top of page

FOGLIO  DI COLLEGAMENTO  INTERNO

DEL COMITATO PAUL ROUGEAU

 

Numero  150  -  Maggio / Giugno 2007

SOMMARIO:

1) Aggiornamento sulla situazione di Kenneth Foster      

2) Successo sulla via della moratoria di un movimento ritrovato           

3) Riuscitissima iniziativa di Sant'Egidio in un giorno memorabile         

4) Non una parola sulla pena di morte nell'incontro con Bush                

5) Torturato e ucciso Philip Workman: emergenza in Tennessee           

6) Il dramma di Patrick Knight "uomo morto che ride"                           

7) Per avere la grazia essere moribondi non basta                                 

8) "Alì il chimico" condannato all'impiccagione                                       

9) Dal verbale dell'Assemblea di Firenze del 20 maggio                        

10) La Corte Suprema sentenzia sul caso di un malato mentale             

11) Efficienza americana                                                                           

12) La mia visita ad Arthur Williams                                             

13) Viaggio  nel braccio della morte del Texas                             

14) Un pasticcere speciale                                                 

15) Per l'Italia statistiche incoraggianti                

16) Richiesta di corrispondenza                                        

 

 

1) AGGIORNAMENTO SULLA SITUAZIONE DI KENNETH FOSTER

 

Sulla situazione del nostro amico Kenneth Foster, che ha la data di esecuzione fissata per il 30 agosto in Texas, giungono notizie da diverse fonti. Kenneth, che cerca di mantenere il controllo di un impetuoso attivismo che gli cresce attorno, si sta impegnando - insieme ai propri legali, alla neo-sposa Tasha e agli amici che ha in varie parti del mondo - per fare 'tutto il possibile e qualcosa di più' per salvarsi la vita. Non solo vede questa battaglia come un dovere verso se stesso, ma la considera parte della lotta contro la pena di morte in Texas e negli USA.

La mobilitazione in favore di Kenneth si sta sviluppando su due versanti: lo sfruttamento delle ultime opzioni legali per cercare di ribaltare il suo caso e la mobilitazione dei media e dell'opinione pubblica in suo favore, utile a preparare il clima favorevole per un eventuale provvedimento di grazia.

Ci viene fatto sapere che sul fronte legale si spera di ottenere almeno un rinvio dell'esecuzione tuttora fissata per il 30 agosto. Sul fronte mediatico registriamo già la pubblicazione di diversi articoli in favore di Kenneth, per lo più sui giornali del Texas, ma non solo.

Per quanto ci riguarda, ci pare giusto e doveroso aggiornarvi sul nostro contributo alla drammatica battaglia combattuta da Kenneth. Come avevamo accennato nel numero precedente, abbiamo lanciato, su sua esplicita richiesta, una campagna di raccolta fondi per la sua difesa legale. Abbiamo subito inviato con le prime offerte pervenute, integrate dalle nostre riserve di cassa, la somma di 1.500 dollari ad una avvocatessa indicataci dallo stesso Kenneth. Attendiamo un riscontro sia sull'utilizzo di tale aiuto sia sulla sua adeguatezza, prima di fare eventuali nuovi accrediti ai difensori di Kenneth.

La raccolta di offerte per Kenneth, è stata assai facilitata dalla vendita dei 120 graziosi libri con le sue poesie, prodotti e messi generosamente a disposizione - con grande tempismo - dal socio Secondo Mosso. I libri, dai quali contavamo di ricavare un minimo di 360 euro, ne hanno fruttati circa 900.

A questo proposito, vogliamo ringraziare intensamente da parte di Kenneth i donatori, alcuni dei quali hanno partecipato alla colletta facendo un sacrificio.

In data 22 giugno abbiamo inviato ad Adam Axel (amico di Kenneth, residente nel New Jersey e direttamente in contatto con i legali) una petizione indirizzata al Governatore del Texas e alla Commissione per le grazie, con cui si chiede a nome del Comitato Paul Rougeau di concedere clemenza a Kenneth, che conosciamo da tempo come persona pienamente ravvedutasi e maturata in carcere, in grado di dare un apporto positivo alla società. La petizione è stata firmata dai membri del Consiglio direttivo del Comitato. Adam Axel consegnerà all'avvocato di Kenneth la petizione che verrà da questi inoltrata al Governatore e alla Commissione per le grazie a sostegno della richiesta ufficiale di clemenza.

Una terza copia della petizione, sempre firmata in originale, potrà essere inviata da Adam, su autorizzazione di Kenneth, ad un importante giornale texano.

Vi informiamo altresì che il Corriere della Sera ha pubblicato in data 28 giugno un lungo e articolo dedicato al caso di Kenneth redatto da Alessandra Farkas, una giornalista ben informata dei fatti americani. L'articolo, che cita anche il Comitato Paul Rougeau, corredato da numerose foto a colori, riempie una intera pagina del giornale e sostiene l'innocenza di Kenneth Foster. (*)

Anche la rete televisiva Italia Uno in un reportage dello stesso giorno ha parlato del caso di Kenneth.

Siamo pronti a mobilitarci ulteriormente per il nostro caro amico Kenneth, in stretto contatto con i nostri soci che verranno subito informati sulle novità rilevanti.

_____________

(*) Si può trovare il puro testo dell'articolo, on-line, all'indirizzo (da scrivere nel browser su una sola riga):

http://archivio.corriere.it/archiveDocumentServlet.jsp?url=/documenti_globnet/corsera/2007/06/co_9_070628124.xml

 

 

2) SUCCESSO SULLA VIA DELLA MORATORIA DI UN MOVIMENTO RITROVATO

 

L'impegno assunto con convinzione unanime dai Ministri degli Esteri dell'Unione Europea a Lussemburgo il 18 giugno di presentare nella sessione autunnale dell'Assemblea Generale dell'ONU una risoluzione che chieda la moratoria delle esecuzioni capitali, è da considerare senz'altro un importante successo intermedio ottenuto del movimento abolizionista, a cui ora occorre dar seguito.

 

Siamo praticamente sicuri che l'iniziativa per la moratoria in Assemblea Generale ONU partirà fra qualche mese, dopo essere stata abbandonata per otto anni! Si sono impegnati in tal senso, in modo esplicito e formale, i 27 Ministri degli Esteri dell'Unione Europea riuniti in Lussemburgo il 18 giugno. Questa decisione è stata resa possibile da una mediazione del nostro ministro Massimo D'Alema che ha consentito di raggiungere un ragionevole ed opportuno compromesso, vincendo perplessità e tentativi di un rinvio sine die, ma senza pretendere di uscire immediatamente in Assemblea Generale nella sessione speciale in corso, bensì, dopo pochi mesi, nella prossima sessione autunnale ordinaria.

Da ora in poi, tuttavia, dobbiamo impegnarci adeguatamente perché l'obiettivo possibile venga acquisito (siamo arrivati in una zona di non ritorno: giunti a questo punto, fallire sarebbe molto peggio che non averci provato per niente). Occorrerà inoltre vigilare perché nella risoluzione per la moratoria (che chiederà un periodo di riflessione sulla pena di morte nella prospettiva della sua abolizione) non vengano inseriti emendamenti che subordinino il rispetto dei diritti umani in campo penale alle sovranità nazionali (cosa che tentò di fare Singapore nel 1999).

Non sarà facile ottenere l'approvazione di una buona risoluzione per la moratoria dalla maggioranza dei 192 votanti e, possibilmente, dalla maggioranza dei due terzi. Sulla carta si può attualmente già contare su un centinaio di paesi che dovrebbero votare a favore ma un intenso lavoro diplomatico è necessario per allargare notevolmente questa base, a scanso di incertezze e ripensamenti dell'ultimo momento. Anche perchè non è del tutto esclusa qualche contromossa sleale di chi alla pena di morte tiene particolarmente.

E' abbastanza scontato, poi, che una volta approvata, la risoluzione per la moratoria non verrà immediatamente rispettata da tutti. Dobbiamo mettere nel conto che possa essere più o meno estesamente violata da alcuni paesi che continueranno a fare esecuzioni. E' impensabile infatti che una decisione di tal genere presa in Assemblea Generale venga implementata con la coercizione, per esempio con la minaccia di sanzioni. Ma, dato il carattere essenzialmente ideale della questione, potrebbe avere un peso inaspettato e rilevante la disapprovazione morale data dalla comunità internazionale a coloro che non vorranno adeguarsi.

Per ora godiamoci questo momento di forza e di ritrovata unità del movimento abolizionista.

Il successo conseguito dal Governo italiano mette finalmente d'accordo i vari soggetti abolizionisti, ottenendo in primis il rientro in un alveo di ragionevolezza di Marco Pannella e dei radicali di Nessuno Tocchi Caino - cui va riconosciuta un'estrema determinazione - i quali cessano gli esasperati scioperi della fame e della sete e il presenzialismo in TV per ottenere 'tutto e subito'.

L'obiettivo attualmente raggiunto rientra in una strategia abolizionista globale di ampio respiro che si articola in molti modi, in sedi regionali, nazionali e sovranazionali, una strategia assai ben delineata da Amnesty International ed esposta recentemente da Irene Khan (v. n. 149). Sarebbe gravemente sbagliato dare un'eccessiva importanza alla moratoria o, peggio, sentirsi appagati.

"Sono estremamente soddisfatto per la decisione del consiglio europeo di presentare alla prossima sessione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite la proposta di moratoria delle esecuzioni capitali. E' un grande successo dell'Italia, delle associazioni, di chi, come i Radicali, non ha mai cessato di battersi sulla questione, del Parlamento e del nostro Governo". Si legge in una nota del Presidente del Consiglio, Romano Prodi. "Ringrazio il Ministro degli Esteri Massimo D'Alema - ha dichiarato ancora Prodi - per aver insistito a Bruxelles sulla necessità di procedere il più presto possibile con un atto concreto per una battaglia di civiltà che vede l'Italia in prima fila".

Pure il Presidente Napolitano, ha plaudito al successo: "La campagna per l'abolizione della pena di morte è una battaglia fondamentale per il comune progresso civile e per la difesa dei diritti umani, in cui l'Italia è fortemente impegnata, sia al livello nazionale che nel quadro dell'Unione Europea"

Certo, è merito dei nostri politici, e in particolare di Prodi e D'Alema, se si è arrivati all'attuale risultato in ambito europeo, ma l'operazione è stata resa possibile dal clima emotivo favorevole istauratosi quest'anno, nel quale sono fiorite le iniziative di chi ha saputo fiutare il vento, a cominciare proprio da Marco Pannella.

