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FOGLIO  DI COLLEGAMENTO  INTERNO

 

DEL COMITATO PAUL ROUGEAU

 

Numero 246  -  Febbraio 2018

Kent Whitaker e il figlio Thomas

SOMMARIO:

 

1) Quasi incredibile: graziato in Texas Thomas Whitaker!

2) Sì, no, sì… poi lo torturano e rinunciano, per ora, ad ucciderlo

3) Campbell muore di morte naturale precedendo il boia dell’Ohio

4) Votò per la pena di morte ma ora vuole salvare il condannato

5) Quarta data di esecuzione per il texano Juan Castillo

6) Trump auspica la pena di morte per gli spacciatori

7) Cittadinanza svedese a scienziato condannato a morte in Iran

8) In Iran membri dell’ISIS condannati a morte “confessano” in TV

9) Ayatollah in Iran prospetta la pena di morte per i contestatori

10) Centinaia di sospetti appartenenti all’ISIS uccisi in Iraq in 7 giorni

11) È uscito il rapporto annuale di Amnesty International

12) Notiziario: Colorado, Florida, Gaza, Iran, Pakistan Texas, USA

1) QUASI INCREDIBILE: GRAZIATO IN TEXAS THOMAS WHITAKER!

 

Il Governatore del Texas Gregg Abbott ha aspettato l’ultimo momento per concedere la grazia a Thomas Whitaker la cui esecuzione era programmata per le 18 del 22 febbraio. Alle 17 e 20’ di quel giorno ha tolto dall’angoscia oltre al condannato anche suo padre che aveva perorato la grazia.

 

Abbiamo aperto il precedente numero di questo Foglio di Collegamento con un articolo sulla vicenda terribile di Thomas “Bart” Whitaker e della sua famiglia, sugli omicidi da lui compiuti, sulla sua conversione, sulla sua imminente esecuzione (1).

Ora possiamo dirvi che il 20 febbraio, due giorni prima dell’esecuzione, la Commissione per le Grazie del Texas (Board of Pardons and Paroles) ha raccomandato al Governatore Gregg Abbott di risparmiare la vita di Whitaker. E lo ha fatto all’unanimità dei suoi 7 membri.

Il padre del condannato, che si è battuto con tutto se stesso, con intelligenza e bravura, per salvare il figlio che tentò, quasi riuscendoci, ad ucciderlo nel dicembre del 2003, apprendendo il parere della Commissione si è coperto il volto ed ha singhiozzato per un po’.

Ma non era ancora finita.

Il Governatore Abbott ha aspettato l’ultimo momento per concedere la grazia a Whitaker la cui esecuzione era programmata per le 18 del 22 febbraio. La dichiarazione in merito è stata resa da Abbott alle 17 e 20’ di quel giorno.

Abbott si è sentito quasi costretto ad intervenire nonostante il fatto che non avesse mai concesso una grazia, lasciando uccidere 30 condannati negli ultimi tre anni, da quando è entrato in carica (2).

Il merito della grazia è da ascrivere prima di tutto al padre del condannato e in secondo luogo ai suoi bravissimi avvocati difensori, tra i quali David Dow, James Rytting e Keith Hampton di cui abbiamo parlato molte volte (3).

Per comprendere la fortuna di Bart Whitaker, occorre ricordare che la Commissione per le Grazie del Texas ha optato solo 4 volte per la clemenza a partire dal 1982, anno in cui fu ripristinata la pena di morte in Texas. In 2 di tali casi il precedente Governatore Rick Perry eluse la raccomandazione del Board e lasciò andare avanti le esecuzioni (di Kelsey Patterson nel 2004 e di Robert Lee Thompson nel 2009 ). L’unico graziato da Perry fu il nostro amico e corrispondete Kenneth Foster per il quale la Commissione raccomandò clemenza nel 2007 con 6 voti contro 1. (4)

Riportiamo la dichiarazione con cui il Governatore Greg Abbott ha annunciato la grazia per Thomas Bartlett Whitaker detto “Bart”:

In qualità di ex giudice, di ex membro della Corte Suprema del Texas, e di ex Procuratore Generale impegnato nell’accusa dei più noti criminali del Texas, ho il massimo rispetto per il ruolo che giurie e giudici hanno nel nostro sistema legale. Il ruolo del Governatore non è quello di controllare il processo o di riesaminare la legge e le prove. Il ruolo del Governatore secondo la Costituzione è distinto da quello della funzione giudiziaria. Il ruolo del Governatore è di prendere in considerazione le raccomandazioni fatte dalla Commissione per le Grazie (Texas Board of Pardons and Paroles) e di inquadrare le questioni in una visuale più ampia dei fatti e della legge applicata ad un singolo caso. Ciò è particolarmente importante nei casi capitali.

In tre anni esatti passati da Governatore, ho lasciato procedere 30 esecuzioni. Non ho concesso alcuna commutazione di una sentenza capitale fino ad ora, per le ragioni che ho spiegato.

L’uccisione della madre e del fratello di Whitaker è riprovevole. Il crimine postula una severa punizione per i criminali che hanno ucciso. La raccomandazione della Commissione per le Grazie e la mia conseguente azione, assicurano che Whitaker non uscirà mai di prigione.

La decisione della Commissione per le Grazie è supportata dalla totalità delle circostanze di questo caso. La persona che fece fuoco uccidendo le vittime non ha ricevuto la pena di morte, ma Whitaker, che non sparò, fu condannato a morte. Questo fattore da solo potrebbe non essere sufficiente per la commutazione nei riguardi di un individuo come Whitaker che reclutò altri per commettere l’assassinio. Ulteriori fattori rendono la decisione in merito più complessa.

Il padre di Whitaker, che sopravvisse all’attentato alla propria vita, si è appassionatamente opposto all’esecuzione del figlio. Il padre di Whitaker sostiene che egli sarebbe doppiamente vittima se lo stato mettesse a morte l’unico discendente diretto della sua famiglia sopravvissuto. Inoltre, in cambio della commutazione della pena capitale in ergastolo, Whitaker volontariamente e per sempre ha rinunciato a qualsiasi richiesta di liberazione. Per di più la Commissione per le Grazie ha votato all’unanimità per la commutazione. Il complesso di queste ragioni vale la commutazione della sentenza di morte di Whitaker nell’ergastolo senza possibilità di liberazione. Whitaker dovrà passare il resto della sua vita dietro le sbarre come punizione del suo orrendo crimine”.

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(1) Per maggiori informazioni sul caso eccezionale di Whitaker, v. n. 245

(2) Per trovare un avvenimento del genere negli Stati Uniti occorre risalire al 12 febbraio 2009, giorno in cui il Governatore dell’Ohio concesse la grazia a Jeffrey Hill, un condannato a morte che doveva essere ucciso il 3 marzo successivo. A pesare sul piatto della bilancia a favore di Jeffrey era stata soprattutto la richiesta unanime della famiglia della sua vittima, che è anche la sua famiglia, di risparmiarlo (v. n. 167).

