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FOGLIO  DI COLLEGAMENTO  INTERNO

 

DEL COMITATO PAUL ROUGEAU

 

Numero 236  -  Marzo 2017

Recep Tayyip Erdogan  Presidente della Turchia

SOMMARIO:

 

1) La Corte Suprema contro il Texas riguardo al ritardo mentale

2) Malato mentale momentaneamente in sé va a processo capitale  

3) Prima di essere ucciso in Texas, Rolando Ruiz chiede perdono  

4) Dylann Roof, già condannato a morte, patteggia un ergastolo 

5) L’Arkansas non riesce a trovare i testimoni per le 8 esecuzioni 

6) Crudele isolamento nel braccio della morte 

7) Non verrà ripristinata la pena di morte in New Mexico 

8) Ulteriore presa di posizione del Vaticano contro la pena di morte 

9) La legge per la pena di morte va avanti nelle Filippine 

10) Erdogan in conflitto con l’Europa sulla pena di morte

11) La Giordania interrompe la seconda moratoria con 15 impiccagioni   

12) Amnesty alla Giordania: “Si arresti il genocida Omar al-Bashir!” 

13) Amnesty chiede giustizia in Siria a sei anni dall’inizio del conflitto

14) Notiziario: Europa, Iran, Iraq, Ohio, Ungheria, Usa

1) LA CORTE SUPREMA CONTRO IL TEXAS RIGUARDO AL RITARDO MENTALE

 

 

La Corte Suprema degli Stati Uniti, con una importante sentenza pubblicata il 28 marzo, ha sanzionato lo stato del Texas che fino ad ora ha interpretato a proprio modo e a sfavore degli accusati la sentenza Atkins v. Virginia del 2002 che proibisce la pena di morte per i ritardati mentali.

 

Il 28 marzo scorso la Corte Suprema degli Stati Uniti si è pronunciata contro il Texas, stato forcaiolo che fino ad ora ha applicato in modo estremamente restrittivo la famosa sentenza Atkins v. Virginia del 2002 che proibisce la pena di morte per i ritardati mentali. 

Pertanto il Texas non può più utilizzare i suoi criteri ascientifici, vecchi di decenni (1), per stabilire se un criminale deve essere esentato dalla pena capitale a causa del proprio ritardo mentale (2).

La sentenza della Corte Suprema - sottoscritta da una maggioranza di 5 giudici contro 3 - riguarda il caso di Bobby James Moore, che fu condannato a morte nel 1980 per aver ucciso il 73-enne James McCarble, dipendente di un supermercato, durante una rapina finita male. 

Il quoziente intellettivo di Moore si aggira intorno ai 70 punti. La giudice della Corte Suprema Ruth Bader Ginsburg scrivendo per la maggioranza (anche a nome di Anthony M. Kennedy, Stephen G. Breyer, Sonia Sotomayor ed Elena Kagan), ha rilevato che Bobby Moore a 13 anni non sapeva distinguere i giorni della settimana, i mesi dell’anno e le stagioni. Da quell’età in poi Moore non è riuscito più a frequentare la scuola per incapacità mentale.

Ricordiamo che la Corte Suprema con la sentenza Atkins v. Virginia emessa nel 2002 affermò che l’esecuzione di ritardati mentali costituisce una violazione dell’Ottavo Emendamento della Costituzione USA, che vieta le punizioni crudeli e inusuali (3). La massima corte lasciò tuttavia ai singoli stati ampio margine discrezionale nel decidere chi fosse ritardato e chi no. 

Nel 2002, gli avvocati di Bobby Moore si riferirono alla sentenza Atkins per ottenere la commutazione della sua condanna a morte. Il giudice della Corte Distrettuale competente decise in favore di Moore, sostenendo che la sua minorazione, valutata secondo gli attuali standard medici, è tale da considerare la sua esecuzione una violazione dell’Ottavo Emendamento. 

La famigerata Corte Criminale d'Appello del Texas capovolse però la decisione favorevole a Moore affermando che questi non poteva essere considerato un minorato mentale al punto di non dover essere giustiziato. 

Il caso è arrivato così alla Corte Suprema degli Stati Uniti, ed ha provocato ora la sentenza a favore di Bobby Moore, mirante anche smussare le differenze nelle modalità con cui i vari stati decidono chi è un minorato mentale – e pertanto non può essere condannato a morte – e chi no.

Il presidente della Corte Suprema John Roberts - insieme agli altri due altri giudici conservatori, Clarence Thomas e Samuel Alito - ha in parte dissentito dalla posizione della maggioranza, scrivendo che non sono stati dimostrati per Moore i deficit intellettivi necessari a stabilire che la pena di morte costituirebbe per lui una punizione crudele.  Roberts ha scritto: “I medici, e non i giudici, dovrebbero determinare gli standard clinici, e i giudici, non i medici, dovrebbero determinare il contenuto dell’Ottavo Emendamento”.

