FOGLIO DI COLLEGAMENTO INTERNO
DEL COMITATO PAUL ROUGEAU / ELLIS(ONE) UNIT
Numero 86 - Maggio 2001
SOMMARIO:
1) Vivo o morto Timothy McVeigh rimarrà nella storia
2) Oltre 140 proposte di legge dimostrano l'inversione di tendenza
3) Non dimentichiamo il mostro cinese
4) Una normale nota di agenzia: lapidazione in Iran
5) Primo congresso mondiale contro la pena di morte
6) Paula Cooper si e' laureata
7) Ma chi e' in fondo il responsabile?
8) L'uccisione di David Goff: una questione politica ?
9) A costo di risultare noioso
10) Quarto incontro del gruppo di Torino
11) Notiziario
1) VIVO O MORTO TIMOTHY MC VEIGH RIMARRA’ NELLA STORIA
Victor Feguer, riconosciuto colpevole di rapimento con uccisione dell’ostaggio, un reato federale, fu impiccato nello Iowa, a 28 anni di età, il 15 marzo del 1963 quando era ancora vivo Kennedy e l’istituzione della pena di morte stava perdendo tutto il suo prestigio. Feguer riteneva a buon diritto di essere l’ultimo nella storia degli USA ad essere ‘giustiziato’ in ambito federale. “Confido veramente di essere l’ultimo ad andare,” disse prima di essere incappucciato.
Era amaramente cosciente di essere l’ultima vittima di un sistema obsoleto che stava estinguendosi nell’indifferenza generale. Forse Victor Feguer non passerà alla storia per essere l’ultimo ‘giustiziato’ a livello federale ma il suo immediato successore McVeigh avrà sicuramente un posto negli annali della nazione per aver messo a nudo come non mai - al di là delle sue intenzioni e al di fuori della sua logica - l’essenza del problema della pena di morte.
L’accusa sta lavorando alacremente su 700 documenti (oltre 3100 pagine) relativi all’inchiesta sull’attentato di Oklahoma City attribuito a McVeigh che l’FBI omise di passare agli avvocati difensori dell’imputato in occasione del processo del 1997, cosa che avrebbe dovuto fare. Il 10 maggio la comparsa di tali documenti aveva indotto il Ministro della Giustizia Ashcroft a rinviare l’esecuzione originariamente prevista per il 16 dello stesso mese, bloccando la complessa macchina organizzativa dell’evento, che già lavorava a pieno ritmo. L’intento dell’accusa è quello di dimostrare che nessuno di tali documenti può mettere in dubbio la colpevolezza del condannato (anche se si riconosce che qualcuno di essi poteva tornare utile alla difesa).
E’ abbastanza probabile che l’11 giugno Timothy McVeigh verrà ucciso nella prigione di Terre Haute nell’Indiana. Di ciò si è detto sicuro il Ministro della Giustizia Ashcroft, che a suo modo ha ‘tranquillizzato’ i parenti delle vittime di McVeigh dichiarando che non concederà altre dilazioni. Tuttavia i meccanismi legali messi in moto dall’irrompere di una tale mole di informazioni - e si è parlato dell’esistenza di molti altri documenti - potrebbe indurre una Corte federale a concedere ulteriore tempo alle parti per chiarire i lati oscuri della vicenda. Per di più non è escluso che i legali dell’imputato e McVeigh stesso decidano di tentare di rimettere in moto la sequenza degli appelli che era stata volontariamente interrotta dal condannato reo confesso. Data l’enorme risonanza che ha avuto il caso, qualsiasi ulteriore colpo di scena potrebbe da una parte incrementare la notorietà e il prestigio degli avvocati difensori, dall’altra fare il gioco di Timothy McVeigh, che vuole mettere il più possibile in difficoltà il ‘sistema’ con il quale combatte una sfida mortale.
Negli interessi degli opinion leader americani le precedenti questioni, inerenti la sorte di McVeigh nell’immediato, sono superate dagli interrogativi che il caso ha creato intorno all’istituzione stessa della pena di morte. Rimanendo ben pochi spazi per schierarsi dalla parte del condannato, questa volta il dibattito va al cuore del problema: essere pro o contro la pena di morte in sé. Il favore per la pena di morte del pubblico americano sta fortemente scemando in questi anni (siamo passati dall’80% di favorevoli del 1994 al 66 % di oggi). La richiesta di uccidere McVeigh è ridondante (la esprimono il 75-80 % dei suoi connazionali) ma il suo caso ha il merito di aver portato la discussione al nucleo della questione, andando al di là dei motivi su cui è basato l’attuale attacco della stampa alla pena di morte, derivanti dall’analisi delle gravi carenze e ingiustizie di cui è affetto il sistema penale che infligge la ‘massima sanzione’.
Il dibattito sull’opportunità e sulla liceità di mettere a morte McVeigh sta facendo crescere negli Americani un’insospettata istanza di superamento etico della pena capitale. Le numerose petizioni indirizzate al Presidente Bush ora non si appellano più alle particolarità del caso specifico nel chiedere la grazia per il condannato. Ormai si dice esplicitamente che il Governo deve dimostrare una superiorità morale nei riguardi del reo evitando di ucciderlo. Effettivamente ucciderlo significherebbe rimanere intrappolati in una logica di morte e di vendetta, la logica di Timothy McVeigh. Questi in fin dei conti ha applicato i suoi criteri di ‘giustizia’ per giustificare l’uso della violenza. Criteri che dimostrò facendo esplodere il suo orribile ordigno esattamente nel secondo anniversario della strage compiuta col fuoco, a Waco nel Texas, dagli agenti e del Governo federale che avevano perso il lume della ragione di fronte alle pretese separatiste della setta del Branch Davidian.
2) OLTRE 140 PROPOSTE DI LEGGE DIMOSTRANO L’INVERSIONE DI TENDENZA
Come abbiamo già detto, il “gigante di terracotta è incrinato” e i sostenitori della pena capitale cercano di ridimensionarlo e di puntellarlo. Tentano un ripiegamento dalle posizioni più indifendibili per rimandare il tracollo definitivo del sistema della pena di morte. Molto probabilmente negli Stati Uniti d’America l’acme della pena capitale è stato raggiunto tra il 1999 e il 2000 ed ora siamo già in una fase discendente.