(3) Con James Ritting, che difende Larry Swearingen, da noi adottato, abbiamo una regolare corrispondenza.

(4) V. n. 152 e anche nn. 76, 114, 119, 120, 121, 122, 123, 125,126, 127, 128, 131, 132, 133, 134, 136, 136, 137, 138, 140, 141, 144, 145, 149, 158, 151

2) SÌ, NO, SÌ… POI LO TORTURANO E RINUNCIANO, PER ORA, AD UCCIDERLO

 

Due guardie carcerarie, nel tentativo di trovare una vena, hanno trafitto l’inguine di Doyle Hamm una mezza dozzina di volte, hanno forato la sua vescica e la sua arteria femorale fino a che non hanno desistito lasciando i segni delle punture e i lividi sul corpo del detenuto.

 

Lo scorso 22 febbraio, in Alabama, sì è svolto un macabro tentativo di esecuzione del 61-enne Doyle Lee Hamm.

Hamm, affetto da tumore in fase avanzata, è stato sottoposto ad oltre due ore di supplizio mentre i suoi boia tentavano di trovare una vena adatta per praticargli l’iniezione letale.

L’esecuzione è stata sospesa quando il personale medico presente ha capito che non sarebbe stato possibile uccidere il condannato entro la mezzanotte rispettando l’ordine di esecuzione riferito al 22 febbraio.

Jeff Dunn, portavoce del dipartimento carcerario, ha dichiarato: “Non posso dire che quanto è accaduto stasera sia stato un problema. Al momento non ho alcuna indicazione per dire che si sia trattato di un caso problematico. L’unica indicazione che ho è che, dal punto di vista medico, è stato solo un problema di tempo, dato che si era fatto tardi.”

Noi pensiamo che non si sia trattato solo di “un problema di tempo”, ma di una vera e propria tortura: due addetti, nel tentativo di trovare una vena, hanno trafitto l’inguine di Doyle Hamm una mezza dozzina di volte, hanno forato la sua vescica e la sua arteria femorale fino a che non hanno desistito lasciando i segni delle punture e i lividi sul corpo del detenuto.

L’avvocato di Doyle Hamm, Bernard Harcourt, ha giustamente definito l’evento “un episodio di macelleria che si può solo definire tortura”.

Hamm era stato condannato a morte nel 1987 per aver ucciso il dipendente di un motel. Durante i suoi 30 anni di detenzione si è ammalato di cancro, ma ben poche cure gli sono state prestate. Adesso l’uomo è pieno di linfonodi ingrossati in tutto il corpo.

L’avvocato Harcourt, che rappresenta Hamm dal 1990, ha detto che il suo assistito sta di fatto morendo di cancro e che qualsiasi tentativo di esecuzione costituisce una “punizione crudele e inusuale” proibita dalla Costituzione. “Hamm non ha vene utilizzabili e lo stato dell’Alabama non è in grado di riuscire a trovare un accesso venoso nel corpo di Hamm,” ha affermato.

L’Alabama si è intestardito a voler uccidere Hamm a tutti i costi. E così si è verificato un terribile tira e molla a partire dalla fine del 2017, quando la Corte Suprema di quello stato fissò la data di esecuzione.

L’esecuzione fu poi sospesa da un giudice federale distrettuale il 31 gennaio scorso ma, a seguito di un appello di emergenza da parte dell’accusa, il 13 febbraio la sospensione fu revocata dalla Corte federale d’Appello dell’11-mo Circuito, la quale richiese che altri esperti medici effettuassero ulteriori indagini per trovare un punto in cui praticare l’iniezione letale.

In base a questi nuovi accertamenti fu rilevato che le vene delle braccia e delle mani non erano utilizzabili per inserire un catetere venoso, a causa del tumore e dei precedenti di droga del condannato, ma che probabilmente negli arti inferiori e nei piedi qualche vena sarebbe stata utilizzabile.

Così il giudice federale distrettuale ha ordinato che l’esecuzione avesse luogo alla presenza di un medico dotato di un’apparecchiatura ad ultrasuoni in grado di individuare le vene.

Il giorno 22 febbraio, quello stabilito per l’esecuzione, un ultimo appello alla Corte Suprema federale da parte della difesa ha bloccato l’esecuzione alle 17, poco prima dell’inizio della procedura, ma la sospensione è stata annullata dalla stessa corte alle 21. Allora sono cominciati i tentativi di ammazzare Hamm che si sono protratti fino a oltre le 23 e 30’.

Si è in attesa della fissazione di una nuova data di esecuzione di Doyle Lee Hamm.

Pensiamo che il commento finale dell’avvocato Harcourt, che tenterà di ottenere la commutazione della pena capitale di Hamm in ergastolo, ben riassuma anche la nostra opinione in merito a tale orribile vicenda: “Questa esecuzione ci mostra la profonda falsità del nostro sistema giudiziario. Quando le corti federali cercano avidamente di attivarsi nel tentativo di trovare nuovi metodi per uccidere un uomo, quando i giudici più insigni si sporcano le mani di sangue in questo modo, ritengo che tutto ciò faccia ingiustizia alla giustizia”. (Grazia)

3) CAMPBELL MUORE DI MORTE NATURALE PRECEDENDO IL BOIA DELL’OHIO

 

Il 15 novembre scorso lo stato dell’Ohio non riuscì ad uccidere Alva Campbell con un’iniezione letale perché il personale addetto all’esecuzione non fu in grado, in 25 minuti di tortura, di trovare in lui una vena adatta all’inserimento dell’ago. Il 3 marzo il condannato è morto di morte naturale.

 

Il 15 novembre scorso lo stato dell’Ohio non riuscì ad uccidere Alva Campbell con un’iniezione letale perché il personale addetto all’esecuzione non fu in grado, in 25 minuti di tortura, di trovare in lui una vena adatta all’inserimento dell’ago. (1)

L’inutilità dello scempio era ampiamente prevedibile date le pietose condizioni fisiche del condannato 69-enne: egli aveva subìto l’asportazione di parti di un polmone, della tiroide, della prostata, dell’intestino e del colon ed era costretto a defecare in un sacchetto da un ano artificiale. Il suo cuore funzionava male (2).

Dopo il fallito tentativo di esecuzione, il Governatore dell’Ohio, John Casich, non si rassegnò e fissò per lui una nuova data per il 5 giugno 2019, sempre mediante iniezione letale!

Nella notte del 3 marzo scorso, però, Campbell è stato trovato privo di sensi nella sua cella ed è morto in ospedale poche ore dopo. Secondo quanto dichiarato dalle autorità carcerarie, il suo decesso è avvenuto per cause naturali.

Ron O’Brien - l’accusatore che aveva ottenuto la sentenza di morte per Campbell 20 anni fa -dimostrando di considerare la pena capitale una vendetta e non un atto di giustizia, ha preso assai male la notizia della morte naturale di Campbell ed ha dichiarato: “A causa di frivole discussioni dopo la condanna, [Campbell] è riuscito a far arrivare fuori tempo massimo l’atto di giustizia dovuto allo stato e ai familiari delle sue vittime”.

