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FOGLIO  DI COLLEGAMENTO  INTERNO

 

DEL COMITATO PAUL ROUGEAU

 

Numero 221  -  Marzo / Aprile 2015

Genova, 21 luglio 2001

Il 31 maggio si svolgerà a Torino l'Assemblea ordinaria del Comitato Paul Rougeau, regolarmente convocata per posta e/o per e-mail.

 

 

SOMMARIO:

1) Corte europea dei Diritti Umani: alla Diaz atti di tortura                   

2) Dichiarazione di Antonio Marchesi, presidente di Amnesty Italia       

3) Cadono a pioggia le teste in Arabia Saudita                             

4) In Arabia Saudita il blogger Raif Badawi è tuttora in pericolo

5) Esplosione di esecuzioni in Pakistan                                           

6) Amnesty: il pakistano Shafqat Hussain nel 2004 aveva solo 14 anni       

7) Un numero enorme e in crescendo di esecuzioni in Iran           

8) Dzhokhar Tsarnaev giudicato colpevole di reato capitale        

9) Udienza della Corte Suprema USA sull'iniezione letale             

10) Fortemente contestata la moratoria in Pennsylvania

11) Salva per il momento in Indonesia Mary Jane Veloso             

12) Come l'Indonesia esegue la pena di morte: regole dell'esecuzione     

13) Giovanni Lo Porto, cooperante italiano, ucciso da un drone USA          

14) USA, continue uccisioni della polizia                                        

15) Importanti ospiti in Campidoglio per i 40 anni di Amnesty Italia       

16) Amnesty International sulla pena di morte nel 2014               

17) Ecatombe di migranti nel Mediterraneo                                  

18) La primavera è qui. È un tempo di rinascita  di Fernando Eros Caro

19) Notiziario:  Armenia, Kenya, Oklahoma, Texas, USA, Vaticano       

 

 

1) CORTE EUROPEA DEI DIRITTI UMANI: ALLA DIAZ ATTI DI TORTURA

 

Il dottor Anteo di Napoli, dell'associazione Medici contro la tortura, ci ha autorizzato a pubblicare questo esauriente, chiaro e rigoroso articolo dell'8 aprile u. s. intitolato: "La Corte Europea dei Diritti Umani: alla Diaz atti di tortura. È ora di riportare l'Italia tra le nazioni ci­vili". (*)

 

Mi accingo a commentare la sentenza emessa ieri dalla Corte Europea dei Diritti Umani secondo la quale le violenze perpetrate dalla polizia nella scuola Diaz di Genova la notte del 21 luglio 2001, durante il G8, sono atti di tortura. Avevo già scritto sull’argomento nel luglio 2012 commentando la sentenza della Corte di Cassazione che confermava la condanna nei confronti dei poliziotti, dove sottolineavo come, a causa dell’assenza del reato di tortura nel Codice Penale italiano, i reati legati alle violenze risultarono prescritti, “limitandone” le responsabilità a “reati “minori”, come la costruzione di false prove per giustificare l’irruzione nella scuola.

La sentenza della Corte europea non si è limitata a condannare l’Italia per il pestaggio subito da Arnaldo Cestaro, uno dei manifestanti all’epoca dei fatti ultrasessantenne, ma anche perché non ha una legislazione che consenta di punire il reato di tortura, contravvenendo così alla Convenzione Europea sui Diritti dell’Uomo che all’articolo 3, “Proibizione della tortura”, stabilisce: “Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti“.

Al fine di togliere ogni dubbio circa la natura dei reati commessi in quella notte genovese, definita da Amnesty International come la “più grave sospensione dei diritti umani in un paese democratico occidentale dalla fine della II Guerra Mondiale”, concludevo allora ricordando la definizione di tortura della Convenzione contro la tortura e altre pene o a trattamenti crudeli, inumani o degradanti delle Nazioni Unite: “Qualsiasi atto con il quale sono inflitti a una persona dolore o sofferenze acute, fisiche o psichiche, segnatamente al fine di ottenere da questa o da una terza persona informazioni o confessioni, di punirla per un atto che essa o una terza persona ha commesso, di intimidirla o esercitare pressioni su di essa o su una terza persona, o per qualunque altro motivo basato su una qualsiasi forma di discriminazione, qualora tale dolore o tali sofferenze siano inflitti da un funzionario pubblico o da qualsiasi altra persona che agisca a titolo ufficiale, o sotto sua istigazione, oppure con il suo consenso espresso o tacito”.

La Convenzione è stata approvata nel 1984 e l’Italia ha provveduto a ratificarla nel 1988, senza tuttavia “trovare il tempo” di rendere esecutivo quanto disposto dall’articolo 2 della medesima che recita, tra l’altro: “Ogni Stato Parte prende provvedimenti legislativi, amministrativi, giudiziari ed altri provvedimenti efficaci per impedire che atti di tortura siano compiuti in un territorio sotto la sua giurisdizione”.

Torno sul tema del mancato riconoscimento del reato di tortura nel Codice Penale italiano, non perché io abbia una qualche competenza giuridica, ma per il mio vissuto di attivista di Amnesty International, movimento per il quale ho lavoravo da volontario (gratis e nel tempo libero), coordinandone per circa sette anni a livello nazionale il settore relativo alle violazioni dei diritti umani dell’ambito medico. Il tema della tortura era al centro della nostra attività, tanto da decidere di fondare un’associazione umanitaria (è una onlus), “Medici contro la tortura”, con lo scopo di accogliere e curare persone vittime di tortura, provenienti da qualsiasi Paese (per chi fosse interessato ad approfondire abbiamo raccolto le nostre esperienze in alcuni libri). Ho ascoltato tanti racconti di vittime e nella loro voce, nei loro sguardi, nella loro postura, nei loro silenzi, ho imparato a riconoscere segni molto più “indelebili” (e “patognomonici”) di quelli pur lasciati sotto forma di cicatrici, ustioni, ossa rotte, unghie o denti strappati.

Non deve sorprendere perché quasi mai la tortura è perpetrata come “metodo di interrogatorio”, ma si propone di umiliare, annientare la vittima e farla diventare “testimonianza vivente” della forza del potere, finalità che raggiunge il suo compimento con la sua contestuale riduzione al silenzio. Restituire la parola alla vittima è forse il primo degli obiettivi che ci si propone quando si assiste una persona sopravvissuta alla tortura. Non di rado ho accompagnato in eventi pubblici persone che hanno fatto della propria testimonianza uno “strumento terapeutico”. Ma poter parlare pubblicamente di tortura, stabilendone una volta per tutte la natura criminale è, a mio parere, “terapeutico” per l’intera società, specie in un contesto come quello attuale italiano dove principi che sono alla base della nostra Civiltà vengono messi in discussione più che da potenziali “nemici esterni”, da suoi sedicenti “difensori”!

Luigi Manconi su “Internazionale” ha esposto una tesi riassumibile nel titolo del suo articolo: “Perché in Italia tutti hanno paura della polizia”, affermando che “la mancata introduzione del reato di tortura” dipenderebbe da “una forma diffusa di preoccupazione non per ciò che le polizie, in nome e in forza della legge, possono compiere, ma per ciò che possono compiere contro la legge” e sottolineando come dovrebbe essere “interesse, in primo luogo delle polizie, partendo dall’assunto che la responsabilità penale è personale, far sì che gli autori di illegalità e violenze siano individuati e sanzionati in maniera adeguata allo scopo di distinguerli nettamente dalla gran parte dei loro colleghi che, di illegalità e violenze, non si son resi in alcun modo responsabili”.

Sia che la mancata introduzione del reato di tortura dipenda dai motivi proposti dalla tesi di Manconi o dall’incapacità “culturale e morale” della classe politica italiana di ritenerla una priorità, non resta che dar seguito alla sentenza della Corte Europea dei Diritti Umani per fugare ogni ombra e riportare l’Italia nel consesso dei Paesi civili.

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(*) Sull'argomento v. nostro articolo nel n. 199. V. anche articolo nel n. 206 (Bolzaneto).