Al di là del cambiamento netto della posizione dei media, che trova attutiti ma apprezzabili riscontri nei sondaggi di opinione, occorre ricordare più di 140 disegni di legge riguardanti la pena di morte che negli ultimi otto mesi sono stati presentati nei parlamenti di 41 stati e a livello federale. Di essi almeno 120 rappresentano un passo verso l’abolizione, in quanto, assicurando una maggiore giustizia, tendono a limitare le condanne e le esecuzioni (ci riferiamo ad esempio a leggi che prevedono: l’abolizione o una moratoria della pena capitale, commissioni di studio sulla pena di morte, l’esenzione dalla pena di morte dei minorati mentali e dei minorenni, l’introduzione dell’alternativa dell’ergastolo accanto a quella della pena di morte, il miglioramento della difesa legale d’ufficio nei casi capitali, l’uso di test del DNA per dimostrare l’innocenza di imputati già condannati, l’indennizzo degli innocenti erroneamente detenuti, la rimozione dei limiti temporali per la presentazione delle prove di innocenza, la messa al bando della sedia elettrica) mentre solo una ventina di proposte di legge vanno nella direzione opposta (ripristino della pena di morte in stati che l’hanno abolita, allargamento delle fattispecie di reato capitale, enfatizzazione del ruolo delle famiglie delle vittime del crimine nei procedimenti penali). Delle 120 proposte di legge ‘positive’ finora ne sono state bocciate o rimandate sine die soltanto una quindicina. Delle proposte ‘negative’ le due che prevedevano il ripristino della pena capitale (in Maine e in Massachusetts) sono state respinte.
Tra gli stati in cui le forze conservatrici si dimostrano più attive nel limitare la portata della nuova legislazione sono da annoverare certamente la Florida, l’Oklahoma, il Texas e la Virginia.
In Florida, lo schieramento conservatore guidato dal Governatore repubblicano Jeb Bush si è adoperato per far inserire la pena di morte nella costituzione, per limitare i provvedimenti progressisti adottati dalla Corte Suprema dello stato a maggioranza democratica e per attenuare l’impatto delle leggi avanzate in materia penale. Una modifica costituzionale prevede inoltre che vengano dichiarate inammissibili in Florida soltanto le pene che siano ‘crudeli e inusuali’ e non le pene ‘crudeli o inusuali’ come avveniva fino ad ora. Tale modifica, secondo alcuni commentatori, potrebbe riportare nella legalità l’esecuzione dei sedicenni all’epoca del delitto, che fino ad ora sono stati sistematicamente esonerati dall’iniezione letale per intervento della Corte Suprema. Intanto una proposta di legge che prevedeva la non applicabilità della pena capitale ai minori di 18 anni, dopo essere passata alla Camera, è stata bocciata dal Senato. Invece la legge che protegge dall’esecuzione i ritardati mentali verrà approvata all’unanimità, ma è una legge piuttosto avara e restrittiva.
In Oklahoma è notte fonda: possiamo dire che in questo stato il vento innovativo non stia ancora soffiando. Un massiccio incremento delle esecuzioni (se ne contano già 12 dall’inizio dell’anno) non provoca adeguate critiche nella stampa. Una proposta di legge che prevedeva una moratoria di un anno per la pena capitale è stata bocciata in febbraio.
In Texas, come abbiamo più volte osservato, la nuova più realistica ed avanzata amministrazione ha prodotto un massiccio incremento delle proposte di legge e degli investimenti in campo criminale. Ad esempio è già operante la legge che consente di richiedere i test del DNA per scagionare imputati già condannati e a giorni entrerà in vigore la complessa legge che assicura un significativo miglioramento della difesa legale d’ufficio degli imputati indigenti, specie nei casi capitali. Vengono introdotti standard qualitativi a livello statale e procedure e per la nomina di avvocati d’ufficio qualora le contee non istituiscano dei sistemi di ‘pubblica difesa’. Gli avvocati difensori dovranno essere nominati nel giro di 24 ore dalla richiesta (nelle contee più svantaggiate entro 3 giorni) mentre attualmente passano anche settimane prima che l’imputato possa godere del diritto costituzionale di giovarsi di un avvocato. Nei casi capitali i difensori dovranno avere un minimo di 5 anni di esperienza in materia penale. Sono previsti cospicui fondi statali per finanziare i pubblici difensori di cui vengono aumentate le parcelle. Gli avvocati dovranno essere in grado di comunicare con gli imputati appartenenti a minoranze linguistiche o con problemi di udito.
In Texas però le forze conservatrici si stanno battendo con particolare energia per limitare l’impatto dei provvedimenti positivi. Dopo una strenua battaglia parlamentare, il 13 maggio a strettissima maggioranza è stato definitivamente bocciato dal Senato un provvedimento che avrebbe introdotto l’ergastolo come terza alternativa nei casi capitali (oltre alla pena di morte e alla pena detentiva con un minimo di 40 anni di carcere). Tale provvedimento, a parere sia dei sostenitori che degli avversari della pena capitale, avrebbe potuto ridurre apprezzabilmente il numero delle condanne a morte. Per la verità ad affossare la proposta hanno contribuito anche posizioni avanzate di parlamentari che, puntando direttamente all’abolizione della pena di morte, considerano anche l’ergastolo una punizione crudele ed inumana.
E’ invece arrivata alla soglia dell’approvazione definitiva (manca solo la firma del Governatore Perry) la legge del Texas che esenta i ritardati mentali dalla pena capitale. Tale legge potrebbe salvare Johnny Penry (vedi n. 81) ed almeno altri quattro condannati, niente da fare invece per i sei ritardati mentali ‘giustiziati’ negli ultimi anni. Contro questa legge hanno opposto un fitto fuoco di sbarramento i settori più attaccati alla pena capitale, tanto che alcuni emendamenti restrittivi sono stati via via accolti pur di far arrivare in porto il provvedimento. Le giurie d’ora in avanti dovranno determinare – in base a prove e testimonianze di esperti – se un accusato di reato capitale è da ritenersi ritardato mentale. In tal caso non potrà essere emessa una sentenza di morte. Se la giuria deciderà in senso opposto l’imputato potrà essere condannato a morte. Tuttavia un giudice distrettuale avrà facoltà di rovesciare la decisione della giuria. La sentenza del giudice potrà essere ancora appellata sia dalla difesa che dall’accusa davanti alla Corte di Appello criminale del Texas.
In Virginia è stata definitivamente approvata la legge che consente ai condannati a morte di accedere ai test del DNA per dimostrare la loro innocenza. Questa legge introduce una significativa eccezione alla norma che fissa un limite di 21 giorni dalla conclusione del processo per presentare nuove prove di innocenza. Sono tuttavia falliti i tentativi di far approvare provvedimenti per cancellare il limite dei 21 giorni (anche se una commissione parlamentare ha cominciato a studiare il problema) e per imporre una moratoria delle esecuzioni. Naturalmente, è stata bocciata la proposta di legge per abolire la pena di morte in Virginia.