Dal canto suo, scrivendo a nome della maggioranza, la Giudice Ruth Bader Ginsburg ha rilevato che il Texas non utilizza gli standard ormai superati quando valuta il quoziente intellettivo delle persone in altri ambiti (per esempio nelle scuole): “Il Texas non è in grado di spiegare in modo persuasivo perché applica gli standard medici moderni per diagnosticare la minorazione mentale in altri contesti, ma si aggrappa a standard ormai superati quando è in gioco la vita di un individuo.”

La sentenza del 28 marzo è molto positiva per Moore, il cui caso torna ora Corte Criminale d'Appello del Texas per essere riconsiderato: probabilmente tale corte deciderà direttamente di commutare la sentenza di morte in ergastolo. È favorevole anche per altri condannati del Texas e di qualche altro stato, ma è arrivata in ritardo per tanti condannati già 'giustiziati' (3). (Grazia)

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(1) I criteri adottati dal Texas nel 1992 sono stati in parte modificati nel 2004 (v. n. 199).

(2) V. nel n. 199: "Uccidere un ritardato mentale: non si può ma il Texas lo fa".

(3) Nessuna esenzione è prevista per i malati mentali.

(4) Warren Hill, ritardato mentale condannato a morte, è stato ucciso in Georgia il 27 gennaio 2015 al termine di una lunga catena di appelli (v. nn.: 204, Notiziario; 205, Notiziario; 207; 208; 209; 220).

2) MALATO MENTALE MOMENTANEAMENTE IN SÉ VA A PROCESSO CAPITALE

 

John Jonchuck è un malato mentale grave ma è rientrato in sé almeno momentaneamente e può essere sottoposto a processo capitale in Florida. Probabilmente riceverà una condanna a morte. Ma la sentenza non potrà essere eseguita se lui non sarà abbastanza in sé da capire quello che gli faranno. 

 

Dopo due anni di trattamento psichiatrico in un ospedale pubblico, il 27-enne John Jonchuck è rientrato in sé e può essere sottoposto a processo capitale in Florida. Jonchuck è accusato di aver ucciso la figlioletta Phoebe di 5 anni gettandola da un da ponte nel 2015.

Dopo aver letto i referti medici, nel corso di una breve udienza tenutasi il 3 marzo il giudice delle contee di Pinellas e Pasco, Joseph Bulone, ha sentenziato che John Jonchuck è sufficientemente in sé per poter andare a processo.

Michelle Kerr, madre della bimba uccisa, ha dichiarato: “Non riesco ad esprimere in parole quanto ho aspettato questo momento.”

Dal canto suo Bruce Bartlett, avvocato dell’accusa, ha detto che gli accusatori vogliono che il processo capitale contro John Jonchuck cominci al più presto: “La mia preoccupazione è che lui vada fuori di testa un’altra volta.” 

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(1) Come abbiamo scritto nell’articolo qui sopra su Bobby Moore, negli Stati Uniti sono esentati dalla pena di morte i ritardati mentali ma non i malati mentali. I dementi condannati a morte non possono però essere uccisi se non acquistano sufficiente consapevolezza, a volte dopo un trattamento psichiatrico forzato, di quello che viene fatto loro.

3) PRIMA DI ESSERE UCCISO IN TEXAS, ROLANDO RUIZ CHIEDE PERDONO

 

Il 44-enne Rolando Ruiz è stato messo a morte in Texas il 7 marzo per un omicidio su commissione da lui compiuto 25 anni fa. Legato al lettino su cui stava per ricevere l’iniezione letale si è detto profondamente pentito del delitto da lui commesso quando aveva solo 19 anni ed ha chiesto perdono.

 

Il 7 marzo il 44-enne Rolando Ruiz Jr. è stato ‘giustiziato’ in Texas per un delitto commesso il 12 luglio 1992. L’iniezione letale programmata per le 18 gli è stata praticata alle 22:30 dopo che la Corte Suprema USA aveva respinto il suo ultimo appello. È morto 29 minuti dopo.

Nella sua dichiarazione finale, Ruiz ha espresso rimorso per l’assassinio di Theresa Sanchez: “Desidero dire ai familiari della Sanchez quanto sia addolorato. Le parole non bastano a esprimere il mio dolore per la sofferenza che ho causato alla vostra famiglia.” Ha aggiunto: “Ai miei cari: vi ringrazio per tutto il vostro amore e per il vostro sostegno. Gesù Cristo è il Signore. Vi voglio bene”.

Il padre di Theresa ha dichiarato: “Non ci sarà mai fine al dolore. Tutto questo non riporterà indietro mia figlia”.

Nel 1992 Ruiz aveva ucciso, per un compenso di 2.000 dollari, la 29-enne Theresa Sanchez. L’omicidio gli era stato commissionato dal marito di Theresa e dal fratello di lui, che volevano incassare il premio dell’assicurazione sulla vita di Theresa, pari a 400.000 dollari. I due mandanti si dichiararono colpevoli e furono condannati all’ergastolo (1). Ruiz invece fu condannato a morte.    

L’esecuzione di Ruiz è stata la terza in Texas di quest’anno (le altre due ebbero luogo in gennaio) e la quinta negli Stati Uniti. (Grazia)

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(1) Il marito di Theresa nel 2000 tentò un’evasione dal carcere e fu in seguito condannato a morte e ‘giustiziato’ per aver ucciso un poliziotto durante il tentativo di fuga.