E' sconcertante ammetterlo, ma è stata la barbara esecuzione di Saddam Hussein alla fine dello scorso anno, a consentire la ripresa dell'iniziativa sulla moratoria (v. n. 146, "L'esecuzione di Saddam Hussein rilancia l'iniziativa per la moratoria"). Chissà se il defunto dittatore iracheno ha mai pensato di poter influire in qualche modo sull'abolizione della pena di morte, che egli usava spregiudicatamente.

 

 

3) RIUSCITISSIMA INIZIATIVA DI SANT'EGIDIO IN UN GIORNO MEMORABILE

 

In un giorno particolarmente importante per il movimento abolizionista, si è svolta a Roma, nella sala della Protomoteca del Campidoglio, organizzato con grande impegno dalla Comunità di Sant'Egidio, il II Colloquio dei Ministri della Giustizia dei paesi africani centrato soprattutto sull'abolizione della pena capitale. Oltre a dare un forte supporto all'azione che svolge il movimento abolizionista in Africa, il Colloquio - attraverso importanti interventi collaterali - ha offerto un oggettivo appoggio ai vari processi in atto, a tutti i livelli, verso la moratoria delle esecuzioni e l'abolizione della pena di morte.

 

Il 18 giugno, mentre in Lussemburgo veniva approvata formalmente dall'Unione Europea l'iniziativa per la moratoria delle esecuzioni capitali, la Comunità di Sant'Egidio ha consentito di svolgere a Roma una importante conferenza dei Ministri della Giustizia dei paesi africani centrata in primo luogo sull'abolizione della pena di morte. Ad interessanti contributi e testimonianze commoventi degli amici africani di Sant'Egidio, si sono aggiunti interventi significativi da un punto di vista più generale di esponenti politici, ecclesiastici ed accademici. I lavori si sono conclusi con un incontro con il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che si è chiaramente espresso contro la pena di morte.

L'Africa è il Continente che sul tema della pena di morte sta cambiando più rapidamente degli altri. Pur provata da conflitti e povertà, si distingue per una tendenza positiva sia nella diminuzione costante delle esecuzioni (sono note solo 12 esecuzioni in 6 paesi nel 2006) che nell'aumento dei Paesi abolizionisti o che attuino una moratoria della pena capitale. L'ultima, recentissima buona notizia proviene dal Rwanda, il cui Parlamento ha votato l'8 giugno l'abolizione della pena di morte.

In Africa la pena capitale l'hanno abolita 14 Paesi. I paesi mantenitori sono ancora 15.

In più della metà dei Paesi africani nessuno viene più messo a morte. Liberia e Senegal sono entrati di recente nel novero dei Paesi abolizionisti, mentre nel resto del continente africano diversi sono i Paesi che stanno compiendo progressi significativi verso l'abolizione: così il Marocco, lo Zambia, il Malawi.

In questa direzione, nuove strategie e visioni comuni hanno preso il via a partire dal Convegno "Africa for life", che per iniziativa della Comunità di Sant'Egidio vide riuniti a Roma nel novembre 2005 dodici ministri della Giustizia del Continente assieme a giuristi e politici europei.

A due anni di distanza, il 18 giugno 2007 si è tenuto in Campidoglio il II Colloquio Internazionale dei Ministri della Giustizia africani, con una presenza ancor più numerosa.

Hanno preso parte ai lavori, inoltre, il Ministro della Giustizia italiano Clemente Mastella, il Vice-Presidente della Commissione Europea Franco Frattini, il cardinale Renato Raffaele Martino, presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, il vice presidente della Corte Costituzionale Giovanni Maria Flick, il giurista cattolico Luciano Eusebi, l'attivista umanitaria africana Marguerite Barankitse, e naturalmente Mario Marazziti e Marco Impagliazzo della Comunità di Sant'Egidio.

Tra i molti interessantissimi interventi, alcuni dei quali ci hanno profondamente commosso, vogliamo citare quello molto chiaro ed esplicito - oltre che attentamente controllato sul piano dottrinale - del cardinale Renato Martino, il quale ha detto tra l'altro: "Quando si affermano, a tutti i livelli, anche a quelli politico-istituzionali e giuridici, le ragioni della vita, si coltivano contemporaneamente le ragioni della speranza. Sono, quindi, particolarmente lieto, come cristiano e come vescovo, di condividere con voi queste ragioni di vita e di speranza, soprattutto perché sono riferite all'amatissimo continente africano che, attraverso la loro realizzazione, può guardare con fiducia al proprio futuro. [...] La Chiesa conosce gli effetti del mistero dell'iniquità ma sa anche che ci sono, nella persona umana, qualità ed energie per impegnarsi per il bene; c'è una fondamentale bontà che gli consente di modificare le strutture di morte in strutture di vita. [...] In questa prospettiva ricca di vita e di speranza, permettetemi di rivolgere un accorato appello ai Ministri della giustizia presenti in questo Colloquio affinché operino, con lungimiranza politica e con generoso impegno, in modo tale che gli ordinamenti giudiziari e i sistemi carcerari dei loro Paesi non siano un qualche cosa che sfigura l'inalienabile dignità della persona umana e i suoi diritti fondamentali. [...] In questa prospettiva di affermazione delle ragioni della vita e della speranza, deve collocarsi anche il processo di abolizione della pena di morte..."

Luciano Eusebi, professore di Diritto penale nell'Università cattolica, nella sua impegnativa relazione, quasi un saggio, ha definito la pena di morte un male, anzi 'il male'. Il male con cui si risponde al male. E' un'affermazione non da poco, e soprattutto un'affermazione sorprendente in ambito cattolico.

 

 

4) NON UNA PAROLA SULLA PENA DI MORTE NELL'INCONTRO CON BUSH

 

La Comunità di Sant'Egidio, che qui consideriamo non nel suo insieme ma nella sua dirigenza, ha sostanzialmente fallito un'occasione unica - per quanto riguarda gli aspetti della pace, dei diritti umani e della pena di morte - incontrandosi con il presidente americano George W. Bush all'Ambasciata americana il 9 giugno. Nell'incontro noi, in contrasto con i pessimisti cronici, avevamo invece sperato.

 

Per ragioni obiettive, ma forse anche per la malcelata invidia tra cattolici che spesso agiscono in modo concorrenziale tra loro, si era diffuso un certo scetticismo sulla possibile riuscita del prestigioso incontro. C'era chi sosteneva senza mezzi termini che a far accettare a Sant'Egidio di incontrarsi con Bush a Roma il 9 giugno era stato solo il miraggio di un'enorme pubblicità e che - in cambio della pubblicità - i suoi valori rischiavano di essere almeno in parte svenduti. Noi - che crediamo ad oltranza nel metodo del dialogo con chiunque - eravamo tra quelli meglio disposti nei confronti dell'iniziativa.

A cose fatte, agli amici e compagni di strada di Sant'Egidio - cui siamo e saremo sempre legati da una profonda solidarietà - non possiamo esprimere soddisfazione per lo svolgimento di un incontro importante e forse irripetibile - in cui contro la guerra c'è stata solo una frase generica ("la guerra è la madre di tutte le povertà") buttala lì in modo avulso dal reale contesto storico in cui stiamo vivendo e ricollegata solo ai lodevoli interventi pacificatori in situazioni circoscritte portate avanti dalla Comunità, senza neanche sfiorare il problema della 'guerra globale' e della sua esiziale filosofia.

E contro la pena di morte: neanche mezza parola. Peccato! Su questo erano forse proprio i cattolici americani a sperare di più. Infatti, approssimandosi l'incontro che il presidente Bush aveva chiesto alla Comunità di Sant'Egidio, i giornali americani, e in particolare quelli cattolici, avevano ripetutamente sottolineato che tra le attività umanitarie in cui è più fortemente impegnata l' "ONU di Trastevere" vi è la battaglia per arrivare all'abolizione della pena di morte.  

Certo, noi possiamo fare le nostre valutazioni solo da quanto emerge dai (numerosissimi) resoconti dei media perché non sappiamo che cosa si sia detto in via riservata prima e durante l'incontro. Tuttavia ciò che contava di più in questo frangente, era proprio ciò che appariva. Infatti di scambi segreti ce ne possono essere di quotidiani, indipendentemente dagli incontri e dal contatto fisico tra le persone.

Ad essere generosi, non volendo assegnare un '4' a Riccardi, Marazziti e compagni, non possiamo, con tutta la buona volontà, andare oltre un bel 5.  Basti dire che Bush, alla ricerca della ricostruzione quasi impossibile del suo lato 'compassionevole' è stato pienamente accontentato in termini di sorrisi, di 'amicizia' e di approvazioni da parte dell'organizzazione più nota tra quelle impegnate in favore delle popolazioni del continente sofferente e dimenticato, l'Africa. Da un'associazione giustamente orgogliosa di portare avanti il prestigioso progetto DREAM che combatte con criteri avanzati l'AIDS in una decina di paesi africani, ci saremmo aspettati ben di più del tentativo di partecipare alla ricostruzione dell'immagine del presidente americano. Basti dire che l'incontro è avvenuto esattamente dopo la chiusura di un G8 in cui gli avari programmi internazionali di aiuto ai paesi poveri sono stati soltanto confermati - per non dire tagliati - nonostante il sempre più chiaro manifestarsi degli enormi bisogni dei diseredati della Terra, mentre vengono approvati in tutti paesi ricchi finanziamenti iperbolici per mandare avanti le orrende guerre in corso e per preparare le apocalissi future.