3) NON DIMENTICHIAMO IL MOSTRO CINESE
Nel corso delle ricorrenti campagne ‘anticrimine’, che hanno un chiaro intento propagandistico a sostegno del potere politico, i mezzi di comunicazione di massa cinesi quotidianamente e a volte istericamente, invitano il pubblico a infliggere un “colpo fatale” alla criminalità per arrivare ad una “completa vittoria.” Nei giornali e alla TV vengono usate frasi come queste: “La repressione dimostra come in questo nostro divino paese ogni atto illegale e criminale (…) sarà severamente punito innanzi alla spada della legge che la nostra repubblica tiene alta.”. “Le masse hanno mostrato un entusiasmo per la campagna che non si vedeva da anni (…) continuiamo a lavorare duro per conseguire una completa vittoria nella repressione e le nostre leggi brilleranno in questa estesa divina nostra regione…”
La Cina è uno dei trenta paesi al mondo che ancora compiono un significativo numero di esecuzioni capitali e si sforza di farlo alla grande. La campagna anticrimine “Colpire duro!” lanciata l’11 aprile scorso, in poco più di un mese ha causato, secondo fonti diplomatiche, oltre 800 esecuzioni. A partire dal 1983, si sono avute in Cina tre precedenti ‘campagne contro la criminalità’ che avevano quello stesso titolo, tutte e tre portate avanti a suon di fucilazioni di veri e presunti criminali. Durante la precedente campagna “Colpire duro!” tra la primavera e l’estate del 1996 secondo Amnesty International si ebbero dalle 2500 alle 4400 esecuzioni capitali.
Per la verità qualsiasi campagna propagandistica governativa degli ultimi anni – anche quella lanciata per festeggiare il cinquantesimo compleanno dell’attuale regime istituito da Mao nel 1946 – è stata incorniciata da esecuzioni capitali enfaticamente sbandierate, attraverso slogan altisonanti, dai mezzi di comunicazione di massa.
Il Partito comunista al potere spera in tal modo di aumentare la fiducia del pubblico nella sua capacità di tenere il crimine sotto controllo. La pena di morte gode attualmente di un largo favore tra i cinesi spaventati dal deciso aumento della criminalità causato dalla recenti riforme economiche che, aprendo le porte all’economia di mercato, hanno gettato milioni di lavoratori nella disoccupazione.
L’attuale campagna anticrimine è stata lanciata dal Capo dello stato Jang Zemin durante una riunione straordinaria del Comitato centrale del Partito comunista cinese all’inizio di aprile. Ordini perentori alle forze dell’ordine e ai tribunali sono stati poi diffusi attraverso lo sterminato paese asiatico da zelanti ed entusiasti attivisti. Durante una visita ad un commissariato di polizia, il 16 maggio il massimo responsabile dell’ordine pubblico nel Partito, Luo Gan, ha esortato “tutte le località a portare avanti la campagna “Colpire duro!” (…) ed a punire severamente e prontamente le forze del male.” I tribunali e la polizia, stressati dalle richieste insistenti del Partito e del Governo di produrre rapidamente un numero rilevante di condanne ed esecuzioni capitali non possono permettersi il lusso di seguire procedure indagatorie e processuali corrette. Poco importa se a volte le prove sono labili o costituite da confessioni strappate sotto tortura, se il processo diviene una farsa nella quale conta soprattutto la coreografia, tanto - secondo quanto opina il giurista Hu Yunteng – “nella mentalità dei Cinesi non costituisce un grave problema che vengano ‘giustiziati’ degli innocenti.” Il prof. Hu personalmente è scettico sul potere deterrente della pena di morte ed auspica che tale sanzione venga progressivamente messa da parte, tuttavia i suoi titoli accademici e la sua approfondita conoscenza del problema lo hanno portato a capeggiare una delegazione incaricata di discutere della pena capitale con l’Unione Europea nell’ambito dei colloqui riguardanti i diritti umani. Egli ha il dovere di difendere la campagna “Colpire duro!” anche se ritiene che - a causa della qualità scadente del sistema giudiziario cinese e delle procedure ‘accelerate’ imposte dalla campagna - vengano uccisi degli innocenti.
Durante la presente e le precedenti campagne anticrimine è capitato di leggere ogni genere di notizie bizzarre o raccapriccianti nei giornali cinesi. Apprendiamo ora che il 20 aprile scorso centinaia di persone hanno presenziato ad un pubblico processo di 33 imputati tenutosi in una scuola a Ciongquing. Questi malcapitati furono tra i 55 processati, condannati e ‘giustiziati’ in quella città nell’arco della stessa giornata. Il 26 aprile sono stati ‘giustiziati’ nello Yunnan due uomini accusati dia aver rubato 50 dollari ad un diplomatico americano. Nella medesima provincia un trentenne era stato fucilato il 12 aprile per essersi procurato disonestamente dei soldi per giocare d’azzardo…
Rossi striscioni e altoparlanti montati su camion esortano anche i più remoti villaggi a prendere parte alla campagna “Colpire duro!” La televisione mostra grandi assembramenti per i processi e le esecuzioni, i condannati a morte portati in giro per la città a bordo di autocarri, in piedi, legati e col capo chino, con un cartello appeso al collo… Continua il sistematico espianto di organi dai cadaveri dei giustiziati che non vengono restituiti alle rispettive famiglie.
4) UNA NORMALE NOTA DI AGENZIA: LAPIDAZIONE IN IRAN
Molti credono che i metodi di esecuzione capitale caratteristici dell’epoca di Gesù Cristo (lapidazione, crocifissione e decapitazione con la spada) siano da secoli scomparsi. Invece tali metodi sono applicati tutt’oggi in diversi stati islamici. Ce lo ricorda ogni tanto una nota di agenzia o un trafiletto di giornale.
Il 20 maggio una donna è stata uccisa in Iran dopo che una corte l’aveva condannata alla lapi- dazione per aver partecipato a film pornografici. La donna che aveva 35 anni è stata parzialmente sepolta in una buca nella prigione di Evin a Teheran e poi lapidata a morte. La polizia l’aveva arrestata 8 anni fa accusandola di aver recitato in film ritenuti osceni. La donna si era dichiarata innocente ma, secondo il giornale che ha riportato l’esecuzione, le prove e le testimonianze esibite dalla polizia giudiziaria sono state sufficienti per emettere la condanna alla lapidazione. L’identità della donna non è stata rivelata.
5) PRIMO CONGRESSO MONDIALE CONTRO LA PENA DI MORTE
Si terrà a Strasburgo dal 21 al 23 giugno il “Primo Congresso mondiale contro la pena di morte” organizzato dall’associazione “Together Against Death Penalty” che ha sede in Francia. I tre obiettivi principali del colloquio saranno: fare il punto sulla pena di morte e sulla lotta abolizionista nel mondo, regione per regione, permettere ai differenti attori della mobilitazione di incontrarsi e coordinarsi, decidere le azioni per gli anni a venire.