4) DYLANN ROOF, GIÀ CONDANNATO A MORTE, PATTEGGIA UN ERGASTOLO

 

 

Dylann Roof, il giovanissimo ‘suprematista’ bianco che uccise 9 persone di colore a Charleston in South Carolina, dopo essere stato condannato a morte nel processo federale conclusosi in gennaio, ammettendo la sua colpevolezza nel corso di un patteggiamento, ha evitato un secondo processo a livello statale. Probabilmente morirà di vecchiaia in un carcere federale.

 

Dylann Roof, il giovanissimo ‘suprematista’ bianco che il 17 giugno 2015 uccise 9 persone nella famosa chiesa protestante Emanuel African Methodist Episcopal Church di Charleston in South Carolina frequentata solo da Neri, ha evitato un secondo processo a livello statale dopo essere stato condannato a morte nel processo federale conclusosi il 10 gennaio scorso (1).  D’accordo con i suoi avvocati ha deciso di evitare il nuovo processo patteggiando in via preliminare una condanna all’ergastolo senza possibilità di uscita sulla parola. La decisione del 22-enne stragista è stata resa di pubblico dominio il 31 marzo.

Tale decisione evita lo stress di un secondo processo allo stesso Roof e soprattutto alle persone sopravvissute alla strage che avrebbero dovuto rivivere in aula, quali testimoni, il momento in cui furono terrorizzati e nel quale persero amici e parenti. Peraltro, da persone religiose, i sopravvissuti hanno in maggioranza dichiarato di perdonare il giovane Dyann e di pregare per lui.

Vale la pena di ricordare che Dylann Roof non si è mai pentito del suo gesto e che a suo tempo ha dichiarato: “I Neri uccidono Bianchi ogni giorno sulle strade e violentano le donne bianche. Quello che ho fatto io è niente in confronto a quello che fanno loro ogni giorno”.

L’ammissione della colpevolezza nel corso del patteggiamento chiude definitivamente il caso e consente di spostare Roof in un carcere federale in cui probabilmente passerà le decine di anni che gli restano da vivere, dal momento che la pena di morte federale è pressoché inattiva (2).

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(1) V. nn. 232, 233, 234.

(2) Ricordiamo che vi sono state solo tre esecuzioni nella giurisdizione federale dopo il ripristino della pena di morte negli Stati Uniti.

5) L’ARKANSAS NON RIESCE A TROVARE I TESTIMONI PER LE 8 ESECUZIONI

 

L’Arkansas insiste nel tenere in calendario 8 esecuzioni capitali dal 17 al 27 aprile, ma per riuscire nel suo intento dovrà superare molte difficoltà sia a livello legale che pratico, inclusa quella di trovare, per ciascuna della esecuzioni, almeno 6 ‘persone rispettabili’ disposte a fare da testimoni.

 

Come abbiamo annunciato nel n. 235, lo stato dell’Arkansas ha programmato l’iniezione letale per 8 condannati nel mese di aprile. Un numero record negli Stati Uniti. Costoro dovrebbero essere uccisi, un paio alla volta, nel periodo che va dal 17 al 27 aprile. 

Sembra che l’Arkansas non abbia nessuna intenzione di recedere dal suo orrendo proposito anche se investito da accese proteste: è stata perfino intentata una causa civile contro il governatore Asa Hutchinson e la Direttrice del Dipartimento di Correzione dell’Arkansas, Wendy Kelley, 

Approssimandosi la raffica delle esecuzioni, le autorità si danno da fare per trovare qualche decina di persone disposte a presenziare ai macabri rituali. Le norme dell’Arkansas prevedono infatti che siano presenti da 6 a 12 ‘persone rispettabili’ di almeno 21 anni di età in qualità di testimoni per poter somministrare l’iniezione letale ad un condannato.

La Direttrice Kelley si trova però in serie difficoltà perché tali rispettabili cittadini non si trovano. Ha perfino contattato il Rotary Club della capitale Little Rock. Le hanno riposte che una cosa è trovare persone favorevoli alla pena di morte, un’altra è trovare persone disposte a sottoporsi allo stress di presenziare ad una esecuzione capitale.

6) CRUDELE ISOLAMENTO NEL BRACCIO DELLA MORTE

 

I condannati a morte in Louisiana e in molti altri stati USA vengono tenuti in isolamento per decenni con gravi danni per la loro psiche. Ora gli avvocati di tre condannati a morte hanno presentato un ricorso a livello federale definendo tale trattamento una punizione ‘crudele ed inusuale’ proibita dalla Costituzione degli Stati Uniti d’America.

  

Ciascuno dei 71 condannati a morte della Louisiana è rinchiuso in una cella singola di poco più di 7 metri quadri, senza finestre, con pareti di cemento, per 23 ore al giorno. Neanche durante l’ora di ricreazione può avere contatti con altre persone che non siano gli agenti di custodia. Si è constatato che tale trattamento procura gravi danni alla psiche dei detenuti.

Naturalmente i condannati a morte non possono partecipare alle attività lavorative e scolastiche di cui usufruiscono gli altri detenuti della Louisiana.