Basti dire che nell'intervista televisiva ad Andrea Riccardi - da parte di una Lucia Annunziata insolitamente umana e del tutto accondiscendente con l'ospite di turno - il simpatico e quasi allegro capo di Sant'Egidio ha preso accuratamente le distanze dai movimenti 'antagonisti' e dal pacifismo (e, con ciò, da tutto quello che di 'profeticamente incarnato' c'è in essi, pur con tutte le contraddizioni e le frammentazioni che li affliggono). (Giuseppe)

5) TORTURATO E UCCISO PHILIP WORKMAN: EMERGENZA IN TENNESSEE

 

Dopo la fissazione di cinque date di esecuzione, al termine di un braccio di ferro con lo stato del Tennessee durato sette  anni, Philip Workman, stremato, è stato infine 'giustiziato' il 9 maggio scorso. La sua uccisione aumenta il rischio di una ripresa massiccia delle esecuzioni in uno stato che si sarebbe potuto avviare verso una moratoria di fatto. Philip ci ha salutato con un gesto molto bello e significativo: ha rinunciato al suo ultimo pasto offrendolo per un barbone di Nashville. Quasi per miracolo, questo pasto si è moltiplicato dando un po' di gioia a centinaia di diseredati.

 

Fino all'ultimo, di nuovo, abbiamo sperato in un rinvio, dati i molti interrogativi che rimangono sul grado della colpevolezza di Philp Workman e sulla stessa liceità costituzionale del metodo dell'iniezione letale utilizzato in Tennessee.

Il 9 maggio era la quinta data fissata per l'esecuzione.

Noi speravamo ma lui, l'interessato, non ce la faceva più a sperare e a soffrire. Le sue energie psichiche si erano esaurite da anni. Già dopo la sospensione intervenuta il 30 marzo 2001, a 43 minuti dal momento stabilito per l'iniezione letale, Philip era crollato e aveva detto che non ce l'avrebbe più fatta a sopportare un'esperienza simile. 

Conosciamo il caso di Philip Workman a partire dal 2000 e ci siamo impegnati a più riprese in suo favore (v. ad es. n. 109). I nostri sforzi come quelli di tanti altri negli USA e in diversi paesi europei, come quelli più intensi compiuti dai suoi amici e dai suoi valorosi avvocati, non sono riusciti ad evitargli la morte ma solo a prolungare la sua 'agonia' nel corso degli anni.

E' stata una "punizione crudele e inusuale", come ha detto lo stesso Workman. Ma crediamo che - nonostante tutto - sia valsa la pena di combattere questa battaglia. Si è trattato del tentativo di non far riprendere le esecuzioni in Tennessee ma soprattutto si è trattato di rendere una testimonianza. La testimonianza rimarrà nella storia di questo piccolo stato del Sud schiavista e razzista, ancora non sufficientemente evoluto, anche se per un certo periodo i forcaioli avranno il sopravvento, con il beneplacito dell'opaco e indeciso governatore Phil Bredesen. Con quella di Workman (che doveva essere il primo a morire) sono solo tre le esecuzioni compiute in Tennessee negli ultimi 50 anni: già altre 5 esecuzioni sono programmate in questo stato entro il 2007.

Ricorderemo Philip Workman come una persona fuori dal comune, profondamente cambiata nei 25 anni passati nel braccio della morte (*), che ha mantenuto fino all'ultimo una grande dignità nonostante il fatto che abbia subito ripetutamente una vera e propria tortura psicologica.

La cronaca convulsa dei primi giorni di maggio ci racconta che i difensori di Workman erano riusciti a far rinviare di almeno cinque giorni l'esecuzione in attesa che si chiarisse la compatibilità con la Costituzione americana del metodo dell'iniezione letale usato in Tennessee (potenzialmente dolorosissimo). Una corte ha annullato lo stay ed anche altri numerosi appelli, avanzati fino all'ultimo dagli avvocati, sono stati rifiutati. Il governatore ha respinto una nuova richiesta di grazia.

Philip, che ha dovuto ancora affrontare un calvario che aveva detto di non poter più sopportare, è morto coraggiosamente pur temendo di soffrire molto. Ha rinunciato al tradizionale ultimo pasto ma ha chiesto che una pizza vegetariana venisse data dall'Amministrazione carceraria ad un barbone. Cosa che l'Amministrazione ha rifiutato, con il pretesto che non era suo compito fare beneficenza.

Philip Workman è morto alle 2 di notte del 9 maggio. Centinaia di pizze vegetariane sono state distribuite la sera dello stesso giorno nei rifugi per senza tetto di Nashville: ciò che non ha voluto fare lo stato del Tennessee lo hanno fatto con larghezza gli amici di Philip.

___________

 

(*) Philip Workman, che aveva 53 anni di età, fu condannato alla pena capitale per l'uccisione dell'agente di polizia Ronald Oliver nel corso di una rapina avvenuta a Memphis nel 1981. Una serie di risultanze emerse solo dopo il processo, fanno però ritenere che fu un altro agente di polizia ad esplodere, per errore, il colpo fatale. Sia il processo originale di Workman che il successivo iter giudiziario hanno avuto delle fasi farsesche (v. ad es. nn. 94, 109, 111). Ricordiamo qui soltanto che nella prima udienza par la grazia governatoriale, l'analista medico della contea di Shelby, O.C. Smith, testimone contro Workman in qualità di esperto dello stato, sostenne che il proiettile che uccise il poliziotto Oliver era stato sparato proprio dall'arma di Workman. La richiesta di clemenza fu respinta. Poi gli investigatori federali scoprirono che Smith era uno psicopatico. Egli simulò una strana aggressione: fu trovato legato con filo spinato ed imbavagliato fuori dal suo ufficio il 1° giugno 2002. Disse agli agenti che qualcuno gli aveva gettato sul viso una sostanza caustica, e che gli aveva legato addosso una bomba. Smith aveva denunciato l'arrivo di lettere che lo accusavano di aver mentito all'udienza per Workman.

 

 

6) IL DRAMMA DI PATRICK KNIGHT "UOMO MORTO CHE RIDE"

 

E' uscito dall'anonimato poco prima di essere stritolato della macchina della morte del Texas, la più efficiente del mondo. Lo ha fatto Patrick Knight con un espediente di dubbio gusto. Ma dalle note di colore con cui la stampa lo ha fatto conoscere al mondo come "uomo morto che ride", emerge, con il suo indicibile carico di orrore e sofferenza, il dramma reale dell'uccisione di un essere umano. Lo abbiamo percepito, dopo averlo conosciuto e seguito negli ultimi tempi, mentre cercavamo di aiutarlo.

 

Patrick Knight, una persona psichicamente fragile, ha impiegato tutte le sue forze per sollevarsi dalle acque stagnanti del braccio della morte del Texas. Sappiamo che nell'autunno scorso si è messo in sciopero della fame con altri cinque o sei attivisti irriducibili del gruppo D. R. I. V. E. per protestare contro le condizioni di detenzione nel braccio della morte (v. ad es. nn. 135, 142, 143). Kenneth ci ha pregato allora di sostenerlo moralmente in questa sua iniziativa.

Patrick aveva un'amica e corrispondente in Italia, presentataci da Amnesty International. Abbiamo così cercato di dare un minimo di sostegno, oltre che allo stesso Patrick, all'amica Rosalba.     

Abbiamo anche avuto uno fitto scambio di messaggi con l'avvocato Paul Mansur, il quale, nonostante una gran buona volontà, non ha potuto salvare dalla morte il suo cliente che aveva comunque rinunciato all'idea di scamparla e... continuava a dichiararsi colpevole di aver partecipato all'omicidio di due brave persone, che abitavano vicino alla sua casa mobile 16 anni fa.

Abbiamo infine lanciato, a ridosso dell'esecuzione fissata per il 26 giugno, una petizione per chiedere clemenza per Patrick, a cui hanno aderito con slancio 260 tra soci e simpatizzanti del Comitato.  E' stata soprattutto un'iniziativa per accontentare la mite Rosalba che voleva si facesse 'il possibile' per Patrick. La petizione - come quella ben documentata sul piano legale presentata dall'avvocato Mansur - non ha smosso il governatore del Texas Rick Perry, che ha ormai battuto il record di 152 esecuzioni stabilito da George W. Bush, presiedendo, senza intervenire, a ben 158 uccisioni di stato.

Negli ultimi due mesi di vita, pur rinunciando a lottare per sopravvivere, Patrick ha trovato un espediente che gli ha permesso di comparire sulle prime pagine dei giornali: una raccolta di barzellette 'per attenuare la tensione del momento'.  Ha detto che gliene sono arrivate ben 1.300. Aveva promesso di scegliere la migliore per recitarla sul lettino dell'esecuzione. Non lo ha fatto. Non ne è stato capace o forse ha rinunciato saggiamente ad utilizzare gli ultimi istanti di vita in questo modo.

Strettamente legato al lettino dell'esecuzione, con la voce tremante e incrinata dal pianto, Patrick Knight ha ringraziato Dio per avergli dato i suoi amici, ha nominato alcuni compagni di sventura a suo dire innocenti, chiedendo di aiutarli. Ed ha concluso: "Ho dichiarato che avrei detto una barzelletta. La morte mi ha reso libero. Questa è la più grande barzelletta. Me lo merito. E l'altra barzelletta è che io non sono Patrick Bryan Knight e voi non potete fermare questa esecuzione. Andiamo avanti, ho finito."

Le parole pronunciate da Patrick in un'angoscia irripetibile, trascritte da un giornalista, serbano un ché di enigmatico; ora per noi molto dipende da come vengono pronunciate, dalla punteggiatura con cui vengono scritte.

Forse Patrick, ribadita la sua colpevolezza, ha voluto dire che l'uomo che veniva inesorabilmente stritolato dalla macchina della morte più efficiente del mondo non era più il giovane confuso e sbandato di 16 anni fa.

 

 

7) PER AVERE LA GRAZIA ESSERE MORIBONDI NON BASTA

 

Jimmy Dale Bland, malato terminale di cancro ai polmoni, è stato 'giustiziato' il 26 giugno in Oklahoma. La Commissione per le Grazie ha respinto all'unanimità la sua petizione di clemenza, anche se Jimmy, incalzato dal suo male devastante, non avrebbe potuto vivere ancora per più di sei mesi.

 

Il 12 giugno scorso la Commissione per le grazie dell'Oklahoma ha rifiutato, con una votazione di 5 a 0, di concedere clemenza a Jimmy Dale Bland, 49-enne, malato di tumore ai polmoni, con metastasi già presenti nel cervello e nell'anca.

Jimmy non è morto perciò per il naturale evolversi del male, che gli avrebbe concesso al massimo, a detta dei medici, ancora 6 penosissimi mesi di vita: ha finito la sua misera esistenza sul lettino del boia.