Ricordiamo che Campbell, duplice omicida, era stato condannato a morte per aver ucciso un diciottenne preso come ostaggio in un tentativo di fuga dal tribunale in cui era stato condotto per rispondere di precedenti reati. Indubbiamente aveva commesso gravissimi crimini, ma aveva anche subito terribili violenze da bambino. Un sociologo con 30 anni di esperienza in campo criminale ha descritto la casa della sua infanzia come “un luogo di caos totale, agitazione, dolore e deprivazione”. (Grazia)

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(1) V. n. 243

(2) V. n. 242

4) VOTÒ PER LA PENA DI MORTE MA ORA VUOLE SALVARE IL CONDANNATO

 

Raymond Tibbetts, condannato a morte in Ohio nel 1997, potrebbe salvarsi in seguito al leale comportamento di Ross Geiger, uno dei componenti della giuria che scelse per lui la pena capitale.

 

Nell’autunno del 1997 a Cincinnati in Ohio la moglie minacciò di cacciare fuori di casa Raymond Tibbetts. Costui, in preda alla droga, la colpì con una mazza da baseball e la pugnalò 21 volte con coltelli da cucina. Tibbetts fece poi irruzione nel soggiorno e uccise il padrone di casa ammalato, il 67-enne Fred Hicks - che aveva assunto la consorte come badante - accoltellandolo una dozzina di volte al petto e alla schiena.

Raymond Tibbetts fuggì con l’auto dell’ucciso ma fu catturato qualche giorno dopo. Fu accusato di reato capitale e condannato per l’omicidio della moglie Judith Crawford di 42 anni e di Fred Hicks.

Nella seconda fase del processo, quella in cui si doveva scegliere la pena di Tibbetts, tra ergastolo e pena di morte, la giuria optò per la pena di morte. Ross Geiger era il giurato n ° 2. Come i suoi

colleghi, egli era all’epoca ed è ancora certo della colpevolezza di Raymond Tibbetts. Ma ora si è convinto che lui e gli altri giurati furono ingannati.

Geiger sta ora conducendo una battaglia per far uscire Tibbetts dal braccio della morte. Il 19 febbraio ha raccontato al quotidiano Cincinnati Enquirer che è rimasto scioccato nell’apprendere dalla richiesta di grazia inoltrata dai difensori del condannato, ora sessantenne, che questi aveva conosciuto anni di abbandono e abusi da bambino. I genitori di Raymond Tibbetts erano alcolisti che chiudevano continuamente lui e i suoi fratelli fuori casa. I bambini furono affidati a diverse coppie. Alcune delle coppie affidatarie li picchiavano, li ustionavano, li lasciavano legati al letto durante la notte e abusavano sessualmente di loro. Tibbetts aveva iniziato a utilizzare droghe fin da adolescente.

Niente di tutto questo emerse nel corso delle due fasi del processo. “ Sono rimasto stupito dalla quantità di materiale che era disponibile di cui non venni a conoscenza”, ha detto Geiger.

“Lo Stato aveva il dovere di darmi accesso alle informazioni necessarie per poter prendere la decisione migliore possibile”, ha aggiunto.

Geiger ha detto che se avesse avuto le informazioni sull’infanzia di Tibbetts non avrebbe votato a favore della pena di morte. Così nel mese di gennaio, a poche settimane dall’esecuzione già fissata, ha scritto una lettera al Governatore John Kasich chiedendogli di commutare la pena di Raymond Tibbetts in carcere a vita senza possibilità di liberazione.

In conseguenza dell’istanza di Ross Geiger, John Kasich ha spostato la data di esecuzione dal 13 febbraio al 17 ottobre nonostante l’insistenza degli accusatori nell’affermare la brutalità dei crimini commessi e la correttezza del processo. Nel frattempo si dovrà attivare la Commissione per le Grazie dell’Ohio. (Pupa)

5) QUARTA DATA DI ESECUZIONE PER IL TEXANO JUAN CASTILLO

 

La data di esecuzione di Juan Castillo - che doveva ricevere l’iniezione letale in Texas nel maggio scorso - è stata spostata tre volte per i motivi più vari, incluso l’arrivo dell’uragano Harvey in settembre. Sarà tuttavia difficile che Castillo veda l’alba del 17 maggio p. v.

 

Juan Castillo, l’assassino “del sentiero degli innamorati di San Antonio”, ha ricevuto la quarta data di esecuzione nel giro di un anno: il Governatore ha stabilito che dovrà morire il 16 maggio.

L’anno scorso tre date di esecuzione fissate per lui sono state cancellate, la prima, quella di maggio, per un errore procedurale, la seconda, quella del 7 settembre, per l’arrivo dell’uragano Harvey e la terza, quella del 14 dicembre, per la ritrattazione di un testimone a carico (1).

Ricordiamo che Castillo. che ora ha 36 anni, era stato condannato nel 2005 per aver ucciso il giovanissimo rapper Tommy Garcia Jr., durante un balordo tentativo di rapina finito male.

L’allora fidanzata di Castillo, Debra Espinosa (in precedenza donna del rapper) aveva attirato la vittima designata in un luogo appartato frequentato dalle coppiette promettendo sesso e droga. Ma, mentre i due se la spassavano, Castillo e un altro uomo tentarono di rapinarlo. Indossando maschere da sci e armati, trascinarono Garcia fuori dall’auto e, al tentativo di fuga del malcapitato, Castillo gli sparò sette colpi.

Nel processo Castillo fu una delle quattro persone condannate per il crimine, ma l’unico colpito da una sentenza capitale. L’uomo è stato condannato sulla base delle testimonianze di tre correi e di un “informatore carcerario”, Gerardo Gutierrez.

La data del 14 dicembre fu cancellata in conseguenza alla ritrattazione di Gerardo Gutierrez che affermò di aver accusato falsamente Castillo per ottenere uno sconto di pena.

Il caso di Castillo ritornò alla corte distrettuale che emise per lui la condanna a morte nel 2005.

Tale Corte ha sentenziato che la ritrattazione di Gerardo Gutierrez è ininfluente perché le altre testimonianze a carico sono più che sufficienti.

Ora il Governatore ha fissato la data di esecuzione di Juan Castillo per il 16 maggio p. v. Temiamo che sarà la data definitiva.

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(1) V. nn. 240, 243.

6) TRUMP AUSPICA LA PENA DI MORTE PER GLI SPACCIATORI

 

Secondo Donald Trump la pena di morte sarebbe la giusta punizione per tutti gli spacciatori di droga, da lui considerati “omicidi seriali”. Le uscite di Trump sono simili a quelle di Rodrigo Duterte, Presidente delle Filippine, che ha fomentato le esecuzioni extragiudiziarie degli spacciatori.

 

Il 25 febbraio dal sito web Axios si è appreso che il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha invocato la pena di morte per tutti gli spacciatori da lui considerati “omicidi seriali”.