Marcus Hamilton, Winthrop Eaton e Michael Perry - i cui avvocati hanno presentato un ricorso contro l’isolamento il 29 marzo scorso - sopravvivono in tali condizioni da 25 o più anni: Hamilton da 25 anni, Eaton da 30 anni e Perry da 31 anni. L’estremo isolamento viene contestato quale ‘punizione crudele e inusuale’ proibita dall’Ottavo Emendamento della Costituzione degli Stati Uniti. 

Per la verità la Louisiana non è l’unico stato che tratta così i condannati a morte. Lo fanno molti altri stati e si valuta che oltre 3.000 detenuti siano attualmente in tali condizioni. Tipico è il caso del Texas in cui l’isolamento fu deciso nel 1998, all’improvviso, dall’allora Governatore George W. Bush, dopo un fallito tentativo di evasione, per tutti i 400 condannati a morte.

7) NON VERRÀ  RIPRISTINATA LA PENA DI MORTE IN NEW MEXICO

 

Lo sforzo dei conservatori appartenenti al partito Repubblicano del New Mexico di ripristinare la pena di morte, abolita in tale stato nel 2009, è risultato infine fallimentare.

 

Il 5 marzo la Commissione per i Pubblici Affari della Camera dei Rappresentanti del New Mexico (1), dopo l’audizione di una ventina di testimoni, ha deciso di rinviare a tempo indeterminato l’approvazione di una legge per il ripristino della pena di morte. In pratica il tentativo di ripristinare la pena capitale abolita in quello stato nel 2009 è stato così vanificato. 

Prima delle elezioni dell’8 novembre scorso la relativa proposta di legge, sostenuta anche dalla Governatrice repubblicana Susana Martinez, aveva fatto notevoli passi in avanti. Ma con il cambiamento della composizione del Parlamento conseguito ai risultati elettorali – i Democratici hanno conquistato la maggioranza – si è subito capito che il ripristino della pena di morte non sarebbe avvenuto (2).

Tutto ciò con un’opinione pubblica diventata in maggioranza forcaiola dopo il verificarsi di crimini orrendi negli ultimi anni. E con una proposta di legge moderata: la pena di morte sarebbe stata inflitta solo per delitti particolarmente gravi, come l’uccisione di un bambino o di un poliziotto.

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(1) Per la precisione, si tratta della House Consumer and Public Affairs Committee

(2) V. nn. 231, 232.

8) ULTERIORE PRESA DI POSIZIONE DEL VATICANO CONTRO LA PENA DI MORTE

 

L’arcivescovo Ivan Jurkovic, Osservatore Permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite a Ginevra, mercoledì il 1° marzo ha riaffermato la sacralità della vita dal concepimento alla morte naturale, nell'ambito della 34-esima Sessione del Consiglio per i Diritti Umani dell'ONU tenutasi dal 27 febbraio al 24 marzo.  Riportiamo qui in una nostra traduzione le parole dell'arcivescovo. (1)

 

Signor Presidente, la Santa Sede ringrazia l’Alto Commissario per i Diritti umani dell'ONU e i distinti penalisti per i loro contributi. La mia delegazione apprezza gli sforzi per l’eliminazione della pena di morte in molti paesi.

Signor Presidente, la mia delegazione riafferma che la vita è sacra “dal concepimento alla morte naturale,” e richiama le parole di papa Francesco: “anche un criminale ha un inviolabile diritto alla vita”.

A questo riguardo, dobbiamo considerare che la giustizia umana è fallibile e che la pena di morte per sé è irreversibile. Noi dobbiamo tener conto che la pena capitale comporta sempre la possibilità di sopprimere la vita di un innocente. Inoltre, noi crediamo che, quando possibile, le autorità legislative e giudiziarie debbano cercare di assicurare ai colpevoli la possibilità di fare ammenda e di rimediare, almeno in parte, all’impatto dei loro crimini.

Fino ad ora non sono state portate prove sufficienti a dimostrare che la pena di morte abbia un effetto deterrente per il crimine. Come papa Francesco ha recentemente affermato nella sua lettera al Presidente della Commissione Internazionale contro la Pena di Morte, “per uno stato costituzionale la pena di morte rappresenta un fallimento, in quanto obbliga lo Stato a uccidere in nome della giustizia. La giustizia, però, non si ottiene mai sopprimendo un essere umano”.

La mia delegazione ritiene che siano disponibili misure più umane per affrontare il crimine, assicurando alla vittima il diritto alla giustizia e offrendo al criminale la possibilità di riabilitarsi. Inoltre, ciò faciliterebbe lo sviluppo di una società più giusta ed equa, pienamente rispettosa della dignità umana.

Signor Presidente, in conclusione, la Santa Sede è fortemente impegnata rispetto all’obiettivo dell’abolizione dell’uso della pena di morte, e noi fermamente sosteniamo, come misura temporanea, la moratoria stabilita dalla risoluzione del 2014 dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Inoltre noi cogliamo questa occasione per incoraggiare gli Stati a migliorare le condizioni di detenzione al fine di garantire il rispetto della dignità di ogni persona senza riguardo al suo trascorso criminale, e per assicurare l’attuazione del diritto dell’accusato ad un equo e giusto processo.