Una conversazione sui fatti della Diaz e la condanna della Corte Europea dei Diritti Umani, condotta da Roberto Fantini, interessante per il parere e per i dati forniti da Patrizio Gonnella dell'associazione Antigone, si trova nel sito della FLIP: 

http://www.flipnews.org/flipnews/index.php?option=com_k2&view=item&id=7357:strasburgo-condanna-l’italia-torture-alla-diaz&Itemid=70

 

 

2) DICHIARAZIONE DI ANTONIO MARCHESI, PRESIDENTE DI AMNESTY ITALIA

 

L'enorme ritardo dell'introduzione del reato di tortura nel nostro ordinamento, se non fosse tragico, potrebbe essere definito ridicolo (*). Ecco la dichiarazione in proposito di Antonio Marchesi.


“La sentenza della Corte europea dei diritti umani, che ha qualificato come ‘tortura’ le violenze compiute la notte del 21 luglio 2001 alla scuola Diaz di Genova, è un monito alle istituzioni italiane a fare presto e bene, dopo oltre un quarto di secolo di ritardo nell'introduzione del reato di tortura nel codice penale italiano” ha dichiarato Antonio Marchesi, presidente di Amnesty International Italia.
“Un ritardo rilevato e stigmatizzato dalla stessa Corte [...]. Il collegamento tra la viola­zione dei diritti umani e l'assenza del reato di tortura emerge con evidenza dalla lettura della sen­tenza.
Dal 1989, quando venne pubblicata sulla Gazzetta ufficiale la legge di ratifica della Convenzione Onu contro la tortura, Amnesty International e altre organizzazioni per i diritti umani chiedono al parlamento di onorare l'impegno assunto all'epoca.

Le cronache dei 25 anni successivi ci parlano di rinvii, annacquamenti, emendamenti vergognosi ai vari tentativi, tutti vani, di introdurre il reato di tortura nel codice penale.

Ciò che successe alla Diaz, e con ancora maggiore evidenza e gravità nella caserma di Bolzaneto nelle ore e nei giorni immediatamente successivi, ci dice che la presenza del reato di tortura nel codice penale avrebbe [...]  fatto la differenza: evitato la prescrizione, fatto emergere anche sul piano della sanzione la gravità degli atti commessi dai pubblici ufficiali [...].

All'esame dell'Aula della Camera vi è ora un testo che ha certamente qualche limite ma che rappresenterebbe, se fosse approvato anche dal Senato, un grande passo avanti [...].

L'auspicio è che il parlamento italiano voglia cogliere l'ennesimo appello, proveniente stavolta dal massimo organo di giustizia europeo, a fare presto e bene” - ha concluso Marchesi.

Roma, 7 aprile 2015

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(*) V. ad es. n. 208, "Incredibile: di nuovo la storia della tortura ripetuta!", n. 219 e nn. ivi citati.

 

 

3) CADONO A PIOGGIA LE TESTE IN ARABIA SAUDITA

 

Almeno 54 esecuzioni in Arabia Saudita quest'anno, spesso in pubblico, la metà per reati di droga.

 

Nel rapporto di Amnesty International sulla pena capitale appena uscito, l'Arabia Saudita viene citata tra i cinque paesi più forcaioli nel 2014, con almeno 90 esecuzioni nel corso dell'anno. Nei primi tre mesi di quest'anno sono vi sono state almeno 54 esecuzioni. Se il ritmo dovesse proseguire avremmo oltre 200 esecuzioni entro dicembre!

Il mondo ha visto con raccapriccio i filmati delle decapitazioni compiute dall'ISIS (*) in una situazione di assoluta illegalità, ma anche il filmato della feroce decapitazione di una donna saudita che si proclamava innocente e chiedeva pietà, che ha fatto il giro del mondo in gennaio (**).

L'Arabia Saudita, centro dell'islamismo 'moderato', si associa così nell'opinione pubblica allo Stato Islamico dell'Iraq e della Siria. L'incremento del ritmo delle esecuzioni, spesso portate a termine in pubblico, rafforza sempre più questa associazione.

Le autorità saudite sostengono fieramente la legalità delle condanne a morte, portate a termine, esse assicurano, in stretta osservanza delle tradizioni islamiche e della legge della Sharia dettata del profeta  Maometto. Ma Maometto non ha mai detto che bisognasse decapitare coloro che compiono reati di droga (circa la metà dei condannati a morte in Arabia Saudita sono trafficanti o detentori di droga). Per di più le condanne alla pena capitale qui vengono inflitte anche senza la dimostrazione della colpevolezza degli imputati 'al di là di ogni ragionevole dubbio' ma in base al convincimento del giudice.

Le autorità saudite criticano le 'interferenze' compiute dalle organizzazioni internazionali - che chiedono loro di abolire la pena di morte o quanto meno rendere più rigorosa la sua applicazione - quali attacchi all'Islam in quanto chiedono di rinunciare alla legge della Sharia.

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(*) Ricordiamo che ISIS sta per 'Stato Islamico dell'Iraq e della Siria'.

(**) V. n. 220, "Orrore in Arabia Saudita".

 

 

4) IN ARABIA SAUDITA IL BLOGGER RAIF BADAWI È TUTTORA IN PERICOLO

 

Il blogger Raif Badawi deve ancora ricevere 950 frustate, nessuno ha cancellato la sua condanna.

 

A fine aprile Amnesty International ha rilanciato la mobilitazione in favore di Raif Badawi, il blogger saudita arrestato nel 2012. Ricordiamo che Badawi è stato condannato un anno fa a 1000 fru­state - da somministrarsi in pacchetti da 50 - a 10 anni di carcere e ad una forte ammenda per aver innescato un dibattito in Internet su questioni religiose, sociali e politiche.

La forte mobilitazione mondiale in favore di Badawi ha fatto sì che il ciclo di 50 frustate a settimana si arrestasse dopo la prima somministrazione (*). Amnesty teme però che la punizione com­minata al blogger possa riprendere il suo allucinante ritmo qualora si attenui l'attenzione sul suo caso. Per di più vi è il rischio che Raif Badawi venga anche riprocessato per apostasia, delitto per il quale in Arabia Saudita è prevista la pena di morte. In ogni caso la preoccupazione della comunità internazionale per Badawi non potrà cessare fintanto che egli non  sarà messo in libertà essendo stato imprigionato per reati di opinione.

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(*) V. n. 220

 

 

5) ESPLOSIONE DI ESECUZIONI IN PAKISTAN

Con sorpresa e raccapriccio il mondo vede il Pakistan salire ai vertici delle graduatorie che elencano i paesi con più esecuzioni. Eppure in quel paese fino all'anno scorso anno era in atto una moratoria.

Il 28 Aprile Amnesty International ha emesso un durissimo comunicato denunciando le 100 esecuzioni compiute nel paese a partire dal 17 dicembre scorso, quando, all'indomani del terribile atten­tato terroristico contro una scuola di Peshawar (*), fu sospesa la moratoria in atto nel paese.

“Le autorità pakistane stanno mostrando un completo disprezzo per la vita umana. In più, in molti casi, le condanne a morte sono state emesse al termine di processi irregolari. Questa catena della morte non serve a niente per affrontare alla radice le cause della criminalità e del terrorismo” – ha dichiarato David Griffiths, vicedirettore del programma Asia e Pacifico di Amnesty International.
“Le esecuzioni sono diventate ormai quasi quotidiane. Se il governo non ripristinerà la moratoria, non abbiamo idea di quante saranno alla fine dell’anno” – ha aggiunto Griffiths.

É triste che il paese di Benazir Bhutto, Shahbaz Bhatti, Salman Taseer, di Aasia Bibi, di Malala, di Asif Ali Zardari, un paese sempre in bilico tra modernità e integralismo, stia subendo questa involuzione.

Le impiccagioni che si susseguono da quattro mesi e mezzo nelle carceri di Karachi, Multan, Jhang, Gujranwala, Mianwali, Faisalad e Rawalpindi... riguardano persone accusate dei delitti più vari, non esclusiva­mente 'terroristi' come si era stabilito in un primo tempo per non allarmare l'opinione pubblica interna­zionale.

Dal momento che i condannati a morte in Pakistan sono ben 8.000, pari al 10% della popolazione carceraria, la strage potrebbe ulteriormente aggravarsi.

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(*) V. n. 219, Notiziario, n. 220

 

 

6) AMNESTY: IL PAKISTANO SHAFQAT HUSSAIN NEL 2004 AVEVA SOLO 14 ANNI

 

Per Amnesty International e le NGO un condannato a morte in Pakistan aveva 14 anni all'epoca del reato, nel 2004. Secondo la stampa locale, e i registri ufficiali, egli  aveva invece ben 23 anni...