Hanno aderito all’iniziativa, tra gli altri, il Parlamento Europeo, il Consiglio d’Europa, i Parlamenti Austriaco, Belga, Francese e Tedesco, le Camere dei Deputati Italiana e Portoghese, il Ministero Francese degli Affari Esteri e la Città di Strasburgo.
Il programma del Congresso comprende pannelli sull’analisi geopolitica dei cinque continenti, un dibattito sulle strategie per rafforzare l’abolizione della pena di morte, una sessione plenaria con testimonianze di condannati a morte e di loro familiari, una mobilitazione degli avvocati contro la pena di morte con una Dichiarazione dei Presidenti delle Associazioni di Avvocati e un dibattito sulle diverse posizioni riguardo alla pena di morte negli Stati Uniti (con la partecipazione di alcuni Governatori). I lavori si concluderanno con una Dichiarazione dei congressisti.
Venerdì 22 giugno, il Parlamento Europeo saluterà i Presidenti dei Parlamenti del mondo. La seduta plenaria, presieduta da Nicole Fontaine e Lord Russell-Johnston, si terrà alla presenza dei Congressisti, dei Rappresentanti delle Organizzazioni non governative per la difesa dei Diritti Umani e dei Presidenti delle Associazioni di Avvocati del mondo. Durante la seduta, i Presidenti dei Parlamenti si appelleranno solennemente per una moratoria mondiale delle esecuzioni di condannati a morte, in vista dell’abolizione universale. Questo appello sottolineerà il ruolo dei Parlamenti, come rappresentanti dei popoli, nella difesa dei Diritti Umani e darà una maggiore eco politica ai lavori del Congresso abolizionista.
6) PAULA COOPER SI E’ LAUREATA
All’improvviso a metà estate del 1986 la vicenda Paula Cooper – un esserino sparuto che alcuni di noi videro poi sbocciare nel braccio della morte di Indianapolis in un una bellissima donna di colore - fece nascere in Italia la richiesta popolare dell’abolizione della pena capitale, in modo prorompente e spettacolare, sorprendendo e spiazzando Amnesty e le altre organizzazione da tempo impegnate in questa direzione.
Paula era andata ad abitare con la famiglia a Gary nell’Indiana quando questa cittadina di 100 mila anime fu abbandonata e svenduta ai neri ed ai diseredati dopo la chiusura delle vicine acciaierie. Era una ragazzina inquieta che viveva la sua fanciullezza abusata, tra ribellioni e fughe, spietatamente castigata da un padre sadico e violento. I sogni troncati, la scuola spesso marinata, una vita sessuale precoce e devastante. Il notevole livello di intelligenza e di carisma personale l’avevano resa capo banda di un gruppo di quattro adolescenti che un giorno decisero di saltare la scuola per andare a rubare qualche soldo da spendere con i video giochi. La rapina delle maldestre ragazzine ai danni di un’anziana signora che viveva sola si trasformò in tragedia quando una delle ragazze ruppe in testa alla donna un vaso provocandole un’emorragia. Alla vista del sangue Paula e compagne persero la testa e decisero che Ruth Pelke dovesse essere soppressa. Lei morì perdonando attraverso le parole finali del “Padre nostro”, straziata da 33 coltellate. Le ragazzine rubarono in tutto meno di 10 dollari.
Il fatto provocò grande scalpore ed indignazione. Richieste esasperate di ‘giustizia’ come quelle suscitate qualche settimana fa in Italia da un analogo delitto compiuto ai danni di un’anziana, trovarono una ben diversa eco nei pubblici poteri dell’Indiana. Paula Cooper che aveva allora 15 anni si costituì con la sue amiche nel giro di due giorni. Un anno dopo fu condannata alla sedia elettrica da un vecchio giudice, nero come lei, che dichiarava di non credere nella pena capitale.
In Italia fu la condanna di Paula Cooper a creare stupore ed indignazione.
Gli scout dell’Agesci si impegnarono immediatamente in suo favore cercando di far intervenire il Papa. Si mobilitarono il Movimento per la Vita italiano e il Partito Radicale, scesero in campo parlamentari, autorità religiose e diversi premi Nobel. Si creò il Coordinamento “Non uccidere” - tra gli ordini e le confessioni religiose e quasi tutte le forze politiche e sociali italiane - per incanalare ed organizzare una gigantesca mobilitazione popolare per la salvezza di Paula. Raffaella Carrà lanciò ripetuti appelli dallo schermo di “Domenica in”, furono raccolte centinaia di migliaia di firme per chiedere la grazia per Paula. Per più di un anno tutti si rivolsero al Pontefice, che rimase silente. Paula alla fine decise di scrivere una lettera: “Caro Papa, sono pentita… voglio vivere…” Il 26 settembre del 1987 Giovanni Paolo II intervenne presso il Governatore dell’Indiana, inaugurando una stagione nuova del suo pontificato, caratterizzata dalla pressione umanitaria contro le esecuzioni capitali.
Gli sforzi degli italiani in favore di Paula Cooper continuarono fino alla celebrazione del processo di appello (fine febbraio 1989) quando fu consegnato alle Nazioni Unite il grosso delle firme per Paula (circa un milione) e alla notifica della sentenza (13 luglio) che commutava la sua condanna a morte in una lunghissima pena detentiva (60 anni riducibili ad un minimo di 30 per buona condotta). Ai pianti di gioia e di esaltazione delle ormai diciottenne Paula seguirono l’oblio degli amici italiani e il progressivo spegnersi dei riflettori sulla sua vicenda. Lei andò incontro a episodi di depressione e di ribellione che le procurarono provvedimenti disciplinari suscettibili di ritardare il suo pur lontanissimo rilascio. Anche gli studi che aveva intrapreso per corrispondenza in carcere conseguendo il titolo di scuola superiore subirono una battuta d’arresto. Il privilegiato ruolo dell’Italia nel movimento abolizionista internazionale si era nel frattempo affermato in modo poderoso e irreversibile.
Sono passati altri dodici anni e i giornali dell’Indiana hanno di nuovo parlato di Paula: ella è riuscita a mettere a frutto la sua notevole intelligenza conseguendo la laurea! La palestra del carcere femminile di Indianapolis l’11 maggio scorso era addobbata come un’aula magna universitaria: fiori e musica, invitati, un gruppo di laureande in toga e tocco, i complimenti vivissimi del Rettore a Paula e poi foto e rinfresco!
Una cartolina di congratulazioni per Paula può essere indirizzata a:
Ms. Paula Cooper
Indiana Women Prison IDOC
401 Randolph St.
Indianapolis, IN 46201 (USA).