Trump ammette che sarebbe impossibile far approvare una legge che preveda una cosa del genere, però si è detto disponibile a sostenere il passaggio di una legge che preveda un minimo di 5 anni di carcere per gli spacciatori che vendano anche solo 2 grammi di Fentanyl (l'uso di questo oppioide sintetico, più potente dell’eroina, è in aumento in America del Nord e produce un numero crescente di casi fatali di overdose).

Trump spesso fa battute sull’uccisione degli spacciatori del tipo: “Sai che i Cinesi e i Filippini non hanno problemi con gli spacciatori, semplicemente li uccidono”. Trump ha detto ai suoi collaboratori che il governo dovrebbe fare in modo che gli spacciatori temano per la loro vita, indicando come esempi Singapore e le Filippine.

Le uscite di Donald Trump rispecchiano quelle del presidente filippino Rodrigo Duterte, il leader che ha dato di fatto alla polizia mano libera nell’uccisione degli spacciatori di droga (1).

Secondo Axios, il team di Trump discuterebbe spesso sulla possibilità di adottare la politica della “tolleranza zero” tipica di Singapore, nonché di dare nelle scuole maggiori informazioni sul problema della droga. (Pupa)

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(1) V. ad es. nn. 239, 240

7) CITTADINANZA SVEDESE A SCIENZIATO CONDANNATO A MORTE IN IRAN

 

È forte la mobilitazione internazionale per cercare di salvare alla vita del medico Ahmadreza Djalali, arrestato durante un viaggio in Iran, accusato di essere una spia e condannato a morte.

 

Il 17 febbraio la Svezia ha concesso la cittadinanza ad Ahmadreza Djalali, uno scienziato nato in Iran residente a Stoccolma, arrestato durante un viaggio in Iran e condannato alla pena di morte.

Djalali, medico e docente presso l’Istituto Karolinska nella capitale svedese, che ha anche lavorato per quattro anni in Italia, a Novara, fu arrestato in Iran il 24 aprile 2016 e successivamente condannato a morte per spionaggio.

Ahmadreza Djalali è stato accusato di aver fornito informazioni all’agenzia di intelligence Mossad di Israele per consentirle di assassinare alcuni scienziati nucleari iraniani.

La Corte Suprema dell’Iran ha confermato la condanna a morte in dicembre e il procuratore di Teheran Abbas Jafari Dolatabadi ha dichiarato che Djalali ha confessato i suoi crimini.

“Continuiamo il nostro lavoro consolare per Djalali e chiediamo di poter visitare il nostro cittadino,” ha detto una portavoce del Ministero degli Esteri svedese. “Siamo rimasti regolarmente in contatto con i rappresentanti iraniani, abbiamo richiesto di incontrare Djalali e presentato il punto di vista svedese sulla pena di morte, che condanniamo in tutte le sue forme. La nostra richiesta è che la pena di morte non sia eseguita”, ha detto la portavoce.

Djalali era andato per motivi di lavoro in Iran, quando fu arrestato e rinchiuso nel carcere di Evin. Fu tenuto in isolamento per tre mesi e, secondo Amnesty International, torturato.

Amnesty ha reso noto che Djalali ha scritto, in una lettera spedita in agosto, di essere detenuto per aver rifiutato di spiare a favore dell’Iran.

Settantacinque premi Nobel hanno inoltrato una petizione alle autorità iraniane lo scorso anno per far rilasciare Djalali in modo che possa “continuare il suo lavoro di studioso a beneficio dell’umanità.” (Pupa)

8) IN IRAN MEMBRI DELL’ISIS CONDANNATI A MORTE “CONFESSANO” IN TV

 

La trasmissione televisiva "Nella morsa della legge", che va in onda tutti i venerdì in Iran, è arrivata alla 150-esima puntata. Nella trasmissione membri dell'ISIS condannati a morte 'confessano' i propri crimini, dopo essere stati condotti, sotto pesante scorta, nei luoghi dei delitti loro contestati.

 

Ogni venerdì, in Iraq, una trasmissione televisiva, intitolata “Nella morsa della legge”, diffonde le ’confessioni’ di condannati alla pena capitale.

Nell’ora di massima audience scorrono immagini di crimini sanguinosi compiuti da membri dell’ISIS e subito dopo vengono intervistati uomini che indossano le tute gialle o arancioni dei condannati a morte, condotti, sotto pesante scorta armata, sul luogo dei delitti loro contestati.

Ahmad Hassan, il responsabile della trasmissione che riceve dalle autorità governative gli indirizzi a cui recarsi con la troupe televisiva, il 6 febbraio scorso ha dichiarato: “Essi scelgono il caso da evidenziare e io domando al Ministro della Giustizia il permesso di intervistare il detenuto”. E aggiunge: “Anche se l’ISIS ha perso dal punto di vista militare, la sua ideologia sopravvive. I suoi sostenitori considerano gli altri come miscredenti e continueranno a uccidere”.

Sul set della trasmissione Ahmad Hassan sta dietro una scrivania con pile di incartamenti, mappe di Baghdad e immagini del condannato di turno. Luci ed ombre cerano un’atmosfera inquietante per calamitare l’attenzione degli spettatori.

La trasmissione ha raggiunto la sua 150-esima puntata. La prima puntata si apriva con la fotografia di decine di Sunniti giacenti in una pozza di sangue, dopo la loro esecuzione compiuta nel 2014 da membri dell’ISIS nella città di Heet, vicino a Baghdad. Subito dopo veniva presentato il

41-enne Mithaq Hamid Hekmet, uno dei condannati per questo massacro, che descriveva nei terribili particolari le uccisioni, citando anche il nome di altri partecipanti alla carneficina.

In un altro episodio l’ex tesoriere dell’ISIS Mohammad Hamid Omar - nome di battaglia Abu Hajjaj - descrive la sua specialità: estorcere denaro dalle farmacie, dalle scuole, dalle agenzie immobiliari, dai benzinai e dai medici, per finanziare le turpi attività dell’organizzazione.

Dopo la vittoria di Baghdad sull’ISIS, l’Iran ha imprigionato migliaia di suoi appartenenti.

Lo scopo di queste lugubri rappresentazioni televisive è quello di scoraggiare qualsiasi residuo sostegno dell’ideologia jihadista.

A nostro parere una simile trasmissione non è in alcun modo educativa, anzi i favorevoli alla jihad idealizzeranno come martiri i condannati a morte costretti a “recitare” davanti alle telecamere pilotate dal governo. In ogni caso, tutto ciò costituisce uno spettacolo penoso, crudele e atroce che non può non nuocere alle persone che vi assistono. (Grazia)

L’ayatollah Ahmad Khatami

 

 

 

9) AYATOLLAH IN IRAN PROSPETTA LA PENA DI MORTE PER I CONTESTATORI

 

Esacerbati dalle sommosse contro il regime iraniano verificatesi tra la fine del 2017 e l'inizio del 2018, i dirigenti iraniani minacciano la pena di morte per i promotori di sommosse antigovernative.