Jimmy era uscito dal carcere sulla parola nel 1995, dopo aver scontato 20 anni di reclusione per omicidio. Circa un anno dopo fu accusato di un secondo omicidio, quello del 61enne Doyle Winde Rains, e fu condannato a morte.

Di fronte alla negazione della clemenza, il suo avvocato difensore David Autry ha osservato amaramente che la commutazione della condanna a morte sarebbe stato un atto di "semplice decenza e pietà verso una persona malata terminale che sta per morire comunque".

Di parere ben diverso è stato invece il procuratore generale Seth Branham. Costui ha dichiarato che le condizioni cliniche di Bland non costituivano un motivo valido per concedere clemenza, dato che Bland ha annullato il suo diritto a morire per cause naturali quando sparò alla nuca della sua vittima.

Non parliamo poi dell'opinione dei familiari della vittima. La figliastra di Rains, Christina Stringer, e suo marito, Gary Stringer, hanno esortato la Commissione a negare clemenza. Gary, affermando che Rains a suo tempo aveva dato un lavoro a Bland, ha dichiarato: "Egli ha ricevuto abbastanza compassione. Ha ricevuto abbastanza pietà. Adesso abbiamo bisogno di un po' di giustizia".

Purtroppo, queste persone si accorgeranno troppo tardi, come molti altri familiari di vittime, che di ben misera giustizia e pace potranno avvantaggiarsi, avendo scambiato la compassione più banale per eccesso di pietà, e la vendetta per giustizia. (Grazia)

 

 

8) "ALÌ IL CHIMICO" CONDANNATO ALL'IMPICCAGIONE

 

Alle impiccagioni di Saddam Hussein e di altri tre imputati eccellenti, seguiranno tra circa un mese in Iraq le esecuzioni di Ali Hassan al-Majid, cugino di Saddam Hussein e suo stretto collaboratore, nonché quelle di altri due ex esponenti del deposto regime iracheno. Tutti e tre sono stati condannati a morte per 'genocidio' in relazione alle operazioni militari compiute dagli Iracheni nel 1988 contro i Curdi in rivolta durante la guerra tra Iraq e Iran.

 

Il 24 giugno sono state inflitte ben cinque condanne a morte per impiccagione ad Ali Hassan al-Majid, cugino ed ex stretto collaboratore di Saddam Hussein (soprannominato Alì in Chimico per aver usato i gas venefici). E' durata 18 minuti, presso il Tribunale speciale iracheno, la lettura della sentenza con cui l'imputato è stato riconosciuto colpevole di genocidio. Nonché di crimini di guerra e di crimini contro l'umanità, nell'ambito della Campagna militare Anfal, sferrata dall'esercito iracheno nel 1988 contro i Curdi in rivolta durante la guerra Iraq-Iran. Ali Hassan al-Majid fu il principale protagonista della Campagna Anfal.

Altri due coimputati sono stati condannati a morte il giorno 24. Hanno ricevuto tre condanne a morte ciascuno per gli stessi crimini di Alì il Chimico: Sultan Hashem Ahmed, comandante del Primo corpo d'armata nel 1988 e Ministro della difesa iracheno durante la guerra d'invasione americana del 2003, e Hussein Rashid al-Tikriti, un vice comandante di staff. Altri due imputati 'rei di genocidio'  Sabir Abdul-Aziz al-Douri e Farhan Motlak al-Jabouri, sono stati condannati all'ergastolo mentre l'ultimo, Tahir Tawfiq al-Ani, è stato prosciolto perché giudicato innocente (!)

La dovizia delle condanne a morte inflitte e la profusione dei riconoscimenti di colpevolezza in crimini iperbolici (a cominciare dal 'genocidio'), fa il pendant con l'assoluta inefficienza di questo secondo misero processo agli ex gerarchi del deposto regime (invalido già all'origine per il modo in cui fu istituito il Tribunale speciale iracheno), sprovvisto di risorse e strutture investigative adeguate all'enormità delle accuse, caratterizzato, come il precedente, da irregolarità (basti pensare che il giudice presidente Abdullah al-Amiri è stato radiato il 19 settembre dal primo ministro dell'Iraq Nuri Kamal al-Maliki su richiesta dell'accusa!).

Occorre notare che le accuse sono state formulate con un'estrema approssimazione: il dato dell'asserita eliminazione di 180 mila Curdi da parte degli Iracheni nel corso della Campagna Anfal potrebbe essere sbagliato di un ordine di grandezza. Human Rights Watch parlava di 50 mila vittime stimate induttivamente, ma queste in realtà potrebbero essere molte di meno. Con ciò non vogliamo negare che si siano verificate estesissime violazioni dei diritti umani nei confronti del Curdi, vogliamo solo dire che i lutti e le inenarrabili sofferenze di quel popolo avrebbero meritato un processo, con tutte le garanzie internazionali, degno di questo nome.

Il processo per la Campagna Anfal, cominciato il 21 agosto 2006, presto privato del principale imputato, Saddam Hussein, che fu impiccato il 30 dicembre, è uscito durante la sua fase più importante dai riflettori della stampa internazionale. Così si spiega l'attenuarsi delle denunce internazionali che erano piovute fino ad allora sul Tribunale speciale iracheno.

E' lecito supporre che la meschinità del processo ora concluso consegua dall'intento non voler accertare con una decente precisione i crimini commessi dagli imputati e soprattutto di non far emergere le sospette complicità internazionali nei crimini compiuti a sua tempo dagli Iracheni.

Tenendo conto di come sono andate le cose nel primo processo davanti al Tribunale speciale iracheno, quello in cui fu condannato a morte Saddam Hussein, l'appello automatico delle sentenze sarà completato entro un mese, senza alcuna possibilità di riduzione delle condanne, e le impiccagioni saranno effettuate immediatamente dopo.

Autorità irachene precisano che altri processi seguiranno i primi due davanti al Tribunale speciale iracheno, cominciando entro il mese di luglio. Il prossimo sarà il cosiddetto processo Intifada per la repressione della rivolta sciita dopo la prima guerra del Golfo del 1991 (in questo caso si parla di 150.000 mila vittime irachene). Imputati principali saranno due collaboratori di Saddam Hussein: Abid Hamid Mahmud al-Tikriti e il suo fratellastro Sabawi Ibrahim Hassan al-Tikriti. Almeno altri 10 processi sarebbero in preparazione, secondo tali fonti.

9) DAL VERBALE DELL'ASSEMBLEA DI FIRENZE DEL 20 MAGGIO

 