7) MA CHI E’ IN FONDO IL RESPONSABILE?
I bravi cittadini, anche in America, in genere non amano sentirsi diretti responsabili dell’uccisione di un criminale, pure se sono favorevoli alla sua condanna a morte.
Questo spiega il complicato “recital della morte” che, partendo dalla cattura di un sospetto, si conclude con la sua esecuzione. Nessuno degli “attori” di questo dramma si considera direttamente responsabile di quanto sta avvenendo: non i poliziotti, che pure interrogano il sospettato spesso con metodi brutali per estorcergli una confessione; non certo i giornalisti, anche se pubblicizzano la cattura del sospetto sui media, rendendolo oggetto di odio molto prima di una conferma ufficiale della sua colpa; non il pubblico ministero, che pure raccoglie spesso ambigue prove (e ne occulta altre) in modo da “forzare la mano” dei giurati; non i giurati stessi, che sentono su di sé il peso del dovere di bravi cittadini perché giustizia sia fatta (e che vengono accuratamente scelti dopo una pre-selezione, in cui sono scartati a priori quelli che si dichiarano contrari alla pena di morte); non il giudice, che comunque segue le istruzioni della giuria (anche se molti giudici calcano la mano sul verdetto), e neppure i giudici degli appelli successivi, che molto spesso esaminano superficialmente la documentazione presentata dagli avvocati difensori, magari mentre fanno colazione prima dell’udienza; non i familiari della vittima, che scambiano la vendetta per giustizia; non i carcerieri che spesso e volentieri maltrattano il prigioniero durante l’intero arco della detenzione e che, nel periodo che precede l’esecuzione, lo tormentano con continui controlli per impedirgli di morire diversamente che per mano del boia. Non si sentono responsabili neppure i diretti protagonisti che agiscono nella camera della morte; innanzitutto sono numerosi e ognuno svolge solo un piccolo ruolo: uno lega una gamba, l’altro un braccio, un altro infila l’ago in vena, un altro legge il verdetto e ordina l’inizio dell’esecuzione, altri agiscono sui comandi dei pistoni delle tre diverse siringhe di veleno (in Missouri un computer sceglie casualmente un comando tra due che sono stati inviati contemporaneamente da due addetti). E poi, loro non sono certo quelli che hanno deciso di uccidere quell’uomo! Loro sono, appunto, gli “executioners”, gli esecutori, degli ordini di altri. Di altri? Ma di chi?
Perché nessuno è fiero di ciò che fa? Perché una popolazione che dichiara giusta la pena di morte, che la difende e sostiene a spada tratta, non si sente a suo agio di fronte a un coinvolgimento diretto?
Non saranno forse tutti consapevoli, anche se tentano di nasconderlo a se stessi, del fatto che, comunque, stanno commettendo un omicidio?
Su questa considerazione si può insistere per affrettare l’abolizione della pena di morte: quando la consapevolezza del ruolo di omicida di ognuno dei numerosi componenti del “team-pena-di-morte” diverrà ben chiara nel cuore e nelle menti delle persone, forse davvero cesseranno le esecuzioni.
8) L’UCCISIONE DI DAVID GOFF: UNA QUESTIONE POLITICA ?
Quando la città di Reggio Emilia ha minacciato di interrompere il gemellaggio con Fort Worth, la cittadina americana di David Lee Goff, il giovane nero ucciso dallo Stato del Texas il 25 aprile scorso, i giornali americani hanno reagito con “stupore”.
Si sono stupiti del fatto che si minacciasse di troncare una relazione di tipo umano, culturale e morale per “ragioni politiche”. Testualmente, i portavoce del Comune di Fort Worth hanno dichiarato: “Ci preoccupa che il rapporto tra i cittadini possa essere danneggiato da qualcosa che è un problema governativo. Mentre apprezziamo che essi si preoccupino (della pena di morte e in particolare dell’esecuzione di David), il programma di gemellaggio riguarda i buoni rapporti e la comprensione, e non un dibattito di natura politica”.
Un dibattito di natura politica! Uccidere le persone sarebbe quindi, secondo questi signori, una questione politica. Una differenza di vedute su questo tema avrebbe le sue radici nella politica, non nella tematica dei diritti umani. I gemellaggi tra città sono relazioni di natura umana? Bene, ma allora, cosa c’è in effetti di più “umano” dell’opporsi all’uccisione di un individuo (tra l’altro forse innocente), le cui sofferenze sono state protratte per anni e anni nelle barbariche condizioni di vita dei bracci della morte?
E’ piuttosto aberrante questo modo di vedere le cose: la pena di morte in sé e l’evento di un’esecuzione costituiscono un problema politico, da mantenere quindi ben distinto dai sentimenti di comprensione umani e culturali che devono essere alla base dei gemellaggi fra le città.
9) A COSTO DI RISULTARE NOIOSO !
“A costo di risultare noioso! Ovvero, per una maggiore consapevolezza, i fatti della storia e la loro palese interpretazione”: così titola il seguente intervento l’amico Christian. La grande preoccupazione di Christian di individuare la matrice storica e culturale dei problemi che trattiamo lo spinge a ribadire i limiti che hanno, a suo avviso, i contributi basati esclusivamente su un sentimento umanitario.
Mi riferisco, pensando di fare cosa opportuna, a due interventi, caratterizzati da una certa simpatica spontaneità, comparsi sul bollettino di aprile e che investono la stessa peculiarità del nostro impegno civile e la misura delle energie che, in modo costante nel tempo, decideremo di dedicare a questa causa (Si tratta degli articoli:“Amico? Nemico? Certo da compatire!” e “Signor Presidente, faccia brillare una stella!” n. d. r.)
Mi sia, dunque, consentito (sia pure in qualità di assai modesto "militante" di base dei Diritti Civili ed Umani) richiamare l'attenzione sul metodo e sulle vicende storiche del movimento abolizionista della pena di morte nel mondo intero.
Infatti una certa facilità nello scrivere, la nobiltà dei buoni sentimenti, non devono assolutamente far dimenticare il lungo cammino fin qui percorso, e quanto fino ad ora è stato conseguito a prezzo di lotte durissime, condotte quasi esclusivamente (se non esclusivamente) dai movimenti politici e dalle organizzazioni di mutuo soccorso e sindacali dei lavoratori dell'Europa.