 

Tra marzo e aprile si sono susseguite notizie sull'incombente esecuzione di Shafqat Hussain in Pakistan. Secondo la maggioranza delle fonti - tra cui Amnesty International - egli fu arrestato e condannato alla pena capitale da una 'corte antiterrorismo' nel 2004, quando aveva 14 anni di età (*), con l'accusa di aver rapito un bambino di 7 anni per ottenere un riscatto, e di averne causato involontariamente la morte.

Shafqat era immigrato a Karachi dal Kashmir un anno prima, era poverissimo, settimo di 7 fratelli, semianalfabeta. Secondo il suo avvocato difensore confessò dopo essere stato crudelmente torturato per 9 giorni.

La sua esecuzione, prevista per il 19 marzo, il 18 marzo è stata sospesa prima per 3 poi per 30 giorni dal presidente del Pakistan Mamnoon Hussain. Ciò probabilmente a causa del gran numero di appelli alla clemenza provenienti dal Pakistan e dall'estero, tra cui quello di Fatima Bhutto, nipote di Benazir, che ha scritto sul New York Times il 17 marzo (**): "Shafqat Hussain ha passato 11 anni nel braccio della morte con accuse che non hanno nulla a che fare col terrorismo. Non era un militante; lavorava [...] a Karachi facendole pulizie in un condominio. Non minaccia la sicurezza nazio­nale in nessun modo."

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 (*) L'importante giornale pakistano The News sostiene invece che Shafqat Hussain aveva ben 23 anni al momento dell'arresto e, il 22 marzo, scrive: "L'accertamento iniziale del Ministero degli Interni sull'età del detenuto smentisce le proteste di alcune NGO [Organizzazioni Non Governative] e della società civile che egli era un minorenne quando uccise un bambino di 7 anni nel 2004. Non solo i registri carcerari e della polizia confermano che il killer aveva 23 anni nel 2004, ma le ultime foto ottenute dal Ministero degli Interni mostrano che egli ha ora ha più di 30 anni."  V. http://www.thenews.com.pk/Todays-News-13-36551-Lies-about-Shafqat-case-being-exposed

 

(**)  http://www.nytimes.com/2015/03/18/opinion/fatima-bhutto-pakistan-dont-execute-shafqat-hussain.html

 

 

7) UN NUMERO ENORME E IN CRESCENDO DI ESECUZIONI IN IRAN

Con ineffabile orrore il mondo assiste al moltiplicarsi delle impiccagioni lente in Iran.

 

"43 esecuzioni in 3 giorni.  Tra le 6 esecuzioni compiute mercoledì [15 aprile] vi sono quella di un minorenne all'epoca del crimine e un'esecuzione pubblica ...

"Secondo le fonti di IHR (*) 5 prigionieri sono stati impiccati nel carcere Rajaishahr di Karaj (a ovest di Tehran), nelle prime ore del mattino del 15 aprile ...

"Prima delle esecuzioni di mercoledì, 37 prigionieri sono stati messi a morte nelle carceri Rajaishahr e Ghezelhesar di Karaj lundì 13 e martedì 14 aprile ...

"26 esecuzioni nella prigione di Rajaishahr: 17 prigionieri sono stati  messi in isolamento sabato 11 aprile. Essi sono stati impiccati 2 giorni dopo, lunedì 13 aprile ... Tutti questi erano stati trasferiti dal carcere di Ghezelhesar in seguito ad un rivolta scoppiata l'anno scorso. Altri 9 prigionieri sono stati posti in isolamento domenica 12 aprile e messi a morte martedì 14 ...

"In coincidenza con le esecuzioni di massa nella prigioni di Ghezelhesar a Karaj e in altre città, l'inumano regime dei mullah ha mandato altri 16 prigionieri sul patibolo a Mashhad e Birjand (nell'Iran orientale). 12 di essi sono stati impiccati insieme nel carcere Vakilabad di Mashhad il 16 aprile,  altri 4 sono stati giustiziati nella prigione di Birjand il giorno seguente. Così il numero delle esecuzioni tra il 12 e il 18 aprile è stato di 81: in media 12 esecuzioni al giorno ...

"Dopo l'ondata di esecuzioni in varie città dell'Iran, l'inumano regime clericale ha mandato altri 30 prigionieri sulla forca tra il 22 aprile e il 26 aprile. 9 prigionieri sono stati impiccati assieme il 22 aprile nel carcere Vakil Abad di Shiraz. Il 23 aprile sono stati messi  a morte altri 16 prigionieri a Bandar Abbas, Kerman e Jiroft. Il 25 e il 26 aprile, 3 prigionieri del carcere di Rasht e altri 2 prigionieri sono stati giustiziati nelle città di Zanjan and Abhar ...

 Impiccagione lenta a Darab in Iran, 4 marzo 2015(NCRI Iran News)

Chi si occupa di pena capitale riceve ogni giorno notizie sullo stillicidio di esecuzioni capitali che avvengono in Iran: si tratta per lo più di cifre, di nomi geografici... Più raramente arrivano articoli e foto che mostrano la particolare crudeltà delle impiccagioni 'lente' che avvengono, a volte anche in pubblico, in quel paese.

Come abbiamo ripetutamente sottolineato, ormai l'Iran ha superato largamente la Cina per numero di esecuzioni pro capite, un numero in netta crescita.  Dal rapporto pubblicato il 13 marzo da Iran Human Rights (IHR) e Ensemble Contre la Peine de Mort (ECPM) risulta che più di 1193 persone sono state messe  morte in Iran dopo l'elezione, a giugno del 2013, del presidente Rouhani, il 'moderato' che aveva suscitato molte speranze. È come se negli Stati Uniti venissero messe a morte 5.000 persone ogni anno (invece di alcune decine).

Le associazioni iraniane per i diritti umani moltiplicano i loro comunicati come se chiedessero aiuto, sentendosi sempre più isolate nella battaglia che compiono, dall'estero, sul proprio paese.

(NCRI Iran News)

Sembra, purtroppo, che la pressione mondiale sull'Iran riguardo la pena di morte ultimamente si sia affievolita per il mutare delle relazioni internazionali del paese mediorientale (riguardo alla 'lotta al terrorismo', al controllo della produzione di armi nucleari... )

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(*) IHR sta per Iran Human Rights (Diritti Umani in Iran).

 

 

8) DZHOKHAR TSARNAEV GIUDICATO COLPEVOLE DI REATO CAPITALE

 

L'8 aprile si è conclusa la prima fase del processo capitale contro Dzhokhar Tsarnaev, il giovane musulmano di origine cecena, autore, insieme al fratello maggiore Tamerlan, dell'atten­tato dinamitardo alla Maratona di Boston del 15 aprile 2013, cui conseguirono 4 decessi (1) e 260 ferimenti (2).

Il processo era cominciato il 4 marzo, dopo due mesi di lavoro per selezionare, tra i potenziali giu­rati, 12 giurati (più 6 riserve), che andassero bene sia all'accusa che alla difesa.

Come era prevedibile, e come era dato per scontato anche dalla difesa, il lungo, complesso e spettacolare processo è sfociato in  una sentenza di colpevolezza: Dzhokhar Tsarnaev è colpevole di cospirazione per l'uso di armi di distruzione di massa.

In una successiva e separata fase del giudizio, la giuria dovrà scegliere per l'imputato tra pena di morte e carcere a vita. Infatti, anche se in Massachusetts non esiste la pena di morte, il procedimento contro Dzhokhar Tsarnaev è un processo federale e nella giurisdizione federale la pena di morte è prevista (anche se poco applicata).

La difesa ha solo argomentato che il 19-enne Dzohkhar fu manipolato dal fratello più grande.      

Nessuno dei 4 testimoni chiamati dalla difesa (3) ha affermato che egli è innocente. L'avvocato difensore, signora Judy Clarke, nella sua arringa finale ha detto: "Non vi chiediamo di andarci leggeri con Dzhokhar, le sue azioni devono essere condannate. E il momento per farlo è questo."

L'obiettivo della difesa è di ottenere, nella seconda fase del processo, una condanna all'ergastolo invece che alla pena capitale.