L'Assemblea ordinaria dei Soci del Comitato Paul Rougeau/Ellis One Unit si è riunita alle ore 10:30' del 20 maggio 2007 a Firenze [...] L'ordine del giorno è il seguente: 1. Relazione sulle attività svolte dopo l'Assemblea del 4 giugno 2006. 2. Situazione iscritti al Comitato Paul Rougeau, gestione dei soci. 3. Illustrazione ed approvazione del bilancio per il 2006. 4. Revisione delle quote associative. 5. Eventuali dimissioni dal Consiglio direttivo ed elezione di membri del Consiglio direttivo per ricoprire i posti vacanti. [...] 6. Pubblicazione in lingua originale inglese del libro su Gary Graham (contatti per i copyright).  7. Collaborazione con Marco Cinque per la diffusione dell'antologia "Poeti da morire" da lui curata; 8. Proposte di invito e ospitalità di Dale Recinella nella primavera del 2008 in alcune località italiane. 9. Eventuale impegno del Comitato Paul Rougeau a supporto del caso legale di Gerald Marshall condannato a morte in Texas. 10. Eventuale raccolta fondi per la difesa legale di Kenneth Foster Jr. 11. Rapporti e collaborazioni con Amnesty International e con altre organizzazioni abolizioniste, in particolare con l'associazione "SenzaVoce". 12. Discussione delle strategie abolizioniste. 13. Discussione, programmazione e approvazione del prosieguo delle attività in corso; proposte di nuove attività da parte dei soci, programmazione ed approvazione delle stesse. 14. Proposte rivolte ai nuovi iscritti di collaborare attivamente in iniziative consone alle loro rispettive possibilità ed esperienze. 15. Adesione ideale di personalità e di organizzazioni al Comitato Paul Rougeau. 16. Raccolta fondi e allargamento della base associativa. 17. Varie ed eventuali. In apertura di seduta si affronta il punto 1. all'o. d. g., [...] La collaborazione con la Coalizione mondiale contro la pena di morte quest'anno è consistita nell'organizzazione del tour in Italia di Dale Recinella e della moglie Susan a ridosso della Giornata Mondiale del 10 ottobre 2006. [...] Dale e Susan hanno avuto un grande successo in tutti gli incontri che si sono svolti - per lo più nelle scuole - a Firenze, Fiesole, Novara, Torino. [...] La conferenza presso la scuola dei Gesuiti di Torino ha aperto la porta ad un tour di Dale e Susan in tutte e le scuole di Gesuiti in Italia nella primavera del 2008. La campagna per protestare contro le condizioni di detenzione nel braccio della morte del Texas, dopo l'invio di oltre 70 lettere firmate da oltre 600 soci e simpatizzanti, è proseguita con la spedizione di due 'lettere conclusive' [...] Esponenti del Comitato [...] hanno partecipato ad attività formative e ad almeno venti incontri abolizionisti/ culturali/ formativi si temi della pena di morte e dei diritti umani soprattutto nelle scuole. Giuliana Bonosi ha inoltre partecipato ad organizzare una cena di raccolta fondi in favore di Arthur Lee Williams che ha fruttato circa 900 euro. E' proseguita la collaborazione con Amnesty International a vari livelli, soprattutto nel dare un supporto ad una decina di persone che corrispondono con i condannati a morte; si è fornita una consulenza per la preparazione di materiali didattici sulla pena di morte e sulla crisi dei diritti umani dopo l'11 settembre 2001. Si è interrotta la corrispondenza e la collaborazione con l'organizzazione abolizionista del Togo, probabilmente perché questa organizzazione si è sciolta nel corso del 2006. In un incontro tenutosi a Prato in marzo si sono poste le basi per una eventuale collaborazione con l'associazione abolizionista modenese SenzaVoce. Qualche appoggio e qualche consulenza riguardo a questioni legali, avvocati statunitensi ecc. è stata data al 'sub-comitato sistas' formato da una decina di signore [...] che corrisponde, in modo sistematico e con uno stile 'di gruppo', con altrettanti condannati a morte sostenendoli anche economicamente. L'attività 'editoriale' del Comitato è proseguita soprattutto con la produzione del Foglio di Collegamento che è uscito, con i previsti 10 numeri nel periodo, tutti di 14 pagine ad eccezione di uno che era di 18. [...] Lo scambio di informazioni sulla pena di morte e sui diritti umani, e sui temi della pace, ha registrato oltre 11 mila e-mail in arrivo ed oltre 2 mila in partenza. [...] Passando al Punto 2. all'o. d. g. Loredana presenta un prospetto nominativo da cui risulta che i soci del Comitato sono attualmente 129, di costoro 70 sono in regola con il versamento della quota associativa.  Punto 3. Il Tesoriere Paolo Cifariello illustra il rendiconto per il 2006, notando, tra le entrate, l'aumento degli introiti per il rinnovo delle quote associative, dopo i solleciti mandati da Loredana lo scorso anno, e, tra le uscite,  l'elevato ammontare delle spese per la preparazione e l'invio della versione cartacea del Foglio di Collegamento. Le offerte generiche sono di nuovo cresciute [...]. E' diminuita l'entità delle rimesse fatte dal Comitato a detenuti condannati a morte per conto terzi (circa 6.000 euro contro i 10.600 dell'anno precedente). Il rendiconto del 2006 viene approvato all'unanimità. [...] Alle 12:35'  viene sospesa l'Assemblea dei soci. Alle 12:35' del 20 maggio 2007 si riunisce il Consiglio direttivo del Comitato Paul Rougeau per nominare la cariche sociali. Sono presenti i membri del Consiglio direttivo Paolo Cifariello, Anna Maria Esposito, Loredana Giannini, Maria Grazia Guaschino, Giuseppe Lodoli, Stefania Silva. Si discute esaurientemente il desiderio espresso da Maria Grazia Guaschino di non essere rieletta Presidente per motivi personali. I presenti pregano la Guaschino di rendersi disponibile per un altro anno dando così modo al Comitato di trovare una soluzione alternativa. Si eleggono all'unanimità: Maria Grazia Guaschino a Presidente, Giuseppe Lodoli a Vice Presidente mentre Paolo Cifariello viene eletto Tesoriere. Pertanto il Consiglio direttivo risulta composto da: Maria Grazia Guaschino (Presidente), Giuseppe Lodoli (Vice presidente), Paolo Cifariello (Tesoriere), Margherita De Rossi, Anna Maria Esposito, Loredana Giannini, Stefania Silva (Consiglieri). [...]  Punto 6. L'edizione in lingua originale inglese del libro su Gary Graham non si è potuta realizzare in Italia come previsto l'anno scorso per la constatata difficoltà di spedire e vendere le copie negli Stati Uniti. [...] Laura e Stefania si dichiarano disponibili a proseguire il lavoro sui Copyright e Grazia invierà loro le informazioni e il materiale necessario. Punto 7. Si decide di partecipare alla diffusione e alla vendita  dell'antologia sulla pena di morte "Poeti da morire" realizzata da Marco Cinque. Piccoli quantitativi di copie verranno prese in deposito e vendute dal Comitato destinando per ciascuna di esse 8 euro a Marco Cinque e 4 euro al Comitato che li devolverà in beneficenza per il sostegno dei condannati a morte [...] Punto 8. Se i padri Gesuiti, come preannunciato, si incaricheranno di invitare Dale e Susan Recinella in Italia e di finanziare in parte il loro viaggio, il prossimo tour dei due nostri amici della Florida potrà essere senz'altro organizzato nel mese di aprile 2008. Con l'occasione si cercherà di far arrivare Dale anche a Firenze per tenere una o più conferenze e ad Udine per ricevere una laurea honoris causa. [...] Punto 9. Sulle modalità e della mobilitazione in favore di Gerald Marshall si deciderà dopo aver conseguito il parere dell'avvocato Burr sul caso; potrà essere eventualmente lanciata una raccolta fondi da utilizzare per la sua difesa legale. Punto 10. La raccolta di fondi in favore di Kenneth Foster è già iniziata da qualche giorno data l'urgenza imposta dalla fissazione della data della sua esecuzione per il 30 agosto prossimo. Per la raccolta di fondi potrà essere utilizzata la vendita di un libretto preparato da Secondo Mosso che contiene le poesie di Kenneth, oltre alle riproduzioni dei quadri di Tony Ford. Per desiderio di Kenneth verrà inoltre inviata alle autorità del Texas una richiesta di clemenza dal Comitato in quanto tale [...]. Punto 11. Ci si propone di continuare ed intensificare i rapporti di collaborazione con Amnesty International, sia nell'assistenza ai corrispondenti di condannati a morte, sia nella partecipazione ad incontri e ad attività formative, sia nell'attivismo dei gruppi, specie del Gruppo 245. Sia pure in assenza di rappresentanti dell'associazione SenzaVoce, l'assemblea incoraggia ogni tentativo di stabilire una proficua collaborazione con tale associazione. Oltre alla possibilità di collaborare con SenzaVoce nell'organizzazione di eventi abolizionisti, si intravede l'opportunità di portare avanti congiuntamente campagne continuative ispirate alle nuove strategie abolizioniste. [...] Punto 13. Si decide di proseguire tutte le attività di routine con le modalità già in uso e collaudate. Per quanto riguarda la pubblicazione del Foglio di Collegamento si cercherà di diminuire il lasso di tempo che intercorre tra la chiusura della raccolta delle informazioni mensili e l'uscita del relativo numero ed anche di far uscire il numero entro il mese di cui porta la data. E' urgente inoltre produrre una nuova aggiornata edizione dell'Opuscolo. Per quanto riguarda la campagna per il miglioramento dalle condizioni di detenzione nel braccio della morte del Texas, un'ultima lettera conclusiva verrà mandata al direttore Quarterman, minacciando di rivolgerci in caso di mancata risposta ad agenzie delle Nazioni Unite e ad altre sedi sovranazionali. [...] Punto 16. Loredana continuerà ad occuparsi, con nuovo slancio, della base associativa in particolare inviando a breve [...] alcune decine di lettere di sollecito al rinnovo dell'iscrizione ai soci ritardatari. [...]

N. B. Il rendiconto economico del 2006 approvato è a disposizione dei soci in regola che desiderano consultarlo

 

 

10) LA CORTE SUPREMA SENTENZIA SUL CASO DI UN MALATO MENTALE

 

E' giunta il 29 giugno la sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti, preannunciata a gennaio, sul caso di Scott Panetti malato mentale grave: Panetti non può essere ucciso dello stato del Texas e la Corte Federale d'Appello del Quinto Circuito deve accertare con criteri più restrittivi di quelli già adottati se egli sia sufficientemente consapevole per essere messo a morte. La sentenza attuale però non innova nulla nella scottante questione della pena di morte per i malati di mente.

 

In occasione dell'annuncio fatto il 5 gennaio dalla Corte Suprema federale di voler prendere in considerazione un ricorso contro l'esecuzione in Texas di tale Scott Panetti affetto da una grave forma di schizofrenia, abbiamo discusso a fondo il problema dei malati mentali che vengono in gran numero incarcerati e spesso condannati a morte e giustiziati negli Stati Uniti (v. n. 146).

In quel momento di relativa ed ingiustificata euforia in campo abolizionista, avevamo messo in evidenza la distanza che separa il sistema della pena di morte degli Stati Uniti non diciamo dall'equità ma anche dalla logica più elementare. E' fin troppo evidente, infatti, che se la pena di morte è stata proibita negli USA per i ritardati mentali (nel 2002) e per i minorenni (nel 2005), in quando soggetti non pienamente consapevoli e padroni dei propri comportamenti, la stessa cosa dovrebbe valere per i malati mentali.

Secondo esperti legali e soprattutto secondo gli attivisti per i diritti umani, la proibizione della pena di morte per i malati mentali gravi al momento del crimine dovrebbe essere oggetto presto o tardi di una decisione della Corte Suprema federale, in conseguenza della maturazione etica della società americana (questo fenomeno, negato dai giudici americani più conservatori, viene chiamato negli USA 'evoluzione degli standard di decenza').

Anche se la massima corte degli Stati Uniti sembra ancora molto lontana dal trovare il coraggio di fare il passo auspicato, tuttavia - come annunciato a gennaio -  è intervenuta il 29 giugno in favore di Scott L. Panetti, uno schizofrenico che uccise i suoceri ma crede che verrà messo a morte per impedirgli di predicare il Vangelo: sconfessando di nuovo l'operato della corte federale d'appello che riguarda il Texas (quella del Quinto Circuito) ha rinviato il caso a tale corte, imponendole di usare criteri più restrittivi di un semplice 'test di competenza' per decidere se Panetti può essere 'giustiziato' (v. n. 146).

La sentenza del 29 giugno non innova nulla lasciando in vigore quanto stabilito nel 1986 dalla Corte Suprema nel caso Ford v. Wainwright (in parole povere: al momento dell'esecuzione il condannato deve rendersi conto di essere messo a morte e di essere ucciso in conseguenza dei propri crimini). Eppure la sentenza attuale è stata presa con la maggioranza di soli 5 voti contro 4,in quanto i giudici più conservatori volevano comunque approvare le decisioni delle corti inferiori e lasciar uccidere Panetti.

 

 

11) EFFICIENZA AMERICANA  di Claudio Giusti

 

Il sistema giudiziario americano funziona perché non fa i processi, non fa gli appelli e non motiva le sentenze.  Questo sistema ha prodotto la più grande incarcerazione di massa dai tempi di Stalin in poi.

 

Secondo il governo statunitense il 96% delle condanne per i felonies (crimini maggiori) (*) è ottenuta con il patteggiamento. Solo il 40% delle condanne per omicidio criminale (preterintenzionale e volontario) è ottenuta con un processo, mentre la quasi totalità delle cause civili, grazie all'American Rule, si conclude con un accordo. Per i misdemeanors (crimini minori) poi la procedura è estremamente sommaria e si ritiene che, nei due terzi dei casi, il procedimento non duri più di un minuto. Questa rapidità è dovuta al fatto che, nelle corti di basso livello che sbrigano queste faccende, la presenza di un avvocato difensore non è prevista e spesso nemmeno consentita. Se però insistete a chiedere un processo vero passate alla corte superiore e intanto restate in cella.