In Italia chi aderì al Risorgimento nazionale lo fece rischiando non solo la galera, ma bensì pure il capestro. Anche per questo un uomo d’armi e di parte, come Giuseppe Garibaldi, avvezzo alle durissime e spietate leggi di guerra, insieme al progetto dell'abolizione della schiavitù nel mondo, fece proprio il fermo intento dell’abolizione della pena capitale e sottoscrisse nel 1862 (all'indomani della impresa dei Mille), una petizione al Regno d’Italia in tal senso. Non a caso lo Stato liberale unitario abolì la pena di morte nel nuovo codice penale del 1890, redatto in gran parte da Giuseppe Zanardelli, che, a suo tempo, fu un protagonista, armi in pugno, delle dieci giornate di Brescia. Il codice penale Zanardelli rimase in vigore fino all'avvento dello Stato autoritario fascista, che ripristinò la pena di morte, e infine, dopo la conclusione della seconda guerra mondiale, fu ripreso come parte sostanziale e fondante della nuova Costituzione repubblicana del 1948. Infatti l'Art. 27 della Costituzione così recita : "La responsabilità penale è personale. L'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Non è ammessa la pena di morte…”.
Il Codice Zanardelli può essere considerato una delle poche concessioni che il nuovo regno d’Italia fece alla componente repubblicana e liberal democratica che tanto si era distinta, con il proprio disinteressato sacrificio, nella conquista della nuova realtà nazionale. Si trattava di una tradizione di pensiero che iniziò, si può dire, con il realismo critico e lo storicismo, che avevano accolto (anche attraverso la polemica) le esigenze dell'empirismo di Bacone e del razionalismo di Cartesio, e che si era rinvigorita tramite l'incontro con il movimento illuminista europeo, determinando così un nuovo e fervido clima culturale destinato a mutare il corso della storta. Filosofi, scienziati, uomini di lettere, giuristi diventarono i nuovi protagonisti delle vicende europee, giacché sostennero riforme amministrative ed economiche, antifeudali e anticuriali.
In Lombardia (intorno ad un coraggioso e vivacemente polemico giornale, "Il Caffè") troviamo filosofi quali Pietro Verri, Cesare Beccaria, Gian Rinaldo Carli e, quindi, Vincenzo Cuoco (“Saggio storico sulla rivoluzione napoletana del 1799"),
Ancora abbiamo giuristi quali Gian Domenico Romagnosi ed economisti quali Melchiorre Gioia. A Napoli (altro importante centro per la diffusione delle nuove idee) insegnano e scrivono studiosi del Diritto quali Antonio Genovesi, Gaetano Filangieri, Francesco Maria Pagano e Vincenzo Russo. In virtù del loro slancio utopistico, della loro fede nella ragione e ancora del loro ingenuo, ma sincero, cosmopolitismo, gli illuministi meridionali giunsero all'esperienza della Repubblica Napoletana, e molti (condividendo la sorte dell'ammiraglio Francesco Caracciolo, dopo il mancato rispetto dei patti di capitolazione) all'eroico sacrificio del 1799, preludio tragico, ma anche splendido, di quanto era destino che avvenisse nel Risorgimento, un’epoca di grandi ed esclusivi ideali in prometeica contrapposizione ad una autorità sovente del tutto spietata nel suo intento repressivo.
Quindi Giuseppe Mazzini, Vincenzo Gioberti, Antonio S. Rosmini, Niccolò Tommaseo, Giuseppe Ferrari, Carlo Cattaneo e Ippolito Nievo furono fra coloro che, con il pensiero e l'azione, contribuirono in gran parte a fare la storia della nuova nazione.
In particolare il giurista Cesare Beccaria, nel suo celebre "Dei delitti e delle pene" (1764), ampiamente trattò dell'uso strumentale della pena di morte e del tema controverso della sua definitiva abolizione dalla legislazione penale. In seguito Carlo Cattaneo, sulla scia dell'insegnamento del Romagnosi, riprese tale spinoso tema nella sua "Storia Universale e Ideologia delle Genti. Scritti 1852-1864", dove esamina l'opera e le teorie dello stesso Beccaria, nonché la riforma penale del 1786 dello Stato della Toscana dove venne abolita la pena capitale, sostituita con la pena dei lavori pubblici a vita, che dovevano rappresentare "un esempio continuato nel tempo e non un momentaneo terrore che spesso degenera in compassione". L'influsso del pensiero del Beccaria nella legislazione toscana è evidente.
Vicende quasi del tutto similari, determinate dall'irrompere delle classi lavoratrici e di nuovi ceti sociali nel contesto politico della vita delle nazioni, finirono per caratterizzare la legislazione penale dei principali paesi europei e determinarono l'abolizione della pena capitale. Infine il Presidente Mitterand, cancellò nel 1981, all'indomani della sua elezione, la cupa ghigliottina dalla storia di Francia.
Per quanto riguarda, invece, la dura realtà, e non l'immaginario, degli Stati Uniti d'America, di cui purtroppo ci occupiamo ("purtroppo" visto e considerato il deserto di disumana disperazione, se è lecito esprimersi così, presente in questo "sistema" carcerario dove l'autorità assume una dimensione atemporale e pagana), può risultare davvero assai utile consultare l'opuscolo del Comitato, che velocemente fornisce esaurienti dati sulla attuale situazione della Giustizia penale USA. Non è presente, tuttavia, un quadro storico di questo sistema repressivo nel suo complesso, anche se si fa menzione della perversa tradizione dei linciaggi, in voga in diversi stati del sud fino al 1930 circa. Alcuna menzione del tristemente famoso caso di Sacco e Vanzetti, che una volta di più mise in luce i pregiudizi ideologici e razziali delle Corti di Giustizia americane. Alcuna notizia su un caso giudiziario che appassionò e divise l'opinione pubblica dei primi anni cinquanta, ovvero quel tristissimo e crudele processo che riguardò i coniugi Rosenberg, dove lo Stato di Diritto abdicò di fronte ad un assurdo clima di intolleranza e di psicosi anticomunista, determinato dai primi esperimenti nucleari sovietici e dalla guerra di Corea. Un caso invece che non rivestì un carattere strettamente politico, ma che pose il problema del fine della Giustizia penale, fu quello famoso di Caryl Chessman.
Opportuno, inoltre, sarebbe stato entrare nel merito del caso di Furman contro lo Stato della Georgia del 1972, e delle dure lotte dei movimenti pacifisti ed abolizionisti americani, che portarono alla sentenza (cinque giudici contro quattro) di incostituzionalità della pena capitale (perché lesiva dell'ottavo e del quattordicesimo emendamento della Costituzione americana), e quindi ad una moratoria di ben dieci anni, una moratoria che sembrava avviarsi a diventare irreversibile.
L'opuscolo del Comitato è comunque assai ben scritto ed ha il grande merito di fornire, anche ai più distratti, esatte notizie sulla attuale situazione carceraria degli USA, e di mettere nel dovuto rilievo che mai, negli USA come nel mondo intero, una amministrazione cosiddetta conservatrice intraprese da sola una battaglia contro una ingiustizia sociale di tale importanza, ma, al contrario, risultò invece determinante (avvento dell'amministrazione Reagan e Bush) per l’iniquo rafforzamento, dopo una lunga moratoria, di un tale gravissimo ed incivile arbitrio. Inoltre lo Stato del Texas ostinatamente continua ad opporsi a prendere in considerazione pene alternative, quali l'ergastolo.