 

Lo spettro della pena di morte viene utilizzato dal governo iraniano per intimidire i contestatori del regime degli ayatollah. Avevano chiaramente tale scopo le numerose esecuzioni effettuate alla fine del 2017 in concomitanza con le manifestazioni antigovernative (1).

Il 2 febbraio, a conferma di questo triste intento, l’ayatollah Ahmad Khatami, autorevole membro dell’“Assemblea degli Saggi” che seleziona i governanti del Paese, ha dichiarato durante un sermone che i promotori delle proteste devono essere condannati a morte. Ha detto: “Secondo la nostra teologia, la punizione per coloro che si riversano nelle strade contro una giusta legge islamica, provocando incendi o uccidendo persone… è la morte”. Ha aggiunto: “Se volete dimostrare pietà, va bene. Ma non arrivate a volere che i ribelli se ne vadano via liberi. C’è un tempo per la clemenza, c’è un tempo per la rabbia. Dobbiamo essere fermi contro i capi della rivolta, come fece l’Imam Ali (2), mentre coloro che sono stati strumentalizzati devono essere castigati e scrollati e indotti a giurare di non commettere mai più crimini comportandosi come mercenari al servizio degli agitatori”.

Durante le agitazioni dello scorso dicembre furono uccise almeno 25 persone e migliaia furono arrestate. La maggior parte degli arrestati sono stati poi scarcerati.

Una fonte che vuole mantenere l’anonimato, ha detto che “alcuni di loro sono stati investigati, interrogati e accusati di ’ribellione’.” Ha aggiunto: “I familiari dei detenuti scarcerati sono stati minacciati e hanno troppa paura per parlare. La maggior parte di loro afferma di essere stata caricata di gravi accuse, e se commettessero qualsiasi sbaglio potrebbero ricevere pesanti condanne.”

Secondo un articolo della Costituzione iraniana, la ’ribellione’ è l’utilizzo di un’arma contro la vita, contro la proprietà o la castità delle persone o il provocare il terrore in un clima di insicurezza. Un altro articolo dice, fra le altre cose, che chiunque commetta reati contro le persone, o contro la sicurezza interna o internazionale dello stato, diffondendo bugie, corruzione e prostituzione su larga scala, sarà considerato mofsed-e-fel-arz (corrotto sulla terra) e condannato a morte.

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(1) V. n. 245

(2) L’Imam Ali, vissuto tra il 601 e il 661, è considerato dagli sciiti il successore di Maometto.

10) CENTINAIA DI SOSPETTI APPARTENENTI ALL’ISIS UCCISI IN IRAQ IN 7 GIORNI

 

Human Rights Watch si è impegnata per documentare le sadiche uccisioni di massa di membri dell'ISIS, o presunti tali, avvenute nel giro di una settimana tra agosto e settembre.

 

In un dettagliato documentatissimo rapporto di Human Rights Watch pubblicato l’8 febbraio (1) si denunciano gli omicidi di massa di appartenenti all’ISIS, o presunti tali, commessi tra il 28 agosto e il 3 settembre 2017 dalle forze speciali antiterrorismo Asayish nel Kurdistan iracheno.

I militari Asayish del Governo Regionale del Kurdistan (KRG) detenevano gli uomini, in parte iracheni in parte stranieri, in una scuola abbandonata nel villaggio di Sahil al-Maliha a 70 chilometri a nordovest di Mosul.

I militari hanno caricato una parte degli uomini su dei bus e li hanno portati nella prigione di Shilgia, un villaggio distante 45 chilometri, e da lì in due siti vicino alla città di Zummar, dove li hanno uccisi. Human Rights Watch ha localizzato e fotografato il luogo in cui le forze speciali irachene hanno smaltito almeno una parte degli uccisi.

Dalle ricerche fatte da Human Rights Watch è emerso inoltre che dalla sera del 30 agosto scorso alle prime ore del mattino seguente, la forze speciali Asayish chiusero dai 100 ai 150 uomini in una grande autocarro freezer portando al minimo la temperatura per 7 ore. Coloro che non morirono per ipotermia o asfissia furono passati per le armi.

“Le prove mostrano che le forze di sicurezza Asayish hanno compiuto esecuzioni di sospetti appartenenti all’ISIS, notte dopo notte per una settimana, probabilmente uccidendo centinaia di maschi detenuti” ha dichiarato Lama Fakih, vice direttore per il Medio Oriente di Human Rights Watch. “Le autorità irachene e del KRG devono investigare urgentemente e in modo trasparente le denuncie di esecuzioni di massa e perseguirne i responsabili.”

Da notare: il KRG il 3 marzo ha pubblicato un suo contro-rapporto di 24 pagine in cui si contestano le accuse fatte da Human Rights Watch (2)

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(1) V. https://www.hrw.org/news/2018/02/08/kurdistan-regional-government-allegations-mass-executions

(2) V. https://www.hrw.org/sites/default/files/supporting_resources/krg_response_march42018.pdf

11) È USCITO IL RAPPORTO ANNUALE DI AMNESTY INTERNATIONAL

 

Il 22 febbraio è stato pubblicato il Rapporto Annuale sui Diritti Umani di Amnesty International, di cui una copia su carta acquistata tramite Amazon costa 16,91 euro (1). Riportiamo qui di seguito l’Introduzione all’ampio Rapporto.

 

INTRODUZIONE AL RAPPORTO ANNUALE 2017/18

 

Siamo entrati nel 70° anniversario della Dichiarazione universale dei diritti umani, eppure è fuori di dubbio che i diritti umani non possano essere dati per scontati da nessuno di noi”. Salil Shetty, Segretario generale di Amnesty International.

Durante tutto il 2017, milioni di persone nel mondo hanno sperimentato i frutti amari delle sempre più diffuse politiche di demonizzazione.

 

L’ESODO DEI ROHINGYA PERSEGUITATI IN MYANMAR

 

Le estreme conseguenze di queste politiche sono state messe a nudo dall’orribile campagna militare di pulizia etnica contro la popolazione rohingya in Myanmar, che in poche settimane ha causato un esodo di circa 655.000 persone verso il vicino Bangladesh, la crisi dei rifugiati esplosa più velocemente del 2017. A fine anno, le prospettive per il futuro rimanevano decisamente oscure e la persistente incapacità dei leader mondiali di fornire una soluzione concreta per i rifugiati ha lasciato poche ragioni per essere ottimisti. Questo evento rimarrà nella storia come un’ulteriore prova del fallimento catastrofico del mondo nell’affrontare situazioni che possono offrire terreno fertile per atrocità di massa.

I segnali d’allarme erano evidenti da tempo in Myanmar: discriminazione e segregazione su larga scala erano diventate la normalità, in un regime equiparabile all’apartheid, e per molti anni la popolazione rohingya è stata demonizzata e privata delle condizioni basilari per vivere in dignità. La trasformazione della discriminazione e della demonizzazione in violenze di massa è qualcosa di tragicamente familiare e le sue conseguenze disastrose non possono essere facilmente cancellate.