Prassi comune è quella di tenere in carcere gli arrestati che si devono affidare alla difesa pubblica, e di tenerceli per un tempo pari a quello della prevedibile condanna: poi, una dozzina alla volta,  gli arrestati, incatenati l'uno all'altro, arrivano davanti al giudice dove il difensore d'ufficio li fa dichiarare colpevoli e il giudice li condanna "time served" (a pena già scontata). 

Questo sistema serve a sbrogliare una quantità di lavoro immensa. Perché ogni anno, anche se il 50% dei crimini gravi non viene denunciato alle autorità, le 18.000 polizie statunitensi compiono più di 14 milioni di arresti.

I processi davanti a una giuria o un giudice togato (quelli che producono la nostra conoscenza telefilmica della giustizia americana) sono solo 150.000 e hanno il vantaggio di non richiedere che il verdetto e la sentenza siano motivati. La giuria non deve spiegare perché vi dichiara colpevole e vi manda al patibolo: non deve motivare il suo giudizio, spiegare come ha valutato le prove e le testimonianze e nemmeno lo deve fare il giudice.

Le sentenze, di norma, sono immediatamente esecutive e il condannato va, o torna, in prigione direttamente dall'aula. In molti casi però il giudice decidere di metterlo "in prova", a volte anche per crimini gravi e condanne lunghe.

Questa enorme quantità di arresti e condanne ha prodotto la più grande incarcerazione di massa dai tempi di Stalin e l'immenso gulag americano accoglie 2.350.000 carcerati. (Nel 2005 è aumentato di un numero pari a quello di tutta la popolazione carceraria italiana.) Di questi 1.450.000 stanno scontando condanne superiori a un anno nelle carceri statali e federali (trent'anni fa erano 200.000). Gli ergastolani sono 130.000, un quarto dei quali LWOP (senza possibilità di uscita),  e di questi ergastolani 2.000 erano minorenni al momento del crimine. 

I minorenni in riformatorio sono più di 100.000 e 15.000 sono invece finiti nelle carceri per adulti (i minori arrestati sono 2.300.000 l'anno, di cui 500.000 sotto i 15 anni, 120.000 fra i 10 e i 12 e 20.000 sotto i 10 anni d'età. Non è inusuale l'arresto di bimbetti di 4 anni). 100.000 sono le minori arrestate. 

Degli 800.000 che affollano le jails (prigioni locali minori) circa 500.000 sono, più che in attesa di giudizio, in attesa che qualcuno gli trovi uno straccio di difensore. Gli altri stanno scontando pene inferiori all'anno. A questa enorme massa bisogna aggiungere i 4.200.000 che sono in probation (prova), gli 800.000 liberi sulla parola (non hanno scontato tutta la pena) e i 5 milioni che hanno perso i diritti civili. Se aggiungiamo i minorenni che hanno almeno un genitore in prigione vediamo come negli ultimi trent'anni sia stata creata una sottoclasse "carceraria" pari al 5% della popolazione americana.

Il turn over è impressionante: nel 2003 nella probation è stato di 2.200.000 persone e nelle carceri maggiori di 600.000. Incalcolabile il ricambio nelle jails.

In America l'appello non è un diritto costituzionale e solo i condannati a morte godono di una revisione automatica della condanna, ma questa non è un rifacimento del processo. L'appello americano è una verifica della correttezza formale del primo procedimento: in esso non si riascoltano i testi, non c'è giuria e il condannato ha perso la sua (teorica) presunzione d'innocenza. L'appello capitale può diventare una messa cantata pluridecennale che va su e giù per le corti statali e federali, ma per tutti gli altri la musica è ben diversa. L'appello vene concesso molto raramente e quasi mai a chi ha patteggiato. I tempi sono così lunghi che, per rimettere in libertà i 13 innocenti di Tulia, il Texas ha dovuto fare un'apposita legge. Capita spesso che l'innocenza di qualcuno condannato a soli 5 - 10 anni venga riconosciuta a condanna scontata.  Non c'è il pericolo della prescrizione, perché questa si è interrotta con l'inizio dell'azione giudiziaria.

Il sistema giudiziario prevede corti d'appello e supreme in ogni stato. Per ogni stato c'è almeno un distretto giudiziario federale e i distretti sono raggruppati in 11 circuiti federali. Sopra tutti c'è la Corte Suprema federale. Le corti d'appello statali e federali hanno, di norma, un potere assoluto nel decidere quali casi udire e quali respingere senza spiegazione. La Corte Suprema federale riceve ogni anno 7 - 8.000 richieste di intervenire per verificare la regolarità costituzionale delle condanne ma emette solo 60 - 70 sentenze.

Non è corretto dire che i giudici americani sono politicizzati, perché essi appartengono a pieno titolo al mondo della politica: sono cioè uomini politici a tutti gli effetti. Essi, avvocati o procuratori che fossero, hanno tutti alle spalle un periodo più o meno lungo di attivismo politico. A volte sono eletti, ma più spesso nominati da altri uomini politici e tutti, alla fine, rispondono delle loro sentenze al "popolo". Non sono pochi i giudici che hanno pagato a caro prezzo decisioni invise alla maggioranza degli elettori.

_______

(*)1 Per una traduzione e una spiegazione dei termini giuridici utilizzati vedi:

www.osservatoriosullalegalita.org/a/usjus/005us1A.htm

 

 

12) LA MIA VISITA AD ARTHUR WILLIAMS  di Giuliana Bonosi

 

Arthur Lee Williams, grande amico di Paul Rougeau, lo abbiamo conosciuto tanti anni fa, nel 1992. Allora aveva grande entusiasmo e la viva speranza di uscire presto dal braccio della morte del Texas, ritenendo di poter dimostrare la sua innocenza. Diceva di aver sparato ad un poliziotto in borghese, che lo minacciava con un'arma, per legittima difesa, non avendolo riconosciuto come tale. Con un cospicuo aiuto finanziario ricevuto dall'Europa aveva potuto pagare Randy Shaffer, uno degli avvocati penalisti più quotati del Texas. Shaffer aveva preparato il ricorso per la Corte federale. La risposta all'appello avrebbe dovuto giungere nel giro di alcuni mesi. Nell'attesa della sentenza che non arriva mai, molti nostri soci hanno corrisposto con lui per anni. Poi il passare del tempo ha logorato e dissolto l'ampia cerchia degli amici di Arthur. Giuliana Bonosi, è tra i pochi corrispondenti di Arthur che ha continuato a scrivergli, mentre gli anni passavano... e suo figlio David cresceva. Giuliana è andata infine a trovare Arthur, insieme a David, alla fine di aprile. Ed ecco che cosa ha scritto al suo ritorno in Italia.

 

Siamo arrivati al carcere di Livingston una mattina di fine aprile 2007. Il cielo era ancora grigio dopo la pioggia notturna. Un clima gradevole d'inizio estate in Texas. Dopo aver abbandonato la FM 350 abbiamo percorso diverse miglia lungo una strada di campagna. La boscaglia ha improvvisamente dato spazio ad una ampia radura con al centro una enorme costruzione di due piani, anch'essa di color grigio argento, circondata da un  parco. Lungo un lato della costruzione pascolavano alcuni cavalli. Uno di loro particolarmente felice si rotolava nell'erba fresca della mattina. Più tardi il ricordo di questa scenetta mi riempirà il cuore di rabbia  verso coloro che sembrava volessero ostentare tolleranza e darci il benvenuto. Esattamente  ciò che il carcere é incapace di esprimere.

Alexis de Toqueville scriveva che per conoscere un paese devi conoscere le sue carceri. Ebbene quello che si presentava ai nostri occhi, ma non interamente, era la famigerata Polunsky Unit, carcere di massima sicurezza, con doppia barriera di filo spinato arrotolato ed elettrificato lungo tutto il perimetro.

Di lì a pochi minuti  avrà  inizio la sequela di controlli e di percorsi stabiliti, regolati da giaculatorie di proibizioni e rituali, scanditi dal secco rumore metallico di cancelli che si chiudono alle nostre  spalle. 

Eravamo entrati nel braccio della morte, un luogo/ non luogo di sepolti vivi, un luogo di non ritorno dove i  senza diritti  sono  in attesa di essere  "giustiziati"  dalla vendetta di stato.  Stavamo  entrando nell'anima profonda e segreta del sistema carcerario americano. Un paese occidentale, l'America, che vanta la più alta percentuale di cittadini detenuti con una sproporzionata presenza di neri e ispanici. La  classe sociale più diseredata nella quale un sistema penale grossolano e crudele vuol fare pulizia con l'assassinio di stato.

L'incontro in parlatorio con il nostro amico Arthur, con quel suo bellissimo sorriso accattivante, e la presenza di mio figlio David, hanno fortunatamente evitato quel crollo emotivo inevitabile a causa di tanta pressione. Si realizzava un'attesa durata tredici anni. Un lunghissimo periodo di corrispondenza  durante il quale  avevo cercato di aiutarlo a sopravvivere, non senza alti e bassi, depressioni e recuperi, gioie e disperazioni. Ed ora Arthur era lì di fronte a noi felice. Ci parlava della sua famiglia, del padre alcolizzato, dell'infanzia con le tre sorelle a Minneapolis, degli amici di penna,  mentre mangiava ed ancora mangiava quello che le macchinette automatiche di un parlatorio possono offrire di meglio. Nella conversazione spesso animata, c'era dell'ironia, dell'ilarità e molto cameratismo specialmente con David. Ci ha raccontato come l'ambiente e la povertà lo abbiano trascinato per strade sbagliate e di come il carcere sia un moltiplicatore di problemi a partire dalla tortura dei rumori che sistematicamente invadono quei mondi di isolamento che chiunque penserebbe "senza suoni".  E poi le vessazioni soprattutto da parte di chi ha lo stesso colore della sua pelle e che trova piacere nell'esercizio del potere verso un  proprio  simile.