L'accusa ha descritto l'imputato come un credente nella causa della guerra santa (jihad) per vendicare le offese degli Stati Uniti nei riguardi dei Musulmani. "L'intenzione era di rendere l'attentato il più possibile eclatante", ha detto l'accusatore William Weinreb.

Torneremo sul processo a Dzhokhar Tsarnaev nel  prossimo numero - quando si saprà anche l'esito della seconda fase del giudizio nei suoi confronti - perché l'argomento merita una trattazione per quanto possibile completa ed approfondita, e induce ad una riflessione sul senso delle imprese 'terroristiche' fine a se stesse compite individualmente senza obiettivi specifici e al di fuori di una qualche strategia complessiva.

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(1) A tali decessi occorre aggiungere la morte di Tamerlan, ucciso tre giorni dopo dalla polizia.

(2) V. n. 206.

(3) L'accusa ha chiamato 92 testimoni, escussi in 15 giorni di udienze.

 

 

9) UDIENZA DELLA CORTE SUPREMA USA SULL'INIEZIONE LETALE

 

Non è facile capire come e perché la Corte Suprema degli Stati Uniti il 29 aprile sia arrivata a discutere della liceità costituzionale del metodo dell'iniezione letale. Forse nella seconda metà di giungo arriverà la sentenza che dovrebbe chiarire il tutto.

 

Il  29 aprile la Corte Suprema degli Sati Uniti ha tenuto un'udienza per valutare gli argomenti pro e conto l'esecuzione di Richard Glossip (ed altri due detenuti) con la discussa procedura dell'iniezione letale vigente in Oklahoma.

Da un acceso dibattito si è ricavata l'impressione cha la massima corte degli Stati Uniti sia all'incirca divisa a metà, tra coloro che approvano e coloro che bocciamo il metodo per uccidere che pre­vede la somministrazione del midazolam, farmaco usato per la prima volta nell'esecuzione 'fallita' di Clayton Lockett nel 2014 (1).

Ricordiamo che nell'appello Glossip v. Gross, i ricorrenti, tutti dell'Oklahoma, affermano che il  midazolam, usato al posto di altre sostanze non più facilmente reperibili, "non è in grado di produrre una incoscienza profonda equivalente al coma" che assicuri che il detenuto non provi "un'intensa e inutile sofferenza" durante l'iniezione della sostanza paralizzante e della sostanza  che ferma il cuore. Lo stato dell'Oklahoma, per contro, sostiene che l'uso del midazolam è 'umano' ed efficace.

Il fatto che la Corte Suprema sia arrivata a discutere il ricorso Glossip v. Gross ha del miracoloso, essendo conseguito dall'iniziativa di 4 soli giudici su 9, ma è impensabile che la massima corte abbia l'ardire di mettere in crisi il metodo dell'iniezione letale comunque realizzata (2).

Dale Baich, uno degli avvocati dei ricorrenti, ha affermato: "Questo caso è assai limitato. Stiamo semplicemente chiedendo che la Corte Suprema USA affermi che non si può usare il midazolam come parte nel protocollo dell'iniezione letale." Se avremo successo "non significherà che non si potrà usare l'iniezione letale. L'Oklahoma potrà acquistare del pentobarbital. Dopo che è stata ordinata la sospensione nel nostro caso, il Texas, il Missouri e la Georgia hanno fatto esecuzioni con il pentobarbital."

Dale Baich ha ragione. E si è espresso molto opportunamente, tranquillizzando i settori più forcaioli. La discussione ritarda comunque l'esecuzione dei ricorrenti e... finché c'è vita c'è speranza!

Si prevede che la decisione della Corte Suprema sul caso Glossip v. Gross non arriverà prima di metà giugno. Tale decisione avrà un immediato affetto sulla Florida, che si trova nella stessa condizione dell'Oklahoma e nel quale le esecuzioni sono state sospese dalla massima corte statale (3).

Frattanto gli stati forcaioli stanno cercando di mettere a punto, e di far approvare dai rispettivi parlamenti,  metodi di esecuzione alternativi all'iniezione letale: asfissia in un'atmosfera composta di solo azoto (4), fucilazione...

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(1) V. n. 214.

(2) V. n. 220.

(3) In Florida è inoltre in discussione lo statuto dei processi capitali: solo in questo stato una giuria può emettere una sentenza capitale a maggioranza semplice (con 7 voti su 12). Alcuni detenuti condannati a morte a maggioranza potrebbero salvarsi.

(4) V. Notiziario.

 

 

10) FORTEMENTE CONTESTATA LA MORATORIA IN PENNSYLVANIA

 

Gli accusatori della Pennsylvania si sono opposti frontalmente alla decisione del nuovo governatore Tom Wolf di indire una moratoria delle esecuzioni, annunciata il 13 febbraio u. s. (*). Ad essi si sono aggiunti molti parlamentari e alcuni familiari delle vittime del crimine.

Il 3 marzo l'accusatore distrettuale di Philadelphia Seth Williams ha chiesto alla Corte Suprema della Pennsylvania di valutare la liceità della moratoria.

La massima Corte dello stato si è riservata tutto il tempo per approfondire la questione, per decidere se può pronunciarsi in merito ed eventualmente pronunciarsi in merito. (**).

Una risoluzione non vincolante contro la moratoria è stata approvata dalla Camera dei Rappresentanti il 4 marzo. "Il Governatore si è messo dalla parte di alcuni dei peggiori criminali della Pennsylvania e contro le loro vittime", ha dichiarato il deputato  Mike Vereb, sponsor della risoluzione.

Il 1° aprile  l'Associazione degli Accusatori Distrettuali ha presentato un documento amicus curiae alla Corte suprema spiegando che il Governatore non ha capito il significato del proprio potere di reprieve, cioè di sospendere un'esecuzione, ed asserendo che tale potere è limitato a fermare una particolare esecuzione, per un certo periodo e per un ben preciso motivo inerente il caso di colui che viene temporaneamente risparmiato.

Ricordiamo che Wolf intende mantenere la moratoria fintanto che la Commissione senatoriale sulla pena di morte non avrà concluso il suo studio. Tale commissione, che doveva pronunciarsi entro il 2013, ha chiesto varie proroghe - data la complessità del tema affidatole - e si pronuncerà probabilmente nel 2016.

In questo frangente, un serio sondaggio condotto tra i cittadini della  Pennsylvania, rivela che la maggioranza (50%) è a favore della decisione del governatore, con il 44% di oppositori e il 5% di incerti.

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(*)  V. n. 220.

(**) A noi non sembra possibile che tale Corte si pronunci contro il Governatore aprendo un baratro tra il potere giudiziario della Pennsylvania e il potere esecutivo. In altri stati le moratorie governatoriali, pur essendo state contestate, non sono mai state annullate dal potere giudiziario.

 

 

11) SALVA PER IL MOMENTO IN INDONESIA MARY JANE VELOSO

 

Di 9 condannati a morte per reati di droga in Indonesia, si è salvata, almeno per ora, l'unica donna, Mary Jane Veloso. Forse a causa della forte mobilitazione internazionale in suo favore.

 

Il 22 aprile scorso il governo indonesiano ha fucilato otto trafficanti di droga. Di questi uno soltanto era cittadino indonesiano. Gli altri erano due australiani, un brasiliano, tre nigeriani e un ghaniano. Le esecuzioni sono state portate a termine sfidando gli appelli della comunità internazionale che chiedeva la grazia per i condannati.

Le autorità hanno precisato che "dopo le esecuzioni sono state recitate preghiere per ognuno degli uccisi, in accordo con le rispettive religioni. Le esecuzioni sono andate bene, senza alcuna irregolarità", e dopo aver ascoltato gli ultimi desideri di tutti e 8 i condannati.

In un comunicato stampa del 24 aprile Amnesty International ha definito le esecuzioni riprovevoli e lesive delle più elementari garanzie sui diritti umani. Rupert Abbott, ricercatore di Amnesty International per l'Asia sud-orientale e il Pacifico, ha dichiarato che sono stati violati i diritti basilari dei condannanti stranieri e addirittura uno di loro è stato messo a morte nonostante fosse gravemente malato di mente: “Al momento dell’arresto e nelle prime fasi del procedimento alcuni dei prigionieri non hanno avuto assistenza legale e linguistica adeguata, in violazione del loro diritto a un processo equo. A una delle persone messe a morte, Rodrigo Gularte, era stata diagnosticata una schizofrenia paranoide. Il diritto internazionale vieta espressamente l’uso della pena di morte nei confronti di persone con disabilità mentale. È inoltre preoccupante il fatto che sia stata usata la pena capitale nei confronti di persone condannate per traffico di droga, crimini che per il diritto internazionale non fanno parte dei ‘reati più gravi’, per i quali la pena di morte può essere imposta”, ha concluso Abbott.