Grazie, Signor Presidente.

 

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(1) Sulla posizione e sugli interventi del Papa e del Vaticano riguardo alla pena di morte v. ad es. nn. 217; 220; 221, Notiziario; 224; 226.

9) LA LEGGE PER LA PENA DI MORTE VA AVANTI NELLE FILIPPINE

 

La pena di morte, voluta fermamente dal presidente delle Filippine Rodrigo Roa Duterte, è altrettanto fermamente avversata dai cattolici che contano molto nel paese insulare (1). Speriamo che, come molti prevedono, l’iter del disegno di legge inteso a ripristinare la ‘massima sanzione’ si blocchi prima di arrivare alla sua conclusione nel prossimo mese di giugno. Il 7 marzo la proposta di legge in proposito è stata però approvata a larghissima maggioranza dalla Camera dei Rappresentanti delle Filippine e Amnesty International ha emesso un duro comunicato in tale occasione. Riportiamo pressoché integralmente il comunicato di Amnesty, rimandando ai nostri precedenti articoli sull’argomento (2).

 

“Il 7 marzo la Camera dei rappresentanti delle Filippine ha approvato, con 216 voti a favore, 54 contrari e un’astensione la proposta di legge 4727 sulla reintroduzione della pena di morte. Il presidente della Camera ha apertamente minacciato di annullare le nomine a incarichi prestigiosi dei parlamentari che avessero osato votare contro o astenersi.  Il testo passa ora all’esame del Senato.

L’approvazione in prima lettura della misura chiesta dalla maggioranza parlamentare che appoggia il presidente Duterte costituisce, secondo Amnesty International, un pericoloso passo indietro e una clamorosa violazione degli obblighi internazionali delle Filippine.

“L’idea che la pena di morte libererà il paese dalla droga è semplicemente errata. Si tratta solamente di una punizione inumana e inefficace che non è mai la soluzione. Oltretutto, il tentativo di reintrodurla è chiaramente illegale”, ha dichiarato Champa Patel, direttrice per l’Asia Sud-orientale e il Pacifico di Amnesty International. 

Da quando, il 30 giugno, il presidente Duterte è salito al potere, nelle strade delle Filippine vi sono stati oltre 8000 morti, molti dei quali a seguito di esecuzioni extragiudiziali nel contesto della cosiddetta “guerra alla droga” proclamata da Duterte. […]

“Come le esecuzioni extragiudiziali, la pena di morte per presunti reati di droga violerà il diritto internazionale, priverà le persone della loro vita e prenderà sproporzionatamente di mira i poveri”, ha commentato Patel. 

“Il Senato rappresenta ora l’ultima speranza per evitare che le Filippine vengano meno ai loro obblighi internazionali ed evitare un passo indietro”, ha sottolineato Patel. […]”

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(1) “Quello che chiediamo ai nostri politici è la coerenza e di votare sulla pena di morte secondo coscienza.” ha dichiarato padre Melvin Castro, segretario esecutivo della Commissione Famiglia e Vita della Conferenza Episcopale Filippina.

(2) V. nn. 229, 230, 231 (2 articoli), 233.

10) ERDOGAN IN CONFLITTO CON L’EUROPA SULLA PENA DI MORTE

 

L’intento di ripristinare la pena di morte in Turchia sbandierato dal Presidente Erdogan mentre egli persegue un rafforzamento del proprio potere preoccupa e indispone i paesi dell’Unione Europea.

 

Il Presidente turco Recep Tayyip Erdogan approssimandosi il referendum del 16 aprile sull’incremento dei poteri presidenziali, ha anticipato che reintrodurrà la pena di morte “senza esitazione”. (1)

Il 18 marzo, parlando nella città di Canakkale, egli ha ribadito che firmerà la legge sulla pena di morte ed ha detto: “Credo che, a Dio piacendo, dopo il voto del 16 aprile il Parlamento farà tutto il necessario per rispondere alle vostre richieste di pena di morte”.

Tutto ciò avviene dopo dodici anni dall’abolizione della pena capitale decisa della Turchia nella prospettiva di venire a far parte dell’Unione Europea. 

Non è la prima volta che Erdogan parla di pena di morte. Vi ha fatto riferimento con forza dopo il fallimento del colpo di stato del 15 luglio, sostenendo che avrebbe reso giustizia alle famiglie delle vittime fatte dai golpisti.

All’avvicinarsi del referendum, Erdogan ha guidato una campagna fortemente anti europeista rappresentando la Turchia come una grande nazione indebolita dall’imperialismo europeo.

La vittoria del sì nel referendum riscriverebbe la costituzione e trasformerebbe il sistema politico della Turchia da parlamentare a presidenziale, dando ad Erdogan un controllo mai avuto sulla nomina dei ministri e dei giudici superiori, e il potere di sciogliere il parlamento. La campagna elettorale di Erdogan è stata comprensibilmente criticata dal principale leader dell’opposizione, Kemal Killiodaroglu, che ha incitato i Turchi a non votare il referendum, avvertendo che la sua approvazione minerebbe la democrazia.