Mentre la conversazione proseguiva gioiosa con David, ho deliberatamente infranto le regole allontanandomi dalla postazione che ci era stata  assegnata.  Ho visto  facce  sbiancate come di convalescenti in un ospedale psichiatrico. Sguardi che non vedono. Occhi che piangono e sorridono davanti ai propri figli gemelli che cantano "daddy we love you". Altri ancora giovanissimi ostentare affetto verso la propria moglie e la nidiata di figlioletti turbolenti che inconsapevoli avevano trasformato in gioco la presenza in un posto che col tempo scopriranno essere un luogo di dolore e disperazione.

Riprendendo la conversazione con Arthur mi sono soffermata a riflettere che sta dimostrando ancora - dopo venticinque anni di carcere e circa sette in celle di  2 metri per 3 in totale isolamento - forza d'animo, personalità e coraggio oltre ogni misura e previsione. Eravamo certamente davanti ad un altro uomo rispetto al giovane ventitreenne che si prese la prima condanna. Il futuro spero molto prossimo  potrebbe dischiudere orizzonti mai immaginati fino a qualche anno fa sia riguardo alla moratoria che ad un successiva abolizione in toto della pena capitale.  Ed è su questi argomenti, e sulla consapevolezza che una persona come lui potrebbe dare ancora molto alla società, che ci siamo lasciati. Con le mani che si toccavano benché attraverso un vetro, Arthur ci ha detto arrivederci a Firenze: " will see you in Florence".

Alcuni giorni dopo mi ha scritto che si sentiva sollevato, positivo e soprattutto animato da tanta speranza, consapevole di avere degli amici come noi.  Anche noi gliene siamo grati e ci auguriamo con tutto il cuore che riesca a farcela!

Ciao Arthur!

 

 

13) VIAGGIO  NEL BRACCIO DELLA MORTE DEL TEXAS  cronaca di Stefania Silva

 

Stefania, socia del Comitato e membro del Consiglio direttivo, sta partecipando alla preparazione di una trasmissione televisiva sui pen-pal dei condannati a morte; parla al singolare, ma non è stata quasi mai sola; tutto si è svolto sotto l'occhio della telecamera e con il microfono acceso. In settembre uscirà il relativo servizio su una importante rete nazionale. Stefania e tutti noi stiamo un po' in apprensione. Speriamo che ne esca qualcosa di positivo per i detenuti e per i loro corrispondenti, e di utile per il movimento abolizionista.

 

26 maggio 2007, ore 05:15, aeroporto di Fiumicino.

Parto per il Texas, scalo a Londra, arrivo a Houston.

Passo la prima notte ad Houston; il giorno dopo macchina a noleggio e via per Livingston.

In effetti, al mio ritorno a chi mi chiede dove sono stata, fatico a dire Stati Uniti e persino Texas, perché la realtà è che sono stata solo a Livingston.

La prima sgradita sorpresa è che la mia valigia non è partita. Potrebbe sembrare una faccenda di poca importanza e invece per me non lo è stata; di una cosa ho avuto subito  coscienza, probabilmente ancora prima di partire; in una situazione di comunicazione così rarefatta, i simboli hanno grande importanza; a parte il disagio nel non avere le mie cose con me, quelle cose erano state accuratamente scelte; vestiti, accessori, quaderno di viaggio...

Arrivata a Livingston, visto che non avrei comunque avuto modo di cambiarmi, ho deciso di andare a vedere il 'mostro' da fuori; volevo far coincidere i miei pensieri con la forma della Polunsky Unit (dove si trova il braccio della morte maschile).

Cominciano le contraddizioni; la natura intorno al braccio della morte è rigogliosa; c'è una foresta con casette di legno; è tutto verde.

Non so perché ma nella mia mente anche la natura sarebbe dovuta essere triste.

Seguo le indicazioni, prendo la strada per Polunsky, passo davanti a due chiese (di due confessioni diverse), vedo una torretta e poi ecco: un'enorme superficie grigia.

E' Polunsky.

Immagine non ben definita; fa caldo e l'umidità sfuma i contorni; il mio primo pensiero è: GRIGIO.

Grigio di filo spinato, di cemento, di assenza di alberi, di caldo.

Pensavo fosse più alta e meno estesa; le finestre sono attaccate l'una all'altra.

Guido piano, la supero e alla prima svolta, inverto la marcia e torno all'ingresso.

In macchina con me ci sono un'autrice del programma e un operatore; li prego di farmi fermare e di permettermi di entrare a piedi; voglio stare faccia a faccia con quell'enormità; vorrei che il mio pensiero potesse arrivare telepaticamente a tutti, che sapessero che là fuori, qualcuno è lì per loro.

Accettano la mia proposta, mi tolgo il microfono e mi avventuro sul suolo del TDCJ.

Rimango ferma per qualche minuto e quando sto per tornare alla macchina, mi si avvicina un poliziotto, con fucile pronto all'uso, dopo avermi fatto un sacco di domande, alle quali ho risposto con enorme difficoltà,  mi dice di ricordarmi di portare i documenti la prossima volta.

Spaventatissima, risalgo in macchina e mi dirigo all'albergo.

Mancano due giorni alla mia prima visita.

Martedì 29 maggio, sveglia all'alba.

Non ho ancora i miei vestiti quindi vado a comprare qualcosa da mettermi, faccio colazione, poi torno in albergo e mi faccio una doccia; mi infilo una tuta appena comprata, mi faccio prestare una felpa e salgo in macchina, metto il CD con la canzone del mio amico detenuto Kevin e mi dirigo verso la prigione.

Entro nel parcheggio, passo il controllo della macchina e del passaporto, dichiaro chi è il detenuto che devo visitare; lascio lo zainetto in macchina, prendo con me solo una piccola borsettina di plastica trasparente con venti dollari in monete e il passaporto.

Entro nell'atrio, una guardia mi perquisisce, poi consegno il passaporto; in cambio mi danno un pass giallo e un foglio da consegnare in sala visite.

Finalmente sono dentro, sono le 8:10; devo passare attraverso tre porte automatiche; intorno ci sono detenuti generici che puliscono; tengono gli occhi bassi, ma salutano.

La sala visite è una stanza nemmeno troppo grande, con due file di minuscole celle, macchine distributrici di cibo e un tavolino al quale Mrs. Williams ritira il foglietto consegnato all'entrata e mi assegna il mio posto. Box numero 23.

Faccio fatica ad ambientarmi, mi sento un pesce fuor d'acqua; ho difficoltà a capire quello che la gente mi dice, il mio inglese è scarso; mi chiedo come farò a star lì seduta per quattro ore, di cosa parlerò con Kevin, ho quasi voglia di scappare via; alcuni visitatori si conoscono, si salutano. Una mia compagna di viaggio mi dice cosa devo fare; prendi delle salviettine e pulisci il telefono e anche il piccolo tavolino verde; puoi comprarti qualcosa da mangiare ma per comprarlo a lui aspetta, chiedi prima cosa vuole; è un'operazione che puoi fare una sola volta e ricordati di non toccare niente; quando esci dal bagno, lascia sempre la porta aperta, altrimenti dobbiamo chiamare Mrs. Williams per aprirla... non essere agitata, vedrai che andrà benissimo.

Ogni rumore mi fa saltare i nervi; quel rumore di ferro, le voci che arrivano da dietro il vetro, gli uomini che camminano ammanettati con tre guardie al seguito, una li precede e due ai fianchi.

Spero sempre che sia Kevin anche se ho paura di incontrarlo.

Piano piano arrivano tutti; ad un certo punto il gruppetto di guardie si ferma davanti al mio box; Kevin è arrivato. Sono le 9:35.

Lo guardo, ha le occhiaie, la tuta che dovrebbe essere bianca è grigina e le cuciture sono rovinate, penso che quella faccia mi è sconosciuta

Sembra un uomo sofferente... prendo il telefono e gli dico: Hi, I'm Stefania...

Anche lui mi squadra, probabilmente nemmeno io assomiglio alle foto che gli ho inviato... panico!

Penso che sarà dura rimanere lì, ma poi anche lui prende il telefono e mi dice: Hi tiny cinnamon girl! (ciao piccola ragazza di cannella!).

Malgrado il mio inglese maccheronico e l'agitazione e il fuso orario, tutto è scorrevole, come se ci parlassimo da sempre, siamo anche riusciti a rimanere leggeri e a ridere; se non fosse stato per quel terribile disco che ogni tre ore annuncia l'appello (una voce inespressiva che conta i minuti che mancano al giro della guardia per il controllo dei detenuti), per il vetro che ci separa, per le guardie che portano via i detenuti in manette, il non poter toccare il cibo che compri alle macchinette, il fatto che a un certo punto Kevin, tira fuori da una scarpa un foglio di carta e il refil di una penna, che alla fine si nasconde nella tuta il cibo che non è riuscito a mangiare, ecco se non fosse stato per questo, sarei quasi riuscita a dimenticarmi di essere seduta nella sala visite del braccio della morte.

Ho avuto altre tre visite con Kevin e qualcuna con altri due detenuti.

Ho incontrato la mamma di Kevin molto restia a parlare di suo figlio, ho parlato con la gente del posto, rimanendo stupita del fatto che molte persone non sanno di vivere a due passi dal braccio della morte del Texas; è stata un'esperienza emotivamente molto forte; ho visto e sperimentato tutto quello che avevo letto in internet e che mi era stato raccontato da chi era già stato prima di me.

Sono stata a Huntsville per l'esecuzione di Michael Griffith, ho visto da fuori quel macabro rito, alla fine del quale i poliziotti si stringono la mano e si danno grandi pacche sulle spalle.

Faccio ancora fatica e forse anche più di prima, a capire come quel Paese possa vivere la pena di morte come una cosa normale, come persone che sembrino gentili e ben disposte, riescano a dire che la vita dipende esclusivamente da te, che se sbagli devi pagare, che avere un'arma in casa è la cosa più normale del mondo; dipende solo da come la usi; qualcuno ha paragonato un fucile a pompa, a un'auto: non è detto che tu debba uccidere, se nessuno invade la tua proprietà, tu non sarai costretto a sparare, così come non è detto che ogni volta che guidi, tu debba investire qualcuno; ho visto una mitraglietta in vendita a 395 dollari.

Ho parlato con un uomo molto gentile, ci ha messo a disposizione il suo giardino per un'intervista; le sue premesse sono uguali alle mie: "ci sono troppe armi nel mio Paese, troppi bambini ne vengono in contatto, non abbiamo fatto un buon lavoro con i nostri figli, non siamo stati capaci di insegnare il valore delle cose della vita".