Il presidente indonesiano Joko Widodo ha risposto con durezza alle richieste della comunità internazionale di risparmiare i condannati, affermando che gli altri Paesi dovrebbero rispettare la deci­sione dell’Indonesia di condannare a morte i trafficanti di droga. “Noi osserviamo la nostra Costitu­zione. La legge permette le esecuzioni”, ha dichiarato Widodo.

C’è però un caso ancora è in sospeso: si tratta della condanna a morte della cittadina filippina Mary Jane Veloso, arrestata nel 2010, a Yogjakarta, mentre era in possesso di 2,6 chilogrammi di eroina. Una poderosa campagna internazione in favore della Veloso - madre di due bambini e lavoratrice domestica sottoposta ad abusi - ha suscitato nei suoi confronti la simpatia del pubblico indo­nesiano. Anche la Veloso doveva essere fucilata insieme agli altri otto condannati, ma la sua sen­tenza è stata quasi miracolosamente sospesa, probabilmente perché all’ultimo momento si è costi­tuita alla polizia filippina la sua mandante, certa Maria Cristina Sergio. La Veloso aveva dichiarato nel corso del suo processo di essere innocente e di essere stata incastrata dalla mandante. La Sergio ha confermato alla polizia filippina le dichiarazioni della Veloso.

L’ambasciata delle Filippine a Giacarta sta attivandosi per un secondo appello in favore della Veloso, dopo che il primo è stato respinto. Il presidente Widodo ha dichiarato: “Sì, se vogliono una revisione del caso giudiziario, facciano pure. Noi rispettiamo le procedure legali. L’Indonesia segue le regole”.

La posizione della Veloso è davvero di precario equilibrio. Il presidente non sembra certo incline a concedere la grazia. D’altra parte, la confessione e la conseguente probabile incriminazione nelle Filippine della sua mandante, nonché la fortissima pressione da parte del governo filippino e della comunità internazionale, potrebbero indurre l’amministrazione indonesiana alla clemenza, soprattutto per non incrinare i rapporti del'Indonesia con il resto del mondo.

Nel 2015 l’Indonesia ha già messo a morte 14 prigionieri e il governo ha preannunciato ulteriori esecuzioni entro dicembre.  (Grazia)

 

 

12) COME L'INDONESIA ESEGUE LA PENA DI MORTE: REGOLE DELL'ESECUZIONE

 

In prossimità dell'esecuzione dei due Australiani, e dei cittadini del Brasile, della Francia, del Gana, delle Filippine e della Nigeria, l'Indonesia ha reso note le seguenti  regole secondo le quali essi sono stati uccisi.

 

  • Al condannato deve essere notificata l'esecuzione con 72 ora di anticipo. Questi nell'attesa deve essere detenuto una cella speciale.

  • Se il condannato vuol dire qualcosa, la dichiarazione o il messaggio deve essere ricevuto dall'accusatore.

  • Se la condannata è incinta, l'esecuzione avverrà dopo 40 giorni dal parto.

  • L'avvocato difensore può presenziare all'esecuzione. L'esecuzione non avviene in pubblico ed è portata a termine in modo il più possibile dimesso a meno che il Presidente non  disponga altrimenti.

  • Il capo della polizia locale forma la squadra che eseguirà la fucilazione, consistente in un sot­tufficiale e dodici soldati, sotto il comando di un ufficiale.

  • Il condannato può essere accompagnato da un consigliere spirituale.

  • Il condannato deve essere vestito modestamente.

  • Il comandante lo benda con un pezzo di stoffa, a meno che questi  non gli chieda di non farlo.

  • Il condannato può stare in piedi, seduto o in ginocchio

  • Se necessario le sue mani o i suoi piedi verranno legati ad un  palo.

  • Vi saranno da 5 a 10 metri tra il condannato e la squadra che sparerà.

  • Si sa che nelle precedenti esecuzioni vi erano 12 uomini a sparare, - con 3 di essi muniti di fu­cili caricati con pallottole vere - mirando ad un bersaglio posto in corrispondenza del cuore del condannato.

  • Usando la spada per dare gli ordini, il comandante ordinerà "pronti" alzando la spada e ordinando di sparare al cuore. Abbassando la spada rapidamente, egli ordinerà "sparate".

  • Se il condannato non muore verrà ordinato al  sottufficiale di sparare con la sua pistola nella te­sta del condannato, sopra l'orecchio.

  • Un medico confermerà la morte, verrà preparato un rapporto dell'esecuzione.

  • Il corpo verrà consegnato ai familiari o agli amici del condannato, o allo stato, rispettando le convinzioni religiose.                                                                                                 (ripreso dal Guardian)

 

 

13) GIOVANNI LO PORTO, COOPERANTE ITALIANO, UCCISO DA UN DRONE USA

 

Il cooperante italiano Giovanni Lo Porto è stato ucciso il 15 gennaio di quest'anno insieme al cittadino americano Warren Weinstein, nel corso di un’operazione 'antiterrorismo', condotta dagli Stati Uniti con l’uso dei droni, al confine tra Afghanistan e Pakistan.

Sembra che il Presidente Barack Obama - che il 23 aprile ha espresso il suo profondo rammarico per l'accaduto -  sapesse da tempo che i due 'buoni' erano stati eliminati insieme a 4 cattivi militanti di al Qaeda, che li avevano rapiti e li tenevano prigionieri. Sembra che le doverose scuse siano arrivate poco prima che la tragica notizia diventasse di dominio pubblico.

Gianni Ruffini, direttore di Amnesty International Italia, in un comunicato del 24 aprile, ha dichiarato che commettono un crimine di guerra i gruppi armati che catturano e tengono in ostaggio civili, specie se si tratta di cooperanti che cercano di migliorare la vita delle comunità nelle quali si inseriscono. Ruffini ha aggiunto che il presidente Obama ha fatto bene ad assumersi la responsabilità della morte di Lo Porto e di Weinstein. Ed ha anche affermato: “Questo non basta. È necessario fare piena chiarezza sull’attacco che ha causato la morte di Lo Porto e Weinstein e prendere i neces­sari provvedimenti giudiziari.” (Ovviamente tale richiesta è destinata a rimanere inevasa).

Siamo pienamente d'accordo con Amnesty sul fatto che l'uso militare dei droni costituisca una grave minaccia per tutti, specie quando avviene in modo illegale e irresponsabile, come accade nelle azioni antiterrorismo da parte degli USA in Pakistan, in Afghanistan e Yemen. Questi attacchi provocano la morte di molti innocenti e in pratica conferiscono agli USA la licenza di uccidere senza controllo giudiziario.

A proposito dei cooperanti italiani, non possiamo non ricordare le ottuse critiche che in genere li accompagnano nelle loro generose e pericolose imprese, del tipo: "se lo sono cercato": basti ricordare i nomi di Simona Pari e Simona Torretta e di Greta Ramelli e Vanessa Marzullo. (Grazia)

 

 

14) USA, CONTINUE UCCISIONI DELLA POLIZIA

 

Si moltiplicano le notizie di uccisioni di uomini disarmati, soprattutto neri, da parte delle polizia. Gli esperti dicono che non sono granché aumentate tali uccisioni ma solo l'attenzione al riguardo.

 

"Se un poliziottospara a qualcuno e non si trova in immediato pericolo, deve chiamare un'ambulanza per aiutare la vittima, oppure soltanto altri poliziotti? La priorità non sarebbe quella di salvare una vita?", si domanda il New York Times in un articolo del 7 aprile che riferisce dell'uccisione del nero Walter Scott avvenuta due giorni prima in South Carolina.

Un video ripreso da un astante mostra il poliziotto bianco Michael T. Slager che prende accuratamente la mira e spara otto volte a Scott in fuga. Tutto ebbe inizio quando Slager fermò l'auto di Scott che aveva un fanalino rotto.