Secondo l’Associated Press le persone che si oppongono al referendum in Turchia sono state minacciate, aggredite, imprigionate arbitrariamente, non hanno avuto spazi televisivi e sono state sabotate nella campagna antireferendaria.

Erdogan è stato aspramente criticato in gennaio dopo che ha citato il governo di Hitler come esempio di un efficace sistema presidenziale ed ha affermato che concentrare tutto il potere nelle mani della presidenza sarebbe un successo.

Queste affermazioni e soprattutto il proposito di ripristinare la pena di morte hanno allarmato le autorità dell’Unione Europea.

Il Presidente della Commissione Europea, Jean Claude Juncker, ha affermato che se la Turchia reintrodurrà la pena di morte vanificherà il negoziato sull'ingresso nell’Unione Europea.    Il Ministro degli Esteri tedesco, Sigmar Gabriel ha dichiarato che “siamo più lontani che mai dall’accesso della Turchia nell’Unione Europea”.

In questo clima ostile il Ministro degli Interni turco, Suleyman Soylu, ha minacciato di sconvolgere l’Europa inviando 15.000 rifugiati ogni mese verso i territori europei, nonostante l’accordo stipulato un anno fa tra la Turchia e l’Unione Europea per ridurre il flusso dei migranti. (Pupa)

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(1) V. nn. 230; 231; 232, Notiziario; 235. Su Erdogan v. anche n. 233

11) LA GIORDANIA INTERROMPE LA SECONDA MORATORIA CON 15 IMPICCAGIONI

 

La Giordania da una parte vuole avvicinarsi alla morale dell’Europa mettendo in mora la pena di morte, dall’altra ricorre periodicamente al cappio per rispondere alla violenza dei terroristi.

 

Mahmud al-Momani, Ministro dell’Informazione della Giordania, ha reso noto che all’alba di sabato 4 marzo sono stati messi a morte 15 detenuti, condannati nel corso degli anni, interrompendo l’ultima moratoria sulle esecuzioni vigente dal 2015.   

Al-Momani ha precisato all’Agenzia ufficiale ‘Petra news’ che 10 dei giustiziati sono stati messi a morte per terrorismo e 5 per ‘crimini efferati’ inclusa la violenza sessuale.

Tutti erano giordani e sono stati impiccati nella prigione di Suaga a sud della capitale Amman.

Nel 2005 il re Abdullah II aveva affermato che la Giordania voleva essere il primo paese del Medio Oriente a indire una moratoria delle esecuzioni seguendo la tendenza dei paesi europei.

Dal 2006 le corti di giustizia continuarono a condannare a morte ma le sentenze non furono più eseguite.

La moratoria si interruppe nel dicembre 2014 quando Giordania impiccò 11 condannati. Ciò avvenne dopo l’orrenda uccisione del pilota giordano Maaz al-Kassasbeh da parte dell’ISIS. Il pilota giordano, a servizio della coalizione guidata dagli Stati Uniti, era stato catturato quando il suo aereo da combattimento era precipitato in un territorio controllato dallo Stato Islamico. Il pilota fu bruciato vivo in una gabbia mentre veniva dileggiato dagli astanti (1). 

Poco dopo la Giordania impiccò un uomo e una donna accusati di atti terroristici. La donna, Sajida al-Rishawi, aveva preso parte nel 2005 all’attacco suicida contro lussuosi alberghi effettuato del gruppo di al-Qaeda in Iraq, precursore dell’ISIS, ma gli esplosivi che aveva addosso non detonarono. (Pupa)

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(1) V. n. 220

12) AMNESTY ALLA GIORDANIA: “SI ARRESTI IL GENOCIDA OMAR AL-BASHIR!”

 

Amnesty International ha chiesto alla Giordania di arrestare Presidente del Sudan Omar al-Bashir, accusato di genocidio, al suo arrivo ad Amman per partecipare al Vertice della Lega Araba.

La Giordania deve arrestare immediatamente il presidente del Sudan Omar al-Bashir e consegnarlo alla Corte penale internazionale affinché risponda delle accuse di genocidio, crimini di guerra e crimini contro l'umanità, ha dichiarato Amnesty International all’arrivo del leader sudanese ad Amman per il vertice della Lega araba il 29 marzo. “Come stato parte dello Statuto di Roma che ha istituito la Corte penale internazionale, la Giordania è obbligata ad arrestare Omar al-Bashir e a consegnarlo al tribunale”, ha dichiarato Lynn Maalouf, vice direttrice per la ricerca presso l'ufficio regionale di Amnesty International a Beirut. “Il mancato arresto rappresenterebbe una grave violazione del Trattato e un tradimento delle centinaia di migliaia di vittime di genocidio, crimini di guerra e crimini contro l'umanità commessi in Darfur. La comunità internazionale non deve permettere che ciò accada”. La Corte con sede all’Aia ha emesso due mandati di arresto per al-Bashir sulla base di fondati motivi per ritenere che insieme a crimini di guerra e crimini contro l'umanità, tra cui omicidio, sterminio e stupro, abbia commesso genocidio contro i gruppi etnici Fur, Massalit e Zaghawa. Amnesty International aveva scritto una lettera al ministro degli esteri della Giordania nel mese di gennaio ricordando ufficialmente al governo giordano l'obbligo assoluto di arrestare Omar al-Bashir. (Comunicato di Amnesty International del 29 marzo).