 

I DIRITTI UMANI NON POSSONO ESSERE DATI PER SCONTATI DA NESSUNO DI NOI

 

Se le terribili ingiustizie inflitte ai rohingya sono state particolarmente in evidenza nel 2017, la tendenza di leader e politici a demonizzare interi gruppi sulla base della loro identità ha attraversato tutto il pianeta. Il 2017 ci ha mostrato ancora una volta cosa accade quando le politiche di demonizzazione diventano la tendenza dominante, con pessime conseguenze per i diritti umani.

Siamo entrati nel 2018, 70° anniversario della Dichiarazione universale dei diritti umani, eppure è fuori di dubbio che i diritti umani non possono essere dati per scontati da nessuno di noi. Di certo non possiamo dare per scontato il fatto di poterci riunire per protestare o per criticare i nostri governi. Né possiamo dare per scontato che avremo a disposizione un sistema previdenziale quando saremo vecchi o invalidi; che i nostri bambini potranno crescere in città con un’aria pulita e

respirabile; o che, in quanto giovani, lasceremo la scuola per trovare lavori che ci permetteranno di comprare una casa.

 

DIRITTI UMANI IN PERICOLO: LE NOSTRE SFIDE

 

La battaglia per i diritti umani non è mai vinta definitivamente, in nessun luogo e in nessun momento storico. I confini si spostano di continuo, per cui non c’è spazio per il compiacimento. Nella storia dei diritti umani, questo non è mai stato più chiaro di ora. Ma, dovendo far fronte a sfide senza precedenti in tutto il mondo, le persone hanno continuato a dimostrare che la loro sete di giustizia, dignità, uguaglianza non verrà spenta, trovando ancora modi nuovi e coraggiosi per esprimere questo bisogno, spesso a caro prezzo. Nel 2017, questa battaglia globale per i valori ha raggiunto un nuovo livello d’intensità.

Gli attacchi ai valori su cui si basano i diritti umani, che affermano la dignità e l’uguaglianza di tutte le persone, hanno assunto vaste proporzioni.

 

I conflitti

I conflitti, alimentati dal commercio internazionale di armi, continuano ad avere effetti devastanti sui civili, spesso secondo un piano prestabilito. Che sia nella catastrofe umanitaria dello Yemen, esacerbata dal blocco imposto dall’Arabia Saudita, o nelle uccisioni indiscriminate di civili compiute dalle forze governative e internazionali, nell’uso dei civili come scudi umani da parte del gruppo armato autoproclamatosi Stato islamico in Iraq e Siria o nei crimini di diritto internazionale che portano a enormi flussi di rifugiati dal Sud Sudan, talvolta le parti coinvolte nei numerosi conflitti del mondo hanno rinunciato anche a fingere di rispettare i loro obblighi di protezione dei civili.

 

La crisi globale dei rifugiati

I leader dei paesi ricchi hanno continuato ad affrontare la crisi globale dei rifugiati con una miscela di elusione e totale insensibilità, riferendosi ai rifugiati non come a esseri umani ma come a problemi da evitare. Il tentativo del presidente statunitense Donald Trump di vietare l’ingresso a tutti i cittadini di diversi paesi a maggioranza musulmana, sulla base della loro nazionalità, è stato evidentemente una mossa dettata dall’odio. La maggior parte dei leader europei è stata riluttante ad affrontare la grande sfida di disciplinare la migrazione in modo sicuro e legale e ha deciso che, in pratica, niente è vietato nell’intento di tenere i rifugiati lontani dalle coste del continente. Le conseguenze inevitabili di questo approccio sono state evidenti negli scioccanti abusi subiti dai rifugiati in Libia, con la piena consapevolezza dei leader europei.

 

Elezioni: odio e paura cavalcati dalla politica

In zone dell’Europa e dell’Africa, lo spettro incombente dell’odio e della paura ha caratterizzato una serie d’importanti elezioni. In Austria, Germania e Paesi Bassi, alcuni candidati hanno cercato di trasformare le preoccupazioni sociali ed economiche in paura, attribuendo la colpa in particolar modo a migranti, rifugiati e minoranze religiose. In Kenya, le elezioni presidenziali di agosto e ottobre sono state guastate da intimidazione e violenza, anche basate sull’identità etnica.

 

IL CORAGGIO DI CHI DIFENDE I DIRITTI UMANI

 

Tuttavia, il 2107 ha anche dimostrato la persistente volontà delle persone di lottare per i loro diritti e per i valori che vogliono vedere affermarsi nel mondo. Nuove e gravi minacce hanno dato un’ulteriore spinta allo spirito di protesta.

In Polonia, un grave attacco all’indipendenza della magistratura ha portato in strada un gran numero di persone. In Zimbabwe, a novembre, a decine di migliaia hanno marciato con determinazione per portare a compimento la loro battaglia decennale contro le politiche autoritarie e per chiedere vere elezioni nel 2018, in cui la volontà del popolo possa essere liberamente espressa. In India, la crescente islamofobia e un’ondata di linciaggi di musulmani e dalit hanno provocato indignazione e proteste, accompagnate dallo slogan “Non nel mio nome”. Una grande marcia in occasione della Giornata internazionale delle donne, partita negli Usa ma con eventi collegati in tutto il mondo, è diventata uno dei più grandi eventi di protesta della storia. E a livello globale, il fenomeno del #MeToo ha portato un’attenzione enorme sulla spaventosa estensione degli abusi e delle molestie sessuali.

Ma il prezzo da pagare per opporsi all’ingiustizia continua a crescere. In Turchia, l’attacco spietato e arbitrario alla società civile, sull’onda del fallito colpo di stato del 2016, è continuato a ritmo serrato, colpendo il presidente e la direttrice di Amnesty International Turchia, insieme a migliaia di altri.

La Cina ha messo in atto un giro di vite senza precedenti, prendendo di mira persone e organizzazioni percepite come critiche verso il governo, in nome della “sicurezza nazionale”. A seguito delle ampie e diffuse proteste in Russia, centinaia di manifestanti pacifici, passanti e giornalisti sono stati arrestati; in molti sono andati incontro a maltrattamenti, detenzioni arbitrarie e pesanti multe, inflitte in seguito a processi iniqui. Nella maggior parte del continente africano, l’intolleranza verso le proteste pubbliche è stata palese in modo allarmante, dai divieti arbitrari in Angola e Ciad, alla pesante repressione nella Repubblica Democratica del Congo, in Sierra Leone, Togo e Uganda. In Venezuela, centinaia di persone sono state detenute arbitrariamente e molte altre hanno subìto le conseguenze dell’uso eccessivo e illegittimo della forza da parte delle forze di sicurezza, in risposta alle diffuse proteste pubbliche contro l’aumento dell’inflazione e la carenza di cibo e farmaci. In Egitto, le autorità hanno duramente limitato la libertà di criticare il governo, chiudendo o congelando i beni delle Ong, emanando leggi draconiane, che prevedevano cinque anni di carcere per la pubblicazione di una ricerca senza il permesso del governo, e condannando giornalisti e centinaia di oppositori politici a pene carcerarie. Mentre l’anno volgeva al termine, in Iran è iniziata un’ondata di manifestazioni contro l’ordine costituito, come non se ne vedevano dal 2009. Sono emerse denunce secondo cui le forze di sicurezza hanno ucciso e ferito manifestanti disarmati, facendo ricorso ad armi da fuoco e a un uso eccessivo della forza. A centinaia sono stati arrestati e detenuti in carceri note per l’uso della tortura e di altri maltrattamenti.