In tutti gli Stati Uniti si moltiplicano le notizie sui pestaggi e sulle uccisioni di persone disarmate da parte della polizia, soprattutto ai danni dei Neri. Nei 5 giorni successivi all'uccisione di Scott i giornali hanno riferito di episodi analoghi accaduti ad Atlanta in Georgia, ad Aurora in Colorado e a Madison in Wisconsin.

Quasi sempre i casi assurgono agli onori della cronaca solo perché ben documentati da foto o da video. 

Gli esperti avvertono che non c'è un apprezzabile aumento di tali episodi ma solo maggiore attenzione dei media al riguardo.

Comunque ciò favorisce la presa di coscienza del fenomeno da parte dell'opinione pubblica e stimola le autorità ad attivarsi per arginare il fenomeno.

Una task force costituita dalla Casa Bianca ha suggerito numerosi cambiamenti nelle politiche di gestione della polizia negli Stati Uniti e il Presidente Obama ha inviato il Ministro della Giustizia federale Eric Holder in varie città per tentare di migliorare i rapporti tra la polizia e le minoranze.

15) IMPORTANTI OSPITI IN CAMPIDOGLIO PER I 40 ANNI DI AMNESTY ITALIA

 

“È un onore per me ospitare, proprio qui in Campidoglio, il compleanno di Amnesty International Italia. Una splendida quarantenne, verrebbe da dire, perché mantiene l’entusiasmo delle origini, la straordinaria forza utopica che le ha permesso di condurre tante battaglie per il riconoscimento dei diritti umani in tutto il mondo.”.

Con queste parole il sindaco di Roma, Ignazio Marino, ha aperto nella sala della Protomoteca in Campidoglio la cerimonia celebrativa del 40-esimo anniversario della Sezione Italiana di Amnesty International.

Dopo Marino sono intervenuti il presidente del Senato Pietro Grasso, la presidente della Camera Laura Boldrini, il Ministro degli Esteri Paolo Gentiloni. 

Pietro Grasso ha riconosciuto ad Amnesty International, la cui candela accesa è simbolo di impegno e speranza, di aver contribuito a far diventare l'Italia un paese migliore, ponendo al centro della sua azione e delle sue richieste due principi fondamentali: uguaglianza e dignità.

Laura Boldrini ha ricordato il ruolo avuto da Amnesty International nel coinvolgimento dell'opinione pubblica italiana nell'affermazione dei concetti di cittadinanza e partecipazione. Ha ricono­sciuto che Amnesty International fa denunce serie, documentabili e certificate, e che ha una grande capacità nel diffondere i messaggi: è importante non solo lavorare bene, ma anche comunicare in maniera efficace, specialmente in un tempo in cui l'opinione pubblica è bersagliata da messaggi so­pra le righe.

Paolo Gentiloni ha espresso apprezzamento per l'azione di Amnesty International sulle principali emergenze dei diritti umani e ricordato come l'associazione abbia dato un importante contributo su numerosi temi alla Farnesina, primo tra tutti la pena di morte. Il ministro Gentiloni ha sottolineato come la sicurezza e la stabilità non possono essere raggiunte sacrificando i diritti umani, che sono un bene fondamentale.

Tutti i rappresentanti istituzionali intervenuti hanno manifestato l'esigenza che sia al più presto introdotto il reato di tortura nel nostro codice penale, obiettivo per cui Amnesty International Italia si batte da quasi da 26 anni.

Antonio Marchesi e Gianni Rufini, rispettivamente Presidente e Direttore della Sezione Italiana di Amnesty International, hanno ringraziato le cariche istituzionali per le loro parole.

"Un enorme stimolo per trovare la forza e le risorse necessarie per continuare a combattere battaglie non ancora vinte e per lanciare nuove sfide che riguardano ogni parte del mondo, compresa l'Italia" - ha dichiarato Antonio Marchesi.

"La crisi umanitaria in atto nel Mediterraneo è sotto i nostri occhi e richiede una risposta immediata, urgente e solida da parte dell'Unione europea: un'operazione di ricerca e soccorso in mare che almeno eguagli l'efficacia di Mare nostrum" - ha aggiunto Rufini.

Con un video-messaggio è intervenuta anche Ensaf Haidar, moglie del blogger Raif Badawi condannato a 10 anni di carcere e 1000 frustate in Arabia Saudita (*). 

Fondata nel 1975, Amnesty International Italia conta oltre 72.000 soci e sostenitori e 168 gruppi locali. L’organizzazione è impegnata in numerose campagne, tra cui “SOS Europa” per chiedere all’Unione europea l’adozione di politiche rispettose dei diritti umani di migranti e rifugiati.

Amnesty International Italia chiede inoltre al governo e al parlamento di dare attuazione all’Agenda in 10 punti per i diritti umani in Italia presentata dall’associazione all’inizio della Legislatura. Uno di tali punti è l'introduzione del reato di tortura nel nostro ordinamento.

Parzialmente sovrapposta alla 'celebrazione' dell'anniversario,  dal 17 al 19 aprile si è svolta a Roma la XXX Assemblea Generale dell'associazione.

Nel corso dell'Assemblea è stato confermato, come Presidente di Amnesty Italia, Antonio Marchesi. Ad Antonio, amico del Comitato Paul Rougeau negli anni e nei decenni, vanno i nostri più cari fervidi auguri.

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(*) V. articolo più sopra.

 

 

16) AMNESTY INTERNATIONAL SULLA PENA DI MORTE NEL 2014

 

Il rapporto sulla pena di morte nel mondo nel 2014 rileva due fenomeni in potenziale contrasto.

Da un lato, i paesi che hanno eseguito condanne a morte sono stati 22 - lo stesso numero del 2013.

La pena capitale resta un’eccezione ed è concentrata fondamentalmente in Medio Oriente e Asia: Iran, Iraq e Arabia Saudita con il 72% delle esecuzioni totali. Se fossero noti i dati della Cina, la percentuale salirebbe al 90%. Ma questo paese continua a mantenere il segreto di stato.

Dall’altro, le condanne a morte sono aumentate drasticamente: almeno 2466 a causa soprattutto di Egitto e Nigeria che hanno messo a morte nel tentativo, futile e di corto respiro, di contra­stare minacce a sicurezza, instabilità politica e terrorismo.

Le esecuzioni di cui Amnesty International è venuta a conoscenza, ovvero quelle rese note dalle autorità, sono state 607 - 22% in meno rispetto al 2013 - ad esclusione della Cina.

Il secondo paese al mondo per esecuzioni, l’Iran, ne ha ammesse solo 289, ma secondo fonti attendibili sarebbero 743, una media di due al giorno.

L’elenco dei cinque principali esecutori di condanne a morte si completa con l’Arabia Saudita (almeno 90 esecuzioni), l’Iraq (almeno 61) e gli Usa (35). Il Pakistan ha ripreso le esecuzioni dopo l’orribile attacco dei talebani contro una scuola di Peshawar.

L’uso della pena di morte è sempre più limitato nell’Africa subsahariana, dove solo tre stati (Guinea Equatoriale, Somalia e Sudan) hanno eseguito sentenze capitali.

Quanto all’Europa, la Bielorussia si conferma l’unico paese a eseguire condanne a morte con almeno tre fucilazioni, dopo 24 mesi senza esecuzioni. (*)

 

CONDANNE A MORTE NEL 2014: Afghanistan (12+), Algeria (16+), Bahrain (5), Bangladesh (142+), Barbados (2), Botswana (1), Cina (+), Congo (Repubblica del) (3+), Democratic Republic of Congo (DRC) (14+), Egitto (509+), Gambia (1+), Ghana (9), Guyana (1), India (64+), Indonesia (6), Iran (81+), Iraq (38+), Giappone (2), Giordania (5), Kenya (26+), Kuwait (7), Libano (11+), Lesotho (1+), Libia (1+), Malesia (38+), Maldive (2), Mali (6+), Mauritania (3), Marocco/Sahara occidentale (9), Myanmar (1+), Nigeria (659), Nord Corea (+), Pakistan (231), Qatar(2+), Arabia Saudita (44+), Sierra Leone (3), Singapore (3), Somalia (52+: 31+ dal Governo federale somalo; 11+ in Puntland; 10+ in Somaliland), Corea del Sud (1), Sud Sudan (+),Palestina (Stato di) (Hamas, autorità de facto a Gaza: 4+), Sri Lanka (61+), Sudan (14+), Taiwan (1), Tanzania (91), Tailandia (55+), Trinidad and Tobago (2+), Tunisia (2+), Uganda (1), Emirati Arabi Uniti (25), Stati Uniti d’America (72+), Vietnam (72+), Yemen (26+), Zambia (13+), Zimbabwe (10).            (*)

 

ESECUZIONI NEL 2014: Afghanistan (6), Bielorussia (3+), Cina (+), Egitto (15+), Guinea Equatoriale (9), Iran (289+), Iraq (61+), Giappone (3), Giordania (11), Malesia (2+), Nord Corea (+), Pakistan (7), Arabia Saudita (90+), Singapore (2), Somalia (14+ per il Governo federale della Somalia), Palestina (Stato di) (Hamas, autorità de facto in Gaza, 2+), Sudan (23+), Taiwan (5), Emirati Arabi Uniti (1), Usa (35), Vietnam (3+), Yemen (22+)  (*)

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(*) Riportiamo pari pari questi testi dal sito di Amnesty Italia. L'intero Rapporto Amnesty International sulla pena di morte nel 2014, di 76 pagine in PDF, può essere scaricato all'indirizzo: http://appelli.amnesty.it/pena-di-morte-2014/   cliccando su Scarica il rapporto in fondo alla pagina.