13) AMNESTY CHIEDE GIUSTIZIA IN SIRIA A SEI ANNI DALL’INIZIO DEL CONFLITTO

 

Mentre in Siria i crimini di guerra e i crimini contro l’umanità continuano a rimanere impuniti, in occasione del sesto anniversario della crisi che ha sconvolto il paese Amnesty International ha lanciato una campagna

per chiedere ai leader mondiali di agire per assicurare giustizia, verità e riparazione a milioni di vittime del conflitto. (Dal comunicato di Amnesty International del 15 marzo)

 

La campagna […] intitolata “Giustizia per la Siria” […] chiede ai governi di porre fine all’impunità e avviare l’accertamento delle responsabilità sostenendo e finanziando il meccanismo d’indagine approvato dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite lo scorso dicembre e applicando la giurisdizione universale per indagare e processare persone sospettate di crimini di crimini di guerra e crimini contro l’umanità nel corso del conflitto siriano.

“Dopo sei anni terribili, non c’è più alcuna scusa per lasciare impuniti gli orrendi crimini di diritto internazionale che vengono commessi in Siria”, ha dichiarato Samah Hadid, direttore delle campagne presso l’ufficio regionale di Amnesty International a Beirut. 

“I governi hanno già a disposizione gli strumenti giuridici per porre fine all’impunità che ha causato la morte di centinaia di migliaia di siriani e la fuga di milioni di persone. Ora è il momento di usarli”, ha proseguito Hadid. 

Tutti gli stati possono esercitare la giurisdizione universale su crimini di diritto internazionale come i crimini di guerra e i crimini contro l’umanità. Essa permette di indagare e processare nei tribunali nazionali persone sospettate di essere responsabili di detti crimini, così come di quelli di tortura, genocidio e sparizione forzata, a prescindere dallo stato dove siano stati commessi e della nazionalità della persona sospetta o di quella della vittima. 

[…] Indagini sui crimini commessi in Siria sono in corso in vari paesi europei tra cui Francia, Germania, Norvegia, Olanda, Svezia e Svizzera. 

La risoluzione adottata dall’Assemblea generale nel dicembre 2016 ha dato alla popolazione siriana un barlume di speranza che la giustizia sia possibile. Il testo chiede l’istituzione di un meccanismo d’indagine indipendente per coadiuvare le indagini e i processi per i più gravi crimini di diritto internazionale commessi in Siria dal marzo 2011. 

La risoluzione ha dato un potente segnale al Consiglio di sicurezza, bloccato e incapace di porre fine ai crimini di diritto internazionale in Siria. […] 

“Adottando la risoluzione, la comunità internazionale ha mandato un messaggio di speranza alla popolazione siriana: la promessa che il mondo non ha dimenticato e che i responsabili della sua sofferenza non resteranno impuniti”, ha aggiunto Hadid. 

“Ora è fondamentale che i governi che hanno approvato quel meccanismo d’indagine prendano tutte le misure necessarie per assicurare il finanziamento e la cooperazione indispensabili per fornire giustizia alle vittime del conflitto siriano”, ha concluso Hadid. […]

Secondo l’inviato speciale delle Nazioni Unite per la Siria, il numero delle vittime dall’inizio della crisi è di oltre 400.000: questo significa che nel confitto è morto un siriano su 100. 

Oltre il 20 per cento dei siriani vivono come rifugiati fuori dal paese e metà della popolazione ancora in Siria ha bisogno di assistenza umanitaria. 

I crimini contro l’umanità e i crimini di guerra commessi da tutti coloro che prendono parte al conflitto siriano sono stati ampiamente documentati sin dall’inizio del conflitto da Amnesty International, da altre organizzazioni per i diritti umani e dalle agenzie delle Nazioni Unite. 

L’elenco di questi crimini comprende: esecuzioni extragiudiziali; torture e trattamenti crudeli; attacchi deliberati contro i civili, le abitazioni, le strutture sanitarie e le infrastrutture civili; attacchi indiscriminati e sproporzionati; sparizioni forzate; sterminio e cattura di ostaggi. 

14) NOTIZIARIO

 

Europa. Farmaci letali contestati negli Usa, agognati come mezzo di una ‘dolce morte’. Il 1° aprile è comparso in prima pagina sull’Osservatore Romano un articolo di Lucetta Scaraffa intitolato “Eutanasia e pena di morte”. Tale articolo solleva una importante questione sulla quale vi sono posizioni contrastanti e anche paradossali. Infatti da una parte in America i condannati a morte contestano i farmaci letali in quanto strumento di punizioni "crudeli e inusuali" proibite dalla Costituzione USA, e vari stati sospendono per lunghi periodi le esecuzioni per tale motivo. Dall’altra gli stessi farmaci vengono agognati in Europa da coloro che vogliono essere sottoposti ad eutanasia con una 'dolce morte'...  Senza esprimerci in merito alle considerazioni della professoressa Scaraffa, ci dichiariamo disponibili ad inviare ai lettori che ce lo chiedessero l’articolo dell’Osservatore Romano di cui sopra.