Indubbiamente di questa ostica e sgradevole realtà della nostra storia contemporanea (che forzatamente ci viene imposta, se non altro attraverso i media) è bene conservare, con ogni cura, una certa consapevolezza, a dire il meno. Anche se ciò non è facile e la tentazione di rimuovere il tutto o una parte del tutto è assai forte. Ma per amore di Giustizia, probabilmente, così non sarà, e si tornerà ad occuparsi dei meno fortunati e dei problemi, a volte quasi insolubili, inerenti all’amministrazione della Giustizia.
Nonostante una diffusa violenza e il "disordine” delle passioni umane, sempre si cercherà di perseguire una Giustizia equa ed efficiente e pure severa, poiché non sembra davvero possa esistere un disinteressato amore per il prossimo, oppure un risolutivo intervento nel sociale, senza un intransigente (e perciò rafforzato e disciplinato dalla ragione, e pure in qualche modo dall’esperienza) sentimento di amore per la Giustizia.
Tale sentimento di Giustizia, ovviamente, non può e non deve confondersi con un oscuro sentimento di vendetta, né rappresentare l'estensione di una autorità fine a se stessa, quindi sovente feroce, quanto ottusa e meschina. Ma bensì tale sentimento di Giustizia deve presumere in sé il rigoroso progetto di una società sempre più libera da vincoli di necessità e sempre più civile, nei limiti di quanto è possibile realizzare.
Dunque chi si interroga su una presunta antitesi tra intransigenza della ragione e primato del sentimento pone, relativamente a questa tematica, un falso problema, che potrebbe, oltre a tutto, portarci su un pericoloso percorso, anche caratterizzato da una desolata disperazione. (Christian)
10) QUARTO INCONTRO DEL GRUPPO DI TORINO Il 27/05/2001 si è tenuto il quarto incontro del Gruppo di Torino del Comitato Paul Rougeau. Erano presenti: Irene D’Amico, Anna Maria e Giovanni Esposito, Grazia Guaschino, Secondo Mosso, Antonietta Passarelli. Grazia ha brevemente illustrato i risultati del Consiglio direttivo e dell’Assemblea dei Soci tenutisi a Firenze il 21 e il 22 aprile scorsi. In particolare, ha descritto il lavoro finora svolto per la realizzazione del libro su Gary, la suddivisone del libro nelle tre fasce di argomenti (vita e personalità di Gary, il caso giudiziario, considerazioni su pena di morte e razzismo negli U.S.A.). Irene ha detto di non essere riuscita a rintracciare l’autore al quale si pensava di affidare la stesura finale del libro, ma ha pensato di rivolgersi ad un altro suo amico americano abolizionista molto impegnato in varie organizzazioni (lavora per il FOR - Fellowship of Reconciliation - associazione internazionale pacifista, inoltre collabora saltuariamente con alcuni giornali locali). Gli domanderà anche di fornirci una panoramica delle associazioni abolizioniste che operano negli U.S.A., da pubblicare in appendice del libro, come suggerito da Christian de Dampierre Raimondi a Firenze. Si è inoltre parlato dei tentativi di contattare James Ellroy, l’autore del racconto sulla vicenda di Gary pubblicato dalla rivista GQ l’anno scorso, e dei risultati dei contatti con l’avvocato di Gary. Irene e Secondo si sono dichiarati disponibili a collaborare alla fine della prossima settimana al lavoro di prima revisione e assemblaggio dei materiali già raccolti per il libro. Antonietta ha illustrato il suo impegnativo lavoro svolto con i detenuti del carcere delle Vallette di Torino, che ha avuto come risultato una mostra sui diritti umani, la cui inaugurazione è prevista il 1° giugno p.v. alle ore 10:30 nella sede dell’Istituto Plana, in Piazza Robilant, 5. All’inaugurazione, presieduta dal Direttore del carcere, dott. Buffa, prenderanno parte alcune personalità ed esponenti di associazioni per i diritti umani. Giuseppe Lodoli farà un breve intervento a nome del nostro Comitato. Tutti i soci di Torino sono stati invitati alla manifestazione. La mostra sarà poi aperta al pubblico dal 4 al 9 giugno, con orario 9-12 / 15-18. Sono state successivamente esaminate e molto apprezzate le nuove magliette promozionali del Comitato, frutto del lavoro di Secondo Mosso. Secondo ha detto che nel prossimo futuro cercherà di occuparsi anche della produzione di adesivi, mediante utilizzo di una plastica adesiva abbastanza economica e di manodopera pressoché gratuita. Si incarica inoltre di mandare via e-mail a Francesco, il nostro Webmaster, i soggetti delle magliette nella versione informatica più conveniente perché possano essere pubblicati nel sito del Comitato. Sono stati poi valutati i risultati dei lavori di cui ci si era fatti carico negli incontri precedenti: Nadia, dopo aver predisposto i modelli di lettera adatti, ha scritto via e-mail ad alcuni VIP (otto per il momento, ma conta di inviare ancora molti messaggi) invitandoli a pronunciarsi pubblicamente contro la pena di morte e eventualmente ad aderire al nostro Comitato; Grazia ha riferito di aver inviato in questi giorni una serie di lettere per posta ordinaria, con un nostro opuscolo allegato, a numerose personalità, di cui alcune già citate nell’opuscolo fra quelle che aderiscono idealmente alla nostra organizzazione. Anna Maria ha riproposto l’idea di intervenire con dibattiti e conferenze nelle scuole. Si è deciso di affrontare questa attività in futuro, previa accurata preparazione della cosa. Anna Maria ha inoltre confermato la sua disponibilità ad effettuare le traduzioni per il sito, come già sta facendo da alcuni mesi. Grazia ha proposto ai presenti l’iniziativa ‘operazione raddoppio’: ogni socio dovrebbe cercare di procurare un nuovo iscritto al Comitato. Terminati i temi fondamentali dell’incontro, sono stati trattati diversi altri argomenti: Anna Maria ci ha parlato del proseguimento del suo rapporto epistolare con un detenuto in Texas, dicendo che era un po’ stupita dei suoi lunghi silenzi. Le è stato spiegato che le procedure del carcere determinano spesso ritardi nella corrispondenza. Inoltre si è parlato della diffidenza con cui i detenuti parlano di se stessi e in particolare del loro caso giudiziario: molti di loro, abituati in carcere ad essere odiati e considerati come animali, temono di perdere la fiducia dei loro corrispondenti, raccontando aspetti negativi della propria vita e del loro carattere, e solo dopo molto tempo si lasciano andare a confidenze.