 

 

17) ECATOMBE DI MIGRANTI NEL MEDITERRANEO

 

Del tutto insufficiente fino ad ora il modo in cui l'Europa affronta il problema dei migranti che si avventurano nel Mediterraneo fuggendo da da violenze, guerre e persecuzioni.

 

Una stage senza precedenti si è verificata nel Mediterraneo  il 18 aprile. Un barcone con oltre 800 migranti è affondato nel canale di Sicilia: non si è salvato quasi nessuno.

Si ritiene che quest'anno siano morte in mare già 1700 persone, un numero 100 volte maggiore rispetto allo stesso periodo del 2014.

Una maggiore attenzione dell'Italia e dell'Europa e la messa a disposizione dei mezzi economici necessari, avrebbe potuto salvare moltissime vite. Altroché prendersela solo con gli 'scafisti'!

Amnesty International continua a dichiararsi insoddisfatta del modo con cui l'Europa fronteggia l'emergenza umanitaria creata dalle persone che fuggono da violenze, guerre e persecuzioni, e salgono su imbarcazioni insicure (*).

In un comunicato del 27 aprile Amnesty scrive:

"Amnesty International ha dichiarato che il viaggio di “solidarietà” di Ban Ki-moon, Segretario generale delle Nazioni Unite, e di Federica Mogherini, Alta rappresentante dell’Unione europea per gli affari esteri e le politiche di sicurezza nonché vicepresidente della Commissione europea, oggi a bordo della nave della Marina militare “San Giusto” insieme al primo ministro italiano Matteo Renzi, deve spingere i governi europei [...] a rivedere le politiche in materia d’asilo e immigrazione per poter arginare la crisi umanitaria in atto nel Mediterraneo.

"Il 26 aprile una delegazione di Amnesty International è rientrata dalla Sicilia, dove ha raccolto - sia sull’isola principale che a Lampedusa - le dirette, sconvolgenti testimonianze di sopravvissuti ai recenti naufragi e ha incontrato le autorità locali, le quali hanno espresso indignazione per il modesto impegno dei leader europei rispetto alle operazioni di ricerca e soccorso in mare.  [...]

"Nonostante l’impegno assunto il 23 aprile dall’Unione europea e dai suoi stati membri a dotare di maggiori mezzi e risorse finanziarie l’operazione Triton, restano preoccupazioni sulla sua area di competenza. Fino a quando Triton non coprirà l’area della precedente operazione italiana Mare nostrum, che si estendeva fino alle zone del Mediterraneo dove si verifica la maggior parte dei naufragi, ulteriori vite verranno perse in mare. "

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(*) Altre notizie e un esauriente rapporto sul tema dell'ecatombe dei migranti si possono trovare in: 

http://www.amnesty.it/Piano-azione-per-porre-fine-a-morti-di-rifugiati-e-migranti-nel-Mediterraneo  "Documento "L'Europa affonda nella vergogna. Il mancato soccorso di rifugiati e migranti in mare"  (PDF)

 

 

18) LA PRIMAVERA È QUI. È UN TEMPO DI RINASCITA

 

Fernando Eros Caro, nostro corrispondente dal braccio della morte della California, parla del potere di guarigione che hanno le 'splendide vedute' elargiteci da madre natura. Parla anche del libro con le sue lettere, che il Comitato Paul Rougeau si accinge a pubblicare; un primo libro con le sue lettere dal carcere, già pronto negli anni Novanta, non vide mai la luce...

                                                                                                                   San Quentin, 9 marzo 2015

La primavera è arrivata presto e sto godendola. Mi piace il clima caldo!

Verso la metà dagli anni ’90 ho cercato di far pubblicare un libro su un anno della mia vita nel braccio della morte. Doveva essere da gennaio 1995 a gennaio 1996, o forse da gennaio ’96 a gennaio ’97.  Era costituito da una serie di lettere che scrivevo settimanalmente a un amico. C’era an­che una mia fotografia: ero in piedi nella mia cella. Ovviamente ero più giovane di adesso! Non sono mai riuscito a farlo pubblicare. Ogni lettera descriveva la mia vita in quella settimana. Se non sbaglio, si trattava di 53 lettere. Era l’anno in cui fu compiuta la prima esecuzione nella camera a gas, dopo il 1975.

Il mio amico in Belgio ha una copia delle trascrizioni di queste lettere. I miei parenti hanno la seconda copia.

Sono d’accordo che tu aggiunga alcune delle tue lettere di risposta, nel libro. E’ logico! Dopotutto ci deve essere qualcuno a cui sto scrivendo e da cui ricevo risposte. Gli articoli e le lettere creano un qualche genere di reazione e i lettori del libro vedranno le due estremità di una corrispondenza. Buona idea!

Madre natura ci fornisce vedute splendide, che possono far sì che le persone riflettano e trovino pace nel loro cuore. Sicuramente, il loro animo si addolcirebbe, forse la loro rabbia non sarebbe così intensa e ci sarebbe meno odio. Le persone però devono avere gli “occhi” per vedere la bellezza del creato: l’odio e la paura possono accecare questi occhi in molti modi. Uomini, donne e bambini muoiono ogni giorno, in vari posti del mondo, a causa di una lealtà mal concepita e di credenze sbagliate!

La primavera è qui, è un tempo di rinascita. Un tempo di miracoli naturali, nonostante la violenza della specie più aggressiva del pianeta! Se solo potessimo imparare un’altra volta a fermarci e guardare l’erba che cresce! La contemplazione riporterebbe certo la nostra attenzione al vero significato della vita!

Trovate il tempo di riposare. Dovete, è importante, avere uno “ying” per ogni vostro “yang”! J

Uno abbraccio grande

Fernando

 

 

 

19) NOTIZIARIO

 

Armenia. A cento anni dal genocidio, ancora polemiche. Quando papa Francesco, il 13 aprile, in occasione del centenario dalla strage di un milione e mezzo di Armeni in Turchia, durante la Messa in san Pietro ha definito tale evento “il primo genocidio del ventesimo secolo”, il governo turco ha subito protestato richiamando il proprio l'ambasciatore presso il Vaticano. I Turchi si sono offesi e hanno contrattaccato affermando che mezzo milione di Armeni non fu deportato e sterminato ma perì quando insorse contro i governanti Ottomani al tempo della prima guerra mondiale. Il termine “genocidio”, però, coniato alla fine della seconda guerra mondiale (per indicare lo sterminio degli appartenenti ad una razza o a un gruppo umano, ad esempio ad opera del nazismo e dello stalinismo), è proprio quello giusto da usare anche nel caso degli Armeni.

Il risentimento turco, a così tanto tempo dai fatti (ormai scivolati nel'ambito della storia) è abbastanza ridicolo. Nonostante ciò alcune personalità di spicco (incluso il nostro capo di governo Matteo Renzi) si sono adeguate al divieto imposto dalla Turchia pensando di agire saggiamente a livello geopolitico. Il 24 aprile a Erevan - alla commemorazione ufficiale del centenario dell'inizio del genocidio - c'erano Hollande e Putin ma non Renzi. Non ha voluto parlar di genocidio Renzi ma non lo ha voluto fare neanche Barack Obama che non ha onorato la promessa, fatta  nel  2008 quando era in campagna elettorale, di riconoscere il genocidio armeno.