Ma è come se, arrivato a questo punto, avesse un cortocircuito, come se non riuscisse a trarre le conclusioni rispetto al fatto, che non puoi ritenere il singolo colpevole di qualcosa che la società nel suo insieme non trasmette.

Dal mio punto di vista, questa è la contraddizione maggiore; il senso del dovere del singolo nei confronti della società, ma non ho mai sentito parlare della responsabilità della collettività verso il singolo.

Quei quattrocento uomini (solo in Texas), sono singoli che si sono macchiati di efferati delitti, che pagheranno alla società il tributo più alto, ma per la società erano e rimangono materiale sub umano, e nei loro confronti nessuno sente il peso della responsabilità di averli trattati come materiale di scarto.

Il mio viaggio è durato due settimane; sempre sotto l'occhio della telecamera. Sono entrata a Polunsky sette volte, alcuni giorni ho passato otto ore in sala visite; ho speso molte energie, ho riso e ho anche pianto molto, specialmente l'ultimo giorno di visita a Kevin; ho vissuto un miscuglio di emozioni ed ero sempre alla ricerca di segni che mi aiutassero a capire.

Ne ho avuto uno, sorprendente e bellissimo.

Dopo l'ultima visita a Kevin, all'uscita da Polunsky, dovevo andare al cimitero di Huntsville con una ragazza del gruppo, per portare una birra sulla tomba del migliore amico del suo corrispondente (è il loro rito; ogni volta lei porta sulla sua tomba una bottiglia della birra che bevevano quando erano fuori).

Appena entrate nel negozio, abbiamo sentito un profumo intenso e ci siamo guardate.

Era una candela alla cannella... ho detto alla proprietaria del negozio che ero felice di quella candela, e le ho anche spiegato il perché.

Lei mi ha sorriso e siamo uscite; io mi sono sentita un po' alleggerita, come se avessi ricevuto un ulteriore messaggio da Kevin.

 

 

14) UN PASTICCERE SPECIALE di Bill Coble

 

Bill Coble ha già pubblicato due articoli in questo bollettino, uno leggero, l'altro impegnato. Ora Bill ci presenta il Pasticcere del Braccio della Morte del Texas, mister William Rayford, matricola 999371. Giudicate voi se le ricette di William - che abbiamo tradotto con un po' di fantasia - sono appetitose.

 

E'un uomo alto, magro, afroamericano, con un temperamento amabile. Ha 53 anni, e ne compirà 54 il 21 maggio 2007. Parla volentieri ed è pronto ad ascoltare qualsiasi opinione. Queste sono grandi qualità per lui, come lo sarebbero per chiunque altro, ma possederle in questo ambiente è ammirevole.

Il signor Rayford cerca di aiutare gli altri uomini che sono qui dentro in ogni modo possibile. Quello che voglio dire a tutti voi è del suo sorprendente talento nel fare le Torte del Braccio! E di come un pezzettino di torta può dare un così grande sollievo agli uomini di qui. Ci vorrebbero tre o quattro pagine per far dire a tutti cosa pensano del signor Rayford, e così ve ne darò un condensato nelle parole di Ronald Jeffrey Prible jr.:  "Rayford è il miglior pasticcere del Braccio. Ne so qualcosa, lo conosco il mangiare qui dentro. Se parliamo di bontà, lascia stare, le sue torte sono le migliori, Rayford ha un grande cuore. Per comprendere davvero tutto questo dovreste viverci accanto. Fratello Rayford, ti voglio bene! Ti ringrazio. E anzi: ringrazio il Signore per averti vicino! Dio mi ha senz'altro benedetto con la tua vicinanza! Se avrete mai la fortuna di assaggiare le torte di Rayford, sarete stupefatti dalla sua creatività. Rayford, ci mandi un po' di sole in questo posto così oscuro! E per questo meriti il cucchiaio d'argento. Ti voglio bene, Rayford"

E ora, parla Rayford in prima persona: "Ciao a tutti!, sono Rayford, il pasticcere, eccomi qui! Cucinare è una dote che senz'altro ho ereditato dalla mia amata madre. Lei sì che era una cuoca. Nata nel 1918, sapeva cucinare con niente. Oggi molti pasti sono precotti o già preparati. Mia madre cominciava dal principio alla fine. Da piccolo, aiutandola in cucina, non mi rendevo conto di assorbire le sua abilità. Cucinare è un vanto per me. Cerco sinceramente di mettere la giusta quantità di questo e quello e mi piace la soddisfazione dei miei compagni detenuti."

Io, Bill Coble, con gli anni ho imparato che quando si mette il cuore in ciò che si fa... sarà sicuramente ben fatto. So che il signor Rayford mette il cuore in ogni torta che prepara e con il suo amore e la sua abilità ci regala "tanto sole in questo posto così oscuro".

E così, attraverso queste parole noi del Braccio gli diciamo "Grazie signor Rayford" e Dio ti benedica.

 

Ricette. Così scrive lo stesso William Rayford:

 

"Realizzate la Base: prendete mezza confezione di wafer alla vaniglia e una torta di avena alla crema. Spezzettate i wafer fino a ridurli in polvere e tagliate la torta di avena in pezzettini piccolissimi in modo che l'olio della torta si mescoli con i wafer. Poi aggiungete 3 cucchiai d'acqua e impastate con le mani. Date forma all'impasto in una coppa o in una tortiera e lasciatela asciugare per circa un'ora.

Sulla base si possono mettere differenti ingredienti per ottenere diverse varietà della stessa torta.

Torta alle fragole:

Ingredianti: una lattina di bibita alla fragola, 3 confezioni di avena precotta alla cannella, marmellata di fragole, lenti di cioccolata e una barretta di cioccolata Hershey. Esecuzione: Versate la bibita alla fragola e l'avena precotta in una casseruola e cuocete per tre minuti, fino a che si rapprende. Versate sulla base e stendete bene. Poi stendetevi sopra un sottile strato di marmellata di fragole e dopo aver spezzettato le lenti e la barretta Hershey, sparpagliateli sopra la marmellata di fragola. Tagliate in otto fette e buon appetito!

Torta ai frutti tropicali:

Ingredienti: tre confezioni di avena precotta alla cannella, una confezione di miscela di liofilizzati energizer, burro d'arachidi e biscotti di pasta frolla. Esecuzione: Prendete il pacco di energizer ed estraetene le banane, l'uva e i datteri. Tagliateli a pezzettini. Poi mischiateli in una casseruola con i 3 pacchi di avena e mezzo litro d'acqua e cuocete per 3 minuti, fino a che si rapprende. Versate sulla base e spalmate bene. Poi stendete un sottile strato di burro d'arachidi, spezzettate i biscotti e sparpagliateli sul burro di arachidi. Tagliate e buon appetito!

Torta alle noci Pecan:

Ingredienti: una lattina di cocacola, 3 pacchi di avena precotta allo zucchero di canna, 2 pacchi di miscela energizer e una barretta Hershey alle noci pecan. Esecuzione: Prendete tutte le nocciole dell'energizer e sminuzzatele. Mettetele con i 3 pacchi di avena in una casseruola con la cocacola e cuocete 3 minuti, finché si rapprende. Versate sulla base e stendete bene. Sminuzzate la barretta Hershey e sparpagliatela sopra. Tagliate e buon appetito!

Queste sono tre delle mie torte. La più bella è la torta alle fragole, colorata e invitante. La preferita di Jeff è quella tropicale con sopra i biscotti sminuzzati."

Spero che vi sia piaciuto questo racconto sul signor Rayford e che proverete a fare le sue torte. Io e il signor Rayford gradiremmo la vostra opinione. (Trad. di Laura Silva)

 

 

15) PER L'ITALIA STATISTICHE INCORAGGIANTI

 

La pubblicazione dei risultati di un'importante indagine di opinione internazionale ci dà un'ulteriore conferma che l'Italia è un paese fortemente contrario alla pena di morte.

 

La società americana Ipsos-Public Affairs ha effettuato un sondaggio, mediante interviste telefoniche condotte dal 9 febbraio al 5 aprile, su un campione di 9.146 adulti, sul sostegno per la pena di morte. La domanda era: "Sei a favore o contrario alla pena di morte per le persone colpevoli di omicidio?"

Il sondaggio è stato esteso a varie nazioni nel mondo e qui di seguito in sintesi riportiamo i risultati in ordine decrescente dei paesi a favore.

                              FAVOREVOLI               CONTRARI

Corea del Sud             72%                            28%

Messico                       71%                            26%

Stati Uniti                    69%                            29%

Inghilterra                   50%                            45%

Francia                        45%                            52%

Canada                        44%                            52%

Germania                    35%                            62%

Italia                            31%                            64%

Spagna                       28%                            69%

 

Come Italiani siamo fieri di essere in coda alla classifica, anche se ci piacerebbe essere proprio gli ultimi. Questi risultati confermano in pieno quelli delle ricerche di opinione compiute negli ultimi anni: l'opposizione alla pena di morte in Italia si è consolidata ed è in continua leggera crescita. Nell'immediato dopoguerra 7 Italiani su 10 erano favorevoli alla pena di morte. La percentuale dei favorevoli è scesa sempre di più ma fino alla metà degli anni Novanta non si è potuta rilevare con certezza la contrarietà alla pena capitale della maggioranza degli Italiani. Certo la maturazione dell'opinione pubblica, cui ha certamente contribuito il grande lavoro compiuto da Amnesty e dalle altre agenzie abolizioniste, non ci lascia appagati. Deve continuare anche il supporto dell'azione svolta dal nostro Paese in ambito internazionale per arrivare all'abolizione della pena di morte nel mondo. (Grazia)

 

 

16) RICHIESTA DI CORRISPONDENZA

 

La nostra amica Alice Donato ci segnala che Franklin Lynch, un Afroamericano richiuso nel braccio della morte della California, vuole allargare la cerchia dei suoi corrispondenti. Scrivete dunque a:

Mr. Franklin Lynch - P O Box H 34201 - San Quentin State Prison - San Quentin, CA 94974 USA

 

 

Questo numero è aggiornato con le informazioni disponibili fino al 30  giugno 2007

bottom of page