11) NOTIZIARIO
Florida - I guasti del sistema carcerario continuano a suscitare gravi preoccupazioni per la salvaguardia dei diritti e della stessa incolumità dei detenuti. Oltre 100 guardie sono oggetto di denunce. Nell’ultimo anno sono sensibilmente aumentati gli scontri violenti dei detenuti con le guardie e tra di essi. Persistono problemi di reclutamento del personale. Molti degli agenti in servizio avevano carichi penali già prima dell’assunzione. E’ salito ad otto il numero delle guardie indagate dall’FBI per il pestaggio mortale del condannato a morte Frank Valdes avvenuto il 17 luglio del 1999. Il pestaggio sarebbe stato organizzato a freddo come risposta ad una minaccia profferita dal detenuto il giorno prima. Fu stilato un falso rapporto che attribuiva la morte di Valdes ad autolesionismo. Forti critiche vengono rivolte al famigerato Michael Moore chiamato dal Governatore Jeb Bush a dirigere le carceri della Florida sul modello texano. Egli si difende chiudendosi a riccio, negando l’accesso ai media, imponendo al personale il silenzio su quello che accade nelle carceri. Rilascia false rassicurazioni per coprire le magagne del sistema.
Florida - Una candidatura di Janet Reno? Superata la metà del mandato del Governatore Jeb Bush, si comincia a pensare alle elezioni del 2002. Tra i candidati alla carica governatoriale sembra esserci Janet Reno che è stata Ministro della Giustizia durante l’amministrazione Clinton. Si sa che Janet Reno è personalmente contraria alla pena di morte ma che è disposta ad amministrarla ove sia prevista dalle leggi. Tra i suoi ‘scheletri nell’armadio’ potrebbe esserci l’ordine di attacco con mezzi pesanti della sede della setta Branch Davidian a Waco nel Texas. L’assalto lanciato il 19 aprile del 1993 causò un immenso rogo in cui trovarono la morte 80 persone tra cui donne e bambini. Lei si difende opponendo lo stato di necessità conseguito dalla morte di 4 agenti federali e dal ferimento di altri 16 in un precedente scontro con le armi leggere.
Oklahoma - Nel mattatoio di Frank Keating scossa la fede nel sistema criminale. Più della metà dei cittadini dell’Oklahoma hanno perso fiducia nella correttezza del sistema criminale per i fatti connessi con la liberazione di Jeff Pierce avvenuta il 7 maggio dopo che egli aveva passato 15 anni in carcere. Pierce, condannato per di violenza carnale, è stato prosciolto in seguito ad un test del DNA. Ora pressoché tutti ritengono che almeno in rari casi vengano giustiziati degli innocenti. Nonostante ciò per il momento rimane alto il favore per la pena di morte in Oklahoma. Pierce era stato erroneamente identificato dalla vittima e definitivamente incastrato da Joyce Gilchrist, un’esperta di laboratorio della polizia che aveva sbagliato una comparazione di peli. L’FBI ha rivisto i test della Gilchrist nel caso Pierce e in altri quattro casi e ha concluso che ella aveva sempre sbagliato nella comparazione di peli o fibre. Le autorità stanno pensando di rivedere tutti i 1700 casi criminali in cui nel corso di 21 anni ha avuto un ruolo questa ‘esperta’ della polizia. L’Attorney General Drew Edmondson non ritiene che sia necessaria una verifica supplementare del lavoro della Gilchrist in tre casi capitali ancora pendenti.
Francia - La pena capitale getta un’ombra sull’immagine degli Stati Uniti nel mondo. Il senatore Robert Badinter il 17 settembre del 1981 fece uno storico discorso all’Assemblea Nazionale, quale Ministro della Giustizia sotto la presidenza Mitterand, annunciando l’abolizione della pena di morte in Francia: “…Domani, grazie a voi, il sistema giudiziario francese non sarà più un sistema che uccide. Domani, grazie ai vostri sforzi, si metterà fine alla vergogna collettiva delle esecuzioni segrete all’alba, sotto un baldacchino nero, nelle prigioni francesi. Domani nel nostro sistema giudiziario si chiude una pagina sanguinosa della storia …” Il 15 maggio scorso Badinter ha scritto sul Time Magazine un articolo in cui esprime una grande amicizia ma anche una forte critica nei riguardi degli americani. Nell’articolo che ha il titolo: “Non c’è da essere orgogliosi della morte – La pena capitale getta un’ombra sull’immagine degli Stati Uniti nel mondo”, egli afferma tra l’altro: “Appartengo ad una generazione di europei per la quale gli Stati Uniti impersonificano la democrazia, il progresso e la libertà. Dopo la guerra andai lì come studente e non ho mai dimenticato il calore e l’amicizia che il popolo americano mi ha dimostrato. Appartengo ad una specie in estinzione, quella degli americanofili. Per tale ragione scrivo questo articolo. Non credo che gli americani comprendano appieno come l’uso della pena di morte abbia profondamente degradato l’immagine del loro paese agli occhi delle altre nazioni democratiche. Oggi tutte le democrazie occidentali hanno abolito la pena di morte. Praticamente tutta l’Europa l’ha bandita…” L’ambasciatore americano in Francia uscente, Felix Rohatyn, ha scritto sul Washington Post in febbraio: “La leadership morale [dell’America] è sotto attacco (…) per due motivi: la pena di morte e la violenza nella nostra società. Durante i miei quattro anni in Francia, nessuna questione evocava passioni più accese e maggiori proteste delle esecuzioni negli Stati Uniti… Sarebbe necessario avere un colloquio su questi difficili temi con i nostri alleati atlantici – non tra diplomatici ma tra giuristi, parlamentari e dirigenti di polizia.” Il 13 maggio lo stesso New York Times ammette in un editoriale: “… essi [gli europei] riescono a scorgere una verità nei riguardi della quale gli americani sembrano ciechi. La nostra fede nella pena di morte ci separa dalle altre democrazie progressiste.”
Cile - Il 29 maggio è stata abolita la pena di morte per i reati compiuti in tempo di pace. La massima sanzione era in vigore dal 1890 e in tutto si sono avute 57 esecuzioni.
Ucraina - Il 1° giugno entra in vigore il nuovo codice penale che abolisce la pena di morte. La Corte Costituzionale aveva già dichiarato illegale la pena capitale nel 1999. Le ultime esecuzioni in questo paese vi sono state nel 1997. In seguito il Consiglio d’Europa ha imposto all’Ucraina una moratoria in vista dell’abolizione.
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Questo numero è stato chiuso il 29 maggio 2001.