Nel 2018 ricorrono 20 anni da quando le Nazioni Unite hanno adottato per consenso la Dichiarazione dei difensori dei diritti umani, che fornisce loro protezione e sostegno e incoraggia chiunque a impegnarsi a favore dei diritti umani. Ancora, dopo due decenni, coloro che accettano il compito di difendere i diritti umani spesso affrontano le più gravi conseguenze. Nel 2017, la tragica morte del premio Nobel Liu Xiaobo, in Cina, è stata emblematica del disprezzo di troppi governi

per i difensori dei diritti umani. È morto in custodia per un cancro al fegato, il 13 luglio, dopo che le autorità cinesi gli avevano impedito di ottenere trattamenti medici.

 

TERRORISMO E ANTITERRORISMO

 

Nel frattempo, la retorica della sicurezza nazionale e dell’antiterrorismo hanno continuato a fornire una giustificazione ai governi che cercavano di cambiare l’equilibrio tra poteri dello stato e libertà personali. I governi hanno l’evidente responsabilità di proteggere le persone dalla violenza pianificata per diffondere terrore ma, sempre più spesso, l’hanno fatto a spese dei diritti piuttosto che per tutelarli. L’Europa ha continuato a scivolare verso un stato caratterizzato da misure di sicurezza semipermanenti. La Francia, ad esempio, ha messo fine allo stato d’emergenza a novembre ma solo dopo aver adottato una nuova legge antiterrorismo, che ha introdotto nella legge ordinaria molte delle disposizioni del regime di emergenza.

Tuttavia, nonostante la gravità di questi attacchi ai diritti umani, una reale comprensione della battaglia globale per difendere i valori di dignità umana e uguaglianza esige che ci opponiamo a ogni semplicistica equazione “governi repressivi contro potere del popolo”. Oggi gli spazi pubblici sono contesi tra estremi spesso polarizzati. Mentre in Polonia e Usa ci sono stati grandi raduni per chiedere che la tutela dei diritti umani non sia minacciata, un’imponente marcia nazionalista con slogan xenofobi a Varsavia e un raduno di fautori della supremazia bianca a Charlottesville hanno reclamato politiche profondamente antitetiche ai diritti umani. In molti paesi, le politiche e le prassi illegittime che negano i diritti umani di alcuni gruppi hanno goduto del sostegno popolare.

 

VIOLENZA ONLINE E NOTIZIE FALSE

 

Oggi, molti dei nostri spazi pubblici più importanti sono online, dove gli strumenti per affrontare le sfide emergenti si sono rivelati a volte del tutto inadeguati rispetto all’obiettivo. La valanga di abusi online, specialmente contro le donne, e l’incitamento all’odio verso le minoranze hanno indotto una risposta debole e inconsistente da parte delle compagnie che gestiscono i social media e azioni insufficienti da parte dei governi.

L’impatto delle “notizie false”, come mezzo per manipolare l’opinione pubblica, è stato ampiamente discusso in tutto il 2017. Le possibilità date dalla tecnologia di confondere la realtà e la finzione potranno solo crescere nel futuro, facendo sorgere importanti domande in merito all’accesso delle persone all’informazione. Queste preoccupazioni sono aggravate dalla concentrazione estrema nelle mani di solo poche aziende del controllo sulle informazioni che le persone vedono online e da un’enorme asimmetria di potere tra i singoli individui, le compagnie e i governi, che controllano una vasta quantità di dati. Le potenzialità che ne derivano per influenzare la mentalità della gente sono immense, compreso il pericolo dell’incitamento all’odio e alla violenza, praticamente senza controllo.

Mentre ci avviciniamo al 70° anniversario della Dichiarazione universale dei diritti umani a dicembre 2018, la sfida che abbiamo di fronte è chiara. È il momento di reclamare l’idea fondamentale di uguaglianza e dignità di tutte le persone, di conservare quei valori e chiedere che siano alla base delle decisioni e delle prassi politiche.

I confini artificiali innalzati da una politica della demonizzazione ci portano solo a conflitti e brutalità, una visione angosciante dell’umanità governata da meri interessi personali e cieca alle difficoltà degli altri.

Troppi leader nel mondo hanno permesso ai sostenitori della denigrazione di decidere l’ordine del giorno e hanno fallito nel creare una visione alternativa.

È tempo di cambiare. Dobbiamo rifiutare una narrazione dei fatti basata sulla demonizzazione e costruire invece una cultura di solidarietà. Dobbiamo migliorare la nostra capacità di essere generosi verso gli altri. Dobbiamo riaffermare il diritto di tutte le persone a partecipare alla costruzione delle società alle quali appartengono. E dobbiamo cercare risposte costruttive, basate sui diritti umani, alle frustrazioni, alla rabbia e all’alienazione, che forniscono un contesto fertile per una narrazione dei fatti tossica e intrisa di colpa.

Se ci chiediamo in quale società vogliamo vivere, il nuovo anno ci dà l’opportunità cruciale di rinnovare l’impegno verso un cambiamento basato sui diritti umani. Non la dobbiamo sprecare.

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12) NOTIZIARIO

 

 

Colorado. In carcere per essersi rifiutata di testimoniare per l’accusa. Greta Lindecrantz, una investigatrice cristiana mennonita che ha lavorato per la difesa di Robert Ray, uno dei tre condannati a morte del Colorado, è finita in carcere il 26 febbraio per essersi rifiutata di rispondere all’accusa nel corso di un appello. È stata scortata ammanettata in tribunale sia il 27 che il 28 febbraio ma ogni volta ha dichiarato che collaborare in qualche modo con chi vuole mettere a morte qualcuno violerebbe i suoi principi religiosi ed è stata rispedita in cella. La detenzione di Greta Lindecrantz è a tempo indeterminato.