 

Iran. In tre giorni 18 impiccagioni. Tra il 4 e il 6 marzo 18 persone sono state impiccate in varie città iraniane. Tra i ‘giustiziati’, 2 donne, un uomo di 70 anni e due giovani. Una delle impiccagioni è stata effettuata in pubblico.

 

Iraq. Lo Stato Islamico lapida un giovane accusato di omossessualità a Mosul. Un gruppo dell'ISIS di Mosul ha condannato alla lapidazione un giovane accusato di omosessualità. Il gruppo terrorista ha pubblicato nel Web foto che mostrando la lettura della sentenza di morte alla presenza di alcune decine di persone, prima dell'esecuzione della condanna in base "alle regole di Allah e dell’Islam". Le foto pubblicate alla fine di marzo mostrano i militanti dello Stato Islamico che colpiscono il giovane con pietre mentre è bendato, dopo averlo gettato dal un tetto di un edificio. 

 

 

Non sono stati resi noti né il momento preciso né il luogo preciso dell’esecuzione. Non è la prima volta che a Mosul viene inflitto tale orrendo supplizio dal gruppo terroristico che rivendica il diritto di mettere in pratica i comandamenti di Dio e dell’Islam. In precedenza, quest’anno lo Stato Islamico ha condannato a morte un uomo gettandolo dal  tetto di un alto edificio di Mosul, dopo averlo accusato di essere omosessuale; gli islamici hanno usato lo stesso metodo per giustiziare quattro persone, inclusi due membri dell'ISIS, accusati di omosessualità e di sodomia nel quartiere di Dor Al-Toub nel centro di Mosul. (V. nn.: 220, Notiziario; 230, Notiziario. Per la Siria v. n. 233 Notiziario. Sugli orrori compiuti dalla coalizione anti ISIS v. n. 232, Notiziario). 

 

Ohio. La macchina delle esecuzioni è inceppata e intanto Patrick Leonard si suicida. L’Ohio, con 138 condannati a morte, ha 32 esecuzioni programmate su un arco di tempo assolutamente inusitato negli Stati Uniti: da quest’anno al 2021. In ogni caso la macchina della morte dell’Ohio in questo momento è ferma a causa delle contestazioni del metodo di esecuzione con l’iniezione letale. Lo stato sta appellandosi contro la sentenza del magistrato federale Michael Merz (1) che nel dicembre scorso ha bloccato le esecuzioni. Il governatore John Kasich, che è favorevole alla pena di morte, ha dovuto rinviare l’esecuzione di due condannati: Ronald Phillips e Raymond Tibbetts. Nel frattempo un condannato ha scelto di darsi la morte da sé: nella notte di domenica 5 marzo, il 47-enne Patrick Leonard si è ucciso nella sua cella del carcere di Chillicothe. Era stato condannato alla pena capitale per aver ammazzato la sua ex fidanzata nel 2000. Leonard, che non aveva accettato di essere stato lasciato da lei, l’aveva legata, aveva cercato di violentarla e poi l’aveva uccisa con 3 colpi di pistola. Senza precedenti penali, prima di allora non era stato mai violento.

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(1) Per la precisione: Michael Merz è un U.S. District Court Magistrate 

 

Ungheria. Detenzione automatica dei richiedenti asilo. In un comunicato di Amnesty International del 7 marzo leggiamo: Il parlamento ungherese ha adottato una serie di emendamenti che consentiranno la detenzione automatica dei richiedenti asilo per tutta la durata dell’esame della loro domanda d’asilo. “L’idea della detenzione automatica in container circondati da filo spinato di persone tra le più vulnerabili al mondo, anche per mesi, supera ogni limite ma è solo l’ultima di una serie di misure aggressive adottate dall’Ungheria contro i migranti e i richiedenti asilo”, ha dichiarato Gauri van Gulik, vicedirettrice per l’Europa di Amnesty International. “Questa misura riguarderà anche i bambini, in clamorosa violazione del diritto internazionale e delle norme europee, e permetterà rinvii forzati in Serbia in assenza di una procedura equa. Sollecitiamo l’Unione europea a dimostrare all’Ungheria che queste misure illegali e profondamente inumane avranno delle conseguenze. Depositare tutti i migranti e i rifugiati all’interno dei container non significa avere una politica, ma evitare di averla”, ha aggiunto van Gulik. [...]

Usa. Più facile per Neri essere condannati per omicidio o per stupro. I Neri innocenti negli Stati Uniti hanno una probabilità significativamente più alta di essere condannati per omicidio o per violenza sessuale rispetto ai Bianchi innocenti. Lo mostra uno studio diretto da Samuel R. Gross professore di legge nell’Università del Michigan e reso noto il 7 marzo. Vedi: https://www.nytimes.com/2017/03/07/us/wrongful-convictions-race-exoneration.htmlemc=edit_th_20170308&nl=todaysheadlines&nlid=36941804&_r=0 

 

 

Questo numero è aggiornato con le informazioni disponibili fino al 2 aprile 2017

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