterraggio a Detroit il giorno di Natale del 2009, l’F. B. I. interrogò il sospetto Umar Farouk Abdulmutallab, gravemente ustionato, per 50 minuti senza leggergli i suoi diritti. Faisal Shahzad è stato addirittura  interrogato per tre ore prima della lettura dei ‘diritti Miranda’. In entrambi i casi l’amministrazione si è appellata ad una eccezione introdotta  nel 1984 dalla Corte Suprema nel 1984 per i casi in cui vi sia un’immediata minaccia per la sicurezza pubblica. Ora questo non basta più. (Sui ‘diritti Miranda v. anche n. 108).

 

Usa. Detenzione indeterminata a Bagram in Afghanistan al di fuori di ogni controllo giudiziario. L’amministrazione Obama ha ottenuto di privare i prigionieri – anche non afghani -  nella base di Bagram in Afghanistan del diritto di contestare la loro detenzione in una corte di giustizia. In una decisione presa all’unanimità, un panel di tre giudici della Corte federale d’Appello del Distretto Columbia ha sentenziato che la Costituzione USA e il diritto all’habeas corpus non si estendono ai prigionieri stranieri detenuti a Bagram dal momento che l’Afghanistan è una zona di guerra. La decisione ribalta la sentenza di una corte inferiore favorevole a tre prigionieri non afghani di Bagram e dà ragione al governo. Se non modificata dalla Corte Suprema, la sentenza pronunciata il 21 maggio darà ad Obama ciò che George W. Bush aveva a lungo cercato: un luogo in cui i prigionieri possano essere detenuti dai militari a tempo indeterminato senza alcun controllo da parte delle corti di giustizia. La sentenza è stata criticata dall’Unione Americana per le Libertà civili (ACLU) in quanto “ratifica il pericoloso principio che il governo USA ha il potere incontrollato di catturare prigionieri ovunque nel mondo, di dichiarare unilateralmente che sono nemici combattenti e di sottoporli ad una indefinita detenzione militare senza alcuna revisione giudiziaria”. Da vari mesi l’amministrazione Obama discute l’eventualità di usare la base di Bagram come alternativa al campo di Guantanamo per un certo numero di prigionieri catturati fuori dall’Afghanistan. Attualmente tali prigionieri non sarebbero più di una dozzina ma il loro numero potrebbe presto aumentare.

 

 

Questo numero è aggiornato con le informazioni disponibili fino al 31 maggio 2010

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