 

Florida. Esecuzione di un omicida condannato a morte non all’unanimità prima del 2002. Il 47-enne Eric Scott Branch fu condannato a morte in Florida nel 1994 per lo stupro e l’uccisione della studentessa universitaria Susan Morris di 21 anni. La sentenza nei suoi riguardi fu decisa della giuria non all’unanimità ma con 10 voti contro 2. Per una famosa sentenza della Corte Suprema della Florida del 2016 avrebbe avuto diritto ad un nuovo processo se la sua condanna fosse stata pronunciata dopo il 24 giugno 2002 (1). È stato inutile un appello rivolto alla Corte Suprema degli Stati Uniti da un gruppo di eminenti giuristi - tra cui ex membri della Corte Suprema della Florida e giudici di Corti di Circuito - in cui si chiedeva di sospendere l’esecuzione e di correggere una legge che viola la Costituzione USA. Alcune note di cronaca: Mentre le guardie gli iniettavano le sostanze letali Eric Branch picchiava sul lettino dell’esecuzione urlando: “Assassini! Assassini! Assassini!”. Poi ha perso conoscenza. Poco prima si era rivolto alle guardie dicendo che dovevano venire ad ucciderlo il Governatore Rick Scott e la Ministra della Giustizia Pam Bondi: “Fateli venire qui. So che voi siete brave persone e questa non è una cosa che dovete fare voi”. L’ufficio

del Governatore Scott ha precisato che il detenuto è stato dichiarato morto alle 19:05’ del 22 febbraio.

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(1) V. n. 233, “Un po’ di chiarezza...”. È in atto un’iniziativa parlamentare per eliminare l’assurdo limite del 2002, nel frattempo decine di condanne a morte vengono confermate, v. n. 245, e alcune eseguite.

 

Gaza. I familiari mettono a morte una spia a favore di Israele. Una famiglia di Palestinesi di Rafah nella striscia di Gaza ha dichiarato di aver giustiziato il 19 gennaio il figlio Ahmed Said Barhoum, reo di aver passato ad Israele le informazioni utilizzate per compiere gli omicidi mirati di tre alti ufficiali di Hamas: il comandante della divisione di Rafah, Raed al-Attar, il comandante della Divisione del Sud, Mohammed Abu Shmallah, e il comandante senior della Divisione del Sud Mohammed Barhoum (parente della spia). Un attacco aereo israeliano uccise i tre il 28 agosto 2014, oltre a 5 civili secondo Hamas. Ahmed Barhoum è stato fucilato dai propri familiari dopo essere stato giudicato e condannato a morte da una corte palestinese. “La famiglia ha seguito le indagini sin dal momento dell’arresto di Ahmed da parte dai servizi di sicurezza di Hamas”, ha dichiarato la sua famiglia. “Abbiamo sentito la sua confessione e esaminato gli strumenti che lui ha usato per comunicare con il nemico israeliano.” I familiari di Ahmed Barhoum hanno inoltre invitato “tutte le famiglie che si ritrovino nelle nostra medesima situazione a cooperare con le forze della resistenza.”

 

Iran. Esecuzioni portate a termine e simulate. Il 13 febbraio nel carcere di Gohardasht nei pressi di Tehran 13 detenuti sono stati messi in isolamento come avviene usualmente in Iran il giorno prima dell’esecuzione. La mattina del 14 febbraio i boia hanno messo i 13 prigionieri sulla piattaforma dell’impiccagione e hanno infilato a tutti il cappio al collo. Tuttavia 3 di essi, dopo aver assistito all’esecuzione degli altri, sono stati riportati, in vita ma profondamente scioccati, nelle loro celle. Il Segretariato del Consiglio Nazionale Iraniano di Resistenza nel diffondere la notizia si è appellato alla Nazioni Unite e ai paesi che intrattengono rapporti economici con l’Iran perché si attivino per l’abolizione della pena di morte nel paese degli ayatollah.

 

Pakistan. Condanna a morte dopo un linciaggio per blasfemia. Nella città di Mardan in Pakistan lo scorso aprile il 23-enne Mashal Khan, ritenuto blasfemo, fu spogliato, percosso e ucciso con un colpo d’arma da fuoco da una piccola folla costituita soprattutto da studenti. Il corpo del giovane fu poi gettato dal secondo piano del suo dormitorio universitario. La brutalità di questo linciaggio, che fu ripreso con i telefonini e pubblicato in rete, traumatizzò il pubblico e fu condannata anche di alcuni esponenti del clero islamico. Gli autori dell’omicidio furono individuati per mezzo delle telecamere di sorveglianza dell’università ed dai video clips da loro stessi ripresi. Furono arrestati e il 7 febbraio scorso uno di loro è stato condannato a morte. Altri 5 sono stati condannati all’ergastolo, altri 25 a 3 anni di detenzione. 26 sono stati rilasciati. Una relazione ufficiale divulgata alcuni mesi dopo il linciaggio, concludeva, fra l’altro, che il giovane Khan era stato accusato ingiustamente. L’accusa di blasfemia in Pakistan può portare anche a condanne a morte (1), ma molto più spesso provoca linciaggi ed episodi di violenza di vario livello. Secondo una ricerca condotta dal Center for Research and Security Studies, dal 1990 a oggi ci sono stati assassinii di 65 persone ritenute blasfeme.

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(1) Famoso è il caso della cristiana Asia Bibi, v. n. 238 e nn. ivi citati. Sulle condanne a morte per blasfemia in Pakistan v. anche n. 241

 

Texas. Respinto il ricorso di Linda Carty alla Corte Criminale d’appello del Texas. L’8 febbraio si è saputo che Corte Criminale d’appello del Texas ha respinto l’appello di Linda Carty, una donna che rischia a breve l’esecuzione. Nel 2010 la Corte Suprema degli Stati Uniti aveva rifiutato di prendere in esame il suo caso. Linda Carty, nera originaria di Saint Kitts e Nevis, lo stato dei Caraibi che era sotto dominazione britannica alla sua nascita, ha la cittadinanza del Regno Unito e riceve assistenza dal suo consolato. Forse questo fatto ha contribuito a tenerla ancora in vita dopo tanti anni dalla condanna a morte subìta in Texas e potrebbe salvarla. La Carty, che ha ora 59 anni, è rinchiusa da oltre 15 anni nel braccio della morte dopo essere stata condannata alla pena capitale con l’accusa di aver commissionato a 3 uomini il rapimento di un neonato che voleva far passare per suo figlio. I rapitori infilarono la testa di Joana Rodriguez, la madre del bimbo da rapire, in un sacchetto di plastica facendola morire asfissiata. La condannata, che sostiene di essere assolutamente innocente, accusa due dei rapitori di aver testimoniato contro di lei in cambio di uno sconto di pena. (Vedi nn. 180, 230).

 

USA. Numeri sulla pena di morte. La pena di morte è ancora vigente in 31 di 50 stati USA e nella giurisdizione federale. Dal 1976, anno in cui fu ripristinata la pena capitale, il Texas ha compiuto il maggior numero di esecuzioni: 548, seguito dalla Virginia con 113 esecuzioni e dall’Oklahoma con 112. Ci sono attualmente 2.817 condannati nei bracci della morte. La California ha il maggior numero di condannati a morte, 746, ma ha compiuto solo 13 esecuzioni dal 1976.

 

 

Questo numero è aggiornato con le informazioni disponibili fino al 4 marzo u. s.

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