 

Kenya. L'attacco di al-Shabab ad un college universitario ha fatto 148 morti. Il Garissa University College, parte dell’Università Moi, si trova nel nord del Kenya, in un’area remota dalla capitale Nairobi, assai vulnerabile agli attacchi delle milizie  integraliste islamiche di al-Shabab. Il 30 aprile quattro uomini armati mascherati hanno attaccato il college. Per dare un'idea del terrore provato dagli universitari basti dire che Cynthia Cheroitich, una studentessa di 19 anni, è stata trovata, dopo 50 ore dall'attacco, nascosta sotto una pila di coperte, ed i soccorritori hanno dovuto fati­care per convincerla che quelli che vedeva erano soldati kenioti e non miliziani di al-Shabab. Il bi­lancio dell'attacco è di 148 morti (un conteggio preciso delle vittime è stato fatto con qualche giorno di ritardo). Le forze speciali del Kenya, pur viaggiando su elicotteri, sono arrivate sul posto del massacro con oltre 7 ore di ritardo, precedute da giornalisti che vi erano giunti in macchina. I 4 at­tentatori sono stati tutti ammazzati, i loro corpi dileggiati. Il presidente del Kenya, Uhuru Kenyatta, ha riposto ad una raffica di critiche - provenienti anche di Amnesty International - ordinando alla propria aviazione di compiere dei bombardamenti in Somalia.

 

Oklahoma. Saranno possibili esecuzioni mediante azoto. Il 17 aprile la Governatrice repubbli­cana dell'Oklahoma, Mary Fallin, ha firmato, rendendola operativa, la legge che prevede l'uso dell'azoto per eseguire le condanne a morte qualora divenga impossibile procurarsi i farmaci per l'iniezione letale o la Corte Suprema USA bocci la versione del metodo dell'iniezione letale adottata in Oklahoma (V. sopra: "Udienza della Corte Suprema..."). La legge era stata preventivamante approvata alla Camera e al Senato con maggioranze schiaccianti. Il condannato sarà chiuso in una camera, o gli verrà applicata una maschera, nella quale sarà erogato azoto puro senza l'ossigeno necessario per la vita. Il promotori del metodo sostengono che il condannato si addormenterà pacificamente e per sempre entro pochi minuti. Naturalmente si discutono i pro e contro dell'uso dell'a­zoto.  "L'ipossia indotta dall'azoto è una forma indolore di esecuzione che non richiede nessun far­maco né personale sanitario per essere applicato" ha dichiarato il Deputato repubblicano Mike Christian promotore della legge. "È un'alternativa assai migliore della sedia elettrica caso mai l'iniezione letale diventi impraticabile, e quindi ringrazio la Governatrice di aver firmato la legge." L'ex poliziotto Mike Christian, preso dall'entusiasmo, ha ipotizzato che il metodo dell'azoto possa essere adottato da altri stati come metodo del futuro. In precedenza Richard Dieter, direttore esecutivo dell'autorevole Death Penalty Information Center di Washington D. C., aveva osservato: "Si speri­menterà su una vita umana ... perciò lo standard da raggiungere dovrebbe essere più elevato del fatto che una o due persone dicano: "Penso che funzionerà."  Da notare: Non si è mai sentito parlare di uccisioni con l'azoto, il gas che costituisce il 78 % in volume dell'aria che respiriamo.

 

Texas. Ancora sull'innocenza di Todd Willingham 'giustiziato' nel 2004. Lo State Bar of Texas (Ordine degli avvocati del Texas) ha avanzato un'accusa formale contro John H. Jackson, il procuratore che ottenne la condanna a morte di Cameron Todd Willingham, 'giustiziato'  nel 2004 con l'accusa di aver dato fuoco alla propria casa allo scopo di uccidere le sue tre figliolette. Il 5 marzo, al termine di un'inchiesta cominciata nell'estate scorsa, l'Ordine degli avvocati ha inoltrato una ri­chiesta di provvedimento disciplinare nei riguardi di Jackson alla Corte Distrettuale di Navarro per ostruzione alla giustizia mediante dichiarazioni false e l'occultamento di prove. "Prima, durante e dopo il processo del 1992, Jackson sapeva dell'esistenza di prove che tendevano ad escludere la colpevolezza di Willingham e mancò di mettere al corrente di tali prove i suoi difensori", argomenta l'Ordine degli avvocati. John H. Jackson viene accusato di aver manipolato un informatore dete­nuto,  Johnny E. Webb, per farlo testimoniare che Willingham gli aveva confessato la propria col­pevolezza in carcere. Webb ha recentemente dichiarato che Jackson lo aveva costretto a mentire, minacciandolo di farlo condannare ad una pesantissima pena detentiva e assicurandogli un sollecito ritorno in libertà qualora avesse testimoniato il falso. Ricordiamo che l'establishment del Taxas - con in testa  Greg Abbott, Attorney General (Ministro della giustizia)  ora Governatore, e Rick Perry (allora Governatore) - ha fatto di tutto nell'ultimo decennio per evitare la riabilitazione di Willingham (v.  n. 189, 191, e nn. ivi citati).

 

USA. I test di comparazione dei capelli eseguiti dell'FBI erano diffusissimi e inaffidabili. Il 20 aprile l'FBI (Ufficio Federale di Investigazione) ha ammesso la fallacia dei test di comparazione di capelli al microscopio. Dei test, effettuati dall'FBI, si fece larghissimo uso nei decenni precedenti l'avvento dei test del DNA. Il 95% dei test vennero utilizzati dall'accusa per ottenere le condanne degli imputati, anche di reati capitali. Ora si stanno man mano rivedendo i casi probabilmente compromessi da tali test, ovviamente con l'esclusione di quelli relativi ai soggetti giustiziati o morti in carcere. Il Washington Post ha scritto che i risultati dell'indagine hanno confermato la fondatezza dei sospetti che da tempo aleggiavano intorno alle prove forensi basate sulla comparazione dei capelli e dei segni lasciati dai morsi, prove "che hanno contribuito ad errate condanne in un quarto dei 329 casi in cui si è arrivati all'esonerazione mediante i test del DNA dal 1989 in poi".

 

USA. "Lei ha il diritto di rimanere in silenzio..."  Nei film americani la polizia al momento dell'arresto dice ad alta voce all'arrestato: "Lei ha il diritto di rimanere in silenzio. Qualsiasi cosa dirà potrà essere usata contro di lei in tribunale. Ha diritto a un avvocato durante l'interrogatorio. Se non può permettersi un avvocato, gliene sarà assegnato uno d'ufficio". Si tratta delle 'avvertenze Miranda' (Miranda Warnings), un diritto costituzionale di ogni cittadino.  Nella pratica, però, la polizia riesce spesso ad aggirare i Miranda Warnings. Infatti ci sono due prerequisiti basilari per poter godere di tale diritto, che ogni buon americano dovrebbe tenere sempre presenti (specie se delin­quente): 1)  il sospetto deve essere stato arrestato, e 2) il sospetto è sotto interrogazione. Ciò è im­portantissimo perché se non sei formalmente in arresto, o non sei sotto interrogatorio (ma ad esem­pio stai chiacchierando con la polizia), la polizia potrà usare qualsiasi cosa tu dica come prova con­tro di te senza aver recitato neanche una parola dei Miranda.

 

Vaticano. Un altro intervento di papa Francesco contro la pena di morte. Il 20 marzo, in occasione della visita di tre rappresentanti della Commissione Internazionale Contro la Pena di Morte, il Papa ha aggiunto un altro importante intervento contro la pena di morte e l'ergastolo. La lettera con­segnata da Francesco a Federico Mayor, Presidente della Commissione Internazionale Contro la Pena di Morte, rivela che il Papa è perfet­tamente aggiornato sulla situazione attuale e condivide le migliori  argomentazioni degli abolizioni­sti. Non abbiamo trovato il testo del discorso in italiano ma solo questa traduzione inglese dell'ori­ginale in spagnolo:

http://www.zenit.org/en/articles/pope-s-letter-to-international-commission-against-the-death-penalty

 

 

Questo numero è aggiornato con le informazioni disponibili fino al 30 aprile 2015

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